Magia e polvere
Di Mattia Guzzi
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Info su questo ebook
Stante la giovanissima età dell’Autore, risulta subito evidente che egli ha compreso il difficile segreto che rende artisticamente efficace una storia. Ammalia e convince la scrittura fresca, la sua pacatezza e sensibilità, la sua implacabile chiarezza abbinata a un intrigante tocco di cinismo.
Il primo racconto, L’infermiera, prende lo spunto da un fatto di cronaca: dietro un comportamento criminale c’è una persona, la sua vita, le sue scelte.
Il secondo racconto, Impressioni, nasce dalla riflessione sul rapporto dell’essere umano con il tempo e di conseguenza sulla natura effettuale e non dei ricordi.
Il terzo racconto, La principessa dagli occhi di vetro, è una favola che affronta il tema identitario.
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Anteprima del libro
Magia e polvere - Mattia Guzzi
vetro
Introduzione
Magia e cinismo.
Cinismo sul filo di un sogno, levità.
Tre brevi racconti: L’infermiera, Impressioni e La principessa dagli occhi di vetro.
Il primo nasce da una divagazione fantastica a partire da un fatto di cronaca con lo scopo di creare un personaggio che non sia solo l’azione violenta per cui è famoso, creare l’ombra di una persona dietro a un titolo da testata giornalistica che schiaccia e appiattisce le vite a una semplice frase e qualche riga di commento.
Il secondo nasce dal bisogno di voler parlare del rapporto tra l’uomo e il tempo, col pretesto del ritorno a casa il protagonista si interroga e riflette liberamente sullo scorrere dell’esistenza.
Il terzo è una favola dove poesia e scienza collaborano per cercare di risolvere problemi esistenziali e identitari a una principessa bloccata sulla luna.
Il tutto raccoglie le pulsazioni più macabre e violente nel primo racconto, risulta o vuole essere equilibrato in quello di mezzo e sfocia nella totale astrazione e idealismo nell’ultimo racconto. L’obbiettivo era quello di creare un piccolo mondo che in sé fosse completo, così come una persona è formata da inconscio, preconscio e conscio, la raccolta tentava di risultare equilibrata nei suoi tre modi di percepire il mondo. Il primo e ultimo racconto scritti dai sedici ai diciassette anni, il secondo a venti; tutto raccontato con il più alto comandamento morale secondo Hemingway: la sincerità.
Mattia Guzzi
L’infermiera
Ospedale
Quella notte in ospedale era di turno lei. Era una serena notte d’estate, le stelle brillavano in cielo nascoste dalle luci della città e la luna, tonda come una palla da tennis, gravitava normalmente nel cielo attorno alla terra. Una leggera brezza che arrivava dal mare portava con sé odori marini e freschezza. La città come tutte le notti dormiva cullata dal suono delle cicale, suono che accompagnava lei nel tragitto verso l’ospedale. Kate usava le cuffiette quando doveva ingannare il tempo, e così faceva tutte le notti che doveva lavorare. Camminava con passo svelto come se un demone la stesse inseguendo, un demone del passato magari, o forse, aveva solo freddo con quella leggera T-shirt bianca e voleva arrivare a destinazione il più in fretta possibile. Non pensava a niente in particolare, anzi si può dire che si stesse facendo trasportare quasi meccanicamente dall’abitudine. Entrata in ospedale si mise il camice e depose lo zaino nel suo armadietto. Faceva l’infermiera da ventisei anni in quell’ospedale, conosceva ormai ogni crepa, ogni difetto, ogni dettaglio di quel grande edificio verde scuro. Aveva visto molta sofferenza racchiusa in quelle mura e questa in un primo momento le era rimasta addosso, appesantendo le rughe della sua faccia giovane. Successivamente (sempre l’abitudine) aveva fatto scivolare via ogni sentimento di compassione dal suo volto, per lasciare spazio a una espressione cinica e disinteressata: le abitudini possono essere molto dannose. Aveva cambiato reparti molte volte e visto un po’ tutta la realtà dell’ospedale ma quando le avevano chiesto, dopo vent’anni di servizio, quale reparto le piacesse di più, aveva optato per la maternità. Ormai era lì da sei anni e non avrebbe voluto cambiare per nessuna ragione, anche perché lì il suo lavoro trascendeva quello di una normale infermiera.
Sistemate alcune carte in segreteria Kate si apprestò a fare quello che faceva tutte le notti che lavorava, ossia prestare servizio a chi lo richiedeva e controllare che tutti dormissero. Era come una guardia, una maestra d’asilo che controllava il buon riposo pomeridiano di tutti i bambini. Così come i bambini più furbi fanno finta di dormire per non venire sgridati, anche alcune pazienti del reparto tendevano a non voler incontrare nessuno durante la notte e così fingevano di riposare per non avere seccature. A Kate non dispiaceva affatto naturalmente, non era un tipo di infermiera loquace, si limitava a svolgere il suo lavoro. D’altronde il suo viso non le permetteva di apparire amichevole. Il volto delle persone ne influenza il carattere, e il suo era riservato. Aveva dei lisci capelli biondi che riordinava sempre facendosi la coda di cavallo, se non in occasioni importanti come ai matrimoni in cui li scioglieva coprendo le sue piccole orecchie appesantite dai sei orecchini che portava abitualmente. Aveva una pelle molto chiara, quasi bianca, che metteva ancora di più in risalto le sue guance rossastre e le sue labbra rosso pallido. Il suo naso era tutt’altro che aggraziato, sembrava quello di un uomo tozzo e pesante. Ma la parte che più descriveva il suo spirito erano quei profondi occhi castani che, come Medusa, pietrificavano le persone rendendole inermi. Occhi scuri e gelidi su un volto bianco. Cinquantuno anni e due occhi di pietra, un gatto nero e un appartamento spoglio di ogni emozione. Chi mai avrebbe voluto intrattenere durante la notte una conversazione con questa donna? A ogni modo Kate svolgeva il suo lavoro con passione e dedizione, soprattutto per quanto riguardava il suo compito speciale.
Era da quando si era spostata in maternità che svolgeva questo compito speciale. Non le richiedeva molto tempo perché la impegnava solamente una volta al mese ed era piuttosto rapido. Non era un compito che le era stato affidato dal primario, ma da una persona più importante di lui. Kate era costretta a svolgere quel compito.
Quella notte, era la notte in cui doveva espletarlo. Così dopo aver fatto un giro per le camere e controllato la situazione dei pazienti, si fermò per qualche istante a osservare i neonati dormire. Erano quindici bambini che riposavano silenziosi nei loro piccoli lettini ordinati. Tutti con le loro cuffiette e i loro vestitini a righe. I bambini avevano le righe bianche e azzurre, le bambine avevano le righe bianche e rosa. Sembravano essere stati posizionati da un coreografo pignolo per l’incipit di un musical. Tutti i bambini erano perfettamente in fila e fermi nella loro posizione attenti a rispettare il volere del regista. Ce n’era uno in particolare che però aveva catturato l’attenzione di Kate. Il bambino dell’ultima fila in fondo a sinistra. Aveva una faccia normale, non sarebbe stata in grado di ricordarla dopo neanche cinque minuti. Non era la faccia che l’aveva colpita, ma il suo piede, un piede senza calza. Magari nel sonno muovendosi nella culla era inavvertitamente riuscito a sfilarla, o magari un angelo era apparso all’improvviso e aveva voluto fargli uno scherzo. In ogni caso quel bambino aveva appena deciso di entrare a far parte del compito speciale. Kate fino ad allora aveva sempre rispettato un suo rituale prima di svolgere quel compito speciale. Entrava nel grande salone dei bambini, facendo il più piano possibile per non svegliarne nessuno, e dava un piccolo bacio sulla fronte al prescelto. Quella sera per qualche ragione se ne dimenticò. Invece di entrare e baciare il bambino senza calza, quella notte Kate andò dritto a riempire la sua siringa. La riempì tutta e, come per lanciare via un pezzo di pane dal tavolo, tirò con le dita un piccolo colpetto sull’ago in modo da verificarne il funzionamento. Ritornò nel salone dei bambini e conficcò la siringa nella piccola pancia del bambino fortunato. Si guardò intorno e uscì dalla stanza. Adesso c’era solo da aspettare una ventina di minuti, come al solito. Dopo di che il bambino sarebbe andato in overdose e la sua vita sarebbe stata strappata via. Tutto normale, se non che quella notte Kate non aveva rispettato il suo solito rituale.
Fin da piccola Kate era sempre stata una bambina composta. Una di quelle bambine che non oltrepassava mai i limiti imposti dalle regole. Se c’era una recinzione, per lei era stata fatta per un motivo e lo rispettava senza andare a fondo della cosa. Per questo prendeva dei buoni voti a scuola e non perché fosse particolarmente intelligente. Era cresciuta in una famiglia normale, suo padre lavorava in banca e sua madre svolgeva dei piccoli lavoretti part-time ogni tanto. Aveva sempre e solo avuto un’amica, una sola. Era una bambina che abitava nei pressi di casa sua e che aveva incontrato per la prima volta andando a scuola a dieci anni. Kate era uscita di casa per aspettare lo scuolabus e incamminandosi verso la fermata inciampò su una mattonella che aveva deciso di staccarsi