L'avvocato
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Un grande thriller
Il primo sconvolgente caso di Brigham Theodore
A corto di soldi e ambizione, il giovane avvocato Brigham Theodore decide di farsi assumere in un piccolo studio legale a Salt Lake City. Dopo la delusione per la sconfitta in tribunale nel suo primo processo è convinto che la sua carriera sia finita. Ma il suo capo, un ambiguo russo-americano, gli affida inaspettatamente un caso delicatissimo. La cliente è Amanda Pierce, accusata di aver sparato all’uomo che ha rapito, torturato e ucciso la sua bambina di sei anni. Una giuria potrebbe anche simpatizzare per lei a causa del suo terribile dolore, ma la legge non è mai stata tollerante con chi si fa giustizia da solo, e la pena che pende sul suo capo è l’esecuzione. L’accusa, come se non bastasse, è in mano a Vince Dale, il procuratore che non ha mai perso una causa. Non c’è dubbio che Amanda abbia premuto il grilletto: l’ha fatto di fronte a cinque testimoni. Se si dichiarasse colpevole eviterebbe la pena di morte, ma dovrebbe ammettere che ciò che ha fatto era sbagliato. D’altra parte, una dichiarazione di non colpevolezza potrebbe mettere a rischio per sempre la carriera di Brigham. E la vita stessa di Amanda.
Un caso complesso e intricato per l’avvocato Brigham Theodore, ma lui non ha alcuna intenzione di arrendersi.
Un’intensa suspense che cresce durante le fasi del processo.
I segreti hanno il potere di unire le persone contro il resto del mondo
«La trama è così convincente che non è stata una sorpresa scoprire che fosse ispirata a un processo realmente avvenuto.»
«Un romanzo emozionante e avvincente, pieno di suspense. Perfetto per i lettori di Grisham e Connelly.»
Victor Methos
È nato a Kabul, in Afghanistan, e ha vissuto in Pakistan e in Iran prima di trasferirsi negli Stati Uniti. Parla fluentemente numerose lingue mediorientali, ha studiato scienze, filosofia e storia delle religioni all’Università dello Utah prima di iscriversi alla Law School. Come procuratore si è specializzato in crimini violenti e attualmente è avvocato.
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Anteprima del libro
L'avvocato - Victor Methos
Capitolo uno
La bambina vide la caramella che l’uomo teneva in una mano.
Dietro di lui c’era un furgone azzurro con la portiera scorrevole aperta, e lui fece un ampio sorriso. La piccola lo aveva già visto prima. Lo incontrava sempre davanti a scuola, seduto nel veicolo parcheggiato dall’altra parte della strada. Una volta le aveva fatto ciao con la mano, ma lei non aveva ricambiato il saluto. Sua madre le aveva insegnato a non parlare con le persone che non conosceva.
«Non devo parlare con gli sconosciuti».
«Be’, ma tua madre ha ragione, tesoro», le disse, sempre col sorriso. «È un’ottima lezione. Io però mi chiamo Ty. E tu?»
«Tabitha».
«Tabitha. È un nome molto bello. E scommetto che hai sei anni».
La bambina annuì. «Sì, ho sei anni».
«Be’, Tabitha, io ne ho quarantadue. Vedi? Adesso non siamo più due sconosciuti. Tu conosci me e io conosco te. Prendi la caramella. Sta’ tranquilla. Ho anche dei palloncini, qui dentro».
Lei aveva già visto i palloncini da un bel pezzo, e continuava a pensarci. Erano di tanti colori diversi: verdi, azzurri, rossi, viola e rosa. Il rosa era il suo colore preferito, e stava quasi per chiederne uno, ma pensò che prima avrebbe dovuto domandare il permesso alla mamma. Sua madre le aveva detto che nessuno regala mai niente, e che se qualcosa sembrava troppo bello per essere vero, allora forse non lo era. Tabitha era piuttosto sicura che avrebbe dovuto pagare, per avere il palloncino.
«Vuoi un palloncino, tesoro?».
Lei annuì. «Sì, ma non ho soldi».
L’uomo ridacchiò. «Ma è gratis, piccola. Solo perché sei così carina. Quale vuoi?»
«Quello rosa».
«Rosa? Ottima scelta. Te lo prendo subito».
Entrò nel furgone e prese un palloncino dal mazzetto, poi lo porse alla bimba. L’uomo aveva le mani sporche, e la piccola si accorse del nero sotto le unghie. «Ecco a te».
Tabitha sorrise e fece qualche passo in avanti. Quando allungò la mano per afferrare il filo, sentì una pressione sul braccio. Faceva male, e non sapeva cosa fosse, poi vide la mano dell’uomo. Le dita erano diventate bianche, tanta era la forza con cui le stringeva il braccio.
Il volto dell’uomo era diverso. Prima sorrideva, ma adesso aveva l’aspetto di qualcosa che di solito vedeva nella sua cameretta, di notte, al buio, e che le faceva venire gli incubi. Anche gli occhi erano cambiati. La bambina era così spaventata da non riuscire neanche a gridare.
«Ho altri regali per te qui dentro», ringhiò l’uomo.
Con la forza la trascinò nel furgone e chiuse la portiera.
Capitolo due
Con un balzo, Brigham Theodore superò una buca. Correva sul marciapiede come se fosse nel bel mezzo di una gara, ma non c’erano altri concorrenti. Un senzatetto era seduto per terra con la schiena appoggiata a un palazzo. Brigham lo oltrepassò di slancio, poi si fermò e fece marcia indietro. Aveva con sé parecchi dollari che aveva risparmiato per andare a pranzo e festeggiare. Brigham tenne per sé due dollari e diede il resto al senzatetto, il quale disse: «Dio ti benedica», con un ampio sorriso.
«Prego», rispose Brigham prima di riprendere la sua corsa.
Un semaforo a un incrocio diventò rosso, e guardò in entrambe le direzioni prima di attraversare. Un camion bianco suonò il clacson e lo schivò per un pelo.
Brigham non sapeva come avesse potuto non vedere un veicolo di tali dimensioni. Agitò la mano e gridò: «Scusami!», ma senza fermarsi.
Il centro congressi era stracolmo. Quel giorno più di duecento nuovi avvocati prestavano giuramento. Come da tradizione, la cerimonia per i professionisti di Salt Lake City si teneva al Salt Palace. Brigham sperava che ci fosse un buffet perché non aveva mangiato nulla, dato che si era precipitato al palazzetto direttamente dopo il lavoro.
Il direttore della scuola elementare in cui lavorava come operatore scolastico
– la nuova fantasiosa espressione utilizzata al posto di bidello – gli aveva concesso la mattina libera, ma avrebbe comunque dovuto essere di ritorno nel primo pomeriggio. Era anche piuttosto sicuro di essere il primo avvocato dello Utah a fare anche il bidello.
Brigham attraversò la strada di corsa. L’edificio era stato rimodernato di recente ma aveva ancora l’aspetto del vecchio palazzetto del basket che era in origine. C’erano ancora appesi diversi poster della Salt Lake Comic Con, la convention fumettistica che aveva avuto luogo almeno tre mesi prima.
Salì gli scalini due alla volta, varcò alcune porte e poi ancora un’altra rampa di scale. In uno spazioso auditorium, duecento persone vestite di tutto punto si muovevano disordinatamente, mentre i loro familiari prendevano posto sulle poltroncine e scattavano foto con il cellulare.
Brigham si insinuò nel gruppo. Si conoscevano quasi tutti perché avevano frequentato la University of Utah o la Brigham Young University, ma lui si era trasferito da Tulane. Dopo l’uragano Katrina il suo corso di Giurisprudenza era stato cancellato, e invece di spostarsi subito si prese un po’ di tempo per sé, poi tornò all’università e si laureò. Aveva sempre desiderato lavorare in qualche località rurale. La maggior parte delle grandi città aveva un avvocato ogni sei o sette persone. Il mercato era così saturo che quasi nessuno riusciva a trovare lavoro, e gli unici impieghi disponibili non erano remunerativi, o si esigeva che si vivesse direttamente nello studio. Non gli piaceva nessuna delle due possibilità, quindi scelse il luogo più lontano da New Orleans in cui potesse trasferirsi: Salt Lake City, Utah.
«Signore e signori, vogliate accomodarvi», annunciò qualcuno.
Altre sedie reclinabili erano state messe a disposizione dei partecipanti, e Brigham prese posto all’estremità di una fila, accanto a un uomo con un sigaro spento in bocca. La presidentessa della Corte Suprema dello Utah parlò per qualche minuto della grandezza e dell’importanza della legge, e di come ricordasse al marito, medico, che i suoi predecessori erano persone che duecento anni prima usavano le sanguisughe, mentre lei poteva vantare tra i suoi avi gli autori della Costituzione degli Stati Uniti. Il racconto suscitò una risata.
Poi il rettore della University of Utah parlò della magnifica professione di avvocato e narrò qualche aneddoto a proposito dell’anno in cui esercitò come legale prima di entrare nel mondo accademico.
La presidentessa salì di nuovo sul podio, e chiese ai presenti di alzarsi. Brigham scattò in piedi insieme agli altri. La donna recitò il giuramento, scandendo con cura ogni frase, e aspettando che gli astanti la ripetessero:
Sono completamente soggetto alle leggi dello Stato dello Utah e alle leggi degli Stati Uniti e le rispetterò con osservanza.
Sosterrò la Costituzione dello Stato dello Utah e degli Stati Uniti.
Rispetterò il Regolamento di condotta professionale approvato dalla Corte Suprema dello Stato dello Utah.
Offrirò il rispetto dovuto alle corti di giustizia e agli ufficiali giudiziari.
Non lavorerò a processi o cause che riterrò ingiusti, e non presterò alcun tipo di assistenza legale a meno che non sia convinto che la difesa debba essere dibattuta davanti alla legge, fatta eccezione per i casi in cui l’imputato venga accusato di reati contro l’ordine pubblico. Mi impegnerò a lavorare al procedimento affidatomi con verità e onore. Non cercherò mai di ingannare il giudice o la giuria tramite stratagemmi o false dichiarazioni.
Manterrò il segreto professionale e manterrò inviolati i segreti del mio cliente, e non accetterò alcun risarcimento relativo alla causa del mio cliente, a meno che quest’ultimo non approvi o sia a conoscenza del risarcimento, e con l’approvazione della Corte.
Non mi accosterò a personalità offensive, e non offrirò pregiudizi relativi all’onore o alla reputazione di un imputato o di un testimone, a meno che ciò non sia richiesto dal procedimento che mi è stato affidato.
Non rifiuterò mai, per via di opinioni personali, la causa degli oppressi o di chi non può permettersi assistenza legale, né rimanderò alcuna difesa senza giusta causa.
Brigham ripeté la formula, eccitato, nervoso e spaventato allo stesso tempo. Dopo che il giuramento fu terminato, un applauso si levò dalla folla dietro di lui, dato che tutti gli invitati applaudivano i propri cari. Nessuno era lì per lui, perciò andò via subito dopo aver ricevuto il proprio certificato.
Un venditore ambulante di hot dog si trovava proprio dietro l’angolo, e Brigham ne ordinò uno, completo di tutte le salse. Seduto sul marciapiede, mangiava e osservava il proprio attestato. Continuava a rileggerlo: lo stemma del tribunale e sotto di esso il suo nome, autorizzato a esercitare la professione legale. Ora poteva offrire consigli e ricevere soldi in cambio. Un sorriso gli si formò sulle labbra, ma durò solo un attimo. Doveva tornare a scuola, e con la divisa.
Finì l’hot dog e cominciò a camminare a passo svelto verso la scuola, col certificato arrotolato sotto al braccio.
Capitolo tre
Amanda Pierce era seduta in macchina e con la mano tastava la pistola. Il calcio, la canna, il peso. Nello Utah chiunque portava con sé una pistola, in genere nella fondina, senza nasconderla, ma lei non ne aveva mai sentito il bisogno. Salt Lake City, in base alla media nazionale, era un posto sicuro. I reati più diffusi erano guida in stato di ebbrezza e possesso di marijuana.
Due vice-sceriffi scendevano le scale del tribunale con un uomo in mezzo a loro. Quest’ultimo aveva un aspetto quasi normale, non fosse per la tuta arancione con la scritta utah doc sul dorso e sulla gamba. Le manette erano ben strette ai suoi polsi. Aveva una stazza imponente, era sia grasso che muscoloso e alto quasi un metro e novanta. I capelli erano brizzolati, e aveva un tatuaggio sul collo che sembrava essere un ricordo di una qualche malattia.
Amanda abbassò lo sguardo sulla pistola. Chiuse gli occhi per un istante. Quando li riaprì, osservò la foto appesa allo specchietto retrovisore: una bambina di sei anni con un costume di Halloween, una principessa con la bacchetta magica e le scarpe rosa scintillanti.
Le guance di Amanda cominciarono a rigarsi di lacrime. Singhiozzò, incapace di trattenerle. L’emozione le stringeva la gola, e aveva la sensazione di non riuscire a respirare. Piangeva in quel modo diverse volte al giorno. All’inizio aveva cercato di combattere, di fingere coraggio. Ma non riusciva a ingannare nessuno, tanto meno se stessa. Era talmente a pezzi che non sarebbe mai tornata integra. E ogni volta che non aveva la mente occupata, le lacrime scendevano copiose.
Guardò l’uomo ancora una volta. Stava ridendo di qualcosa che uno dei vice-sceriffi aveva appena detto.
Infilò la pistola nella borsetta e scese dalla macchina. La stampella appoggiata sul sedile posteriore era consumata, e la base di gomma completamente logora. Ogni volta che la guardava ripensava a Kandahar e alla mina che le aveva causato l’amputazione della gamba sotto al ginocchio. Esitò, poi si appoggiò alla stampella e si voltò verso il tribunale.
Il cielo era grigio, ma soleggiato. Salt Lake City aveva uno dei più alti tassi di inquinamento degli Stati Uniti. Diversi governi locali avevano permesso alle fabbriche di rilasciare nell’aria qualunque cosa volessero. E poiché la città si trovava in una valle circondata dalle montagne, l’inquinamento non se ne andava mai. Amanda pensò che fosse appropriato che anche il cielo fosse malsano, quel giorno.
A testa bassa attraversò il prato antistante il tribunale. Un cellulare del penitenziario di Salt Lake City Metro era parcheggiato proprio lì davanti, con un agente seduto al posto di guida, in attesa del prigioniero. Amanda oltrepassò quest’ultimo e i due vice-sceriffi. Salì qualche gradino. Quando si furono allontanati, si fermò e si voltò.
Estrasse la pistola velocemente. Aveva immaginato quel momento ogni secondo di ogni giorno della settimana appena trascorsa. E tutte le volte che ci aveva pensato, la scena era al rallentatore. Aveva creduto di metterci di più a tirare fuori la pistola, avendo quindi tempo per riflettere. Aveva ipotizzato che i vice-sceriffi avrebbero avuto modo di reagire, e che il prigioniero si sarebbe accorto di ciò che stava per accadere. Aveva bisogno che lui la vedesse, che sapesse che si trattava di lei.
Sollevò la pistola. «Ehi!».
L’uomo e i vice-sceriffi si voltarono. I loro volti mostravano stupore, e uno dei due poliziotti tentò di prendere la propria arma.
«Questo è per Tabitha», disse.
Il grilletto si azionò con facilità. L’uomo era a bocca aperta, e riuscì a pronunciare solo l’inizio di una parola mentre veniva investito dalla prima scarica di colpi. La seconda e la terza andarono a vuoto, ma le restanti colpirono il bersaglio. I proiettili gli trapassarono il cervello, lui cadde e rotolò sulla scalinata.
Il vice-sceriffo aveva la pistola in mano, ma Amanda lasciò cadere la propria arma e alzò le braccia. Sorrideva, mentre le lacrime le scendevano sulle guance e il poliziotto la arrestava facendole