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Orgoglio e pregiudizio bookclub
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E-book471 pagine6 ore

Orgoglio e pregiudizio bookclub

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Info su questo ebook

Tash ha una vita perfetta, è un’agente immobiliare di successo e ha un fidanzato adorabile. Le cose per lei sembrano andare davvero a gonfie vele, ma è davvero tutto oro quello che luccica? Emma ha una passione per la lettura. Iniziare a frequentare un corso di letteratura potrebbe aprirle nuovi orizzonti e mettere in discussione le sue scelte. E poi c’è Amy, che gestisce una piccola libreria. È un’inguaribile romantica che, nonostante un cuore spezzato, si ostina a credere ancora nel vero amore. Tash, Emma e Amy non potrebbero essere più diverse, ma i loro destini sono destinati a intrecciarsi quando si uniscono a un club letterario che si tiene ogni settimana in una caffetteria. Tra deliziose torte e indimenticabili letture, per loro sta per cominciare un anno ricco di colpi di scena. Perché tra classici, thriller e storie d’amore, la vita è sempre l’avventura più inaspettata.I libri sanno parlare alla nostra anima quando ne abbiamo più bisogno«Tre storie meravigliose che fanno ritrovare l’allegria.»«Un libro che fa venire l’acquolina in bocca.»«Ho ritrovato il buonumore e non vedo l’ora di unirmi anche io a un club del libro.»

Georgia Hill
vive poco distante dal paese di Lyme Regis, reso celebre da Jane Austen. Ama scrivere commedie romantiche e romanzi storici, grazie ai quali ha riscosso grande successo tra i lettori inglesi.
LinguaItaliano
Data di uscita7 giu 2019
ISBN9788822735171
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    Anteprima del libro

    Orgoglio e pregiudizio bookclub - Georgia Hill

    Parte prima

    La storia di Tash

    Capitolo 1

    «Sul serio vuoi vestirti così per la riunione del bookclub?». Adrian osservava il riflesso di Tash nello sportello a specchio dell’armadio della loro camera da letto su misura.

    «Sì, che c’è che non va?». Tash abbassò lo sguardo sulla minigonna e i sandali con la zeppa che indossava.

    «Ah, non saprei. Porti sempre la gonna al lavoro. Perché non provi quei pantaloni palazzo che ti ho comprato la scorsa settimana? E la felpa nera?»

    «Ade, siamo in agosto».

    «Non vi incontrate nell’ex cappella ristrutturata di Millie? In genere quei posti sono sempre freddissimi». Le sorrise e, scostandole di lato i capelli, le mordicchiò un orecchio. «Oppure potresti restare a casa con me». La cinse da dietro con entrambe le mani, che posò sui seni, cercando i capezzoli e pizzicandoli con decisione. «Potrei avere dei progetti interessanti. Progetti che ti scalderebbero molto». Le posò la bocca sul collo e la sfiorò con i denti.

    Tash si tolse di dosso le sue mani e si allontanò. «Sai bene che ho promesso a Emma di accompagnarla al primo incontro. Sarà solo una volta, Adrian».

    Lui si gettò sul letto, imbronciato. «Be’, se preferisci la compagnia di un gruppo di vecchiette noiose a una torrida notte di passione con me…». Allargò le gambe e si massaggiò davanti, sorridendo.

    Lei distolse lo sguardo. L’appetito sessuale di Adrian cominciava a infastidirla.

    «Mi metterò quei pantaloni, poi però devo proprio andare. Sono già in ritardo».

    «Sei sicura di non volere che ti dia un passaggio?».

    Tash corse nella camera da letto accanto che usava come guardaroba. «No, non è necessario. Ho bisogno di muovermi e respirare un po’ d’aria fresca».

    Si sfilò la gonna e mise i pantaloni. Doveva uscire. E subito.

    «Qui potresti fare un bel po’ di movimento», la chiamò Adrian dal letto. «Ti renderei calda e sudata».

    Tash afferrò la borsa e corse giù per le scale. «Non farò tardi. Non aspettarmi alzato!». Ti prego, non aspettarmi alzato, aggiunse tra sé.

    Il pensiero del corpo di Adrian che si muoveva sul suo per l’ennesima volta le dava la nausea. Com’era arrivata a una situazione del genere?

    Sbatté la porta con foga uscendo.

    «Stai bene, Tash?», le chiese Emma mentre camminavano sul lungomare di Berecombe.

    «Sì, tutto a posto!», ribatté lei brusca.

    «Non c’è bisogno di rispondere male».

    «Scusami, Em. Ho tante cose per la testa».

    «Sì, oggi al lavoro è stato un delirio. Questa settimana abbiamo già ricevuto tre incarichi, ed è solo mercoledì. Ottimo, vero?»

    «Fantastico». Tash si mise la borsa sulla spalla mentre incrociavano un gruppo di uomini.

    «Bellezze», ridacchiò uno. Un altro fischiò.

    Lei prese Emma sottobraccio e la fece accelerare.

    «Non capisco perché gli uomini debbano sempre pensare di potere…».

    «Di potere cosa?»

    «Ah, non lo so».

    «Su col morale, Tash. Volevano solo essere amichevoli. Se non ti conoscessi, direi che quella nervosa per il bookclub sei tu, non io».

    «Be’, è folle, vero? Io non sono mai nervosa per nulla». Tash rallentò avvicinandosi al Millie Vanilla’s Café. Aveva tutte le luci accese e c’era ancora qualche cliente seduto fuori a godersi una tazza di tè al caldo sole del pomeriggio.

    Emma si sganciò dal braccio di Tash. «Non sei mai stata così. Un tempo eri una persona divertente, Natasha. Almeno prima di andare a vivere con Adrian Williams».

    Gli occhi di Tash divennero lucidi. «Basta così, Emma. Ricordati che sono il tuo capo».

    «Non in questo momento». Emma prese la mano della sua amica. «Sono preoccupata per te. Sei sempre tesa, pronta a scattare per un nonnulla».

    «Sono solo stanca, tutto qui. E come hai sottolineato anche tu, è stata una settimana infernale. In più, a coronamento di tutto ciò, invece di starmene sul divano a guardare la televisione con un bel bicchiere di bianco in mano, tu mi hai trascinata qui».

    «Ci divertiremo, vedrai». Emma la tirò con delicatezza. «E dai, non usciamo più insieme noi due. E poi non muori dalla curiosità di vedere come Millie ha ristrutturato la vecchia cappella?»

    «Sì. Più o meno». Tash e Millie erano state compagne di scuola. Anche se non erano amiche intime, si incontravano spesso agli eventi promozionali per le attività di Berecombe. Tash ammirava la sua etica del lavoro ed era una cliente abituale della sua caffetteria. Trascinando i piedi sul lungomare sabbioso, notò che l’orlo dei pantaloni cominciava già a sfilacciarsi. Avrebbe dovuto mettere i tacchi, ma a Adrian non piaceva che li portasse. Gli dava già dieci centimetri buoni in altezza quando era scalza, e lui non lo sopportava. «Allora fammi strada, amica mia». Agitò un dito davanti a Emma. «Ma ti avviso, se è una noia mortale e il vino è imbevibile, me ne vado».

    Capitolo 2

    Il bookclub si riuniva nel nuovo edificio annesso al Millie Vanilla’s Café. Quando Millie aveva comprato l’antica cappella che sorgeva accanto al suo locale, tutta la città era stata curiosissima di scoprire cosa volesse farne. Qualcuno si era detto deluso quando era stato annunciato che ad ampliare il suo locale sarebbe stata una libreria: c’era chi sperava in un ristorante di pesce in stile Rick Stein. Dopotutto non aveva fatto alcun male all’industria turistica di Padstow, no? I costruttori che avevano provveduto al costante rinnovamento dell’Henville Manor Hotel, appena aperto, avevano lavorato sodo, e nel giro di pochi mesi, avevano concluso la ristrutturazione.

    Perfino il fan più scatenato di Rick, però, era stato conquistato dal risultato. Era stata distesa un’ampia passerella in vetro che collegava il caffè originario con la porta laterale della cappella. Il lato ovest dell’edificio era stato completamente rimosso e sostituito da vetrate a due piani che affacciavano sul porto e da cui si godeva la vista del tramonto. Perfino la zona pavimentata, una terrazza al piano terra, era stata allargata in modo che abbracciasse entrambi gli edifici creando un enorme open space. Alla luce rosata del crepuscolo, con le bandiere che sventolavano e le persone che vi passavano davanti, era una vista meravigliosa.

    Nonostante la preoccupazione per Adrian, Tash rimase senza fiato quando vi entrò. Era già stata lì dentro solo una volta, ma poiché era ancora tutto impalcato non vi aveva prestato attenzione. Quando aveva sentito dire che l’immobile era stato messo in vendita si era destato il suo interesse di agente immobiliare, ma era stato acquistato subito, appena messo sul mercato. Poco tempo dopo aveva sentito dire che i compratori erano Millie e Jed, e lei si era unita agli altri abitanti di Berecombe nel domandarsi cosa volessero farne. Avevano fatto un lavoro incredibile in un tempo davvero breve, pensò mentre si guardava intorno a bocca aperta. All’interno, a dare accesso al piano superiore, c’era un’ampia passerella che correva tutto intorno, più larga nel punto in cui andava a innestarsi contro la vetrata a doppia altezza. Lì erano stati posizionati poltrone e divani di pelle per creare uno spazio di lettura accogliente, sempre se si riusciva a distogliere lo sguardo dall’incredibile spettacolo del tramonto. C’erano librerie ovunque e scalette a scorrimento sparse qua e là. La parte più vicina al corridoio di vetro era stata realizzata come un’estensione della caffetteria, con tavoli in legno di pino levigato e panche. Vi si erano radunate alcune persone, che avevano in mano bicchieri di vino e chiacchieravano.

    Amy Chilcombe, la direttrice della libreria, andò ad accoglierle.

    «Natasha, Emma, che bello vedervi. Venite a prendere del vino. Farò le presentazioni appena ci saremo seduti tutti nella zona lettura». Incrociò lo sguardo di Tash e i suoi enormi occhi azzurri ebbero un guizzo nervoso. «Non sono ancora arrivati tutti i libri. L’inaugurazione ufficiale sarà più avanti». Annuì verso il fondo dell’edificio, dove erano stati montati degli schermi improvvisati. «E anche l’area bambini è ancora in costruzione».

    «Meno male che non avete ancora aperto, eh?», rispose Tash, e ricevette una gomitata decisa da Emma.

    «Sii gentile», le sibilò l’amica.

    Tash si scusò. «Perdonami, Amy. Non volevo essere così sgarbata. Sono di pessimo umore». Tra loro c’era sempre un certo imbarazzo, e lei non aveva mai capito perché Amy fosse sempre tanto nervosa in sua presenza. Certo, il primo ragazzo di Tash l’aveva mollata per uscire con Amy, ma non era finita bene nemmeno tra loro. Se non altro, lei e Amy avrebbero potuto sentirsi legate da solidarietà femminile contro gli uomini inaffidabili, ma non era mai successo. Tentò un sorriso amichevole. «Prendiamo un bicchiere di vino. Poi dove dobbiamo andare?».

    Amy arrossì e lanciò uno sguardo preoccupato a Tash. «La zona di lettura è di sopra, sul mezzanino». Indicò l’area accogliente che Tash aveva notato poco prima. «Spero ci sia posto per tutti. Sono arrivate più persone di quel che mi aspettavo».

    «Magari volevano solo un’occasione per curiosare», disse Tash senza riflettere. «Sai come fanno, qui a Berecombe, quando c’è qualcosa di nuovo».

    «Ma potrebbero trattenersi per il bookclub», intervenne Emma, più delicata. Quando Amy andò a salutare due uomini appena entrati, si voltò per affrontare Tash. «Si può sapere che ti prende? Possibile che non puoi nemmeno fare uno sforzo per avere un minimo di tatto? Sai bene che Amy è timida e insicura».

    «Credevo di essere gentile… non ci posso fare niente, se Amy salta come un gatto spaventato ogni volta che mi vede», ribatté Tash, ma si pentì subito quando scorse l’espressione ferita di Emma. Sarebbe stato meglio se fosse rimasta a casa. A quanto pareva non riusciva proprio a scrollarsi di dosso quell’umore tetro.

    «A volte ho la sensazione di non conoscerti più, Tash». Emma parve sul punto di aggiungere qualcos’altro, ma poi ci ripensò. «Vado a prendere del vino, tu intanto sali. Non sono sicura che sia un bene farti stare in mezzo alla gente, stasera. Non capisco perché ti sei sprecata a venire».

    Si voltò senza darle il tempo di chiedere scusa. Tash fissò la sua amica per un attimo, poi prese la scala a chiocciola, per non rischiare di cambiare idea e tornare a casa. L’immagine di Adrian disteso sul loro letto con quel sorriso stampato in volto la indusse a fare le scale di corsa, ma inciampò nei pantaloni lunghi.

    «Attenta».

    Tash sarebbe caduta, ma il proprietario della voce la sorresse, prendendola per un braccio. Era un uomo, che saliva le scale dietro di lei.

    «Non dovrebbero mettere scale così pericolose in un posto del genere», disse Tash. «Potrei fargli causa».

    Lui sorrise. «La troppa fretta rallenta le cose». Indicò l’orlo dei suoi pantaloni. «E credo che una causa per danni in questo caso sarebbe considerata nulla per negligenza personale», aggiunse in tono leggero.

    Tash seguì il suo sguardo e si accorse che l’orlo di una gamba dei pantaloni palazzo si era disfatto del tutto. «Be’, la serata è cominciata male e non fa che peggiorare». Si voltò e finì di salire le scale con maggiore attenzione. Si lasciò cadere sulla poltrona più vicina, notando con grande fastidio che lui si accomodò in quella accanto.

    Proprio quel che ci voleva. Un altro uomo arrogante pronto a darle ordini. Ne riceveva al lavoro, la infastidivano a casa e adesso doveva sopportarli anche nel tempo libero.

    «Perché, per un orlo scucito?».

    Lei ignorò la domanda.

    Le tese la mano. «Kit Oakley».

    Tash digrignò i denti e ripensò a come Emma le avesse fatto notare che era una pessima compagnia. «Natasha Taylor», rispose di malavoglia.

    «Ah», fece lui sollevando le sopracciglia. «L’agente immobiliare».

    «Sì. E prima che lei dica qualcosa, alcuni di noi sono molto umani».

    «Sono convintissimo che alcuni di voi lo siano».

    Tash non si lasciò provocare. Era stanca delle battute e delle critiche che riceveva la sua professione. Se solo la gente avesse avuto idea di quanto fosse duro il suo lavoro. Poi le venne in mente qualcosa. «Un attimo… Oakley? Ho venduto una villetta che apparteneva a una signora Oakley, il mese scorso. Sulla Southleigh».

    Kit sorrise. «È mia madre. Ha detto che è una lavoratrice instancabile».

    «Sì, ricordo che abbiamo avuto qualche problema prima della vendita, legato alla legittimità di un accesso». Tash si rilassò un pochino. Le piaceva parlare di lavoro. «Ma sono felice che si sia risolto tutto. È una donna adorabile».

    «Glielo dirò. Ne sarà felicissima».

    «Dov’è andata a stare?», chiese curiosa. La signora Oakley era sempre stata molto gentile e una volta avevano preso un tè insieme, ma non le aveva detto dove si sarebbe trasferita. «Sapevo solo che non si trattava di una compravendita».

    «È venuta a stare da me, per farmi scontare i miei peccati». Sollevò di nuovo le sopracciglia. «Ho comprato una proprietà malandata con un po’ di terreno. Nella periferia di Colyton. La mamma vive nella dépendance».

    «Ah, la vecchia fattoria Fairbarn?»

    «La conosce?»

    «È l’unica da queste parti abbastanza grande da avere una dépendance».

    «Sei brava!».

    «È il mio lavoro».

    Si sorrisero con circospezione, seppellendo le asce da guerra e avvertendo l’arrivo di una tregua.

    Arrivò Emma con in mano due bicchieri di vino. Ne porse uno a Tash senza dire una parola e poi si mise a sedere accanto a Kit, chiacchierando con lui.

    E meno male che era nervosa, pensò Tash sorridendo. Sorseggiò il vino che, con suo sollievo, era delizioso, e si ritrovò a osservare l’uomo seduto al suo fianco. Non poteva dire che fosse bello, almeno non di una bellezza convenzionale. Anzi, non lo era in nessun senso. Era molto alto e si riusciva a intuire la muscolatura robusta anche se era nascosta sotto un paio di jeans larghi e una felpa grigia col cappuccio. Un naso molto pronunciato separava gli occhi infossati, e aveva anche una barbetta irregolare, di un castano un po’ più scuro dei capelli. Si era vestito davvero male, pensò tra sé ironicamente. Lui ed Emma si voltarono all’improvviso a guardarla e, per un attimo, temette di averlo detto a voce alta. Un rossore insolito per lei le si dipinse sulle guance e lei mandò giù tutto il vino in un sorso solo. Era proprio vero: non era affatto la serata giusta per uscire.

    Capitolo 3

    Le poltrone e i divani nella zona lettura pian piano si riempirono. Millie accolse i partecipanti uno a uno, invitò tutti all’inaugurazione ufficiale della libreria che avrebbe avuto luogo qualche settimana dopo e poi aggiunse che stava per passare la parola a Amy, che avrebbe coordinato il gruppo.

    «Grazie, Millie. E grazie anche per aver fornito il vino, ma anche i panini e il caffè per dopo», disse Amy gesticolando. «Forse potremmo fare un giro di presentazioni e raccontarci chi siamo, qualcosa di noi, cosa ci piace leggere? So che molti tra noi si conoscono già, ma potrebbe essere d’aiuto per chi invece no. Chi non conosce gli altri, intendo».

    Emma corse in suo aiuto. «Ottima idea, Amy. Comincio io?», disse sorridendo al gruppo. «Mi chiamo Emma Tizzard e probabilmente sapete già tutti che lavoro con Natasha alla Hughes and Widrow, l’agenzia immobiliare. Adoro leggere e leggo di tutto. In questo momento sto divorando la serie Poldark. Il problema principale è trovare il tempo». Si guardò intorno. «Immagino sia una battaglia che ci accomuna tutti, trovare il tempo per leggere». Alcuni annuirono. «Be’, ecco fatto…». Si interruppe e guardò Kit.

    «Io mi chiamo Kit Oakley», fece lui dopo essersi schiarito la gola. «Mi sono appena trasferito da queste parti. Sto ristrutturando la fattoria che ho comprato. Proprio come Emma, mi piace molto leggere e amo qualsiasi genere, anche se non dormo molto, quindi forse faccio meno fatica a trovare il tempo. Leggere di notte mi consente di consumare una quantità di pagine impressionante».

    Si sentirono un paio di mormorii comprensivi, poi Tash si rese conto che era arrivato il suo turno. «Mi chiamo Natasha, anche se quasi tutti mi chiamano Tash. Come ha detto Emma, lavoro con lei all’agenzia immobiliare. Io sono la direttrice. Vivo nel nuovo quartiere appena fuori città e non ho molto tempo per le letture, ma quando riesco preferisco i generi d’evasione, i romanzi da spiaggia, insomma».

    Le sue parole non sortirono la minima reazione. Per Tash potevano anche andare al diavolo. Smise di parlare e si voltò verso la donna seduta accanto a lei.

    «Be’, mi conoscete tutti», cominciò decisa. «Sono Biddy Roulestone, un tempo Treeby, mi sono sposata da poco». Una o due persone ridacchiarono. Biddy lanciò loro uno sguardo di fuoco e smisero. «Mi piacciono le biografie, Dickens e ho un debole per i romanzi erotici, sempre se sono ben scritti».

    Tash dovette fare uno sforzo per non scoppiare a ridere. Conosceva bene la reputazione di Biddy. Pete, che era il suo direttore prima che promuovessero lei, aveva avuto a che fare con quella donna quando aveva acquistato l’enorme casa sulla collina. Aveva pagato in contanti. Lui sosteneva di non essersi mai più ripreso dall’esperienza.

    Uno dopo l’altro, si presentarono tutti. L’unico altro uomo presente sollevò un certo interesse quando disse di essere Patrick Carroll, uno scrittore. Tash notò il rossore che si diffuse sul viso di Amy e non poté biasimarla. Con i capelli neri e gli occhi di un azzurro intenso, era di una bellezza mozzafiato.

    Una donna che indossava un abito di lino con pretese artistiche e grandi orecchini si presentò per ultima. «Sono Marti Cavendish e abito anch’io nel nuovo quartiere». Sorrise al gruppo, come se avesse appena dato una notizia sensazionale.

    Tash l’aveva notata quando era entrata. Le era sembrato di conoscerla e in quel momento la riconobbe: era quella della casa con sei camere da letto, un po’ isolata, in fondo alla via senza uscita. Era la proprietà più grande e costosa che avesse gestito l’agenzia. Vedeva spesso la donna passare davanti casa sua a bordo della sua Audi decappottabile. «Forse mi conoscete, faccio la volontaria nel mercatino di beneficenza», si gloriò. «Anch’io amo leggere e mi interesso di un po’ di tutto, tranne di quei libroni con le scritte in oro». Ebbe un leggero brivido. «Non leggo romanzi spazzatura», aggiunse lanciando a Tash un rapido sguardo, come di sfida.

    Lei stava per risponderle, ma poi le venne in mente che, essendo un’agente immobiliare di una piccola città, non era una mossa astuta litigare con qualcuno. Non si poteva mai sapere chi stava per mettere in vendita una casa.

    Amy si illuminò. «Millie, vuoi aggiungere qualcosa?».

    Millie sorrise. «Solo che mi conoscete tutti: Millie Fudge, adesso Millie Henville. È stato meraviglioso comprare questa antica costruzione e farla rinascere. Diventare la proprietaria di una libreria per me è un traguardo importante, perché ho sempre adorato leggere e ho fatto parte del gruppo di lettura della biblioteca per anni, quando era in attività. O almeno ci provavo. Il lavoro me lo impediva spesso». Scrollò le spalle e i capelli castani le ricaddero sul viso. «Amo leggere e parlare di libri, tutto qui. Di qualsiasi genere. Non ho mai avuto l’opportunità di andare all’università, quindi ho cercato di rimediare in qualche modo, credo. Far riunire delle persone e discutere di ciò che hanno letto è un sogno, e ora che ho un manager che gestisce la caffetteria a tempo pieno, sono decisa a istituire un bookclub come si deve, stavolta». Si voltò verso Tash prima di continuare: «Anch’io adoro le letture d’evasione da spiaggia. Ah, e vi prometto di farvi avere sempre buon cibo e vino!».

    Risero tutti. Conoscevano bene la reputazione di Millie e del suo ottimo catering.

    «Grazie, Millie», disse Amy. Si guardò intorno e arrossì di nuovo. «Bene, ci siamo presentati tutti. Grazie per essere qui. Il nostro prossimo impegno è decidere quale libro vogliamo leggere questo mese».

    «Vado a prendere dell’altro vino, che ne dite?», propose Millie. «Non credo che decideremo tanto in fretta».

    Aveva ragione lei.

    Non riuscivano a mettersi d’accordo. Emma suggerì un libro della serie Poldark, Patrick tirò fuori un diario di viaggio su un’escursione sull’Hindu Kush mentre Biddy chiedeva Racconto di due città. Tash se ne tenne fuori. Dopo tutto era lì solo per accompagnare Em al primo incontro e non aveva la minima intenzione di tornare, e meno che mai di leggere uno dei loro libri. La discussione proseguì anche di fronte agli ottimi sandwich e al caffè di Millie. Poi tornarono tutti nella sala lettura, con i bicchieri di vino di nuovo colmi.

    «Che ne dite di Cime tempestose?», propose Kit. Tutti smisero di litigare e lo guardarono. Aveva la facoltà di imporsi sull’attenzione generale. Forse era per via di quel tono di voce profondo e autoritario. Il sole era ormai basso sulla linea del mare, e puntando i suoi raggi verso le grandi finestre inondava la zona lettura di un caldo chiarore arancio. Sottolineava la sua abbronzatura e metteva in risalto le sfumature rosse tra i suoi capelli.

    «Oh, mi è piaciuto tanto quando l’abbiamo letto a scuola», disse Tash d’impulso.

    «Adoro i classici», si entusiasmò Marti. «Ah, Charlotte Brontë. Mi piace pensare a lei come la Mahler della letteratura».

    Le donne che erano venute con lei la guardarono con ammirazione e annuirono.

    «In realtà è Emily Brontë», disse Tash.

    Marti batté le palpebre. «Ho detto Charlotte? Intendevo Emily, certo». Arrossì in modo eccessivo.

    «È facile confondersi», intervenne Emma, diplomatica come sempre. «Io non so mai quale di loro ha scritto cosa».

    «Non leggo niente della Brontë da anni», disse Biddy. «E dire che sono nata dalle loro parti. Sarebbe bello rileggerlo. Anche se è un libro spietato», aggiunse con un tremito.

    Amy scrutò i visi di tutti, uno dopo l’altro. «Cime tempestose, allora? Possiamo anche discuterne ancora, se volete».

    «Credo che siamo quasi tutti d’accordo, Amy», disse Kit guardandosi intorno. Gli altri emisero un sospiro collettivo, evidentemente sollevati all’idea di aver preso una decisione. Lui controllò l’orologio. «E poi comincia a essere piuttosto tardi. Devo tornare a casa a mettere dentro i polli».

    A quel punto tutti cominciarono a prendere i cappotti e le borse.

    «Millie», ruggì Biddy, alzandosi e andando verso di lei. «Ho una nuova ricetta per i brownie al cioccolato. Credo che farebbero furore nella caffetteria».

    «Stessa ora fra tre settimane», balbettò Amy, accorgendosi di aver perso il controllo del gruppo e cercando disperatamente di riagguantarlo. «Ho i vostri indirizzi e-mail, quindi vi scriverò. Grazie a tutti per essere venuti», aggiunse a gran voce mentre gli altri scendevano la scala a chiocciola e sparivano nella sera. «E non dimenticate l’inaugurazione ufficiale della libreria tra un paio di settimane!».

    Provando pietà per lei e accorgendosi che Millie era stata messa all’angolo da Biddy, Tash offrì il suo aiuto e quello di Emma per riordinare.

    Sistemarono le poltrone al loro posto al suono degli appassionati ringraziamenti di Amy. Kit diede uno sguardo a Marti che accompagnava fuori il suo gruppetto parlando a voce alta dell’importanza della poesia di Emmaline Brontë. Lui fece un sospiro carico di frustrazione e cominciò a radunare i bicchieri.

    «Mettili nella cucina della caffetteria, per favore, Kit», disse Millie, che nel frattempo si era liberata dall’assalto di Biddy.

    Kit annuì e portò un vassoio al piano di sotto. «Che gentile», disse mentre le donne lo osservavano andar via.

    «Ha un fascino che non saprei definire, è così strano», aggiunse Emma. «E quei muscoli, da morire».

    Tash le squadrò sdegnata. «Chiudi la bocca, Em, stai sbavando. Datti una calmata, hai già Ollie. Io non ci trovo proprio niente di che. Ha un naso enorme. Amy, mi spiace per te, ti ha praticamente scalzata».

    «Non è stato affatto un problema», rispose lei arrossendo. «La situazione cominciava a sfuggirmi un pochino di mano, no? Temevo che non ci saremmo mai messi d’accordo. È stato un tale sollievo quando ha suggerito Cime tempestose. Grazie ancora per avermi aiutata a sistemare», aggiunse guardandosi intorno per controllare un’ultima volta. «Ci vediamo la prossima volta».

    Tash seguì Emma di sotto, tenendo in mano con attenzione la stoffa dei pantaloni. Appena furono fuori, si fermò un attimo e sollevò il capo verso il cielo della notte. «È una serata così limpida. Guarda le stelle». Fece un respiro profondo, purificatore, e si rese conto di sentirsi meglio, molto più rilassata. Forse in fondo uscire le aveva fatto bene?

    Una sagoma alta e massiccia uscì decisa dalle nuove porte pieghevoli del Millie Vanilla’s. Kit. Sollevò una mano per salutarle e sparì sul lungomare. Con quell’andatura a passi lunghi e saltellanti, arrivò a metà strada in pochi secondi.

    Emma seguì lo sguardo di Tash che ne osservava il movimento.

    «Quindi pensi di tornare alla prossima riunione?»

    «Forse. Forse potrei».

    Si avviarono verso casa prendendo la stessa direzione di Kit.

    Il rombo profondo e familiare di un motore risuonò nell’aria. Era Adrian con la sua Porsche, che veniva verso di loro. Avanzò lungo la strada costeggiando il lungomare, rallentò quando incrociò Kit e accelerò di nuovo, poi inchiodò davanti a Emma e Tash.

    Il finestrino si abbassò ronzando. «Ho pensato di farti risparmiare la salita su per la collina», dichiarò allegro. «Salta su. Anche tu, Emma, dietro c’è posto per una piccoletta».

    «Grazie, Adrian», disse lei infilandosi nel minuscolo sedile posteriore. «Che tempismo».

    Tash si accomodò sul sedile del passeggero e si allacciò la cintura di sicurezza. Si sentiva addosso i suoi occhi.

    «L’ho pensato anch’io», disse lui e partì veloce verso casa.

    Capitolo 4

    Il pomeriggio seguente, quando parcheggiò la macchina sul vialetto dopo una lunga giornata di lavoro, Tash si sentiva un peso sulle spalle. Aveva passato quasi tutta la giornata al telefono a cercare di convincere dei clienti a non tirarsi indietro all’ultimo momento. Il problema non era nella proprietà che stavano per comprare, ma solo nel nervosismo dovuto al fatto che era il loro primo acquisto. Tutta la compravendita dipendeva solo da loro, e sarebbe crollata se avessero cambiato idea. Dopo aver sentito a stretto giro loro, il loro legale e il venditore della casa cui erano interessati, alla fine li aveva convinti a prendere appuntamento per la firma la settimana seguente. Aveva evitato di pochissimo un vero disastro ed era tornata a casa soddisfatta.

    Le sfide del suo lavoro erano ciò che più amava al mondo.

    Soprattutto quando il risultato era propizio.

    Quando infilò la chiave nella serratura e aprì la porta, il profumo di pollo in casseruola, accompagnato da spezie e vino, la investì. Lanciò uno sguardo nella sala da pranzo e vide la tavola apparecchiata con le candele accese e il loro miglior Jasper Conran. Nella ghiacciaia c’era una bottiglia di prosecco. L’esaltazione per una giornata difficile passata a fare ciò che più amava al mondo, e facendolo bene, sparì nel nulla. Quella scena di seduzione le dava ai nervi. Era fin troppo familiare. Adrian voleva qualcosa, e lei si domandò cosa fosse.

    A giudicare dai rumori che arrivavano dal piano di sopra, era nella doccia. Una parte di lei provò l’impulso di scivolare fuori e andare a prendere una pizza e una birra con Emma. Ma se fosse tornata tardi con addosso l’odore dell’alcol avrebbe solo peggiorato tutto.

    Si morse il labbro, appese la giacca e si tolse i tacchi. Scalza, entrò in sala da pranzo e si versò un bicchiere di prosecco. Com’erano arrivati a quel punto? Con lei che si aggirava furtiva per la sua stessa casa, cercando di indovinare cosa potesse far venire una crisi a Adrian.

    Solo due anni fa era stato tutto così diverso. Aveva conosciuto Adrian a una festa estiva di beneficenza. Era andata lì insieme a Pete Hingham per rappresentare la Hughes and Widrow. Pete era appena stato promosso come area manager, spianandole la strada per diventare a sua volta manager dell’attivissima agenzia di Berecombe. Sia lei che Pete erano di ottimo umore, volevano solo gustarsi del buon cibo e fiumi di champagne. La serata era calda e piacevole, le porte della terrazza spalancate su un cielo stellato di mezza estate. Forse aveva bevuto troppo, o forse si era lasciata solo trascinare dall’aria romantica di quella notte, ma alla fine si era ritrovata in terrazza, in cerca d’aria fresca, dopo aver ballato per ore.

    Adrian era appoggiato alla bassa balaustra in pietra e sorseggiava champagne, lo sguardo puntato verso il giardino buio. Quando la sentì, si voltò e le sorrise.

    «Di tutte le terrazze del mondo, sei arrivata proprio su questa». Le aveva teso una seconda coppa e lei l’aveva accettata.

    Era il più grande cliché mai visto. Non si era nemmeno domandata perché avesse con sé due bicchieri, dato che era da solo, ma aveva capitolato all’istante. Si era seduta sul muretto e si era messa a chiacchierare con lui. Era bellissimo, e nonostante la sala fosse piena di uomini elegantissimi, lui spiccava su tutti. Capelli scuri lucidi, occhi azzurri penetranti e i denti più bianchi e perfetti che lei avesse mai visto. Solo quando l’aveva riaccompagnata in sala da ballo per un lento si era resa conto che era molto più basso di lei. In genere, dettagli del genere per lei erano importantissimi; dava un’importanza enorme all’esteriorità. Stare con un uomo basso, soprattutto per lei che era fissata con i tacchi vertiginosi, non era affatto una buona idea.

    Adrian Williams era più vecchio di lei, era un costruttore rinomato, pieno di soldi, nonché l’uomo più sofisticato che si fosse mai interessato a lei. All’inizio ne era stata attratta in modo irrefrenabile. Dopo quella prima serata, avevano avuto una serie di appuntamenti pazzeschi. Erano stati in elicottero lungo la costa, erano andati a un concerto di Mozart seguito dalla cena Thai più sontuosa che Tash avesse mai assaggiato. Quando aveva scoperto la sua passione per i pinguini, Adrian aveva perfino organizzato un picnic accanto alla vasca dei pinguini allo zoo di Bristol. E non l’aveva toccata con un dito. Il che glielo aveva fatto desiderare ancora di più.

    Alla fine avevano consumato il loro rapporto durante un weekend lungo a Parigi. L’elemento decisivo era stato il fatto che lui avesse prenotato stanze separate. Il sesso era stato incredibile. E lei non aveva fatto alcuna resistenza quando le aveva chiesto di andare a vivere con lui nella villetta indipendente che aveva appena comprato nella periferia di Berecombe.

    Quando gli aveva chiesto come mai l’avesse acquistata, lui aveva riso e le aveva risposto che aveva passato tutta la vita lavorativa nei cantieri, e ora desiderava solo un posto tranquillo in cui tornare a casa. Poi l’aveva afferrata per la vita e l’aveva baciata fino a farle intorpidire le labbra.

    Emma l’aveva avvisata: secondo lei stava correndo troppo. Sua madre, invece, era felicissima di vederla contenta, mentre Pete era in estasi perché al lavoro stava andando alla grande, superando ogni mese gli obiettivi. Tash li ignorò tutti e si accorse, con sua sorpresa, che le piaceva tornare a casa ogni sera dallo stesso uomo. Il sesso continuava a essere pazzesco anche se, di tanto in tanto, Adrian la convinceva a farlo anche quando a lei non andava.

    Poi, quando la magia dei primi tempi era finita, era emerso un altro lato dell’affabile e indulgente Adrian. All’inizio dell’estate aveva cominciato a comprarle vestiti che desiderava vederle indossare. Per Tash non era un problema mettere biancheria spinta e reggiseni bucherellati; anzi, li trovava divertenti. Apprezzava molto meno i pantaloni ampi che lui voleva a tutti i costi farle indossare e le maglie di cachemire, molto costose, ma che nascondevano la sua figura. Quando la vedeva indossare le gonne corte e le giacche che prediligeva per il lavoro, metteva il broncio e si mostrava di malumore. «Non preferisci stare comoda e al caldo?», l’aveva blandita una volta porgendole una tunica appena portata a casa.

    Lei osservò l’indumento blu scuro, costernata, guardando la scollatura a V stretta e il motivo discreto. Arricciò il labbro. «È bellissima, Ade», disse senza riflettere. «Ma è qualcosa che indosserebbe mia madre. Grazie, ma non è proprio il mio stile». Aveva notato il suo sguardo, che si era incupito di colpo, e si era chiesta cosa avesse detto di male. Quella sera, dopo averla trascinata in una maratona del sesso, avevano avuto la loro prima lite. Adrian le aveva detto che aveva ferito i suoi sentimenti rifiutando la sua generosità. Tash si era sentita in colpa. Quella maglia, ovviamente, era molto costosa. Accettò di metterla nel fine settimana.

    Lui prese anche altre strane abitudini. Veniva colto da accessi di gelosia se lei nominava troppo spesso Pete, l’andava a prendere quando usciva con le sue amiche sostenendo che così si sarebbe potuta concedere un drink, ma arrivava sempre troppo presto, quando la serata era appena iniziata.

    Tash aveva meditato sull’idea di lasciarlo, ma qualcosa la riportava sempre ai sentimenti che aveva provato per lui all’inizio. Dopo gli scontri, Adrian la riempiva di attenzioni. Parlava di lunghe vacanze in Sud Africa, di comprare un appartamento a Parigi. La casa era comoda per il lavoro e a lei piacevano i vantaggi di avere tanti soldi. Si convinceva che fosse solo stressato per il lavoro; quando le cose non andavano bene, Adrian aveva

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