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Le regole delle buone maniere
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E-book351 pagine4 ore

Le regole delle buone maniere

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Info su questo ebook

Impara il galateo e affascina tutti con la tua eleganza

Perché è meglio non dire cincin o buon appetito? Come si scrive una mail? Quando si può dare del tu? Perché non si augura salute dopo uno starnuto?
Le buone maniere, pur essendo molto legate alla tradizione non sono regole incise nella pietra, ma indicazioni soggette a continue modifiche. Anche se a volte possono sembrare arbitrarie o pure convenzioni, sono colme di significato e la loro conoscenza può offrire una rassicurazione. Le buone maniere, infatti, dovrebbero essere interpretate come un linguaggio capace di comunicare in modo efficace il nostro pensiero.
Questo libro è frutto di una ricerca delle curiosità e dei dubbi più diffusi ai quali si offrono soluzioni, consigli e chiarimenti.
Dal modo più opportuno di confrontarsi con i colleghi, alle imprescindibili regole dello stare a tavola. Ma anche consigli su come indossare gli accessori e le indispensabili dritte su ricorrenze e occasioni.

Galateo, bon ton, etichetta, buon gusto, educazione, buone maniere

Sapersi orientare tra le tante regole dell’etichetta è indispensabile per liberarsi da ogni impaccio e vivere serenamente

«L’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo.»
Nelson Mandela

Samuele Briatore
è presidente dell’Accademia Italiana Galateo. Dal 2019 è coordinatore del primo Corso di Alta Formazione di Galatei e Buone Maniere in Italia organizzato presso la Sapienza, Università di Roma. Ha collaborato con La Repubblica, Il Messaggero, Il Tempo, Adnkronos, Il Fatto Quotidiano, Ansa, Horeca, Ristorazione Italiana, Elle e Rai News. Si occupa di training fisico e vocale per attori. Tiene corsi di galateo all’interno delle più prestigiose strutture museali italiane come Il Museo Accorsi-Ometto di Torino, il Museo Bagatti-Valsecchi di Milano e il Museo Stibbert di Firenze. 
LinguaItaliano
Data di uscita7 ott 2019
ISBN9788822738066
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    Anteprima del libro

    Le regole delle buone maniere - Samuele Briatore

    CULTURA

    Capitolo 1

    Qual è il senso delle buone maniere?

    Ho deciso di aprire questo libro con una domanda molto importante per la comprensione del percorso di lettura, perché capire il senso delle buone maniere vuol dire capirne l’applicazione e la vera utilità.

    Per rispondere a questa domanda ho chiesto aiuto alla docente di filosofia e storia Mara di Fabio, insegnante e counselor all’Accademia Italiana Galateo. Durante una delle nostre tantissime chiacchierate mi ha aiutato a capire quali sono il senso delle buone maniere e le buone maniere del senso. Sembra un gioco di parole, ma non lo è affatto.

    Galateo overo de’ costumi: non è un caso che Giovanni Della Casa specifichi già nel titolo del suo libro la natura del galateo con il termine costume, parola che rimanda ai comportamenti e agli abiti, evidenziando un primo legame con una superficie espressiva (l’abito). L’abito comunica qualcosa di noi agli altri, la moda stessa è una forma d’arte e di espressione.

    Dunque, quando parliamo di buone maniere e galateo ci riferiamo soprattutto a una forma di comunicazione. Attraverso gli stili e i particolari modi di esprimersi, le persone raccontano qualcosa coprendo, come fa un abito, qualcos’altro. Gesti, linguaggi, costumi, mode e modi di fare, come ponti tra il mondo interiore e quello esteriore presuppongono una selezione del messaggio e almeno un interlocutore. Essi costruiscono un codice che esprime in prima istanza il comunicare stesso, il fatto che viviamo in relazione gli uni con gli altri.

    Quando le nostre singolari espressioni interagiscono, infatti, creano un mondo: realizzano, cioè, un significato condiviso, un costume, una lingua e un linguaggio. La relazione in sé è creatrice di senso. Le buone maniere, in questa prospettiva, non sono l’insieme delle regole di un codice, ma il vocabolario dei modi di comunicare di una determinata cultura in un determinato tempo, uno strumento operativo attraverso il quale scegliere il termine più adatto a ciò che ci proponiamo di comunicare.

    I costumi, come modi di fare, di vestire, di pensare e di essere, non differiscono dalla lingua nell’esprimere un mondo singolare-collettivo. In questa prospettiva, le cosiddette buone maniere, più che a una serie di divieti assomigliano alla conoscenza di una grammatica, di una lingua ricca di neologismi che cambiano al cambiare del contesto e di ciò che genericamente chiamiamo cultura.

    Ogni società o gruppo, in quanto tale, sviluppa un codice comportamentale che racconta un’attribuzione di senso collettivo. I galatei, infatti, differiscono nel tempo e nello spazio, includendo alcuni significati ed escludendone altri. La società si narra attraverso il costume, il codice, ciò che si usa fare, dire o indossare. Come recita il motto dell’Accademia Italiana Galateo: «Conosci le regole per divertirti a infrangerle».

    Ma allora, quale linea comune per un galateo?

    Potrebbe infatti sembrare che la prospettiva scelta porti necessariamente a un relativismo, che mina di per sé la costruzione di un codice. Al contrario, proprio sulla base di tale impianto teorico e con la certezza che quando parliamo di buone maniere ci riferiamo a un codice radicato in una storia, in una porzione di società e in un territorio dai confini più o meno labili, il pensiero di fondo del galateo qui proposto è l’accoglienza, per imparare, in linea con la storia del saper vivere occidentale ed europeo, a divenire consapevoli del senso dei nostri gesti quotidiani e di come comunichiamo.

    L’accoglienza è, dunque, la chiave di lettura di questo libro. Quando introduciamo il senso dei nostri modi di fare nella relazione, la relazione ha senso. Mettere a proprio agio le persone che incontriamo non significa, quindi, rinunciare alla propria specificità o eccezionalità; significa bensì comunicare, in uno scambio che valorizza ogni singolo nel fiorire di un senso e di un mondo comuni.

    Capitolo 2

    Perché conoscere le buone maniere oggi?

    Le buone maniere sono un linguaggio, un modo diverso di comunicare e ascoltare il prossimo: non conoscerle può portare a non comprendere alcuni comportamenti e alcuni codici. Spesso durante i corsi dell’Accademia Italiana Galateo ci viene chiesto perché oggi è utile conoscere le buone maniere, e noi rispondiamo sempre che conoscere le buone maniere vuol dire conoscere la storia dei propri comportamenti, conoscere sé stessi e dedicare maggiore attenzione alle altre persone. Talvolta ci viene contestato che le buone maniere sono inutili, visto che nessuno le conosce più; anche questo può essere vero, ma per la stessa teoria allora sarebbe inutile insegnare il corretto uso dei congiuntivi a scuola, visto che nessuno li conosce più.

    Le buone maniere possono aiutarci a conoscere meglio noi stessi e il mondo in cui viviamo. Purtroppo, per molte persone le buone maniere consistono solamente nell’acquisto dei piattini del pane e nel saper sbucciare una mela con forchetta e coltello, tuttavia sono molto di più. Esse racchiudono una serie di consigli per riservare maggior attenzione al prossimo e per far sì che un istinto egocentrico e individualista non prenda il sopravvento sul vivere con cortesia i rapporti umani. Le buone maniere ci portano all’accoglienza verso il prossimo e ad avere massimo rispetto per l’ambiente, per la sensibilità altrui e per tutte le professioni lavorative. Fare attenzione a non ferire o non invadere qualcuno con il nostro atteggiamento vuol dire essere educati oggi. Qualche sociologo sostiene che le norme comportamentali aiutino l’uomo, nel suo processo di civilizzazione, ad allontanarsi dalla bestialità e dall’innato lato animale.

    Possedere un linguaggio vuol dire anche poter interagire all’interno di altri ambienti e non permettere a nessuno di farci sentire inadeguati. Conoscere le buone maniere significa avere maggiore libertà di azione e maggiore disinvoltura nei diversi contesti della nostra società. Spesso alcuni pensano che l’autenticità delle persone venga meno. Se per autenticità intendiamo quei comportamenti che non si curano delle persone e quella libertà di dire la prima cosa che ci passa per la testa senza pensare alle conseguenze, probabilmente è vero; ma se pensiamo che autenticità voglia dire avere le proprie idee e saperle esporre in modo corretto e rispettoso, supportandole con la cultura, allora le buone maniere non mineranno assolutamente la nostra autenticità.

    Infine, è importante soffermarsi sulla consapevolezza: c’è differenza tra infrangere una regola in modo inconsapevole e farlo scientemente, per innescare una reazione. A una nostra elegantissima amica, ex modella e donna cosmopolita, venne rimproverato l’abito rosso indossato a una prima in un teatro dell’opera italiano. Lei rispose che sapeva benissimo quale sarebbe stato l’abito giusto per l’occasione, ma il suo desiderio era catturare l’attenzione di tutti i fotografi e non rispettare il dress code dell’evento. Mi confidò che, per lei, era importante «conoscere le regole per poterle infrangere». Da allora, la sua frase, è diventata il motto dell’Accademia Italiana Galateo.

    Capitolo 3

    Quando è nato il galateo?

    Galateo è il titolo di un libro di buone maniere scritto da monsignor Della Casa: quindi, possiamo affermare che il galateo con questo nome è nato nel XVI secolo. Se, invece, con la parola galateo intendiamo genericamente le norme delle buone maniere, diventa complesso risalire a una data iniziale. Penso, piuttosto, che da quando esistono gli esseri umani ci sono norme comportamentali e di rispetto consolidate nella pratica o, più in generale, delle forme di vivere armonico.

    Le norme che vogliono definire un buon comportamento e un buon modo di vivere in comune sono nate con l’uomo stesso. Abbiamo testimonianze egizie, etrusche, romane e greche, e anche la stessa Bibbia può essere considerata, sotto alcuni punti di vista, un testo che racchiude un insieme di norme per vivere in modo rispettoso, secondo un’etichetta.

    Mi piace far risalire all’epoca romana le buone maniere, intese nel loro aspetto pedagogico, in particolare a quando l’Institutio oratoria di Quintiliano e il De liberis educandis dello Pseudo-Plutarco offrirono numerosissimi spunti educativi; successivamente, anche durante il Medioevo furono scritti numerosi testi didattici, soprattutto legati alla formazione ecclesiastica.

    Volendo comunque rintracciare una data che definisca precisamente l’inizio della manualistica delle buone maniere in Occidente, credo sia opportuno legarla a Erasmo da Rotterdam e al suo libricino De civilitate morum puerilium, pubblicato a Friburgo in Brisgovia, nel marzo del 1530. Questo testo, in pochi anni, divenne un pilastro della formazione rinascimentale e pose le basi per tutti i manuali successivi; così, anche nel Galateo di monsignor Della Casa del 1558 troviamo moltissimi riferimenti a esso. Il testo di Erasmo da Rotterdam era destinato al figlio di un principe, al quale il filosofo cercò di dare una serie di raccomandazioni puntuali e pratiche per avere una condotta dignitosa e un decoro esteriore in pubblico. Trovo molto interessati alcuni passi di questo libro perché ritengo che offrano una visione delle buone maniere addirittura più attuale dei testi nostri contemporanei.

    Erasmo, in un passo, ricorda che i fanciulli devono avere la modestia e, soprattutto, la nobiltà; e che bisognerebbe considerare nobili tutte le persone che coltivano lo spirito con le arti liberali. Il filosofo centra un punto essenziale, ossia come la cultura sia una condizione indispensabile per le buone maniere e come la saccenteria e l’esibizione di comportamenti sofisticati siano volgari, al contrario della modestia; molti nobili, afferma il filosofo, si riconoscono attraverso insegne raffiguranti simboli di forza quali leoni, aquile e tori, ma la nobiltà dovrebbe essere quella che si riconosce nelle arti liberali, coltivate e assunte come simbolo. Erasmo, a differenza di tanti contemporanei, riporta il senso delle buone maniere alla virtù e sostiene che il comportamento esteriore sia un’espressione consapevole dell’interiorità della persona, un modo civilizzato e attento al prossimo per far uscire un’anima cortese e rispettosa. Voglio usare le sue parole per spiegare il senso delle buone maniere: «Anche se il comportamento esteriore scaturisce da un’anima ben fatta, tuttavia per l’incuria dei precettori non di rado vediamo che questa grazia interiore manca di comportamento di uomini probi ed eruditi». Uso spesso questa frase per forzare il ragionamento e affermare che, senza cortesia interiore, senza buona cultura, senza ascolto, senza modestia e senza attenzione non possono esistere le buone maniere.

    Erasmo da Rotterdam si sofferma spesso anche sul concetto di istinto, inteso come un’energia animale che deve essere dominata. Molte persone, spesso, sostengono che le buone maniere siano un’imposizione che soffoca l’istinto e rende innaturali, eppure il filosofo non consiglia di soffocare l’istinto bensì di dominarlo, ammaestrandolo proprio come se fosse un’energia grezza che deve essere raffinata. Il valore contemporaneo che si dà all’istinto autorizzerebbe una serie infinita di comportamenti incivili e irrispettosi. Credo che tutti noi abbiamo più volte alla settimana l’istinto di urlare in faccia a qualcuno o, nel peggiore dei casi, di schiaffeggiare un nostro collega. L’istinto ci inciterebbe a farlo, ma il senso del vivere comune ci impone il controllo, e questo è frutto di un processo di civilizzazione durato secoli. Credo che mandare all’aria tutto questo, riportando l’istinto alla funzione di regola, sia un modo miope di interpretare la quotidianità.

    Capitolo 4

    Cosa vuol dire galateo?

    Una raffinatissima signora milanese che ha insegnato buone maniere per anni, durante un nostro incontro, mi suggerì di domandare sempre alle tante persone che chiedevano di insegnare con noi in Accademia il significato della parola galateo. Se la persona non sapeva rispondere, secondo lei, questa doveva essere subito scartata perché «le buone maniere non contemplano l’assenza di cultura e di curiosità». Dopo diversi anni applico ancora questo consiglio e lo considero validissimo: la curiosità per la comprensione dei fenomeni culturali, del significato delle parole e del loro peso, nonché la conoscenza del valore simbolico dei gesti vale molto più di tanti centrotavola e piattini.

    Il fortunatissimo Galateo overo de’ costumi fu scritto tra il 1551 e il 1555, probabilmente durante il soggiorno di monsignor Della Casa nell’abbazia di Nervesa, nel Montello. Egli era stato esortato dal vescovo Galeazzo Florimonte a scrivere «del vivere civile e politico e della leggiadria e convenenza de’ costumi, e delle sconcie e laide maniere che gli huomini usano bene spesso infra di loro». Galateo, per rispondere alla domanda di questo capitolo, è un nome proprio di persona: è la forma latina, Galatheus, del nome Galeazzo. Il titolo del libro è quindi un omaggio al vescovo Florimonte.

    Nelle prime pagine del testo l’autore racconta una storia che riguarda Galateo.

    A Verona c’era un vescovo a cui andavano a far visita molti nobili italiani; un giorno passò un giovane cavaliere con «bellissime maniere», che fu molto apprezzato per i suoi modi. Il vescovo notò, però, qualcosa che stonava con quei comportamenti e si ripropose di far giungere al cavaliere le sue impressioni. Il vescovo si rivolse quindi a messer Galateo, chiedendogli di riportare le osservazioni al giovane trovando un modo cortese per non infastidirlo. Galateo, cavalcando insieme al giovane, instaurò con lui un buon grado di confidenza attraverso la conversazione e, nel momento del commiato, gli si avvicinò dolcemente, porgendogli i ringraziamenti del vescovo per la visita e per l’onore che gli aveva fatto con la sua presenza. «Come riconoscimento» aggiunse «il vescovo vuole farle un dono che dovrà essere accettato con animo lieto. Essere il più leggiadro e il più gentil giovane venuto da vescovo, i suoi comportamenti sono stati molto piacevoli e commendabili, solo un piccolo atteggiamento è difforme della sua figura». Il punto era questo: mentre mangiava, il giovane produceva uno spiacevole strepitio con le labbra e con la bocca, ma non si rendeva conto del difetto. Quando messer Galateo fece l’appunto, il cavaliere, dopo essere arrossito per il dolce ammonimento, chiese di ringraziare il vescovo, dicendo che se tutti i doni fossero così le persone sarebbero molto più arricchite.

    Galateo quindi era un perfetto uomo cortese, capace di comunicare con grande arte e di creare legami empatici con la conversazione e i modi amabili. Il comportamento di Galateo fu ripreso anche da Erasmo, il quale ci ricorda che se una persona a noi vicina commette inconsciamente una trasgressione, bisogna farglielo notare a tu per tu, lontano da occhi indiscreti e con molta delicatezza. Se pensiamo che queste sofisticate riflessioni risalgono al XVI secolo e che a oggi non sono ancora entrate nella mentalità comune, comprendiamo che l’evoluzione della società non è sempre lineare e progressiva.

    Capitolo 5

    Il galateo è uguale al cerimoniale?

    Assolutamente no! Per rispondere a questa domanda, ho chiesto aiuto alla mia carissima amica Petra Carsetti, autrice di fantastici libri di arte culinaria e dolce, leggera e informatissima insegnante dell’Accademia.

    In diplomazia, la forma è sostanza. Ed è forse proprio questo l’ambito in cui seguire le regole di comportamento e i codici di relazione ha la sua massima valorizzazione. Non già perché vi sia una prevalenza del cerimoniale sul galateo – che non sono sinonimi anche se sovente si tende a confonderli –, ma perché dal comportamento corretto in diplomazia possono dipendere i destini delle nazioni.

    La differenza più marcata tra galateo e cerimoniale si manifesta nei loro destinatari principali e, conseguentemente, nei possibili effetti. Se a essere ineducato è un singolo, al massimo s’incrina una frequentazione; se a essere sgarbato è un Paese, al minimo si rischia un incidente diplomatico! Questo perché il galateo si rivolge al singolo individuo e alla sua vita personale in rapporto con gli altri, mentre il cerimoniale si rivolge ai vari ruoli istituzionali per farli scorrere nel loro operare e farli rapportare agli altri entro l’alveo della correttezza formale che, in questi contesti, ha però una decisiva ricaduta sostanziale. E non è affatto un’esagerazione dire che, per quel che riguarda il cerimoniale, siamo di fronte a norme stringenti, se non addirittura cogenti.

    È anche vero che il modo di comportarsi in diplomazia e nei rapporti istituzionali era una convenzione trasmessa oralmente. Ma con il concludersi del congresso di Vienna, lo svanire delle albagie giacobine e il reinsediarsi delle monarchie, e dunque di regole e gerarchie di corte, i protocolli che determinano i rapporti diplomatici tra i vari Stati del mondo sono confluiti in una sorta di corpus giuridico, tanto che oggi esiste un codice del cerimoniale. I principi fondamentali a cui si ispirano queste norme sono:

    • La reciprocità, per cui ciò che viene fatto a un ambasciatore italiano all’estero deve essere parimenti applicato a un ambasciatore in visita in Italia.

    • L’uniformità di trattamento, in quanto, indipendentemente dallo Stato di provenienza, ogni ambasciatore deve ricevere lo stesso tipo di accoglienza.

    Al di là delle rigidità delle codificazioni, si tratta di stabilire la ratio del cerimoniale. In questo non è dissimile dal galateo: si tratta comunque di conformarsi al buon senso e alla buona educazione. Dunque, in una parola, il cerimoniale è prima di tutto misura. E la misura, in questo caso, è data dal rango dei protagonisti, dalla natura dell’incontro e dalle circostanze in cui esso si svolge. È come se la flessibilità delle regole fosse inversamente proporzionale all’importanza delle cariche e alla solennità delle occasioni: tanto più alte sono le rappresentanze e tanto più codificate sono le circostanze, tanto minore è la flessibilità concessa nell’applicazione delle regole.

    Nelle regole del cerimoniale, la circostanza di maggior peso è la visita dei capi di Stato e del pontefice, in cui ogni dettaglio viene pianificato mesi prima; si passa poi alle visite ufficiali dei ministri, degli ambasciatori e dei capi di governo; fino ad arrivare a visite di lavoro, di cortesia, visite private e visite in incognito, durante le quali lo Stato deve comunque garantire la sicurezza di chi viene ospitato, anche se protetto con l’anonimato. E in quest’ultimo caso, la sicurezza più difficile da garantire è quella dal pettegolezzo, pertanto l’obbligo più stringente è la discrezione! Sulle visite in incognito vi è, peraltro, un aneddoto che anima i salotti diplomatici, dove il dire non dicendo è una delle abilità più ammirate e una delle maggiori occasioni di visibilità e di stima.

    Come per il galateo, anche per il cerimoniale l’attenzione agli imprevisti è massima. Un abile e ben preparato cerimoniere deve saper scorgere da lontano le cosiddette bucce di banana e deve avere un’eccezionale abilità nello schivarle. È come tirare di scherma contro l’errore e l’imprevisto: bisogna parare, arretrare di fronte al possibile errore e poi, con un colpo di fioretto, centrare il bersaglio della giusta soluzione! È per questo che lo stress e la fatica fisica di chi si incarica del cerimoniale sono tutt’altro che trascurabili.

    Un cerimoniere all’altezza del compito deve, prima di tutto, considerare che le visite possono venire da rappresentanti di Paesi di tutto il mondo, che portano con sé culture, maniere, convinzioni religiose, pratiche e norme di comportamento, cui il cerimoniale deve portare il massimo rispetto. È proprio nella diversità di culture e nella sacrale necessità di rispettarle che si nascondono le più scivolose tra le bucce di banana. Si capisce allora perché misura, sensibilità e buon senso non devono mai mancare nella cassetta degli attrezzi di un perfetto cerimoniere. Per avere un minimo quadro di questi possibili imprevisti, vediamo alcuni esempi.

    Se si invitano ospiti di religione ebraica, è sacrilego offrire loro un pur ottimo brasato di capriolo o una succulenta seppia alla brace: chi è di religione ebraica non mangia carne di animali a zoccolo duro, pesci senza squame, frutti di mare, carne che non sia stata macellata secondo il rito kosher, latte non certificato dal rabbino, carne e latte insieme, e le stoviglie dove vengono offerte le pietanze devono essere lasciate in acqua e sale per almeno ventiquattro ore. Non si stringe mai la mano a una donna, non si portano fiori ai funerali o sulle tombe, non si invita per un pranzo di lavoro di sabato.

    Per la tradizione islamica altrettanto importanti sono le regole che vietano il consumo di carne di maiale, alcol e pesce senza squame. Va rispettato il digiuno dall’alba al tramonto durante il Ramadan, va onorato il riposo del venerdì – che è giorno sacro – e, come per gli ebrei, non si portano fiori ai funerali e sulle tombe. Le donne devono indossare il velo sul capo e rappresenta un’offesa mostrare le suole delle scarpe (ecco perché l’uomo, se vuole accavallare le gambe, lo dovrà fare nella maniera più stretta possibile).

    Nella cultura induista non sono invece contemplati gli ortaggi che crescono sottoterra, le carni bovine e il contatto nel saluto.

    La tradizione giapponese riserva ampio spazio alla forma, che spesso prevale sulla spontaneità: non a caso si usano lunghi giri di parole e non è ammesso il contatto fisico neanche nei saluti formali, che invece si compiono con degli inchini. Allestendo una tavola per un momento di convivialità o partecipando a una colazione di lavoro, se ci sono degli ospiti giapponesi è bene evitare piatti troppo elaborati, mentre è molto apprezzata la presentazione delle pietanze, delle stoviglie e delle ceramiche usate. Non a caso il cerimoniale del tè è ricco di suggestioni rituali nella forma: la tazza diventa il fulcro della funzione, al punto che al maestro del tè vengono chieste dettagliate informazioni sulla provenienza e sulla storia della tazza usata, che poi viene battezzata con un nome emblematico per la situazione in cui è stata utilizzata e per i presenti.

    Altrettanto ricca di suggestioni è la tradizione del cerimoniale cinese: ci si presenta con una stretta di mano e un piccolo inchino, e subito si consegna all’altro il proprio biglietto da visita senza mai scambiare baci o abbracci; non è affatto apprezzato muoversi o parlare gesticolando, il ritardo è bandito, è graditissimo lo scambio di doni (ma non orologi e ombrelli), che saranno confezionati con cura ma non in involucri bianchi o neri (l’ideale è il colore rosso). Durante i pasti formali si attende che inizi a mangiare il più anziano dei commensali, le bacchette non si infilano verticalmente nel cibo ed è sconveniente astenersi dal brindare. Se non si gradisce una bevanda o una vivanda, se ne lascia un pochino nel bicchiere o nel piatto, come chiaro segnale che non si vuole il bis. Eh sì, perché nel cerimoniale la forma è sostanza, ma ogni gesto è un segnale.

    Capitolo 6

    Esisteva il galateo nel mondo antico?

    Assolutamente sì, e ringrazio la mia cara amica e insegnante dell’Accademia Italiana Galateo, Micaela Canopoli, per avermelo raccontato. Micaela, formidabile archeologa, con parole semplici mi ha dato la possibilità di capire il senso delle buone maniere nel mondo antico.

    Un esempio di regola di galateo applicata nel mondo antico è riferibile al concetto di xenia, che nell’antica Grecia corrispondeva all’idea moderna di ospitalità. A differenza di quanto accade oggi, la xenia era un vero e proprio dovere di natura religiosa, profondamente radicato nella spiritualità greca e legato all’idea che l’ospite potesse essere una divinità sotto mentite spoglie, temporaneamente di passaggio nel mondo umano. Dal dovere di ospitalità si originava un codice specifico di comportamento, caratterizzato da un insieme di prescrizioni che interessava sia il padrone di casa sia l’ospite.

    Per prima cosa il padrone di casa era tenuto a rispettare e onorare il visitatore, offrendogli cibo e bevande, e dandogli la possibilità di lavarsi e indossare indumenti puliti, senza porre nessuna domanda fino a quando lo stesso, dopo essere stato messo sufficientemente a suo agio, non si fosse dimostrato disponibile a riceverla e a fornire delle risposte.

    Al termine della sua

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