101 gol che hanno fatto grande il Torino
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Franco Ossola
Franco Ossola junior, torinese, figlio dell’omonimo campione del Grande Torino caduto a Superga, architetto e scrittore, collabora con quotidiani sportivi e si occupa da tempo di editoria. È autore di numerosi libri tra cui, dedicati alla storia della sua squadra del cuore, I 30 grandi del Torino, Grande Torino per sempre! (Premio Speciale del CONI 1999), Cuore Toro, Un secolo di Toro (con l’artista Giampaolo Muliari), 365 volte Toro, 100 anni da Toro e Grande Torino: la storia a fumetti (con Paolo Fizzarotti e Emilio Grasso). A quattro mani con Renato Tavella, per la Newton Compton, ha pubblicato Cento anni di calcio italiano (premio Selezione Bancarella 1998) e Il romanzo del Grande Torino (premio CONI e Selezione Bancarella 1995), da cui è stata tratta la fiction RAI in due puntate Il Grande Torino, per la regia di Claudio Bonivento.
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101 gol che hanno fatto grande il Torino - Franco Ossola
Introduzione
«La soddisfazione di assistere alla segnatura di un gol rappresenta da sola una buona metà dell’attrattiva che il gioco del calcio esercita sulle masse. Il gol dà all’appassionato di calcio lo stesso brivido che il knock-down offre all’amatore di pugilato».
Bruno Roghi
La Storia del Torino è un po’ il paradigma della vita, come molte volte sottolineato nell’ampia letteratura che ha preso a cuore le vicende dei granata. Dentro ci sta tutto: la nascita (il fatidico 3 dicembre del 1906), la crescita, lo sviluppo, l’affermazione, il consolidamento, la gioia e la sofferenza, il tonfo e il trionfo, l’apoteosi e l’annichilimento, le speranze e le delusioni.
Troppo intensa e ricca, d’altra parte, la sua Storia, per sottrarsi a tutto questo; troppo bella ed esaltante nelle parentesi gloriose, quanto amara e mortificante, quando il destino col Toro ha calcato la mano come con nessun altro Club calcistico al mondo.
Una Storia grande, fatta di piccole storie, come un gigantesco mosaico che solo la visione d’insieme delle tante minuscole tessere che lo compongono rende comprensibile. Presidenti, dirigenti, allenatori e, soprattutto, calciatori, di ogni genere e tipo: bravi e meno bravi, apparizioni saettanti e fedelissimi, bidoni e campioni assoluti, fuoriclasse e modesti comprimari. Squadre forti e meno forti, imbattibili e risibili, scalcinate ed eroiche, indisponenti e sussiegose, gagliarde e rammollite. Tutte tese, comunque, verso un’unica e sola tensione: ottenere il risultato, strappare punti, vincere.
Unico modo per farlo: segnare. Metter a frutto il gioco corale e individuale attraverso l’ottenimento del gol. Democratico quanto mai, il gioco del calcio: alla realizzazione della rete, infatti, tutti possono accedere, che siano o meno ufficialmente deputati a ottenerla. Terzini e mediani, persino i portieri, ma sono gli attaccanti che godono più di tutti della patente del gol. Già, il gol. Mario Zappa, cronista e storico del calcio del tempo che fu, ne coglie la vera natura con felice sintesi quando scrive: «Il gol è per tutti la quintessenza dell’emozione. Per lui si gioisce o ci si morde le mani». Come in tutte le categorie di fatti e cose, anche per il gol esiste una quantità di specie così varia che la catalogazione risulta difficile.
Il primo grande discrimine contempla quelli belli e quelli brutti.
Nel secondo insieme c’è il gol che scappa fuori da una mischia confusa, così da lasciare perplessi sul marcatore, e talvolta da far sospettare che si sia trattato di un’autorete; c’è quello che chiama direttamente in causa la distrazione o l’errore marchiano del portiere; c’è il pallone sghimbescio che entra in rete non si sa come né perché e lascia stupefatti più che elettrizzati gli spettatori. Tutta roba che può allietare pensando... alla conseguenza concreta, ma che non mette nella voce e nel sangue quello spasimo che è il vero lievito di uno spettacolo di calcio.
In compenso ci sono i gol belli, quelli della prima famiglia, quelli che ripagano a usura il prezzo del botteghino. Naturalmente i gusti in materia sono più che vari: è possibile che chi va in visibilio per un bel tiro rimanga freddo per il punto portato a forza di manovre e di palleggi. Perché anche fra gli spettatori di calcio vi è l’amatore del colpo di forza e il buongustaio dello sfoggio di abilità. A parte queste preferenze, un bel gol, ben fatto, solleverà sempre la sua ondata di commozione. Tanto da far dire al poeta: «Pochi momenti come questo belli / a quanti l’odio consuma e l’amore / è dato, sotto il cielo di vedere» e a Pier Paolo Pasolini, grande amante del football: «Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del gol. Ogni gol è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni gol è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità».
Ed è al gol quindi e ai suoi più o meno funambolici autori che sono dedicate queste pagine. Non necessariamente a quelli più belli, bensì a quelli più illustri, importanti, che hanno segnato una tappa, una conquista, il raggiungimento di una meta, magari salvifica. Un modo come un altro per ripercorrere, partendo dalle origini, la Storia del Torino, per rispolverare qualche notizia, magari poco conosciuta, per far scorrere come un film partite e momenti culminanti, per riportare alla mente attimi che hanno scandito, come una simpatica colonna sonora, gli anni della vita sportiva e tifosa di tanti di noi.
1. La madre di tutte le estasi
Federico Ferrari-Orsi al 20’
13 gennaio 1907. Torino-Juventus 2-1
TORINO: Biano, Bollinger, Muetzell, Rodgers, Ferrari-Orsi, De Fernex, Debernardi I, Streule, Kaempfer, Michel, Jaquet.
JUVENTUS: Durante, Armano, McQueen, Nay, Goccione, Diment, Squair, Varetti, Borel, Barberis, Donna.
Arbitro: Pasteur del Genoa.
Non fa tempo a nascere, il Torino (3 dicembre 1906), che è già ora di scendere in campo per il girone regionale del campionato nazionale. La sfida non può essere che con la Juventus, già ricca di un titolo, blasonata e temibile. C’è di mezzo il prestigio cittadino, aizzato da una rivalità da poco sbocciata eppure dirompente.
Teatro dell’incontro per il primo derby della Storia sono i vaghi, appena accennati, toni liberty del Motovelodromo Umberto I, ai margini di una città in piena espansione. Per ora il foot ball (come si scriveva all’epoca) è ospite di seconda caratura in questo impianto. A farla da padroni sono gli assi del ciclismo che sfrecciano sulla moderna pista in legno che cinge ad anello il campo di gioco.
La pioggia del sabato si è progressivamente trasformata in nevischio e all’ora del match il campo presenta qua e là candide macchie. Sin dalle prime battute i volti dei contendenti tradiscono agonismo e desiderio di vittoria. Un anonimo cronista annota: «Una lotta accanita, palpitante, evidente l’abilità indiscussa di ambedue le squadre». Impossibile un commento tecnico sulla gara. Continua a essere forte una duplice tentazione: da una parte l’ammucchiata, dall’altra il celebre palla avanti e pedalare
.
Le emozioni non mancano. Il Torino prevale e vince. Dai rari testi d’epoca, ecco come è andata: «Nella prima ripresa il Torino segna una porta [ossia un gol] con un ben assestato colpo di testa di Ferrari-Orsi a seguito di un corner. Nella seconda ripresa Kaempfer con un bellissimo shoot assicura un secondo punto alle camicie granata. Sul finire della partita viene concesso un calcio di rigore a favore della Juventus e Borel, il centravanti preventivo [aggettivo incomprensibile] marca uno splendido gol. La partita termina poco dopo lasciando invariato l’esito: 2 goals al Torino ed 1 alla Juventus... Inutile dire che il match fu interessante come pochi finora e merita le nostre congratulazioni a tutti i giocatori indistintamente».
Poi, un’aggiunta di colore: «Non un gran pubblico, ma un bel pubblico, assistette ieri alla prima eliminatoria del campionato nazionale. L’elemento femminile vi era adeguatamente rappresentato; tutti gli appassionati di questo re dei giochi all’aria aperta si erano dati convegno».
Il primo derby della Storia va dunque al Torino. Prima stracittadina di una serie lunghissima, cornucopia di grandi emozioni tifose.
Due note a margine. Più che divertente osservare come il primo gol del primo derby di sempre porti la firma di un calciatore dal doppio cognome, Ferrari-Orsi, da lì a qualche stagione curiosamente riproposto, ma sdoppiato, nei nomi di due grandi assi juventini: Raimundo Orsi e Giovanni Ferrari, per l’appunto. Infine il signor Ernesto Borel, rigorista implacabile, nonché padre di due futuri giocatori, Aldo e Felice Placido, guarda caso destinati, a fasi alterne e con diverse fortune, a vestire ambedue le casacche delle compagini torinesi.
2. Beneficiata dell’attacco granata, sepolto di gol il futuro portiere della nazionale
Georges Lang al 5’
9 gennaio 1910. Torino-US Milanese 13-1
TORINO: Arbenz, Bollinger, Capra II, Ghiglione, Bachmann I, Kunding, Debernardi I, Lang, Rodgers, Geisser, Morelli di Popolo.
UNIONE SPORTIVA MILANESE: De Simoni, Verga, Varisco, Bosco, Caimi, Alfieri, Carrara, Franzosi, Sardi, Magni, Boiocchi.
Arbitro: Malvano della Juventus.
I granata ricevono i meneghini della Milanese nel match di ritorno di questo torneo che vedrà la loro cugina, l’Internazionale, prima sul filo di lana. Il Toro ha perso il primo confronto e vuole rifarsi per rimettere il conto in parità. È ancora preponderante la presenza di calciatori non italiani nel team granata. Oggi, poi, è atteso il debutto di un altro svizzero di buone promesse e intenzioni. Si chiama Enrico Bachmann, viene dalla cittadina di Winterthur in Svizzera e anche il fratello Adolfo si dice ci sappia fare con la palla di cuoio. Enrico gioca al centro della difesa, come half (laterale) di centro. Deve coordinare il lavoro della mediana, cerniera vitale per il collegamento difesa-attacco. Ottime le sue credenziali.
Indubbiamente miglior esordio ufficiale Bachmann I non avrebbe potuto cogliere. Il Torino, perfettamente sistemato in campo grazie anche alla sua maestria, si impone con un punteggio stratosferico. Sarà perché la Milanese si presenta in campo con una casacca a grandi quarti bianchi e neri? Oppure perché con il nuovo innesto la squadra ha trovato una sua propria quadratura? Fatto sta che la saga del gol è per lo meno fantastica.
Va a nozze l’intero quintetto d’attacco del Torino. Partendo da destra con Enrico Debernardi che mette un suo sigillo, per arrivare all’estrema sinistra con Vittorio Morelli di Popolo, uno dei fondatori, anima e factotum di questo primo Torino, che coglie una bella doppietta. Tuttavia il top della giornata lo tocca Georges Lang, il centravanti. Quando gioca è irresistibile. Arriva, pure lui, dalla Svizzera e ha nel tiro, nello shoot come si dice all’epoca, una qualità superba. Oggi realizza un pokerissimo, a fine torneo avrà colto 20 bersagli. A Rodgers e Geisser il resto del bottino.
Ciò che non può passare inosservata è la prova del portiere dei milanesi De Simoni. Siamo a gennaio, il 15 maggio di questo stesso anno, all’Arena di Milano, ci sarà l’esordio della squadra Nazionale d’Italia e De Simoni verrà chiamato a difenderne la porta. Immaginare che solo pochi mesi prima ha incassato 13 gol dal Torino fa venire i brividi, e ci si può interrogare sui criteri di scelta dei responsabili tecnici, ma tant’è. In merito, è interessante riportare uno dei rari commenti riferiti a questo trionfo granata in cui si parla molto proprio di De Simoni:
Clamorosa vittoria del F.C. Torino. Non ne ricordiamo un’altra nella quale sia stata segnata oltre una dozzina di goal. Benché i milanesi, dalla casacca a scacchi bianchi e neri, abbiano dato quel che potevano per opporsi al gioco forte di penetrazione dei rossi torinesi, questi manifestarono troppo evidentemente la loro superiorità perché il match sortisse un esito diverso. Il portiere dell’Unione Milanese, il celebre De Simoni, non fu certo all’altezza della sua fama, anche per il suo sistema di gioco tutto liberazioni a calci e pugni e nessun arresto, che è dei più temibili e pericolosi. La lezione di oggi glielo avrà insegnato, come pure i terzini dell’Unione avranno imparato a non lasciar troppo scoperta la propria porta con un gioco troppo ardito e innanzi, in modo da permettere facile riuscita alle veloci scappate degli avversari. Pubblico come mai si vide numeroso ed elegante. Pessime le condizioni del terreno e sdrucciolevole.
3. Titanic Juve: 8 gol la mandano a picco
Enrico Ruffa al 18’
17 novembre 1912. Juventus-Torino 0-8
JUVENTUS: Pennano, Maffiotti, Arioni, Nevi, Bona, Rolfo, Copasso, Besozzi, Fornaro, Varalda, Fiamberti.
TORINO: D’Auria II, Capra II, Morelli di Popolo, Demarchi, Bachmann I, Rubli, Debernardi I, Debernardi II, Mosso I, Mosso III, Ruffa.
Arbitro: Valvassori della Federazione.
Tifosi granata: godete! In assoluto siamo al cospetto della stracittadina più impietosa in fatto di severità di punteggio. Uno scarto di 8 reti: incredibile, ma vero. Accade nell’anno nero della Juventus, quando i bianconeri, ultimi nel girone piemontese, per non retrocedere sono costretti a iscriversi l’anno dopo al girone lombardo dove, guarda caso, c’è un posto vacante che non vede l’ora di essere occupato. Ci si stupisce oggi, ma le malizie
dei cugini arrivano da lontano...
Nessuna pietà da parte del cronista del tempo che inquadra la disfatta bianconera con un rigore critico durissimo. Leggiamolo:
Non ci attendevamo certo una simile disfatta della squadra juventina. Che i granata costituiscano una delle migliori squadre italiane nessuno lo mette in dubbio, ma che la Juventus non potesse difendersi con onore dagli attacchi del Torino e rendere a questo almeno difficile la vittoria non prevedevasi davvero. L’esibizione dei bianconeri fu pietosa: è sconsolante assistere a questa débâcle di una squadra che ha goduto ancora poco tempo fa la maggior parte dei favori della popolarità. Contro la larva di équipe che ieri è scesa in campo, il Torino, ben superiore di classe, ha spadroneggiato a suo talento ottenendo una vittoria schiacciante e stabilendo il record di gol di questo scorcio di campionato. Il gioco fu sempre alla mercé dei granata che si può dire si allenarono ad una porta sola e segnarono quando vollero, anche se Pennano, il goalkeeper juventino, per quanto sfiduciato, abbia tentato qualche volta di opporre la sua difesa... La partita si svolse su un discreto buon terreno, nonostante la pioggia caduta nei giorni precedenti. In assenza dell’arbitro Meazza designato dalla Federazione il match venne diretto dal segretario federale Giulio Valvassori. La descrizione della partita dopo quanto abbiamo premesso sul valore delle due squadre non consisterà che in un elenco degli 8 gol realizzati dal Torino.
Alla tremenda lista di segnature, invece, provvediamo noi, come in presa diretta:
1° gol: tira Debernardi II, la difesa juventina respinge corto, arriva Ruffa che infila in rete;
2° gol: centro di Debernardi II, l’accorrente Ruffa piazza in rete con un bel traversone;
3° gol: mischia in area juventina risolta con autorità da Mosso III;
4° gol: Mosso I imbecca il fratello Eugenio, terzo della dinastia, che segna con un superbo calcio al volo, una delle sue specialità;
5° gol: difesa bianconera in confusione, ne approfitta il rapace Mosso III che insacca senza pietà;
6° gol: ennesima mischia in area juventina risolta da Debernardi I;
7° gol: azione personale di Mosso I che va in porta col pallone dopo una serie irresistibile di brillanti dribbling;
8° gol: da Debernardi I a Mosso I che chiude la goleada.
Basta, basta! Che abbuffata! Viene persino a noi la voglia di fermare, anche qui sulla carta, una tale carneficina, altro che Titanic!
4. Una scorpacciata di reti
Enrico Bachmann I al 40’
9 febbraio 1913. Torino-Juventus 8-6
TORINO: Morando I, Bollinger, Morelli di Popolo, Bachmann I, Rubli, Giorda, Debernardi II, Zuffi II, Debernardi I, Mosso III, Goggio.
JUVENTUS: Pennano, Bodo, Barberis, Garlanda, Maffiotti, Varalda, Copasso, Comte, Ayers, Poggi, Brown.
Arbitro: Pasteur del Genoa.
Da una cronaca del tempo: «L’eccessiva marcatura di gol tenderebbe a dimostrare di primo acchito che la partita si è svolta in modo originale e confuso. Ed invece essa fu assai regolare».
Il match è l’occasione per festeggiare Fritz Bollinger, l’eterno primo capitano della Storia granata. È stato fermo per qualche tempo e rientra in squadra per la gara più importante: «I granata furono finalmente guidati dal loro antico [sic!] capitano Bollinger, che dopo lungo tempo, ha fatto ritorno al gioco esplicando ancora l’inesauribilità dei suoi potenti mezzi».
Da come si mette all’inizio, la partita non può avere storia. La partenza del Toro non è fulminante, ma qualcosa di più: lacerante, devastante, irriverente. Dopo soli 12 minuti la Juve è già sotto di 4 reti. Il martello granata ha colpito in percussione, con rapida violenza, tramortendo gli avversari. Non immune da colpe il baffuto portiere Pennano, ormai al capolinea di una carriera che lo ha visto goliardico protagonista di un calcio pionieristico.
Ripresisi dallo spavento, i bianconeri dimezzano con due belle azioni. Ma il Toro è rampante, sbuffa energia e vigore come non mai, le narici gonfie di furore agonistico. Il distacco di 4 gol viene ribadito col chiudersi della prima parte di gioco. Uno scatenato Enrico Debernardi, primo dei due fratelli granata, insacca il quinto punto, mentre il sesto tocca allo svizzero Enrico Bachmann, anche lui primo di due. Il gol che ottiene è come un proiettile sparato da molto lontano: «Un lungo calcio che Pennano raccoglie in fondo alla sua tana», il commento.
La musica non cambia neanche nelle prime battute del secondo tempo, quando una sciagurata autorete di Bodo su tiro di Debernardi II porta a 7 le segnature granata.
Ma da questo momento in avanti il film gira al rovescio, ossia sono gli attaccanti della Juve a prendere in mano la bacchetta delle operazioni e a cogliere, uno dietro l’altro, a raffica, la bellezza di 4 gol, infilati come perle nella porta di Morando I. A una manciata di minuti dalla conclusione il risultato suona quasi incredibile: 7-6 per il Torino che ora trema, dopo aver imperato per tutto il primo tempo.
A suggellare la fine delle speranze juventine ci pensa però Debernardi II, che fa Guido di nome, il quale fissa con il suo gol uno score che passerà alla storia, perché in nessun altro derby si riuscirà più a segnare così tanto.
5. In piazza d’Armi, Francesco Mosso si diverte a fare il cecchino
Francesco Mosso I al 73’
23 febbraio 1913. Torino-Piemonte 11-1
TORINO: Morando I, Capra II, Morelli di Popolo, Demarchi, Rubli, Bachmann I, Zuffi II, Debernardi II, Mosso I, Mosso III, Goggio.
PIEMONTE: Faroppa, Bigatto, Gherso, Dentis, Capello, Tagliabue, Spinoglio, Marchisio, Gaby, Valobra II, Valobra I.
Arbitro: Scamoni della Federazione.
Gloriosa squadra il Piemonte dalle casacche bianco-azzurre. Una delle tante valide e belle realtà del calcio pionieristico torinese, culla del football italiano. I piemontini, come erano detti all’epoca i calciatori che ne vestivano la maglia, furono costretti a sciogliersi nel 1914, all’arrivo della chiamata alle armi, ma anche perché i quattrini necessari per disputare gare ad alto livello aumentavano sempre e le quote dei soci aderenti non bastavano più. Un autentico serbatoio di buoni e ottimi giocatori, che andranno ad accasarsi qua e là, accolti a braccia aperte soprattutto dalle due grandi, Toro e Juve. Qualche bel campionato e qualche buon risultato per il Piemonte, prima della sua scomparsa. Il match di oggi, sotto questo profilo, non fa testo, perché viziato da contrattempi e comportamenti singolari. Da qui anche la scorpacciata di reti di un impietoso Torino, giunto all’ultima gara del girone piemontese eliminatorio. Niente da fare, poi, contro la corazzata Pro Vercelli che si impone e andrà alle finali per vincerle.
Eppure è il Piemonte a segnare per primo con Marchisio quasi alla mezz’ora. I granata reagiscono e con la fine del primo tempo passano in vantaggio. Dapprima è Gino Goggio a realizzare con un forte rasoterra; poi Guido Debernardi che azzecca un tiro al volo fulmineo davvero imparabile. Quanto Goggio è grande e grosso, tanto Debernardi è minuto e agile. Due autentiche colonne, comunque, di questo Torino nato da poco.
Il secondo tempo viaggia sul filo dell’equilibro, con i piemontini decisi, malgrado tutto, a vendere cara la pelle. A questo punto accade la svolta che segnerà l’incontro. L’arbitro Scamoni, della Federazione, non concede agli ospiti piemontini un più che evidente rigore (sudditanza psicologica ante litteram?). La circostanza è così clamorosa che i giocatori in maglia bianco-azzurra protestano in modo vivace. Un episodio che irrita profondamente i loro animi e che sfocia in una clamorosa protesta. Annota, in merito, l’antico reporter: «La fisionomia della partita che metteva di fronte Piemonte e Torino avrebbe dovuto essere alquanto modificata per quel che riguarda il numero dei punti se dal 30° minuto della ripresa i piemontini non si fossero abbandonati ad un gioco burletta per ostilità all’arbitro, il quale non aveva concesso loro un calcio di rigore».
Ma il calcio è anche questo e i granata di certo non danno peso a queste reazioni quasi puerili, d’altra parte loro