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Antigone, amore mio
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E-book77 pagine1 ora

Antigone, amore mio

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Antigone è la tragedia, incontrata sui banchi di scuola, che resta generalmente più impressa nella memoria degli ex studenti di tutte le generazioni. La piccola Antigone che non si piega di fronte al potere, che sfida la legge per i propri ideali e tiene testa al tiranno maschilista affascina tutti da secoli. Ma chi si ricorda di sua sorella Ismene, che tenta invano di aiutarla, fino a dichiararsi complice di un delitto che non aveva commesso? E di Emone, il fidanzato di Antigone che muore suicida per una donna che lo ignora? E della moglie di Creonte, privata dei figli dall’intransigenza del marito?
Con una scrittura che avvolge e incanta, Sofocle dipana davanti ai nostri occhi una tragedia umana coinvolgente, un conflitto etico radicale, una riflessione profonda sul potere, sull’amore, sul rapporto con la morte, il divino e il mistero.
Questo saggio raccoglie impressioni e riflessioni nate da una lettura appassionata e non specialistica di questo capolavoro dell’antichità, e getta uno sguardo su alcune riscritture del Novecento, che hanno fatto di Antigone l’emblema del conflitto tra oppressione e ribellione, tra le ragioni dell’ordine e quelle della solidarietà umana.
 
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita9 mar 2021
ISBN9788867522460
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    Antigone, amore mio - Livia Artuffo

    Abel Books

    In copertina:  Antigone? Anticovid?

    dipinto da Fabrizio Carbone, dicembre 2020

    ISBN 9788867522460

    Prima edizione febbraio 2021

    Copyright © Abel Books – Piergiorgio Leaci editore

    Via Milano 44 – Novoli

    www.abelbooks.net

    Livia Artuffo

    Antigone, amore mio

    Note di campo sull’Antigone di Sofocle

    Abel Books

    Antigone, amore mio

    L’Antigone [è] una delle opere d’arte più eccelse e per ogni riguardo più perfette di tutti i tempi. Tutto in questa tragedia è conseguente; la legge pubblica dello Stato è in aperto conflitto con l’intimo amore familiare ed il dovere verso il fratello; l’interesse familiare ha come pathos la donna, Antigone; la salute della comunità, Creonte, l’uomo. (Hegel, Estetica)

    L’Antigone è forse l’opera teatrale che ha avuto il maggior numero di fan nella storia della letteratura mondiale. Hegel è solo uno, forse il più illustre, dei suoi sfegatati ammiratori. Tradotta in tutte le lingue, ripresa e rielaborata, la tragedia che Sofocle aveva presentato agli ateniesi nel 442 a.C. ha ispirato un esercito di scrittori e pensatori: Racine, Alfieri, D’Annunzio, Hölderlin, Cocteau, fino ad Anouilh, Brecht, Yourcenar, passando per Goethe e Heidegger... E nel campo della musica: Mendelssohn, Saint-Saens, Honegger, Orff…    

    La sua vitalità, il suo potere di suggestione non si sono mai spenti. L’Antigone continua a parlarci. Imperativo morale contro legge dello Stato, vincoli di sangue contro ordine civile, pietas verso rigore, femminile verso maschile, e poi ancora il contrasto, sempre attuale, tra giovani e anziani, e il rapporto vivi-morti, dèi-uomini: tutte le dicotomie intorno a cui si è arrovellato il pensiero occidentale trovano, nell’Antigone, un qualche appiglio.  

    L’Antigone è la tragedia, incontrata sui banchi di scuola, che resta generalmente più impressa nella memoria degli ex studenti di tutte le generazioni: la giovane ribelle creata da Sofocle commuove e affascina tutti, da sempre.

    La mia prima lettura giovanile del testo di Sofocle mi aveva entusiasmata. Ho ripreso casualmente in mano la copia che avevo letto allora: è un’edizione Einaudi del 1974, curata da Giuseppina Lombardo Radice, che firma un’emozionante nota introduttiva e una traduzione bellissima, intensamente poetica. Le sottolineature e le note a matita sui margini di quelle pagine ingiallite mi hanno riportata indietro nel tempo. Erano gli anni Settanta del movimento studentesco e del femminismo: la piccola Antigone che non si piega di fronte al potere, che sfida la legge per i propri ideali e tiene testa al tiranno maschilista era una di noi.

    Forse sperando di rintracciare qualcosa della me-giovane di allora, mi sono rituffata in quelle pagine.

    Poi ho preso in mano altre traduzioni. Ho cominciato a sfogliare qualche saggio critico. Ho scoperto il mirabile lavoro di George Steiner, Le Antigoni, che mi ha svelato le innumerevoli reincarnazioni della creatura di Sofocle nel corso dei secoli e mi ha guidata in una nuova immersione in profondità nel testo della tragedia.

    Ho allargato lo sguardo su quel poco che ci resta dell’immensa produzione di Sofocle e degli altri due grandi della tragedia attica: Eschilo, il maestro e capofila del genere, di quasi trent’anni più anziano di Sofocle, e il più giovane Euripide, per tanti anni suo diretto concorrente negli agoni drammatici che si tenevano regolarmente ad Atene. La raccolta Il teatro greco. Tragedie, curata da Guido Paduano mi è stata, a questo scopo, preziosissima.

    Mi mancava una guida autorevole che mi aiutasse a decifrare il mondo in cui è fiorita la tragedia attica: cercavo una bussola per orientarmi nell’intricata successione dei fatti e lenti adeguate a mettere a fuoco gli eventi decisivi, il ruolo dei protagonisti e le forze in campo. Luciano Canfora è stato il mio Virgilio. Il suo Il mondo di Atene {1}, per mesi, è stata la mia Bibbia.

    In Antigone, variazioni sul mito (Marsilio), ho trovato la bella traduzione di Maria Grazia Ciani, che mi ha restituito le parole di Sofocle, in tono semplice e colloquiale, nel linguaggio del nostro presente. È questa la traduzione a cui ho scelto di attenermi, nelle citazioni riportate in questo testo. Lo stesso libro mi ha anche consentito di accedere alle due più famose Antigoni del Novecento, quella di Bertolt Brecht del 1947 e quella di Jean Anouilh del 1942, mentre gli studi di Sotera Fornaro mi hanno rivelato un ventaglio di altre affascinanti variazioni in chiave moderna{2}.

    Infine, rovistando nella mia biblioteca, ho trovato un vecchio libro di Marguerite Yourcenar, Fuochi, in cui ho riscoperto un’Antigone straordinaria, che racchiude - mi sembra - il cuore di tutte le Antigoni.

    Man mano che procedevo nel mio studio matto e disperatissimo, mi rendevo sempre più conto dei limiti della mia formazione di fronte all’immensità del materiale esaminabile: mi ero affacciata da profana, inesperta e sprovveduta ad un mondo autorevolmente presidiato - e da secoli - da specialisti illustri, spesso geniali, e da un esercito di intellettuali da trincea, i gloriosi professori di lettere che giorno per giorno sudano tra le nuove generazioni per tenere in vita il lascito dell’antichità greca.

    Eppure via via che leggevo, accumulavo appunti e annotavo riflessioni, sentivo che L’Antigone stava parlando anche a me. E che forse anch’io avevo qualcosa da dire su di lei, nonostante non possieda alcun titolo, nessuna referenza, nessun curriculum appropriato da esibire. La mia lettura era solo la lettura di una lettrice qualunque: ma potevo

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