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La difesa dei diritti delle popolazioni indigene dell'America Latina: Il contributo della Teologia della Liberazione
La difesa dei diritti delle popolazioni indigene dell'America Latina: Il contributo della Teologia della Liberazione
La difesa dei diritti delle popolazioni indigene dell'America Latina: Il contributo della Teologia della Liberazione
E-book97 pagine1 ora

La difesa dei diritti delle popolazioni indigene dell'America Latina: Il contributo della Teologia della Liberazione

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Le condizioni di vita delle popolazioni indigene dell'America Latina rappresentano da sempre, dai tempi dei Conquistadores, una ferita aperta e sanguinante del sub-continente americano. La violazione dei loro diritti fondamentali si è andata cristallizzando nei secoli nel sistema politico, sociale ed economico delle strutture statali di appartenenza, dando vita ad una sorta di istituzionalizzazione della povertà e dell'esclusione delle popolazioni indigene da qualunque processo decisionale partecipativo e di autodeterminazione.
Il dibattito che, a partire dagli anni '50-'60, si è instaurato intorno alla crescente disuguaglianza tra Nord e Sud del mondo, con un aumento sempre più significativo delle masse ridotte in uno stato di estrema povertà, ha finalmente dato la giusta visibilità alla questione indigena, inserendola nel quadro più ampio della lotta contro ogni tipo di povertà e discriminazione. Lungo questo cammino, un'impronta indelebile l'ha impressa la Teologia della Liberazione, quella parte, cioè, della Chiesa Cattolica Latinoamericana che, sull'onda innovatrice del Concilio Vaticano II, scelse di fare da cassa di risonanza al grido di milioni di persone fino ad allora rimasto inascoltato, se non soffocato, dalle elites al potere. Essa, grazie al canale preferenziale offerto dalla fede, si immerse completamente nella realtà di milioni di persone ridotte in miseria, fino a darne un quadro chiaro, puntuale e preciso e restituendo al mondo intero l'immagine delle estreme conseguenze a cui il sistema globale dominante era arrivato. Per impedire l'inasprimento di quegli effetti era necessario un cambio di rotta, che la Teologia della Liberazione declinò nell' opzione per i poveri, nella lotta, anche politica, per la giustizia, la libertà ed il rispetto dei diritti fondamentali.

Barbara Curti (Spoleto, 1977) si è laureata in Scienze Politiche, indirizzo politico-internazionale, presso l'Università degli Studi di Perugia, con una tesi su “Il Vaticano e le Chiese Ortodosse dopo la caduta del Muro di Berlino”. In seguito, ha conseguito un Master in “Peacekeeping and Security Studies” presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di RomaTre, di cui il presente testo rappresenta il lavoro finale. Il percorso di studi la mette in contatto con tutto quel mondo schierato dalla parte della difesa dei diritti umani e decide, quindi, di proseguire sulla strada della cooperazione allo sviluppo. Il primo passo in tale direzione la porta per tre mesi a Kathamdu, in Nepal, come volontaria per un' ONG locale, dove entra nello staff che si occupa del programma di educazione e animazione per i bambini di strada. Al rientro in Italia, prosegue gli studi nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, conseguendo tre diplomi di specializzazione presso il VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo): “Progettare lo Sviluppo”; “Cooperazione allo sviluppo”; “Advocacy per i diritti umani”. Nel frattempo, lavora nel fundraising per il no-profit, occupandosi di face to face su mandato di realtà come Save the Children e UNHCR. Porta costantemente avanti il suo impegno a favore dei diritti umani come membro di varie associazioni del territorio e come attivista di Amnesty International.

In copertina donna presso il lago Titicaca situato tra Perù e Bolivia.
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita1 giu 2020
ISBN9788835839736
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    Anteprima del libro

    La difesa dei diritti delle popolazioni indigene dell'America Latina - Barbara Curti

    Bibliografia

    Introduzione

    Dal punto di vista etnico, il continente centro-americano non è così semplice da delineare, per molteplici ragioni. Innanzitutto, folta è nel continente la presenza di gruppi indigeni, più o meno numerosi, discendenti delle antiche popolazioni che hanno abitato questi territori prima dell'arrivo dei conquistadores. La colonizzazione europea ha rappresentato, in effetti, uno spartiacque nella storia di questi popoli, perché dalla loro capacità di resistenza è dipesa poi la loro sopravvivenza. Infatti, i gruppi indigeni che sono riusciti a mettere in piedi una difesa più efficace alla volontà di dominazione degli europei, si sono assicurati la sopravvivenza non solo fisica, ma anche quella delle loro culture, delle loro tradizioni, dei loro idiomi e delle loro credenze religiose. La forza di molti di questi gruppi etnici risiede, infatti, nell'essere riusciti a resistere all'opera di totale assimilazione portata avanti da cinque secoli dai colonizzatori spagnoli e portoghesi, dando vita ad un panorama sincretico ricco ed affascinante: ci troviamo così di fronte ad innumerevoli esempi di convivenza di elementi autoctoni con i caratteri tipici del mondo dell'antica madrepatria colonizzatrice.

    Un altro fattore che ha contribuito in maniera decisiva alla frammentarietà del panorama etnico della parte centro-meridionale del continente americano è la conformazione geografica del territorio: spesso, infatti, le antiche culture precolombiane grazie al loro isolamento geografico sono state in grado di resistere con maggior forza alla totale acculturazione al modello nazionale; in altri casi, invece, proprio questa loro condizione di isolamento e di totale impermeabilità alle tecniche europee sono stati i fattori determinanti la scomparsa di intere popolazioni, rivelatisi incapaci di sopravvivere a quelle aspre condizioni climatiche con i loro tradizionali sistemi di produzione.

    La reale determinazione della consistenza di un gruppo indigeno è ulteriormente complicata dal metodo di classificazione utilizzato nella maggior parte dei Paesi latinoamericani, dove l'appartenenza di un individuo ad un determinato gruppo etnico è determinata non dal suo aspetto somatico, ma dalla sua partecipazione ad un contesto culturale indigeno specifico o al modello nazionale. Partecipazione che si evidenzia al meglio in caso di monolinguismo. E' da evidenziare come il numero degli individui classificati come indigeni sia percentualmente diminuito, secondo una linea di tendenza che appare irreversibile. Ogni anno, infatti, decine di migliaia di indigeni scivolano nel campo dei non-indigeni attraverso l'assunzione di modelli di vita materiale, ideologica, relazionale — propri di questi ultimi [1] .

    Un' ulteriore difficoltà nel determinare l'esatta consistenza dei gruppi indigeni è rappresentata dal sistema utilizzato in alcuni paesi latinoamericani nel censire l'appartenenza etnica della popolazione. Tale sistema consiste nella consegna di schede dove si richiede all'individuo di scegliere tra tre diverse opzioni: bianco, meticcio o indigeno. Poiché la maggior parte della popolazione conosce bene la disparità di trattamento che le varie legislazioni nazionali riservano agli indios, e poiché , oltre al suddetto sistema, non ci sono altri strumenti per determinare l'esatta appartenenza degli individui, nella maggior parte dei casi si preferisce scegliere l'opzione bianchi o meticci. Accade così in questi due gruppi si ritrovino discendenti puri degli antichi maya o aztechi o incas, che hanno preferito rinunciare alla loro identità per sfuggire a leggi ingiuste.

    Comunque sia, le popolazioni indigene dell'America Latina costituiscono ancora oggi, dopo cinque secoli di rapporti tumultuosi, conflittuali e di scambio ineguale tra conquistatori e conquistati, parte integrante e non secondaria del panorama sociale, politico e culturale del continente. «A dispetto di quanto potevano prevedere nei primi anni del secolo scorso alcuni studiosi di scienze sociali e alcuni politici ansiosi di vedere realizzata una modernizzazione tecnica ed economica globale, in senso euroamericano, dei loro paesi, le popolazioni indigene sono ancora lì a testimoniare con la loro stessa presenza i limiti di espansione, di penetrazione e di efficacia del modello di sviluppo proveniente dall'Europa e dagli Stati Uniti» [2]

    Che quello delle popolazioni indigene costituisca uno dei grandi problemi sociali del continente latinoamericano lo dimostra la straordinaria rilevanza che la questione indigena riveste negli Stati moderni dell'area. Essa può essere osservata da due diverse angolazioni.

    Da un lato, si è rilevato che, di fatto, i discendenti delle antiche civiltà precolombiane sono cittadini discriminati, nel senso di non aver ricevuto dallo Stato e dalla comunità internazionale le dovute garanzie caratterizzanti lo Stato moderno. La povertà, il basso tasso di scolarizzazione, le precarie condizioni di salute e il conseguente alto tasso di mortalità precoce, l'inefficienza della giustizia, la scarsissima partecipazione politica, presentano nelle regioni indigene tassi molto più alti che nelle zone abitate da bianchi e da meticci. La presa di coscienza di questa situazione di fatto ha come logica conseguenza la constatazione dell'erroneità del punto di vista modernizzante, che voleva le popolazioni indigene sparire come soggetti culturalmente e socialmente distinguibili per integrarsi nel modello di vita occidentale. Le politiche di integrazione, di assimilazione delle popolazioni indigene nel tessuto socio-culturale dei nuovi stati nazionali, sono dunque fallite.

    Dall'altro lato, il panorama dei Paesi latinoamericani di questi ultimi decenni dimostra che le popolazioni indigene si sono elevate al rango di nuovi soggetti protagonisti della vita pubblica. Grazie anche ai mezzi di comunicazione di massa e alla solidarietà internazionale, esse sono entrate a far parte dell'immaginario collettivo dei loro paesi e del mondo intero, fino a guadagnarsi un ruolo da protagoniste sia nel panorama politico dei loro paesi che in quello internazionale. E venuta così in rilievo la loro soggettività storica e socio-culturale, portandole ad insistere sui principi della loro differenza. I costumi propri, i valori ancestrali, la storia etnica e le originali caratteristiche del sistema di pensiero e del sistema simbolico hanno iniziato allora ad essere assunti come mezzi di espressione di una serie di pretese nei confronti delle società di vertice. La prima prospettiva sottolineava dunque il carattere dell'esclusione sociale e della mancata tutela dei normali diritti fondamentali di tutti i cittadini, facendo rientrare in questa categoria anche tutti gli indigeni, mentre la seconda prospettiva poneva l'accento sulla differenza, sull' «ingiustizia storica» che ha fatto prevalere il punto di vista e gli interessi della società dominante, e privilegiava, di conseguenza, la tutela di «diritti speciali di soggetti sociali sui generis» [3] . Nella prima prospettiva, quindi, il centro dell'attenzione si colloca sulla società moderna di origine europea e sul suo ruolo di livellamento delle differenza e di tutela degli interessi unitari ed omogenei di tutta la popolazione. Nella seconda prospettiva, al contrario, il ruolo centrale è rivestito dalla società tradizionale, caratterizzata dall'autonomia, dalla titolarità di diritti originali differenziati.

    Ciò che rende difficile affrontare la questione, in termini di politiche sociali riguardanti le popolazioni indigene, è come riuscire a salvaguardare il diritto alla differenza e alla protezione speciale degli indigeni, considerati pur sempre cittadini, e al tempo stesso far beneficiare tutta la popolazione di un paese dei progressi tecnici e scientifici dell'era moderna. Un'ulteriore difficoltà si viene a manifestare nel momento in cui si deve far prevalere — cosa molto difficile in America Latina — un interesse generale su quelli dei potenti gruppi economici che si trovano, di fatto, ai vertici delle istituzioni statali. Per una soluzione del problema si deve tener presente che non si

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