Italia 1922. Dalle origini a oltre il fascismo
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Anteprima del libro
Italia 1922. Dalle origini a oltre il fascismo - Fabio Zanieri
CAPITOLO 1
Dal Risorgimento al primo dopoguerra mondiale
Il primo bisogno
d’Italia è che si formino gli
Italiani.
Massimo D’Azeglio²
Una domanda che più o meno tutti ci siamo posti studiando la storia d’Italia è quella relativa alle sue origini culturali, sociali e istituzionali. In particolare dovremmo cercare una risposta, o più interpretazioni plausibili da mettere a confronto, per quanto riguarda la Repubblica Italiana che è l’entità istituzionale che attualmente consideriamo essere rappresentante del popolo italiano. In Italia dal 1948, ai sensi della Costituzione vigente, è il popolo che ha la sovranità, esercitata nei limiti e nelle forme sanciti dalla Costituzione medesima, sul territorio nazionale, su quella porzione della Terra che è stata denominata penisola italiana più gran parte delle isole prossime alle coste dei mari che la bagnano. La penisola italiana visse unita politicamente per circa mezzo millennio sotto il dominio di Roma ma con la caduta formale dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C., accelerò il processo di frammentazione del suo territorio già in corso da circa un secolo. Quest’ultimo fu controllato da repubbliche (marinare, di Firenze ecc.), Signori e grandi feudatari, re, Papi, Imperatori ecc. per oltre un millennio, fino al 1861 quando gran parte del territorio della penisola fu unificato nel Regno d’Italia. Ma cosa spinse gli italiani a cercare l’unità politica? Il lungo periodo di tempo che caratterizzò la frammentazione del territorio nazionale assieme alle variegate condizioni geografiche, climatiche, economiche delle diverse aree della penisola avevano agevolato lo sviluppo di tradizioni, stili di vita, costumi, dialetti (in uso nella vita quotidiana e talmente diversi da ostacolare la comprensione linguistica tra abitanti di diverse regioni) decisamente differenziati³. La lingua italiana ebbe i primi vagiti intorno al Mille, fece i primi passi concreti, quale lingua culturale colta, solo nel Duecento, nel Trecento iniziò la supremazia del dialetto toscano grazie alle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio. Questa lingua colta fu beneficio di pochi intellettuali e di alcuni personaggi dei ceti abbienti fino al grande sforzo pedagogico operato dalla scuola pubblica che si dispiegò soprattutto a partire dal XX secolo senza tuttavia il venir meno del braccio di ferro da una parte tra ideologie e movimenti politici centralisti, e ancor più se nazionalisti, che hanno privilegiato l’affermarsi della lingua italiana e dall’altra tra ideologie e partiti politici localisti, federalisti o addirittura secessionisti, che hanno chiesto l’introduzione e l’insegnamento in seno alla scuola dell’obbligo del dialetto locale, cosa che avviene nelle regioni a statuto speciale del Nord in ragione dell’origine culturale e del confine con aree francofone, germanofone o slavofone⁴. In primo luogo cerchiamo di capire cosa si intende col termine Risorgimento
. Tra fine Settecento e inizio Ottocento si diffuse questo termine, inizialmente tra intellettuali e letterati, per indicare il desiderio di risorgere
dallo stato di decadenza politica, economica, ma anche morale e spirituale, in cui erano piombati gli abitanti della penisola italiana a causa del dominio di larga parte del suo territorio da parte di dinastie monarchiche straniere. Per risorgere da questa condizione di sottomissione politica ed economica e di prostrazione psicologica e morale era sempre più sentita come imprescindibile l’unità nazionale che si sperava, e si era convinti, avrebbe garantito una potenza militare sufficiente a respingere gli attacchi e le pretese delle potenze europee, soprattutto da parte di quelle confinanti ma non solo da esse. In seno ad un progetto unitario che nel tempo accolse un consenso sempre più ampio e diffuso sul territorio della penisola, si distinsero due orientamenti politici principali:
- liberal-moderato che propendeva per un riconoscimento graduale e per un governo di tipo monarchico costituzionale (i cui principali protagonisti furono Carlo Alberto di Savoia, Camillo Benso conte di Cavour, Vittorio Emanuele II ecc.);
- repubblicano e democratico che invece fomentava una lotta rivoluzionaria dal basso per l’istituzione di una repubblica a sovranità popolare (Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi ecc.).
Trasversale a questi due progetti vi fu anche quello federale incarnato soprattutto da:
- Vincenzo Gioberti (1801-1852), sacerdote, moderato e sostenitore di una federazione sotto la presidenza del Papa tramite un’adesione spontanea dei vari Stati preunitari;
- Carlo Cattaneo (1789-1853) desiderava invece una federazione di stati sotto la monarchia dei Savoia, sufficientemente forte e capace di espandersi militarmente nei Balcani ai danni del decadente Impero ottomano, in modo da costituire un regno dell’Alta Italia che avrebbe in seguito potuto federarsi con gli Stati preunitari del centro e del sud della penisola italiana. Mazzini invece voleva l’Italia repubblicana a sovranità popolare, come è scritto nel programma della Giovine Italia, per garantire ai suoi cittadini, in continuità con gli ideali della Rivoluzione Francese, libertà, uguaglianza e fraternità e allo stesso tempo desiderava che la repubblica fosse unitaria perché nazione⁵. Ma quali erano gli ideali condivisi dai protagonisti del Risorgimento italiano? A tale scopo, con grossolana semplificazione e allo stesso tempo quale utile approfondimento sulle radici del nostro inno nazionale, analizziamo brevemente i tratti salienti dell’ode, oggi nota come Fratelli d’Italia, composta a Genova da Goffredo Mameli (1827-1849) con il titolo originale de il Canto degli Italiani:
Prima strofa
Fratelli d’Italia l’Italia se desta dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, ché schiava di Roma Iddio la creò.
Ritornello
Stringiamoci a coorte siam pronti alla morte l’Italia chiamò.
Quarta strofa
Dall’Alpe a Sicilia ovunque è Legnano ogn’uom di Ferruccio ha il cuore e la mano;
i bimbi d’Italia si chiaman Balilla, il suon d’ogni squilla i Vespri suonò.
A beneficio del sottoscritto e del lettore credo sia utile soffermarci e riflettere su questi versi che incarnano il patriottismo di marca nazionalista e risorgimentale di tanti intellettuali e giovani italiani dell’epoca dei moti europei del 1848. L’elmo di Scipio che troviamo nella prima strofa si riferisce a Scipione l’Africano (Publio Cornelio Scipione Africano) il quale, nel 202 a.C., sconfisse Annibale a Zama metafora della vittoria che gli italiani si apprestano a ottenere contro l’invasore straniero impersonato soprattutto dall’Impero austro-ungarico che controllava gran parte dell’attuale Nord Italia e indirettamente di gran parte del centro della penisola essendo il Granducato di Toscana allora retto, fino all’unificazione italiana, dalla dinastia degli Asburgo-Lorena. Come la dea Vittoria in passato ebbe a cedere il passo a Roma a lungo vincitrice sui propri nemici, permettendo il taglio della propria chioma come avveniva per le schiave quale segno che le distingueva dalle donne libere, così anche l’Italia alla fine trionferà. La coorte del ritornello fa riferimento ad un raggruppamento di combattenti in epoca romana ed è anche metafora del fatto che uniti gli italiani saranno di nuovo forti e sconfiggeranno gli invasori. Legnano fa riferimento alla battaglia in cui, nel 1176, la Lega Lombarda sconfisse l’Imperatore Federico I Barbarossa (e successivamente un’alleanza simile anche Federico II di Svevia). Ferruccio rievoca la difesa di Firenze da parte di Francesco Ferruccio contro le truppe imperiali di Carlo V nel 1530 mentre Balilla era il soprannome di Gianbattista Perasso, un quattordicenne che con il lancio di una pietra scatenò la ribellione di Genova contro le truppe austro-piemontesi nel 1746, mentre i Vespri fanno riferimento al segnale del suono serale delle campane che il 30 marzo 1282 diede inizio alla rivolta dei siciliani contro le truppe francesi di Carlo d’Angiò⁶. L’Inno di Mameli è un inno patriottico con i ritmi, le suggestioni e le parole che creano un’atmosfera di tipo militare e guerriera contro il nemico straniero.
Ma da sempre il Canto degli Italiani ha avuto nel Va’, pensiero di Giuseppe Verdi (1813-1901) il suo rivale:
Va, pensiero sull’ali dorate; va, ti posa sui clivi, sui colli, ove olezzano tiepide e molli l’aure dolci del suolo natal.
Del Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate…
Oh mia patria sì bella e perduta! Oh membranza sì cara e fatal!
Arpa d’or dei fatidici vati, perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi, ci favella del tempo che fu!
O simile di Solima ai fati
traggi un suono di crudo lamento, o t’ispiri il Signore un concerto
che infonda al patire virtù!
L’aria appartiene all’opera del Nabucodonosor composta da Verdi nel 1842. Essa ricorda la conquista di Gerusalemme da parte dei Babilonesi che fecero schiavi molti ebrei i quali furono deportati a Babilonia. Alla vicenda storica s’intreccia quella sentimentale delle due figlie del re babilonese Nabucodonosor, Ferena e Abigaille, entrambe innamorate di Ismaele, nipote del re di Gerusalemme. A Babilonia Ferena scopre di essere figlia di una schiava e dunque esclusa dall’eredità del trono come pure dall’amore di Ismaele il quale ricambia i sentimenti della sorella, Abigaille, che diventa reggente quando il padre è costretto a lasciare Babilonia. Ferena allora prende il potere, il padre Nabucodonosor perde la ragione e la gelosia verso la sorella Abigaille la induce a condannare a morte tutti gli ebrei presenti in Babilonia i quali, vicino al fiume, ricordano la patria perduta cantando l’aria del Va’, pensiero. I toni e il ritmo qui sono lenti e commossi, assieme alla rievocazione della patria vi è un grande anelito alla libertà che diventa più universale e non si lega solo al territorio perduto, per quanto sia nostalgicamente rievocato e amato, magistralmente, e a mio parere, stigmatizzato da quel «che infonda al patire virtù!» il quale ricorda che la sofferenza deve essere maestra di vita non promotrice di odio distruttivo verso l’altro, odio che troppo spesso nella storia ha fomentato vendette, conflitti e guerre, anche civili come quella che scoppiò in Italia, tra il 1943 e il 1945, dopo il crollo del regime fascista. Si tratta sicuramente di un inno più complesso, più difficile da ricordare e da cantare di quello di Mameli, che spinge rapido all’azione, inno quest’ultimo più in linea con le gesta eroiche risorgimentali. Tuttavia Va’, pensiero è denso di significati e, a mio avviso, è più vicino ai valori e ai princìpi della Costituzione della Repubblica Italiana in vigore dal 1° gennaio 1948. Con il suo ritmo sommesso e commosso suscita nell’animo, almeno in quello del sottoscritto, un profondo senso di pace e di libertà⁷, ⁸.
I Savoia furono i monarchi che raccolsero la sfida di unificare l’Italia, anche se forse inizialmente non era questo il loro intento. Probabilmente in un primo tempo essi desiderarono una espansione territoriale nella porzione settentrionale della penisola soprattutto in Lombardia e in Veneto per formare uno stato compatto, con dimensioni più che raddoppiate rispetto al Regno di Sardegna, del quale erano sovrani, inserito nel contesto dei più moderni Stati nazionali europei. Il resto della penisola era retto da monarchi che difficilmente avrebbero potuto intraprendere l’impresa unificatrice. Gli Asburgo-Lorena, che regnavano sulla Toscana, erano tra i sovrani più illuminati d’Europa ma anche dinasticamente legati all’Impero asburgico, i Papi dominavano su gran parte della restante porzione centrale della penisola e su molta parte dell’attuale Emilia-Romagna ma il loro attaccamento al potere temporale sembrava non dare alcun segno di cedimento e lo stesso valeva per l’altro grande agglomerato territoriale che si estendeva nella porzione meridionale della penisola e in Sicilia ovvero il Regno delle Due Sicilie governato dai Borboni. I monarchi di questi tre regni si allinearono assieme ai monarchi europei, e a quelli degli altri più piccoli Stati italiani, prima alle istanze della Restaurazione sancita dal Congresso di Vienna, dopo la definitiva sconfitta di Napoleone Bonaparte e il ritorno dei Borboni sul trono del Regno di Francia. In seguito allentarono le istanze conservatrici e dopo i moti rivoluzionari del 1848 la maggior parte di essi concesse qualche tipo di Statuto o Costituzione ottriata, concessa dall’alto, rendendo le proprie monarchie in varia misura costituzionali anche nel tentativo di calmare gli animi degli intellettuali e dei rivoluzionari che miravano a far ribellare il popolo contro il loro potere con lo scopo di cacciare i sovrani e istituire la repubblica. Oltre ai già citati personaggi politici la figura più carismatica del Risorgimento italiano fu senza dubbio quella di Giuseppe Garibaldi, detto l’eroe dei due mondi
a causa delle sue imprese in America, che seppe organizzare gruppi di volontari animati dal desiderio di unificare l’Italia e spingerli a combattere per tale scopo. La più celebre delle sue imprese fu quella dei Mille
volontari che assieme al condottiero sbarcarono in Sicilia dove, con le file ingrossate da un gruppo consistente di patrioti dell’isola, riuscirono a cacciare, tra il 1860 e il 1861, i militari borbonici prima dall’isola e poi a sconfiggerli, a più riprese, sul continente sancendo la caduta del Regno delle Due Sicilie. Nel frattempo dopo il trionfo dei Savoia, alleati della Francia contro l’Austria-Ungheria, furono organizzati dei plebisciti in quasi tutti gli altri Stati italiani e la maggioranza dei cittadini aventi diritto al voto scelse l’annessione del proprio territorio a quello del regno sabaudo. Il 17 marzo 1861 fu finalmente proclamato il Regno d’Italia che fu lo Stato italiano unitario fino al referendum del 2 giugno 1946 che sancì la sua fine e l’inizio della Repubblica Italiana⁹, ¹⁰, ¹¹. Resistette, fino al 1870, lo Stato della Chiesa oramai limitato, all’incirca, al territorio dell’attuale regione del Lazio. Tuttavia Roma, per la sua posizione centrale nella penisola e la sua gloria passata, era considerata dai monarchi sabaudi, e anche da gran parte degli italiani, la capitale ideale del Regno d’Italia. La presa di Roma determinò una quasi chiusura delle relazioni diplomatiche tra lo Stato italiano, monarchico e liberale, e il dominio dei Papi, ridotto al territorio del colle Vaticano. La Chiesa cattolica era una istituzione che dal momento della sua affermazione in età imperiale romana ha sempre costituito un potere forte