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Horizon - L'alba di un nuovo giorno (eLit): eLit
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E-book414 pagine6 ore

Horizon - L'alba di un nuovo giorno (eLit): eLit

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Info su questo ebook

La speranza è oltre l'orizzonte...

Cass Dollar è sopravvissuta alla distruzione della civiltà, agli zombie, alla crudele follia dei Ricostruttori. E tuttavia continua a sognare un futuro sereno per sé e per la piccola Ruthie. Finché un giorno un misterioso viaggiatore porta la notizia di un passaggio che conduce a nord, lontano dalla minaccia sempre più pressante dei morti viventi. Pur sapendo che potrebbe trattarsi di un miraggio, Cass decide di rischiare e parte insieme ai due uomini che il destino ha messo sulla sua strada, Smoke e Dor. Fare chiarezza nei propri sentimenti è solo una delle molte sfide personali che Cass deve affrontare nel corso del lungo e insidioso viaggio verso la salvezza. Ma è disposta a lottare fino alla morte per la promessa di un nuovo giorno.





Aftertime novels:

Aftertime - il risveglio

Tomorrow - la rinascita

Horizon - l'alba di un nuovo giorno
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2016
ISBN9788858962442
Horizon - L'alba di un nuovo giorno (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Horizon - L'alba di un nuovo giorno (eLit) - Sophie Littlefield

    successivo.

    1

    Tutte quelle sfumature di rosso... mela candita e cannella, corniola, ruggine e vermiglio e altre ancora. Le persone che arrivavano per la festa si fermavano ad ammirare i cuori di carta che oscillavano lievi sopra di loro. Nessuno aveva più visto niente di simile da Prima, nessuno si sarebbe aspettato di vedere qualcosa del genere Dopo.

    Eccetto, forse, Cass Dollar, che sognava aiuole rigogliose traboccanti di gaillardie, di rose mister Lincoln che spiccavano tra le foglie lucide dei rami incurvati dal loro peso, e di delicati penstemon dai fiori rosso fuoco. Da sveglia custodiva la speranza con la parsimonia che le era propria, ma da quando era arrivava a New Eden i suoi sogni erano audaci e avidi, assetati di colori, odori e vita.

    Persino laggiù, in quella che un tempo era stata una produttiva vallata agricola della California centrale – di rado sfiorata dal gelo, dove il sole scaldava il viso in marzo e lo bruciava in aprile – persino laggiù era possibile vagheggiare la primavera in febbraio. Nel suo giardino d'inverno modesti filari di piantine di melo e rizomi bitorzoluti spuntavano appena dalla terra. C'era ben poco di grazioso, eccetto i germogli verde pallido del kaysev che punteggiavano i campi dall'altra parte, orlando di vita verdeggiante l'intera estremità meridionale dell'isola, oltre i pochi acri addormentati che Cass coltivava faticosamente. Al termine di ogni giornata aveva terra sotto le unghie, sassolini nelle scarpe, l'odore dolciastro del compost sulla pelle, ma nei campi non cresceva ancora niente che premiasse i suoi sforzi.

    Cass non era l'unica a essere stanca dell'inverno. Non a caso il comitato sociale aveva deciso di organizzare un ballo di fine cattività. Poi, per fortuna, qualcuno aveva suggerito il tema più allegro di san Valentino. C'era ancora spazio per il romanticismo a New Eden... anche se in modo diverso da Prima, ovviamente. Alcuni tipi di attrazione fisica prosperavano in un'atmosfera di conflitto e pericolo, altri invece sparivano. A Cass non sarebbe potuto importare di meno.

    Non era la prima volta che ignorava la ricerca di volontari da parte del comitato sociale, pur non essendo oberata dal lavoro. Aveva finito di potare, aveva spruzzato gli agrumi con l'olio ricavato spremendo i semi di kaysev e copriva i rami ogni volta che la temperatura notturna scendeva troppo. La seconda semina di insalate, cavoli e rape era ultimata. A parte togliere le erbacce e controllare che non ci fossero germogli di fogliablu, non ci sarebbe stato molto da fare, finché il clima più mite non avesse dato inizio alla stagione della crescita. Di conseguenza avrebbe avuto tutto il tempo per unirsi alle altre donne e contribuire a trasformare il centro sociale in una sala da ballo, creando decorazioni con i più svariati materiali raccolti nel circondario. Aveva declinato l'invito a dare una mano mentre le altre donne mettevano da parte gli ingredienti per cucinare piatti speciali e provavano i cocktail preparati con l'alcol di kaysev, il cui sapore di zenzero era sempre più intenso di qualunque cosa con cui cercassero di mescolarlo. Il comitato era riuscito a convincere le pattuglie di esploratori a raccogliere tutti gli scarti di legno che avessero trovato nelle ultime due settimane per accendere un falò che sarebbe bruciato fin quasi all'alba.

    Cass li osservò da lontano mentre si avviava verso casa attraverso il ponte di bambù che collegava Garden Island al resto dei territori, stiracchiando le braccia stanche e massaggiandosi i muscoli del collo, indolenziti dopo le ore trascorse un pomeriggio dopo l'altro a controllare che in mezzo al kaysev non ci fosse fogliablu. Il sole era ancora abbastanza alto nel cielo da offrire un poco di calore, quindi porte e finestre della sala centrale erano aperte per lasciarlo entrare. Un tempo l'edificio era stato il rifugio di un pezzo grosso della tecnologia, un uomo di cattivo gusto che preferiva wakeboard e crociere alcoliche alla degustazione di vini nella Napa Valley. Molti di coloro che abitavano lungo i canali che si snodavano tra le fattorie preferivano vivere dentro vecchi rimorchi, prefabbricati o baracche, e la casa spiccava sia per dimensioni, sia per la qualità della costruzione. Molto prima che Cass arrivasse a New Eden tutti i muri non portanti erano stati rimossi in modo da creare un ampio locale centrale che ospitava biliardini, tavoli da biliardo, bersagli per freccette, divani di pelle ed era diventata una specie di centro sociale. Un circolo ricreativo circondato dalla piccola cittadina cresciuta su tre isolette al centro di un corso d'acqua che Prima non aveva nome.

    Avrebbero dovuto chiamarlo Pison, Dopo, come uno dei rami del fiume che usciva dall'Eden secondo la Bibbia. Ma il pastore metodista che lo aveva battezzato era morto di cirrosi epatica dopo aver tossito grumi di sangue, benché fosse malato già prima di raggiungere New Eden, e così da quel momento tutti avevano cominciato a chiamarlo fiume Veleno.

    Cass entrò nell'edificio, incuriosita suo malgrado dai preparativi per la festa. Notò subito Collette Portescue, con il suo grembiule e una fascia colorata tra i capelli. Dotata di un'inesauribile riserva di allegria, Collette era un'organizzatrice nata, una stella della vita mondana di Sacramento che aveva scoperto la sua vocazione solo dopo aver perso tutto.

    «Cass! Oh, Cass, eccoti qui!» la chiamò con l'inconfondibile voce ben modulata che si alzò a superare il brusio degli altri volontari e di qualche ospite arrivato in anticipo. Lei sentì lo stomaco annodarsi mentre la donna le andava incontro ondeggiando su... Cass spalancò gli occhi, incredula: un paio di scarpe rosse con il tacco a spillo. Sotto il grembiule di lino tutto spiegazzato, Collette indossava un abito di maglia aderente, anch'esso rosso. Cass si guardò intorno. Ci avevano provato anche le altre, lavandosi i capelli e raccogliendoli, oppure mettendo un velo di rossetto o un braccialetto scintillante, ma febbraio era pur sempre febbraio e la maggior parte aveva scelto di vestirsi a strati per difendersi dal freddo. Nessuno degli indumenti che si vedevano intorno era nuovo e nemmeno pulitissimo. Il fatto che Collette si fosse presentata con un abito sbracciato e con i capelli arricciati, benché in modo artigianale, testimoniava la sua dedizione alla vita sociale di New Eden.

    Il suo sorriso era splendido come sempre, grazie a un impianto dentale che probabilmente aveva una garanzia a prova di apocalisse, e la sua gentilezza genuina, ma per Cass fu come una stilettata al cuore e la costrinse a voltare il capo di lato, fingendo di tossire.

    «Oh, santo cielo, non ti sarai presa quel virus che c'è in giro, spero.» C'era ancora una lieve nota del sud nella voce di Collette, una traccia della corona di Miss Georgia che aveva portato decenni prima. I primi anni ottanta dovevano essere stati il suo periodo ideale: acconciature voluminose, grandi feste, spese folli. L'austerità sembrava più che mai un affronto quando si trattava di Collette.

    «No, credo sia solo un po' di polvere.»

    Collette annuì. «Tildy e Karen hanno lavorato in cima alle scale tutto il pomeriggio. Probabilmente ne hanno smossa parecchia. Avrei dovuto dire loro di dare una pulita visto che c'erano. Comunque sia, tesoro, vieni con me. Lascia che ti mostri di cosa avrei bisogno...»

    La donna la trascinò attraverso la piccola folla di Edeniti che, bicchieri di plastica in mano, chiacchieravano ascoltando Luddy Barkava e i suoi amici che provavano in un angolo. Su alcuni tavoli lungo la parete di fondo, dove il facoltoso proprietario di un tempo aveva installato una coppia di lavastoviglie da quattromila dollari, c'era il necessario per preparare i centrotavola: quattro vasi spaiati e le piante che quella mattina Cass aveva tagliato nel giardino d'inverno che coltivava vicino alla spiaggia dell'isola. C'erano grevillee color corallo, fiori di elleboro bianchi con screziature rosa che iniziavano già ad appassire, piccoli grappoli di bacche di skimmia. Cass sospirò. Erano le uniche piante da fiore che fosse riuscita a far crescere quell'inverno. I semi di elleboro erano stati razziati nel capanno di un giardino, le altre piante erano ritornate, specie scomparse durante gli attacchi biologici e l'Assedio che aveva cominciato a ricrescere.

    Non erano piante adatte alle composizioni floreali, erano solo le più forti e resistenti, le prime a tornare Dopo, cibo per uccelli e insetti, primi tentativi di rinascita. Non erano particolarmente belle a vedersi e non sarebbe stato facile farle sembrare tali.

    E lei non era una fiorista.

    Sfiorò una foglia di skimmia. «Non saprei come...»

    «Credimi, qualunque cosa tu riesca a fare, sarà un enorme miglioramento. June ti ha trovato un po' di roba. Nastri e... non so cos'altro. È tutto lì sui tavoli. Adesso devo correre. Te la caverai a meraviglia, ne sono certa!»

    Collette andò a organizzare i volontari addetti alle bevande, a sciogliere i festoni con i cuori di carta che si erano annodati, a raccomandare alla band di suonare solo brani allegri. Luddy, che aveva fatto parte di un gruppo thrashcore piuttosto noto nell'area di San Francisco, ora trascorreva le sue giornate costruendo elaborate rampe da skateboard sull'unico tratto di strada asfaltata dell'isola. Non appena la donna si allontanò, il gruppo cominciò a suonare una versione vivace di Wonderful Tonight, dimostrando quanto fosse forte il carisma di Collette.

    Anche Cass si mise all'opera, cominciando a sistemare i rami con le bacche al centro dei vasi, per poi aggiungere fiori e foglie più delicati. Stava legando gli steli con un nastro di organza rigido – dove June fosse riuscita a procurarsi un simile oggetto di lusso era un mistero, anche se non si poteva mai sapere cosa avrebbero portato gli esploratori dalle loro razzie sulla terraferma – quando avvertì la sua presenza alle proprie spalle. Chiuse gli occhi e si lasciò inondare da quella sensazione, lo scemare degli altri suoni nella sala, il surriscaldarsi dell'aria che li separava.

    «Collette ha messo al lavoro anche te, eh?» La voce, bassa e roca, seguì il percorso consueto lungo le sue terminazioni nervose. Era troppo vicino, ma con lui era sempre così. Prima di voltarsi, Cass si passò una mano tra i capelli, che negli ultimi mesi le erano cresciuti oltre le spalle. Per l'occasione, aveva rinunciato alla solita coda e li portava sciolti.

    L'espressione era un po' beffarda. Il bagliore del sole che stava tramontando si riversava nell'edificio dalle grandi vetrate e accentuava la sfumatura scura della sua pelle, abbronzata per il lavoro all'aria aperta proprio come quella di Cass. La cicatrice che gli tagliava un sopracciglio era meno evidente rispetto alla prima volta che l'aveva incontrato, sei mesi prima, ma ne aveva una nuova sulla testa, che scompariva tra i capelli neri spruzzati di grigio. Cass c'era quando il proiettile lo aveva quasi ucciso. Lì a New Eden, grazie alle cure di Zihna e Sun-hi, gli erano bastati pochi giorni per riprendersi quanto bastava per voler lasciare il piccolo ospedale.

    Ovviamente Dor aveva altre ragioni per volersene andare al più presto da quella minuscola stanzetta, ragioni che nessuno dei due riusciva a dimenticare per un solo giorno.

    Mentre lo osservava, Dor si avvicinò, scrutandola, inclinando il capo finché i capelli ormai lunghi gli piovvero sulla cicatrice, nascondendola. Cass dubitava che ne fosse consapevole; in lui era un gesto che non aveva niente a che vedere con la vanità. Come accadeva a molti altri uomini, Dopo, a Dor non piaceva parlare di se stesso, chi fosse stato e da dove venisse. E benché fosse ancora visibile, quella cicatrice ormai apparteneva al passato.

    Anche Cass, per quanto poteva contare.

    Solo che nessuno dei due sembrava capace di ricordarselo.

    «Dov'è Valerie?» domandò Cass, ignorando la sua domanda. Si sarebbe aspettata che fosse già lì, con le sue forbici da ricamo e alcuni spilli tra le labbra, pronta ad apportare piccole riparazioni dell'ultimo minuto per tutte le donne che erano riuscite a indossare qualcosa di speciale per la festa. In genere cuciva e rammendava nel suo piccolo appartamento, due camere sulla poppa di una chiatta che i due proprietari gay avevano portato a riva e ricostruito. Per le feste organizzate dal comitato, tuttavia, arrivava sempre presto per cucire bottoni, accorciare orli e riprendere cuciture. A Valerie piaceva aiutare, sentirsi utile. Aveva una bella voce chiara e un sorriso spontaneo.

    Era una tipa simpatica.

    Dor fece una smorfia. «Non si sente bene.»

    Di nuovo. Cass annuì, cauta. Il mal di stomaco di Valerie andava e veniva. Era il genere di problema che Prima si risolveva con medicine e diete speciali, ma Dopo non si poteva fare altro che sopportarlo.

    Sarebbe stato assai più facile, molto meno complicato, se lei fosse stata lì in quel momento, con una delle sue gonne scampanate vecchio stile e la giacca di Pendleton, un cerchietto di velluto che le teneva indietro i lucidi capelli neri. Sammi diceva che sembrava una secchiona e Cass supponeva avesse ragione, ma ispirava tenerezza e se fosse stata lì sarebbe stata insieme a Dor e quella cosa che serpeggiava tra loro non sarebbe stata un pericolo.

    «Mi dispiace» mormorò, sincera. «Cos'hai fatto oggi?»

    Dor si strinse nelle spalle guardando verso il retro dell'edificio. «Ci sono delle assi marce sul retro. Earl e Casey hanno trovato del legname e le stiamo sostituendo. Cerchiamo di finire prima che cominci a piovere.»

    «Legname?»

    «Per modo di dire. Hanno abbattuto una vecchia casa su Vaux Road e la stiamo smantellano pezzo per pezzo per recuperare tutto ciò che può servire.»

    «Puzzi come se avessi lavorato due giorni di fila.»

    «Pensavo di farmi una doccia... prima che inizi la festa.»

    «Penso sia già cominciata.» Il gruppo di Luddy stava suonando Lola, la conversazione fluiva mentre le persone, finito il primo giro di alcolici, cominciavano a tornare per il secondo. Cass non si sarebbe unita a loro.

    «Verrai anche tu più tardi?»

    Lei si strinse nelle spalle, guardandolo negli occhi. Avevano una sfumatura blu scuro che si poteva scambiare per castano. Quando era arrabbiato le iridi diventavano quasi nere. Capitava raramente che avessero il colore luminoso del mare. «Non lo so. Sono stanca. Ingrid ha tenuto Ruthie tutto il giorno e vorrei stare un po' con lei. Potrei anche andare a letto presto.»

    Dor annuì. «Forse è meglio.»

    «Già. Probabilmente sì.»

    Alcuni ragazzi portarono al centro della sala un tavolo pieno di torte e un'esclamazione festosa proruppe dalla folla. Tutti sapevano che il giorno prima erano stati a caccia di lepri e arvicole per i pasticci di carne. Le tre torte di bacche di biancospino sarebbero state una sorpresa, ma Cass ne era al corrente, perché era stata lei a occuparsi dei cespugli nascosti in fondo a Garden Island, lungo un sentiero utilizzato solo da lei, dai suoi scout della fogliablu e occasionalmente dai ragazzini che volevano vedere le Carcasse.

    Dopo il raccolto autunnale i cespugli l'avevano sorpresa fiorendo di nuovo. Cass non avrebbe saputo dire perché, né come fosse successo, a parte il fatto che il kaysev aveva strani effetti sulla terra. Appena era apparso la gente aveva temuto che avrebbe privato il suolo di tutte le sue sostanze nutritive in un unico ciclo di crescita. Invece sembrava fosse successo l'esatto contrario. C'erano altre piante, come per esempio la segale, che venivano coltivate per concedere una pausa a un terreno molto sfruttato e aiutarlo a ricostituire le sue riserve di minerali, ma Cass non aveva mai visto nessun'altra specie vegetale comportarsi come il kaysev.

    La seconda fioritura dei cespugli di biancospino era stata scarsa e dopo che aveva raccolto le piccole bacche per le torte non ne erano rimaste molte. Cass le avrebbe date a Ruthie e Twyla quando fossero state mature, e le bambine si sarebbero sporcate i faccini con il loro succo dolce. Una leccornia, qualcosa di gradevole in attesa che l'inverno finisse.

    La stagione fredda era dura per i bambini, le giornate gelide e brevi. Non avendo televisione, giochi elettronici, radio e nemmeno lampade, eccetto nelle occasioni speciali, i più piccoli si annoiavano e diventavano inquieti. Cass li capiva, perché succedeva anche a lei.

    2

    Un'ora dopo il tramonto Cass era tornata nella camera che divideva con Ruthie, uno dei tre cubi prefabbricati messi insieme alla meno peggio che erano stati aggiunti a una vecchia casa rivestita di assi di legno e formavano il secondo piano. Non erano stanze particolarmente ambite, ma lei era tra gli ultimi arrivati a New Eden e prendeva ciò che le offrivano senza lamentarsi.

    Inoltre, quella sistemazione non le dispiaceva. Chi aveva costruito l'edificio aveva compensato con la fantasia ciò che gli mancava in perizia. Le camere si aprivano su un corridoio stretto che si affacciava su un ampio soggiorno, il corpo originale della costruzione, il cui tetto era stato rimosso per fare posto al secondo piano. In fondo al corridoio c'erano altre due stanze più piccole, che Ruthie e Twyla si divertivano a utilizzare immaginando che fossero barche o magazzini, chiese o zoo o scuole e, dal momento che non erano proprietà di nessuno, erano libere di prendere in prestito gli utensili della casa. I secchi diventavano volanti, gli strofinacci piegati sugli scaffali abiti eleganti, le bambole delfini che nuotavano in mari fantastici.

    Twyla, che era un po' più grande di Ruthie – aveva quasi cinque anni – ricordava alcune delle cose di Prima. Per Ruthie invece erano puro frutto dell'immaginazione.

    Ruthie stava raccontando a Cass cosa aveva letto loro Ingrid quella sera. Il venerdì toccava a Ingrid occuparsi dei quattro bambini più piccoli – le bambine e i suoi due figli, di uno e tre anni – e sceglieva sempre i libri più educativi della biblioteca di New Eden, biografie, volumi sul funzionamento degli oggetti e testi di matematica. Disegnava anche carte da gioco con immagini di cose ormai scomparse, come torte di compleanno, cuccioli, palloncini colorati e pattini da ghiaccio. Cass e Suzanne l'avevano soprannominata in segreto il sergente – o almeno lo facevano prima che Suzanne smettesse quasi del tutto di parlarle – ma Cass avvertiva una sensazione di vuoto ogni volta che vedeva la donna, china con aria severa sui piccoli, lanciarsi in lezioni che loro erano troppo giovani per comprendere.

    Anche Cass aveva provato quella passione, una volta. Quando Ruthie le era stata portata via, il desiderio della figlia era stato più forte del pulsare del sangue, più forte di qualunque forza nell'universo. Ruthie era tornata con lei già da sei mesi, eppure a volte aveva l'impressione che il filo che le legava si stesse assottigliando.

    Così si sforzò di ascoltare con attenzione. «La forchetta va da questa parte» le spiegò Ruthie con una vocina che era poco più di un sussurro, battendo la mano sul materasso posato sul pavimento. Era una bambina tranquilla, non gridava mai né per la rabbia né per la gioia. «Coltello e cucchiaio invece vanno a destra. Puoi mettere il piatto qui in mezzo.»

    Cass mormorò qualche parola di incoraggiamento, piegando lenzuola e coperte mentre la ascoltava. Quelle lezioni erano completamente inutili, ma cosa poteva farci, lei? Per alcuni, Ingrid tra loro, i vecchi rituali erano fonte di conforto.

    La camera era illuminata da un mozzicone di candela mezzo sciolto su un piatto, e quando Ruthie si infilò a letto Cass lo spense, come d'abitudine. Le candele erano preziose, e si usavano solo quando era necessario.

    «Posso aiutare a preparare la tavola domani?» domandò Ruthie, sbadigliando. L'indomani sarebbe stata Suzanne a badare ai bambini, affinché le altre due madri potessero lavorare. Le tre donne si alternavano ogni tre giorni e, nonostante i dissapori, Suzanne e Cass avevano stabilito di tacito accordo di non lasciare che le loro incomprensioni influenzassero i bambini.

    Cass pensò alla giornata che le aspettava: Earl aveva promesso di passare a Garden Island nel pomeriggio per controllare l'area in cui Cass coltivava l'insalata, sull'argine meridionale del fiume, che l'acqua minacciava di erodere, ma dopo sarebbe potuta tornare a prendere Ruthie. Avrebbero potuto aiutare a preparare la cena, mangiare presto e sarebbe avanzato tempo anche per fare un salto all'ospedale.

    Era passato diverso tempo dall'ultima visita, troppo. Tre settimane? Un mese? Non lo aveva fatto di proposito, ma era diventato sempre più difficile andarci.

    Tuttavia si era ripromessa di migliorare.

    Sarebbero potute arrivare in tempo per aiutare Sun-hi con le ultime incombenze della giornata. E poi a Ruthie piaceva andarci... era ancora troppo piccola per essere spaventata.

    «Sì, piccolina» rispose Cass, cercando di mantenere un tono allegro. «Poi potrai lavare tutti i piatti, asciugarli e metterli via. Che ne dici?»

    «Mi aiuterai?» chiese Ruthie dubbiosa, la voce assonnata. Era così seria... sembrava non capire mai quando Cass scherzava.

    «Certo che ti aiuterò» sussurrò lei, posando la testa sul materasso accanto a quella della bambina, le ginocchia sul tappeto. Sentì il respiro di Ruthie sulla guancia e poco dopo, quando si fece regolare, capì che si era addormentata.

    Cass la baciò con tenerezza e si spostò carponi nell'angolo della stanza, dove teneva le poche cose cui erano affezionate in un armadietto che un tempo doveva aver ospitato le apparecchiature elettroniche di un media center, in un'epoca in cui ancora esistevano i media. Passò le dita sui libri, i giocattoli e i vasetti di crema, il flauto di legno e il barattolo con gli orecchini, poi prese l'antica scatola di legno che cent'anni prima doveva aver contenuto un gioco da tavolo. Aveva barattato un alberello di lime per quella scatola, che una donna aveva portato con sé nello zaino da Petaluma. Sul coperchio di vernice scrostata era raffigurato un orso che danzava tenendo un ombrellino in equilibrio sul muso. Nessuno sapeva cosa avesse significato quella scatola per la donna, né per quale motivo l'avesse portata con sé per tutte quelle miglia perché, poco dopo essere arrivata a New Eden, si era tagliata un piede con un frammento di vetro mentre camminava lungo le rive fangose del fiume ed era morta tre settimane dopo di setticemia, quando l'infezione aveva raggiunto il cuore.

    La donna aveva un amico, un uomo muto che aveva camminato accanto a lei fino a New Eden e aveva ereditato le sue poche cose quando era morta. Adesso era proprietario di un albero di lime.

    Cass sfiorò con delicatezza l'orso, poi aprì la scatola, prese la bottiglia di plastica che conteneva e se la portò alle labbra.

    Il primo sorso bruciò come acciaio rovente, come giustizia fatta.

    Il secondo e i successivi andarono giù come niente.

    3

    Il canto era ripreso, da qualche parte dietro i suoi occhi, una strana canzone monotona e acuta che si intrufolava di tanto in tanto nei suoi sogni da giorni. Ma potevano anche essere mesi, o anni, per quel che ne sapeva lui. Gli sembrava di essere lì da sempre, in quel posto vago e confuso, i cui contorni balenavano e scomparivano, brevi lampi destinati ineluttabilmente a sfumare nel nulla, ancora e ancora e ancora.

    I suoi sensi non funzionavano più. Era contento... be', forse contento era una parola grossa, ma si rendeva conto di non provare sensazioni e ne era felice. A un certo punto, nell'enorme ignoto che era il Prima, c'era stato dolore, un dolore insopportabile. Ora, invece, non c'era nulla e lui galleggiava nel vuoto, ne era consapevole e quello era tutto.

    Poi era cominciato il canto, una melodia vaga e sinuosa che assomigliava al sibilo che esce dalla camera d'aria di una bicicletta.

    La cosa che era Smoke, una creatura fatta di mente e nulla, inciampò su quel pensiero. Bicicletta. Camera d'aria. Si concentrò sui dettagli, le gomme delle biciclette erano nere, opache e più o meno delle dimensioni dello specchio rotondo appeso sopra la mensola del camino a casa dei suoi genitori a Valencia.

    Mensola

    Genitori

    Valencia

    No, no, no... Così non andava bene. Altri pensieri si intromisero e la consapevolezza di Smoke rabbrividì, contraendosi come un'ameba al microscopio. Non voleva pensare. Non voleva svegliarsi.

    Mensola, genitori, Valencia. Nella casa a tre piani di Valencia in cui Smoke era vissuto con il padre, che vendeva... automobili Acura... e con la madre, che faceva ritratti fotografici...

    Papà

    Acura

    Mamma

    Ritratti

    ... c'era il fuoco nel camino e vassoi di panini e partite a carte i lunedì sera.

    E lui non si chiamava Smoke.

    Edward Allen Schaeffer, quello era il suo nome, era cresciuto a Valencia e i suoi genitori erano morti e adesso la gente lo chiamava Smoke e aveva amato una donna e aveva cercato di fare ammenda per la cosa terribile che aveva commesso, ma loro lo avevano trovato per primi ed era tutto ciò che ricordava.

    Un momento... non era davvero un canto, giusto?

    Ciò che Smoke aveva scambiato per musica non lo era affatto, era luce. Aspettava fuori dalle sue palpebre, ma stava cominciando a diventare impaziente e quindi premeva su di lui e sembrava un suono, che gli entrava nel cervello e rimbalzava da un angolo all'altro. Voleva che tornasse indietro. Insisteva affinché tornasse indietro. Smoke non avrebbe voluto, ma si rese conto di non avere scelta.

    Dolorosamente, inevitabilmente, cominciò a tornare in sé.

    Primo passo... da qualche parte aveva avuto un corpo. Non sapeva esattamente dove lo avesse lasciato, ma non sarebbe riuscito a fare molto senza, così protese la mente stanca e riluttante finché incappò nella forma della cosa e ne tracciò i contorni basandosi sulla memoria. Lo fece ridere, o quantomeno gli ricordò una risata, la sensazione che si provava ridendo, anche se non sapeva perché.

    Dita! Le dita erano ridicole, no? Qualcosa di cui ridere? Erano così tante che impiegò parecchio tempo a contarle tutte, due gruppi alle estremità di due piedi. Questi ultimi erano attaccati alle gambe, che erano sempre state là, solo che Smoke le aveva scordate. Meravigliato, pensò alle proprie gambe e questo per qualche tempo gli bastò, finché si lasciò andare di nuovo, esausto, e tornò a galleggiare nel nulla, riposando ancora un poco.

    E ancora un altro poco.

    Quando tornò in sé di nuovo, dita, piedi e gambe erano ancora là e c'erano anche le braccia. Le dita delle mani erano così interessanti che la sua mente le contemplò per un momento ricordando che avevano toccato, afferrato, stretto, spezzato. Ed ecco lo stomaco... Il collo. C'era tutto quanto, era tutto intero, e a quanto pareva era lì da qualche tempo. Anche quel pensiero lo divertì e lui sorrise, o pensò di sorridere, ma forse lo immaginò soltanto.

    Un momento... c'era qualcosa. Qualcosa di importante. La donna. La donna e la bambina. Cass e Ruthie. Si chiamavano così. Capelli come seta di mais, occhi come agata verde.

    Ricordi e sensazioni lo inondarono, troppo intensi e rapidi, portando con sé il dolore. Smoke gemette, ricordando un bacio... di Cass. Lei sapeva di sole, ferro e arance, la sua pelle era liscia come velluto e lui la desiderava. Voleva lei. Si era trovato a un bivio e aveva scelto di dimenticare, ma ormai aveva ricordato Cass e non c'era altro da fare, solo Cass, solo il vuoto a forma di Cass che aveva lasciato dentro di lui.

    Una volta credette di sentirla vicino. Cercò di emergere da quel tremolante non-là. Avrebbe accettato il dolore del ritorno, lasciando l'adorabile oblio, se solo avesse potuto vederla, toccarla. Ci provò. Dio solo sa quanto. Chiamò il suo nome, ma non aveva voce, perché anche quella era intrappolata in quel luogo remoto.

    Il dolore della perdita fu reale quanto ciò che si era lasciato indietro. Non sapeva se anche lei fosse prigioniera o fosse solo uno spirito, sapeva solo che era stata lì. E questo era sufficiente, insieme ai ricordi. Essi lo rafforzavano, preparandolo per il dolore.

    Il nulla era svanito, il dolore lo aspettava. Inspirò e si spinse lontano dai confini della consapevolezza, emerse in superficie e, con uno sforzo supremo, aprì gli occhi.

    4

    Quando si riprese i suoni della festa in lontananza si erano quasi spenti del tutto. Fino a poco tempo prima arrivavano di tanto in tanto un grido, scrosci di risate portati dalla brezza, un paio di petardi. Cass non aveva idea di dove li avessero scovati, dal momento che quasi tutto ciò che poteva esplodere o prendere fuoco era stato utilizzato più di un anno prima, durante l'Assedio quando le settimane erano scandite da rivolte, saccheggi e guerriglia urbana.

    A quell'epoca Cass non riusciva a dormire per il fragore degli incidenti d'auto, le urla, gli spari, le cose che venivano gettate, calpestate, travolte. Quando aveva lasciato definitivamente la roulotte in cui viveva per unirsi al gruppo che si era rifugiato nella biblioteca di Silva, la strada di fronte a casa sua puzzava di cenere bagnata e marciume, volute di fumo si alzavano oziose da una decina di strutture bruciate nella città, i cadaveri si decomponevano nelle auto e nei negozi e i sopravvissuti iniziavano a scoprire che le Carcasse non erano poi tanto facili da uccidere.

    Allora dormire era stato difficile, perché essere sobria la costringeva a sentire tutto, ogni suono, ogni pensiero, ogni ricordo. Seguire correttamente il programma degli Alcolisti Anonimi significava rinunciare alla possibilità di rifugiarsi nella negazione. Chi insisteva per giocarsi quella carta non resisteva mai a lungo e Cass partecipava al programma da parecchio tempo, abbastanza per aver visto molte persone andare e venire. E mentre giaceva insonne nella roulotte soffocante e solitaria, le lacrime che le scendevano lente sul viso, aveva accettato quei suoni come una soprattassa della sobrietà.

    Ormai niente di tutto ciò era più un problema.

    Cass sedeva sul muretto ruvido di cemento dietro casa, bevendo mentre osservava il falò trasformarsi in un cumulo di braci in mezzo al cortile di fronte al centro sociale. Era la piazza principale di New Eden; lì, nelle giornate tiepide, la gente giocava a calcio e a pallavolo. In primavera ci sarebbero stati dei picnic; e se Cass fosse riuscita a sistemare le cose con Suzanne, avrebbero potuto portarci le bambine a intrecciare ghirlande di denti di leone e salcerella selvatica.

    Le porte dell'edificio erano state spalancate e la gente usciva dalla sala con bicchieri e bottiglie di plastica in mano. Bere non era proibito a New Eden, e non era nemmeno mal visto, ma capitava di rado, tranne che nelle serate come quella. Era stato difficile farci l'abitudine, dopo il permissivismo della Scatola: al confronto l'atmosfera di New Eden sembrava quella delle sagre paesane o dei revival, morigerata al punto da risultare soffocante.

    A volte Cass sentiva la mancanza degli emarginati, dei disperati, di quelli che continuavano a perdere la battaglia con se stessi.

    Quelli come lei.

    A volte si domandava se fossero solo un'altra specie condannata all'estinzione. Dopo non c'era posto per le debolezze. Offriva troppe scappatoie, troppe ragioni per mollare.

    Ma lei, non poteva mollare, perché aveva Ruthie. E allora, quando si lasciava andare, lo faceva con dolorosa cautela. Non si godeva una sola goccia dello scadente vino di kaysev mentre lo sorseggiava lentamente. Avrebbe voluto tracannarlo, annegarci dentro, invece lo centellinava a poco a poco ogni notte, mai prima che Ruthie fosse andata a dormire, bevendone quanto bastava per dimenticare se stessa per un po'. Aveva sete di oblio, e invece si stordiva quel tanto da raggiungere un luogo dove arrivava solo l'ombra di ciò cui non riusciva a sfuggire.

    Un passo sulla ghiaia, una sagoma appena accennata nell'oscurità... Cass quasi non se ne accorse, concentrata sul bagliore arancione delle braci del falò. Poteva essere una sola persona, l'unico uomo che sapeva della sua abitudine di andare a sedersi là fuori nel cuore della notte mentre il resto della comunità dormiva, quando solo le sentinelle sul ponte erano sveglie.

    «Credevo volessi andare a dormire presto» disse Dor, sedendosi accanto a lei.

    Cass si strinse nelle spalle. «Sapevi che non lo avrei fatto.»

    «Sì, immagino di sì.»

    Rimasero seduti in silenzio per un

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