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Una settimana al castello
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E-book180 pagine2 ore

Una settimana al castello

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Info su questo ebook

Heatherglen Castle Clinic 3/4
In questa clinica davvero speciale, immersa nelle colline scozzesi, si curano le ferite del corpo e si guariscono i cuori solitari.

Quello che la veterinaria Esme Ross-Wylde voleva era offrire al dottor Max Kirkpatrick i ricavi del galà di beneficenza da lei organizzato per salvare il suo ente benefico. Solo questo. Di certo non aveva preventivato di ritrovarsi tra le sue braccia a desiderare ardente-mente ciò che non aveva mai osato sperare: qualcuno da amare...

La dolce Esme ha risvegliato il suo cuore e tutti i suoi sensi. Tuttavia Max sa che deva andarci piano con lei o rischierà di rovinare tutto quello che ha costruito fino a quel momento. Anche se una settimana intera tra-scorsa insieme a lei nel suo castello di famiglia potrebbe riuscire a lenire le ferite di entrambi.
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2020
ISBN9788830521780
Una settimana al castello

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    Anteprima del libro

    Una settimana al castello - Annie O'neil

    successivo.

    1

    Accidenti che freddo.

    La sensazione dei polmoni che bruciavano contro il vento gelido delle Highlands era una distrazione che però, per quella volta, accoglieva volentieri. Era benvenuta, quasi. Il dolore fisico ottenebrò la rabbia di Max Kirkpatrick il tempo necessario per permettergli di dire a se stesso che per ogni problema c'era una soluzione. Anche se non sempre...

    Quella volta, però...

    Ci mancavano le feste natalizie a rammentargli, ancora che, per quanto ci provasse, non sarebbe mai riuscito a fare qualcosa di buono al mondo.

    Stavolta era davvero convinto di avercela fatta. Ci aveva creduto.

    Con lo sguardo percorse la lunghezza dello sciatto edificio dell'ospedale cittadino, poi passò in rassegna l'intero lotto di terreno che un tempo era stato abbandonato. Aveva nevicato a intermittenza per settimane eppure c'erano ancora dei pazienti che gironzolavano con i loro animali, mentre altri affollavano la serra, dove si prendevano cura delle piante come fossero sangue del loro sangue.

    Accarezzò con le dita una rosa bruciata dal gelo. Era stata piantata tre anni prima dai genitori di un bambino che aveva perso la vita a causa del cancro. All'epoca Max aveva appena inaugurato il progetto Piante a Quattro Zampe. A quel ragazzino piaceva tanto uscire a giocare con il suo meticcio. Quelli erano momenti d'oro, come li chiamavano i suoi genitori. Momenti d'oro. Venivano continuamente a prendersi cura della rosa come se il loro figlio fosse ancora con loro. In un certo senso forse era così.

    Questa settimana.

    Max provò un nuovo moto di sconforto al pensiero che qualcuno stesse per distruggere il giardino. Dove un tempo c'erano pile di detriti, i resti di un'auto bruciata e gli spessi strati di graffiti che imbrattavano la parete laterale del Clydebank Hospital, erano stati creati orti, installate panchine in memoria di coloro che avevano perso la vita, circondate da bellissime aiuole fiorite. E poi, ovviamente, c'erano la serra e l'enorme capanno per gli attrezzi da giardinaggio che un gruppo di medici aveva costruito con le proprie mani. Di recente era stata installata persino una stufa a legna, per scaldare l'ambiente. Sarebbe sparita anche quella, insieme alla ghirlanda natalizia che qualcuno aveva già appeso alla porta nonostante le sue proteste sul fatto che fosse ancora troppo presto.

    Si chinò, raccolse un paio di pietre e le ributtò nel giardino roccioso che una delle pazienti di lunga degenza del Clyde, malata di leucemia, aveva abilmente creato, vantandosi di non averlo mai fatto prima. Se la sarebbe presa quando fosse venuta a sapere che stavano per demolirlo per gli interessi di qualche riccastro imprenditore edile.

    Mentre rimetteva a posto un'altra pietra, un cucciolo di border collie gli corse incontro scodinzolando. Si rotolò sulla schiena, festoso, invitandolo a farsi grattare la pancia. Lui si guardò attorno, ma non vide nessuno.

    Gli diede una scrollatina. «Ehi, piccolo. Sei proprio carino. Ma a chi appartieni?»

    «Qualcuno potrebbe obiettare che i cani non appartengono a nessuno.»

    Quella voce femminile gli percorse la spina dorsale come miele caldo. Bassa e roca, era il tipo di voce che avrebbe potuto convincere un uomo a fare qualsiasi cosa. Fortuna che lui si era costruito la sua armatura emotiva anni addietro.

    Max stava per ribattere che sapeva bene come funzionavano le relazioni tra uomini e cani, grazie tante, quando un paio di stivali costosi gli apparvero davanti sul sentiero lastricato di legno. Stivali costosi abbinati a un accento da scuola privata. Sempre scozzese, ma avrebbe scommesso sul fatto che venisse da quel tipo di scuole che hanno la loro danza tradizionale. Come la scuola militare in cui il suo patrigno lo aveva depositato con la forza, che incoraggiava fortemente gli incontri con «le personalità di potere», come amava chiamarle il preside.

    O meglio, affaristi senza scrupoli, stando alle notizie del giorno. Ancora non riusciva a farsene una ragione. L'ospedale si era rimangiato la parola. Certo, avevano bisogno di soldi, ma chiudere Piante a Quattro Zampe per lasciare che un affarista senza scrupoli costruisse un parcheggio...

    Tre anni di duro lavoro, addio. Per non parlare del senso di pace che aveva provato all'idea di aver finalmente portato a termine il proprio voto di fare qualcosa di buono per compensare le mancanze nei confronti di sua madre: offrire agli altri un rifugio dalla vita, che spesso non si rivelava dolce come avrebbe dovuto.

    Il cucciolo strofinò il muso contro la sua mano.

    «Come si chiama?»

    «Skye» rispose la donna.

    La sua voce sembrava una decorazione natalizia. Un angelo? Chissà... Era troppo dannatamente piacevole, ecco cosa.

    I suoi stivali di pelle gli si avvicinarono ancora un po'. Italiani? Sembravano fatti a mano.

    «Spero prenda questa sua messinscena alla Love Me Tender per quello che è. Skye ha sempre dei secondi fini e da quel che vedo, lei sta proprio assecondando le sue intenzioni.»

    Non voleva nemmeno cercare di capire cosa volesse dire.

    «È un collie da lavoro o è uno dei cani da terapia?» Avevano provato a introdurre la dog therapy in ospedale ma, come sempre, la mancanza di risorse non aveva permesso di portare avanti il progetto con quei teneri ammassi di pelo.

    «Da lavoro. Ma è ancora in addestramento. È precoce. Proprio come sua madre.»

    Cavolo. La voce di quella donna era come burro. Meglio. Burro e miele insieme. Se poi ci aggiungevi un bicchiere di whisky caldo sarebbe stato il drink perfetto in una giornata come quella.

    «Che tipo di addestramento?» chiese lui, per fermare i pensieri che stavano prendendo una direzione sbagliata.

    «Ricerca e soccorso.»

    Interessante. Si sarebbe aspettato un addestramento in agility. O magari come cane da pastore. Una voce come quella spesso aveva anche delle proprietà terriere. Gestite da altri. Sollevando la testa, il sole lo abbagliò e non riuscì a vedere altro che una chioma bionda in cima a un paio di gambe lunghe e flessuose, avvolta in un costoso cappotto di cashmere.

    La Signorina dagli Stivali si chinò al suo livello e nell'istante in cui i loro occhi si incrociarono lui si rialzò.

    Penetranti occhi azzurri. Una nuvola di ricci del colore del sole estivo. E un viso così bello da sembrare scolpito nel marmo.

    «È una paziente?» Era l'unica cosa che riuscì a pensare di chiederle, anche se conosceva la risposta...

    «No.» Rispose lei tendendogli la mano senza togliere il guanto di pelle. «Esme Ross-Wylde.»

    Max riuscì a mantenere un'espressione neutrale. Persino lui che non amava i giornali aveva sentito parlare dei Ross-Wylde. Facevano parte dell'alta nobiltà scozzese. La tenuta dei Ross-Wylde aveva circa cinquemila acri, se non ricordava male. Un paio d'ore a nord di Glasgow. Prima che sua madre sposasse Il Dittatore, come lui chiamava il suo patrigno, una volta lo aveva portato lì in occasione di una delle loro famose fiere di Natale. Una villa maestosa, o meglio, un castello. Ricchi terreni. Stalle enormi. Pista di pattinaggio sul ghiaccio. Mele caramellate e omini di pan di zenzero. Era stato il suo ultimo Natale prima che fosse costretto a «guadagnarsi da vivere».

    «Allora...» Batté le mani e si guardò attorno nel giardino popolato di persone sparse. «Ha portato qui Skye per incontrare qualcuno?»

    Lei gli rivolse un sorriso che avrebbe potuto accenderlo come un fiammifero. Per fortuna si erano incontrati in una brutta giornata. Fosse stata bella... Probabilmente avrebbe finito per infrangere qualche regola.

    «Stavo cercando lei.» Sollevò una sciarpa dall'aspetto famigliare.

    «Come l'ha avuta?» Sapeva di avere un tono teso, ma con la fortuna che aveva quella tizia sarebbe anche potuta essere l'immobiliarista. Se stava cercando di addolcire la pillola prima di comunicargli la data d'inizio dei lavori di demolizione avrebbe fatto meglio ad arrivare al sodo.

    Esme non si lasciò influenzare dalla sua risposta brusca. Fece un cenno con la testa verso il capanno del giardino porgendogli la sciarpa. «Un membro del suo fan club me l'ha data per far esercitare Skye nella ricerca

    Max guardò verso il capanno e vide un paio di pazienti del reparto oncologico che lo salutavano. Che facce toste. Stavano cercando di soffiare aria sul fuoco tutt'altro che spento della sua vita sociale, dopo che avevano scoperto che le infermiere lo chiamavano Il Monaco. Alzò gli occhi al cielo e tornò a Esme Ross-Wylde. «Presumo che allora sia qui per la parte di soccorso

    Lei fece spallucce. «Se le interessa.»

    La coda di Skye cominciò ad agitarsi.

    Era un accenno di sorriso quello che si stava formando all'angolo delle sue labbra invitanti?

    Stavano flirtando? Non era sua abitudine farlo. Lui si alzava il mattino, andava a fare il medico di Pronto Soccorso in uno degli ospedali più disagiati di Glasgow, poi tornava a casa, andava a dormire e il giorno dopo ricominciava da capo. A volte usciva e andava a lavorare nell'orto. Di certo non aveva tempo per flirtare.

    Quando vide che lui rimaneva in silenzio, lei proseguì: «Cosa ne direbbe se Piante a Quattro Zampe rimanesse proprio dov'è?».

    Lui le lanciò un'occhiata e qualcosa che non aveva niente a che fare con la gratitudine gli perforò il petto, scendendo dritto fino alla cintola per poi tornare su. Dall'espressione sul suo viso, doveva provare anche lei la stessa cosa. Un'indesiderata attrazione animale.

    Dannazione! Se aveva imparato qualcosa dalla vita era che ogni cosa aveva un prezzo. Meglio strappare il cerotto e passare oltre. «Qual è la fregatura?»

    «Affascinante.» Esme sollevò un sopracciglio. «È così che conquista tutte le ragazze?»

    «Con alcune funziona.» L'alzata di spalle del dottor Kirkpatrick era inconsapevolmente sexy.

    «Non con quella che ha davanti.» Sporse in fuori il fianco, come a voler puntualizzare che non lo trovava affatto attraente e che comunque il suo corpo non avrebbe flirtato con lui senza il suo permesso.

    «Se lo dice lei» le disse con una smorfia, e le labbra di lei fecero lo stesso. Dovevano essere rimasti entrambi scottati e, se aveva ragione, si trattava di ferite dure a guarire.

    Esme sbuffò, anche se le farfalle che le svolazzavano nello stomaco e il bagliore negli occhi di lui le suggerivano che Max Kirkpatrick sapeva il fatto suo.

    Non era per niente come se lo era immaginato quando aveva sentito parlare del medico di Pronto Soccorso che aveva realizzato un giardino multifunzione nel quale i pazienti potevano coltivare carote e giocare con i loro animali domestici. Per qualche ragione si era convinta che fosse più vecchio. Tipo... un nonno. E neanche lontanamente sexy quanto l'uomo che ora la guardava con le sopracciglia alzate.

    Richiamò Skye e le accarezzò la testa. Persino da cuccioli, i cani erano sempre sinceri. Costanti. Fedeli.

    Non come gli uomini. Quella era una cosa che aveva imparato a proprie spese quando la sua vita era finita spiattellata su tutti i tabloid, facendole fare la figura della ventenne sprovveduta e ingenua. La Esme Ross-Wylde di oggi era amichevole, pratica e, nonostante i giornali aggiornassero continuamente il pubblico sulle sue attività di beneficenza, in grado di tenere la propria vita privata come tale. Il che era positivo, dal momento che la velocità con cui lo stava spogliando con gli occhi avrebbe potuto vincere una medaglia alle olimpiadi.

    «Ha intenzione di dirmi qual è la fregatura o devo iniziare a indovinare?» Il cipiglio di Max si accentuò, come se stesse anche lui combattendo contro le sue stesse, impertinenti fantasie a occhi aperti, contrarie a qualsiasi buon senso.

    Di solito sponsorizzare un'iniziativa di beneficenza era una cosa piuttosto semplice.

    In genere non si sentiva come se tutto il suo corpo si stesse illuminando come un albero di Natale, in un modo che non riteneva possibile dopo anni passati a proteggere il proprio cuore infranto. Provava un nodo alla bocca dello stomaco. Sentirsi come un'adolescente arrapata non era affatto sicuro. Tuttavia... non riusciva a togliergli gli occhi di dosso.

    Eddai, Esme. Sai come funziona. Trovi un'associazione. Offri un'ancora di salvezza sotto forma di ballo di Natale. Doni un paio di cani da lavoro, due settimane di addestramento a Heatherglen. Fine della storia.

    Si costrinse a rispondere. «Da quel che ho sentito, potrebbe avere bisogno del mio aiuto.»

    Il dottore si incrociò le braccia al petto e si raddrizzò nel suo metro e ottanta in modo che lei non potesse vedere altro che la sua figura. Una classica posa da macho, studiata per intimidire.

    Però... lei non ricevette quella vibrazione dal dottor Kirkpatrick. Sembrava più protettivo che aggressivo. C'era qualcosa nella sua postura dritta e imponente che faceva pensare a un periodo nell'esercito. Il fratello di Esme aveva la stessa presenza solida. A differenza di chiunque altro, Max Kirkpatrick non era imbacuccato dalla testa ai piedi ma indossava un maglione di lana leggero con il logo dell'ospedale e i pantaloni della divisa blu. Nient'altro. Una persona normale sarebbe morta congelata.

    Una persona normale non sarebbe riuscita a farle mettere in dubbio la sua regola ferrea: niente-uomini-per-Esme. Ma quel tizio? Mmh... Capelli castano scuri, leggermente ondulati e spettinati che sembravano implorarla di infilarvi le dita. Occhi color del caffè, di una profondità che brillava di sfumature dorate ogni qualvolta si incontravano con i suoi. Tutto di lui lo rendeva alto, oscuro e misterioso. E a Esme piacevano i misteri.

    No!

    Non le piacevano i misteri. Le piaceva la tranquillità e l'affidabilità. Però... tranquillo e affidabile non erano di certo le doti che le avevano fatto battere il cuore quando suo fratello le aveva presentato dei «tipi da

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