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Aftertime - Il risveglio (eLit): eLit
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E-book378 pagine5 ore

Aftertime - Il risveglio (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Il mondo è finito ieri...

Quando si risveglia in una terra desolata e sfregiata come il suo corpo, Cass Dollar ricorda vagamente di essere sopravvissuta a qualcosa di terribile. Non ha idea di quanto tempo sia passato, sa solo che la piccola Ruthie, sua figlia, è svanita. E con lei quasi ogni traccia di civiltà. Al posto delle auto e dei centri commerciali, ora sulle strade ci sono solo zombie affamati di carne umana. I pochi sopravvissuti non si fidano più di nessuno, men che meno di una donna che è stata contagiata dai morti viventi e che misteriosamente è guarita. L'unico che non le volta le spalle è l'enigmatico Smoke, sfuggente e pericoloso come il nome che porta. Lui è altruista, forte, coraggioso, e chissà perché l'ama. Ma Cass non ha il coraggio di perdersi nei suoi seducenti occhi blu...



Aftertime novels:

Aftertime - il risveglio

Tomorrow - la rinascita

Horizon - l'alba di un nuovo giorno
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2016
ISBN9788858962428
Aftertime - Il risveglio (eLit): eLit

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    Aftertime - Il risveglio (eLit) - Sophie Littlefield

    successivo.

    1

    Senza dubbio era estate. Le notti erano troppo brevi e i giorni troppo lunghi. Qualcosa nel colore del cielo le diceva che era agosto. Forse l'azzurro era più azzurro. Una volta, Prima, l'autunno non si annunciava proprio così, con l'intensificarsi dei colori quando l'estate a settembre, iniziava ad affievolirsi?

    Una volta Cass sarebbe stata in grado di capirlo dai fiori selvatici che crescevano sulle pendici delle colline su cui correva. In agosto i petali cadevano dai papaveri arancione intenso e i soffioni del tarassaco volteggiavano lievi nella brezza oziosa. I cervi diventavano spavaldi e si abbeveravano al ruscello che correva parallelo alla strada. La terra si asciugava e si crepava; lucertole e insetti facevano capolino dai loro nascondigli tra le erbacce.

    Ma quello era due vite prima, così lontano nel tempo da sembrare una storia che le era stata raccontata una volta, forse sussurrata da un amante mentre scivolava nel sonno dopo un Coca e Jack di troppo, effimera e dai contorni sfocati. Non ci avrebbe creduto, se non fosse stato per Ruthie. A Ruthie piaceva moltissimo vedere i semi del tarassaco volteggiare nell'aria quando ci soffiava sopra.

    Ruthie, che lei non poteva vedere, toccare o tenere tra le braccia. Ruthie, che aveva gridato quando gli assistenti sociali l'avevano trascinata via, le gambette che scalciavano disperatamente. Mim e Byrn non avevano degnato Cass di uno sguardo, quando lei era crollata sul pavimento sporco della roulotte augurandosi di essere morta.

    A quell'epoca Ruthie aveva due anni.

    Cass accelerò, i passi lunghi e sicuri sulla strada in leggera salita. Aveva a malapena il fiato corto. Ma quello non era niente, anzi, meno di niente. Conficcò le unghie, dure e taglienti, nella pelle indurita dei pollici. Dura, più dura, durissima. In quel punto la pelle era ormai abituata ai suoi abusi e si rifiutava di sanguinare. Per tagliarla ci sarebbe voluto qualcosa di più tagliente delle unghie. I denti avrebbero potuto funzionare, ma lei non voleva usarli. Si sarebbe accontentata di usare le unghie finché il dolore non avesse fatto breccia nella sua mente. Il dolore era sufficiente.

    Aveva percorso parecchia strada durante la notte illuminata dalla luna; ormai era quasi l'alba e la luce del sole nascente iniziava a illuminare gli scheletri nero bluastri della foresta, un lieve bagliore aranciato che cresceva nel cielo. Quando il primo spicchio di sole fosse stato visibile, Cass avrebbe lasciato la strada e si sarebbe nascosta tra ciò che restava degli alberi. Avrebbe trovato un riparo... alcuni cespugli originari della zona erano sopravvissuti. In alcuni punti gli arbusti di creosoto crescevano ancora alti.

    Ed era facile individuarle. Le vedevi prima che loro vedessero te, e allora ti nascondevi e pregavi. Se ti scorgevano, se si avvicinavano abbastanza da avvertire il tuo odore, eri peggio che morto.

    Cass continuò a camminare sull'asfalto crepato che era stato la Highway 161, aggirando le sporadiche automobili abbandonate e cercando di non guardare dentro. Non si sapeva mai cosa si poteva vedere. Il più delle volte niente, ma... era meglio non guardare e basta. Grossi pezzi di asfalto erano stati divelti da tozze piante di kaysev che avevano messo radici nelle crepe. Oltre il bordo della strada ne crescevano folti ciuffi, le cui foglie scure e lucide nascondevano grappoli di baccelli. Avevano lo stelo liscio, senza lappole o spine, e non era difficile camminarci in mezzo. Ma camminare sulla strada consentiva a Cass, di quando in quando – e mai quando ci provava – di tornare indietro con la mente a un altro tempo... E se era davvero fortunata riusciva a fingere di essere tornata a due vite prima.

    Portare Ruthie, che camminava appena, fino al 7-Eleven, e comperarle una granita al mirtillo, perché Ruthie si divertiva a tirare fuori la lingua colorata di blu e a guardarsi nello specchio. Tornare a casa tagliando attraverso il parcheggio della scuola, saltando e ridendo sulle strisce gialle dei posti auto, e sollevare Ruthie tenendola per le braccia facendola dondolare per aria.

    Sì, era bello camminare sull'asfalto. Cass aveva delle buone scarpe, anche se non ricordava da dove venissero. Sembravano da uomo, comuni scarpe da passeggio marroni con i lacci, ma le andavano bene. Doveva essere stato un uomo piccolo. Come si fosse procurata quelle scarpe... preferiva non pensarci. Le scarpe erano buone, comode e non le avevano fatto venire vesciche né le facevano male benché camminasse da giorni.

    Un movimento attirò la sua attenzione tra i resti aguzzi dei boschi. Cass si fermò all'improvviso e scrutò tra gli scheletri degli alberi e i cespugli. Aveva visto un lampo biancastro? Oppure era solo un raggio di sole che si rifletteva su... cosa? C'erano solo i tronchi nudi di cipressi e pini morti, un cespuglio secco di manzanita, qualche ciuffo di kaysev e alcune delle tipiche formazioni rocciose che punteggiavano Sierra Foothills.

    Snap.

    Cass voltò la testa di scatto e vide di nuovo quel lampo, una macchia di tessuto in rapido movimento e, oh, mio Dio, era proprio bianca, una ragazzina con i capelli scuri e una maglietta bianca che correva verso di lei a una velocità con cui Cass non avrebbe immaginato di veder muovere nessuno, proprio lei che una vita prima aveva corso disperata per centinaia di miglia sull'asfalto cercando di cancellare ogni cosa, fino ad avere male alle gambe e ad avere i polmoni che scoppiavano e la testa quasi, ma mai del tutto, vuota.

    Eppure, perfino Cass non aveva mai corso come quella ragazzina.

    Doveva avere dodici o tredici anni. Forse anche quattordici, difficile dirlo ormai. Prima le quattordicenni sembravano ventenni, con i loro push-up e l'eyeliner. Ora quasi nessuno si vestiva più in quel modo.

    La ragazzina teneva la lama come adesso si insegnava ai bambini, salda di fronte a sé, dove avrebbe avuto le probabilità migliori di tagliare la carne di una Carcassa. Perché era quello che credeva lei fosse, una Carcassa, e il pensiero colpì Cass allo stomaco, facendola quasi piegare in due per la repulsione. Si portò le mani all'attaccatura dei capelli, dove avevano appena cominciato a ricrescere in ciuffi di un paio di centimetri. Sapeva che aspetto avevano le sue braccia, coperte di croste, quasi peggio adesso che stavano guarendo e la pelle morta si squamava per lasciare il posto a quella nuova. E quello era niente in confronto al disastro che era la sua schiena.

    Non si lavava da giorni e sapeva di puzzare. I capelli lunghi dietro la testa, quelli che non si era strappata, erano aggrovigliati, le unghie annerite e rotte. Le vere Carcasse in genere non avevano più unghie, ma come poteva pretendere che la ragazzina notasse un dettaglio del genere?

    Nei due o tre secondi che la ragazzina impiegò per percorrere gli ultimi metri sul terreno coperto di sterpaglia, Cass prese in considerazione l'ipotesi di restare ferma, con le braccia alzate e il mento sollevato, offrendole un bersaglio facile. Glielo insegnavano bene, qualunque bambino al di sopra dei cinque anni era in grado di trovare la giugulare, la femorale, la carotide e la vena ulnare. Si esercitavano su manichini ricavati dalle bambole o vestiti imbottiti di paglia. A volte anche sui morti.

    All'ultimo momento, Cass si spostò.

    Non sapeva perché; sarebbe stato più facile, molto più facile, accogliere la lama, lasciare che si aprisse un varco fino al suo nucleo vitale e sentire il sangue sgorgare, ancora caldo e rosso nonostante tutto, gorgogliando sulla lama che le affondava nella carne, riversandosi sulla terra indurita. Forse nel punto in cui fosse caduto sarebbe nata una delle piante di Prima. Una delicata campanula di montagna, magari... erano sempre state le sue preferite, con i petali delicati che andavano dall'azzurro pallido come il cielo al viola scuro.

    Ma Cass si scostò.

    Che la sua anima fosse maledetta.

    Era la terza volta che si rifiutava di morire, quando la morte avrebbe reso tutto più semplice.

    Cass rimase a guardare quasi impassibile il suo piede guizzare in avanti, il baricentro stabile, l'equilibrio quasi perfetto. La ragazzina spalancò gli occhi, inciampò e, all'ultimo momento, quando la lama le cadde di mano e lei precipitò barcollando verso Cass, il terrore nei suoi occhi fu tale che avrebbe spezzato il cuore di Cass, se solo lei avesse avuto ancora un cuore che poteva spezzarsi.

    2

    Tutti ricordavano la prima volta in cui avevano visto una Carcassa. In genere erano più di una perché, fin dall'inizio si riunivano in gruppi di almeno tre o quattro che si aggiravano alla periferia delle città.

    Per Cass la prima volta era stata al QikGo.

    Aveva lavorato in quel piccolo supermercato fino alla fine. Dove altro sarebbe potuta andare? Non poteva lasciare Silva, non senza Ruthie. Ma mentre il mondo andava a rotoli – mentre la carestia paralizzava l'Africa e l'Asia meridionale, le capitali del G8 precipitavano nel caos una dopo l'altra per via delle rivolte seguite agli attacchi aerei, mentre le comunicazioni con la Cina venivano oscurate e l'Australia circondava di mine le sue coste – Mim e Byrn si erano aggrappati ancor di più alla nipotina. Cass non aveva un piano preciso, intendeva solo aspettare finché non ci fossero più stati poliziotti, sceriffi e assistenti sociali disposti ad accorrere quando Mim e Byrn li chiamavano per impedire a Cass di vedere la figlia o mettere piede sulla loro proprietà.

    Quando quel giorno fosse arrivato, sarebbe andata a casa loro e si sarebbe ripresa Ruthie. Con la forza se necessario. Sarebbe stato doloroso scorgere rabbia e disprezzo sul viso di sua madre, ma non più di quanto l'avesse ferita il rifiuto di Mim di riconoscere quanto Cass avesse lavorato sodo per essere degna di Ruthie. La targhetta per i novanta giorni da sobria che teneva legata al portachiavi. Il medaglione per i due anni che aveva meritato prima della sua unica ricaduta. Il lavoro che era riuscita a conservare nonostante tutto... Forse gestire un minimarket non era la carriera più sfolgorante del mondo, ma almeno aiutava quotidianamente la gente a tirare avanti, invece di dissanguarla a poco a poco come faceva Byrn con le sue discutibili strategie di investimento. Del resto, lei e sua madre avevano sempre visto le cose in modo radicalmente diverso.

    A Cass non sarebbe dispiaciuto vedere il patrigno, che finalmente era più debole di lei, il corpo da ex giocatore di football ormai vecchio e fragile in confronto al suo, che invece era diventato snello e forte. Immaginava già l'espressione impotente di Byrn quando gli avrebbe portato via l'unica cosa con cui potesse farle del male. E con impazienza ancora maggiore aspettava il momento in cui lui avrebbe capito di aver perso. Non lo avrebbe mai perdonato, ma forse, quando si fosse ripresa Ruthie, avrebbe potuto cominciare a dimenticare.

    Il momento era vicino. Negli ultimi giorni i cellulari avevano cominciato a non funzionare e le linee telefoniche erano fuori servizio da una settimana. Le trasmissioni televisive si erano interrotte dopo l'ultima comunicazione ufficiale del governo che annunciava di aver precettato i lavoratori delle centrali per la produzione di energia elettrica e la fornitura d'acqua. Era stato un fiasco clamoroso: erano scoppiati disordini anche nei pochi posti che fino a quel momento erano stati tranquilli e correva voce che le autorità avessero oscurato i media di proposito. Alcuni sostenevano che fosse opera di hacker russi. In quei giorni l'opinione prevalente era che non ci fosse più energia ad Angel's Camp, e ogni pompa di benzina in città era stata saccheggiata, eccetto la Shell di Bill, dove lui e i suoi due generi montavano la guardia a turno con un paio di fucili da caccia.

    A chi sarebbe importato del destino di una bambina, a quel punto?

    Due giorni prima Cass aveva smesso di chiedere denaro ai clienti, a meno che non lo offrissero spontaneamente. Alcune persone sembravano trovare conforto nell'aggrapparsi ai piccoli automatismi quotidiani di quello che stava diventando rapidamente il Prima, e se la gente metteva mano al portafoglio, Cass era pronta a dare il resto. Le persone prendevano le cose più strane. C'erano quelli che erano arrivati presto per fare incetta di carta igienica, aspirina, acqua e, con sollievo di Cass, alcolici. Poi la gente aveva iniziato a vagare tra gli scaffali arraffando oggetti che non potevano più servire: una scheda telefonica prepagata, una cartina turistica.

    Meddlin, il suo capo, non si vedeva da giorni. Il QikGo era tutto suo, aveva pensato Cass. A ogni modo, non le importava niente di Meddlin. Gli altri, la fragile rete di commessi degli altri turni, se ne erano andati subito dopo che i media avevano smesso di trasmettere.

    Una fresca mattina di marzo, il giorno dopo che le luci avevano iniziato a lampeggiare per poi spegnersi definitivamente, Cass stava chiacchierando con Teddy, un ragazzo del college che viveva in fondo alla strada con un gruppo di compagni d'appartamento ai quali sembrava non stesse molto simpatico. Gli aveva offerto un caffè, chiedendosi se sarebbe stata l'ultima volta che lo preparava, e poi aveva pulito il bancone. Non consegnavano il latte fresco da settimane, così aveva preso un barattolo di quello condensato.

    Quando avevano sentito tintinnare la campanella della porta, entrambi si erano voltati a guardare.

    «Febbricitanti» aveva commentato Teddy sottovoce. Cass aveva annuito. Quelli che avevano mangiato la fogliablu – ed erano sopravvissuti – erano inconfondibili. Avevano la pelle lucida di sudore per via della febbre. I loro movimenti erano impacciati. Ma la cosa più singolare erano gli occhi: le pupille contratte fino a diventare minuscoli puntini neri. Nelle persone con le iridi scure l'effetto era solo inquietante, in quelle con gli occhi chiari era allo stesso tempo affascinante e spaventoso.

    In tempi normali, ci sarebbero state squadre di medici e scienziati che avrebbero raggruppato i malati per studiarli e curarli. Vista la situazione, invece, tutti eccetto i parenti più stretti dei malati preferivano girare al largo.

    «Vetro là là» aveva detto uno di loro, un uomo con la camicia a quadri abbottonata male, così che un lembo era più lungo dell'altro, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Una donna con lunghi capelli castani che le cadevano arruffati sulle spalle, si era avvicinata a un espositore con alcuni sacchetti di patatine fritte e con il braccio irrigidito gli aveva dato una spinta. Quando era caduto per terra era scoppiata a ridere, senza preoccuparsi di evitare i sacchetti che erano scoppiati sotto i suoi piedi, disseminando briciole ovunque.

    «Iiih» aveva bofonchiato e in quel momento Cass aveva notato un'altra cosa strana in lei. Le braccia della donna erano rosse, coperte di sangue rappreso, la pelle era graffiata e in alcuni punti mancava del tutto. Sembrava che le avessero passato una grattugia addosso. Cass aveva guardato gli altri: anche la loro pelle era coperta di croste.

    In quel momento aveva avvertito un brivido di allarme. C'era qualcosa di sbagliato. Molto sbagliato. Qualcosa di più inquietante della febbre, degli sguardi appannati e delle frasi incoerenti.

    Le era parso di riconoscere uno del gruppo, un uomo robusto e muscoloso sulla quarantina, con la barba incolta. Di solito passava a comperare le sigarette ogni due giorni. Indossava un paio di bermuda corti e molto sporchi, e anche lui aveva braccia e gambe coperti di tagli e graffi.

    «Salve» lo aveva salutato. L'uomo si era fermato di fronte allo scaffale su cui si trovavano i pochi prodotti rimasti in negozio, bottiglie di shampoo e colluttorio e alcune scatole di cerotti. «Vuole...»

    La sua voce si era spenta quando lui si era voltato e l'aveva guardata con sconfinati occhi azzurri e inespressivi. «Andando palazzo» aveva detto sottovoce, poi si era portato il braccio ferito al volto e, senza distogliere il suo sguardo fisso da lei, si era leccato le labbra e aveva mordicchiato la carne rossa e lucida. I suoi denti si erano chiusi sulla cute danneggiata e avevano tirato la pelle, allungandola fino a lacerarla. Un pezzetto grande come un fiammifero si era staccato, lasciando una macchia di sangue scintillante che si era allargata piano piano.

    L'uomo aveva fissato Cass per un momento, il lembo di pelle tra i denti, poi aveva tirato fuori la lingua, aveva risucchiato il brandello di carne e l'aveva masticato.

    «Per la miseria, amico» aveva esclamato Teddy, arretrando così in fretta che il suo piede aveva urtato il bancone. Cass si era sentita rivoltare lo stomaco per il disgusto. Quell'uomo si era strappato la pelle e se l'era mangiata! Era successo lo stesso al suo braccio? Croste e ferite aperte erano opera sua?

    «Miseria amico» aveva borbottato l'uomo mentre esplorava con denti e lingua la carne devastata del proprio braccio. Cercava la pelle, aveva intuito Cass, inorridita. La disposizione delle ferite – che coprivano tutto il braccio tranne il gomito – indicava i punti che era riuscito a raggiungere con la propria bocca. Come per confermare quel sospetto, l'uomo si era girato l'avambraccio in bocca, cercando lembi di pelle rimasta, arrivando infine alla mano dove aveva addentato il palmo coperto di croste. Il sangue gli era sgocciolato sulle labbra e lungo il mento.

    «Fuori» era riuscita a dire Cass. «Tutti fuori.» Era corsa verso la donna esile, quella che aveva rovesciato le patatine, e l'aveva spinta via. La donna era indietreggiata barcollando, e aveva guardato Cass con vago interesse.

    «Cass» aveva biascicato, riprendendo l'equilibrio. «Cass casstello osstello.»

    Cass l'aveva fissata con maggiore attenzione, e allora l'aveva riconosciuta: era l'impiegata che lavorava allo sportello della banca quando lei andava a depositare i contanti. Non la vedeva da qualche settimana, da quando la banca aveva chiuso, le finestre sfondate da sciacalli convinti che il denaro potesse ancora servire. Denaro che comunque non avevano potuto prendere, perché era chiuso in casseforti che nessuno poteva aprire.

    Di solito era pettinata in modo diverso. Si arricciava i capelli ogni mattina e usava un ombretto verde che sfumava in una tonalità più scura vicino alle ciglia. Indossava top scollati e vestiti colorati, diversissimi da quelli che portava in quel momento, una maglietta rossa troppo grande, infilata solo in parte nei jeans.

    «Sai chi sono?» aveva domandato Cass, ma gli occhi della ragazza si erano spostati altrove mentre mormorava qualcosa di simile a iam iam prima di dirigersi verso gli altri.

    «C'è qualcosa che non va in loro» aveva detto Teddy. «Li hai sentiti? Sembra che stiano delirando.»

    Cass aveva annuito. «Dobbiamo mandarli fuori.»

    Teddy era scivolato oltre il gruppo e aveva spalancato la porta. «Noi sta... stavamo per chiudere» aveva balbettato e, nonostante l'inquietudine, Cass aveva notato che aveva detto noi e ne era stata felice. Forse Teddy sarebbe rimasto, le avrebbe tenuto compagnia. E quando in negozio non fosse rimasto più niente, l'avrebbe aiutata a decidere cosa fare. Cass viveva per conto proprio da molto tempo e si era convinta di non volere nessuno intorno, nemmeno nei giorni in cui si sentiva più sola, quando la voglia di bere era quasi insopportabile.

    Ma forse adesso lo voleva, aveva pensato. Un amico. Da quanto non aveva un amico?

    Rincuorata da quel pensiero, si era avvicinata alle tre persone febbricitanti. Aveva posato le mani sulla schiena della ragazza – cercando di toccare solo la stoffa e di non guardare la carne nuda e sanguinolenta delle braccia – e l'aveva spinta. La ragazza si era lasciata guidare verso la porta e gli altri l'avevano seguita. Dopo averli mandati fuori tutti, Cass aveva chiuso la porta, sprangandola con il chiavistello.

    La giornata era calda, ma un sottile strato di nuvole velava il cielo; le tre persone che lei aveva chiuso fuori avevano guardato il sole senza battere le palpebre. Cass si era chiesta se stessero lentamente diventando cieche.

    La ragazza si era avvicinata all'uomo con la camicia abbottonata male e, per un momento, Cass aveva creduto che lo stesse baciando, premendogli il viso su un lato del collo. Lui non aveva reagito, ma non si era nemmeno voltato per abbracciarla.

    «Lo sta...» aveva sussurrato Teddy, spaventato, e Cass aveva guardato meglio.

    La donna aveva scosso il capo, e solo in quel momento Cass si era resa conto che aveva conficcato i denti nella carne dell'uomo e stava cercando di strapparne un lembo.

    Teddy si era voltato e aveva vomitato sul pavimento, mentre un rivolo di sangue colava lungo il collo dell'uomo e la donna cominciava a masticare.

    3

    La ragazza con il coltello si chiamava Sammi, ma Cass lo scoprì solo più tardi. All'alba lasciarono la strada e si addentrarono nei boschi. Quando arrivarono alla scuola, forse un miglio più avanti, il sole era alto nel cielo. Era il cielo più limpido che Cass avesse visto da quando era tornata, senza una nuvola, e quando oltrepassarono un'altura sormontata da una formazione rocciosa e da quello che una volta doveva essere stato un magnifico gruppo di cipressi, l'edificio si stagliò nitido nell'azzurro intenso.

    Era stato costruito negli ultimi anni del Prima. L'architetto aveva progettato ampi tratti a stucco, un tetto a punta la cui forma doveva assomigliare a un cedro, pareti di vetro in stile Prairie e cornicioni aggettanti. Sull'insegna di ferro battuto si leggeva ancora Scuola Media di Copper Creek.

    Cass conosceva quella scuola, l'avevano costruita a metà strada tra Silva e Terryville; ci era passata davanti centinaia di volte, immaginando che un giorno Ruthie l'avrebbe frequentata.

    Era vicina a casa.

    Fino a quel momento la ragazzina non aveva aperto bocca. Cass batté sulla coscia il coltello che le aveva preso, allentando la presa sul tergicristallo che aveva strappato dal parabrezza di un'auto per infilarlo attraverso le maniche della sua maglietta in modo da creare una specie di imbracatura improvvisata. Poi rammentò i pericoli che correva e serrò le dita di nuovo. Mi dispiace, disse muovendo solo le labbra, e solo perché la ragazzina non poteva vederla. Sammi attraversò il parcheggio con passo rapido e sicuro, le spalle dritte, e Cass non poté fare a meno di ammirare il suo coraggio.

    Per quanto ne sapeva lei, Cass avrebbe potuto mettere in atto la propria minaccia e aprirle la gola da un orecchio all'altro. La lama era buona, uno stiletto a doppio taglio con una piccola guardia, lungo circa una quindicina di centimetri. Qualcuno teneva a quella ragazzina, e si era assicurato che avesse una buona arma e una probabilità di sopravvivere.

    «Quando usciranno, di' loro che se si avvicinano ti uccido» mormorò, odiandosi per aver pronunciato quelle parole... e sapendo che non erano vere. «Diglielo subito.»

    La ragazzina si limitò ad annuire.

    Era sensato scegliere una scuola, ovviamente. Le minacce di Prima sembravano poca cosa, adesso. Tutti si preoccupavano che uno squilibrato potesse entrare nella scuola per rapire i bambini, fare loro del male o ucciderli. O che uno degli alunni portasse a scuola un'arma per uccidere i compagni. Certo, Prima era successo, tanto che le scuole avevano adottato misure di sicurezza sempre più sofisticate, fino ad assomigliare a fortezze, sigillate e impenetrabili.

    In un certo senso non era difficile restare al sicuro nemmeno Dopo. Un semplice muro poteva tenere lontane le Carcasse. Bastava una cancellata, alta anche solo due metri come quella che circondava il cortile della scuola. Purché non ci fossero Cittadini nelle vicinanze, niente che potesse attirare le Carcasse e scatenare la loro brama di carne, qualunque barriera sarebbe bastata a distrarle e indurle a tornare nei loro fetidi nidi.

    Qualcuno – almeno verso la fine della seconda vita di Cass – sosteneva che le Carcasse stavano diminuendo. Lei non ne era così sicura. Avevano formato gruppi sempre più numerosi, piccole bande nomadi che si impadronivano di quartieri e cittadine intere, e non apparivano più in luoghi sporadici. Sembrava che anche loro avessero nostalgia del Prima, come tutti. A volte ripetevano piccoli gesti quotidiani, come le frasi senza senso che talvolta borbottavano, frammenti partoriti da ciò che restava della loro mente, ripescati da una memoria che aveva ceduto alla febbre e alla malattia. Cass ne aveva vista una cercare di salire su una bicicletta e cadere quando i suoi movimenti scoordinati avevano fatto girare bruscamente la ruota. La Carcassa ci aveva provato e riprovato. Poi, all'improvviso, aveva perso interesse e se ne era andata. Un'altra volta ne aveva vista una di fronte a un filo per stendere. Aveva tolto tutte le mollette da bucato dal filo e le aveva tenute per un po' nelle mani martoriate, prima di attaccarle di nuovo.

    Cass aveva conosciuto una donna che Prima lavorava come assistente sociale. Si chiamava Miranda. Non erano vere e proprie amiche, ma si erano rifugiate insieme nella biblioteca comunale, prima che una mezza dozzina di Carcasse entrasse da una porta che era rimasta aperta e la trascinasse via.

    Miranda un tempo si era occupata di persone violente, alle quali aveva sempre consigliato di guardarsi dentro per scoprire chi erano prima che abusi e rabbia li cambiassero. Aveva avuto un successo straordinario, era stata l'orgoglio del programma terapeutico per il trattamento della rabbia della Casa di Correzione della contea di Anza. Miranda era convinta che, nei momenti in cui le Carcasse sembravano rammentare e mimavano qualche azione quotidiana, ci fosse una possibilità di ricordare loro chi erano state. Pensava che, avvicinandole in quel momento e aiutandole a rimettere insieme i frammenti separati della memoria, si sarebbe potuto invertire il processo della malattia. I malati avrebbero compreso l'orrore di ciò che erano diventati e avrebbero deciso di tornare indietro.

    Miranda avrebbe voluto provarci. Non sarebbe stato molto difficile catturare una Carcassa, aveva dichiarato durante una delle riunioni che Bobby organizzava a intervalli regolari. Bobby era il leader delle poche decine di persone che si erano rifugiate nella biblioteca. Miranda aveva cercato di convincere alcuni degli uomini ad aiutarla – uno che era stato vicesceriffo, alcuni tizi muscolosi che avevano lavorato nell'edilizia e, ovviamente, Bobby – e tutti avevano ascoltato il suo piano: catturare una Carcassa, portarla dentro, imprigionarla, osservarla. Avrebbero aspettato il momento giusto e poi lei, abile conoscitrice di disperati e reietti, le avrebbe parlato.

    Bobby aveva ascoltato, ma non era riuscito a nascondere l'incredulità. «Ma chi credi di essere?» era esploso alla fine. «La donna che sussurra agli zombie? Solo perché sei riuscita a convincere qualche puttana strafatta di crack a dare in affido suo figlio? È così, Miranda? Credi che una Carcassa sia come un uomo che picchia la moglie nel giorno di paga?»

    Miranda gli aveva tenuto testa con passione, ma il giorno in cui le Carcasse l'avevano presa – entrando dalla porta sul retro che qualcuno aveva dimenticato di chiudere, mentre la squadra assegnata alla cucina sparecchiava dopo un pranzo a base di germogli di kaysev e purea di mela in barattolo e lei era andata da sola a buttare la spazzatura nella pattumiera del cortile – quel giorno non aveva pronunciato un discorso articolato. Aveva urlato disperatamente, come tutti gli altri che erano stati presi prima di lei, e le sue grida echeggiavano ancora nella mente di Cass nelle notti in cui non riusciva a dormire.

    Alla scuola invece... Cass immaginò che non avessero perso nessuno. Oltre alle cancellate, tutto il cortile era circondato da muri di mattoni. Le porte dovevano essere di quelle che si chiudevano automaticamente. Probabilmente c'erano uomini di guardia e senza dubbio le spedizioni per procurarsi cibo e altri generi di prima necessità si svolgevano di notte. Forse avevano addirittura delle torce elettriche.

    Perché avevano permesso che quella ragazzina si allontanasse? Non aveva senso. Anche se avrebbe dovuto essere relativamente sicuro – capitava di rado che le Carcasse uscissero a caccia prima che il sole fosse alto – quale adulto, quale genitore avrebbe potuto permettere a un bambino di uscire da solo? Era rimasta separata dagli altri? Era stata costretta a scappare da una minaccia addirittura peggiore delle Carcasse?

    Si udì uno sferragliare improvviso e una delle porte della scuola si spalancò. Una donna corse fuori, sbracciandosi, con le infradito che sbattevano rumorosamente sul selciato. Inciampò nello spartitraffico seminascosto dal kaysev che un tempo aveva tenuto incolonnate le auto delle mamme venute a prendere i figli all'uscita da scuola. Un paio di uomini la rincorsero, cercando di fermarla, ma la donna li allontanò. «Sammi!» gridò, ma Cass strinse a sé la ragazzina e le puntò la lama sotto il mento.

    «Fermi!» gridò. Poi aggiunse l'unica cosa che avrebbe potuto convincerli ad ascoltarla. «Non sono una Carcassa!»

    Si rese conto che la scrutavano sospettosi, scorse il terrore sul viso della donna e vide il dubbio minare la determinazione degli uomini. Percepì i loro sguardi sulla pelle graffiata, sulla

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