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Indagine al buio (eLit): eLit
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Indagine al buio (eLit): eLit
E-book230 pagine3 ore

Indagine al buio (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Un calore intenso, un lampo di luce e un rumore fragoroso: pochi secondi e il laboratorio della polizia scientifica è distrutto. Il direttore, Mac Taylor, rimasto ferito nell'esplosione, perde la vista. La puzza di marcio che emana da tutta quella faccenda si sente a un chilometro di distanza. Documenti importanti, infatti, sono andati persi, e la polizia sospetta di lui. Lo vogliono incastrare, si sente il fiato sul collo. E così, nonostante l'abituale riservatezza, Mac non può rifiutare l'aiuto di Julia, l'amica d'infanzia che ha accettato di fargli da infermiera, per svolgere indagini personali e tentare di scagionarsi.

LinguaItaliano
Data di uscita29 ago 2014
ISBN9788858927977
Indagine al buio (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Indagine al buio (eLit) - Julie Miller

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    In The Blink Of An Eye

    Harlequin Intrigue

    © 2002 Julie Miller

    Traduzione di Rita Pierangeli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5892-797-7

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Prologo

    Mac Taylor si sistemò gli occhiali e studiò la lama di luce che filtrava da sotto la porta del laboratorio del Quarto Distretto. Controllò di nuovo l’ora sul suo orologio. L’una e tredici di mattina. Un fruscio attirò la sua attenzione sulla porta all’estremità del corridoio, di fronte al suo ufficio.

    «Credevo di essere io quello sposato con il proprio lavoro, qui dentro» mormorò, mentre andava a dare un’occhiata.

    Chi poteva esserci in laboratorio a quell’ora di notte? Un custode? No. Avevano il divieto categorico di entrarvi. Un ladro? In un edificio della polizia, con agenti in servizio ventiquattro ore al giorno al piano di sotto? Era molto improbabile. Un tecnico, allora? No, il Quarto Distretto era un’unità satellite che rispettava un regolare orario d’ufficio.

    Respinte tutte quelle ipotesi, restava un’unica alternativa: guai in vista.

    «Jeff?» La sua voce fece sobbalzare il chimico in camice bianco. Curvo sul banco, Jeff Ringlein raddrizzò lo strumento che aveva urtato inavvertitamente con il gomito.

    «Mac» rispose quello, senza voltarsi. «Ancora qui a quest’ora?»

    «Non sono il solo, a quanto pare.» Mac si avvicinò al tavolo centrale con apparente indolenza, mentre al suo sguardo non sfuggiva niente. Neanche la scatola aperta contenente dei reperti, con l’etichetta scritta nella sua illeggibile calligrafia. Uno dei vantaggi di lavorare come patologo legale per la polizia di Kansas City era che poteva assegnare i test di routine a un tecnico, per concentrarsi a valutare la scena del crimine e mettere insieme i vari pezzi che potevano dare un’idea precisa della scena del delitto.

    Non ricordava, però, di aver assegnato quel particolare incarico.

    «Ti stai occupando di qualcosa di interessante?» chiese. Jeff aveva appena terminato il college quando era stato assunto. Pur essendo un bravo tecnico, gli mancava l’istinto che avrebbe permesso al suo lavoro investigativo di scostarsi dalla banale routine. Tuttavia, con la sua ansia di fare una buona impressione, si era conquistato le simpatie dei colleghi e una certa indulgenza da parte di Mac.

    Perciò, la sua risposta suonò del tutto normale. «Sto eseguendo un test sul colore.»

    Mac sbirciò il ciuffo di fili dentro la scatola, quindi ispezionò di nuovo il banco.

    Niente microscopio. Come pensava di identificare un campione senza microscopio?

    Frenò la propria natura inquisitrice per non mettere a disagio Jeff, ma c’era senza dubbio qualcosa di strano. «Non penso che i criminali si impadroniranno della città se ci concediamo di tanto in tanto un paio di ore di sonno.»

    Alla fine, Jeff si voltò, ma i suoi occhi scuri evitarono quelli di Mac. «Tu che cosa ci fai qui a quest’ora?»

    Giusta domanda. «Stamattina devo testimoniare all’udienza per Ned Prosky. Volevo controllare ancora una volta i fatti.»

    «È lui il presunto assassino?»

    «Già. Se riesco a collocarlo sulla scena del delitto, potremo inchiodarlo almeno per complicità. Anche se Dwight Powers mira a dimostrare che è stato lui a sparare.»

    Jeff affondò il mento contro il torace udendo il nome del procuratore distrettuale. «Powers è alquanto spietato. Pensi che possa vincere la causa?»

    Mac si strinse nelle spalle. Amava le leggi immutabili della scienza, la semplicità di vedere il mondo in bianco e nero. Ma accettava la possibilità che la gente valutasse le cose in varie sfumature di grigio. «Non so, io mi limito a interpretare i dati. Tutto il resto del lavoro spetta a Dwight e alla giuria.»

    «Già. Bene, buona fortuna.»

    «Grazie.» Mac si raddrizzò e frugò in tasca alla ricerca delle proprie chiavi. «Ascolta. Qualsiasi incarico ti abbia assegnato può aspettare fino a domattina. Stacca e va’ a casa.»

    «Lo farò, appena avrò finito qui. Buonanotte.»

    Quel frettoloso congedo stuzzicò la curiosità di Mac. «Va tutto bene?»

    «Benissimo.» Jeff prese la scatola che conteneva i campioni. Forse aveva sbagliato un test e intendeva rifarlo al riparo dalle frecciate dei colleghi. Insistendo con le sue domande, Mac non lo avrebbe di certo aiutato a tornare al più presto a casa dalla moglie.

    Strinse la busta che teneva in mano. Avrebbe passato la serata in compagnia di foto del DNA di ciocche di capelli e microfibre, mentre Jeff era atteso da una donna in carne e ossa. Non poteva biasimarlo se era impaziente di finire senza ulteriori interruzioni.

    «Buon lavoro, allora.» Si stava dirigendo alla porta quando avvertì quell’odore. Un miscuglio acre di sostanze chimiche gli fece lacrimare gli occhi. «Jeff, che cosa stai...?»

    Jeff sobbalzò di nuovo, lasciandosi sfuggire di mano una provetta, che andò in frantumi sul banco. «Lasciami in pace! D’accordo?»

    Girandosi di scatto, urtò e fece capovolgere il becco Bunsen.

    «Oddio! Spegni le fiamme!» urlò Mac, afferrando l’estintore accanto alla porta e attraversando la stanza come una furia.

    «Lasciami lavorare.» Jeff strinse la mano a pugno e si stava preparando a colpirlo. Poi d’un tratto si immobilizzò, fissando inorridito le fiamme che stavano divorando la manica del suo camice. «Oh, mio Dio...»

    «Presto!» Mac gli inondò di schiuma il braccio. «Esci da qui! Sbrigati!» aggiunse, puntando l’estintore sul banco. «Che cosa diavolo...»

    Mac infilò le dita sotto le lenti degli occhiali per asciugarsi gli occhi, e guardò una seconda volta il banco, per assicurarsi che la vista non gli stesse giocando un brutto scherzo. Una varietà di buste di plastica comunemente usate per la raccolta di prove galleggiava in un liquido color ambra in un vassoio di metallo. «È tutto inquinato.»

    Prove distrutte.

    Per incompetenza? O si trattava di un sabotaggio in piena regola?

    Agendo d’istinto, Mac tese le mani verso le buste. Capelli, filamenti, tessuto, unghie e altro... li salvò dal bagno tossico e li gettò da parte.

    Ne recuperò cinque o sei prima che un colpo violento alla nuca lo mandasse a sbattere contro il banco. Nel suo cervello ci fu un’esplosione simile a quella di una mina. Mentre si rialzava in piedi barcollando, vide Jeff che impugnava un microscopio e si apprestava a colpirlo di nuovo.

    A tastoni, Mac cercò un’arma con cui difendersi da quell’attacco imprevisto. Le sue dita sfiorarono il vassoio di metallo; lo afferrò e lo lanciò in faccia a Jeff.

    Il pesante oggetto lo costrinse ad arretrare di un passo, ma ancor più efficace si rivelò il liquido corrosivo che lo investì. Il microscopio cadde a terra mentre lui si piegava in due, coprendosi il volto con le mani e urlando per il dolore.

    «Che cosa diavolo avevi in mente? Sei impazzito?» A corto di fiato per i vapori velenosi e il colpo alla testa, Mac prese Jeff per le spalle e lo spinse verso la porta e l’aria fresca. «Usciamo da qui.»

    «Tu non puoi capire. Farà del male a Melanie.»

    «Chi? Che stai dicendo?» Mac riconobbe il nome della moglie di Jeff, ma le sue parole non avevano alcun senso.

    «Devo terminare il mio lavoro.» Jeff sbatté Mac contro la parete e tornò barcollando al banco di lavoro. Mac lo seguì, ma era troppo tardi per riuscire a fermarlo.

    Jeff premette un interruttore, estrasse di tasca un accendino e lo accese...

    Il gas del becco Bunsen esplose in una palla di fuoco.

    L’aria, impregnata di sostanze tossiche, divampò e avvolse Jeff nei suoi artigli impietosi. I nomi sulle buste di plastica si accartocciarono e si fusero in un ammasso irriconoscibile. Poi, come mani rapaci e spietate, le fiamme si protesero verso la loro vittima successiva.

    Mac tentò di indietreggiare, ma l’onda d’urto lo lanciò attraverso la stanza, mandandolo a sbattere contro la parete. Frantumi di vetro e di metallo gli trafissero la pelle.

    Quelle stesse leggi immutabili della scienza che lo intrigavano tanto seguirono il loro corso e lo fecero piombare nell’oblio.

    1

    Sei settimane dopo

    «In che cosa mi avete cacciato questa volta?»

    Julia Dalton sostò sulla soglia della solida casa di pietra, stretta tra due edifici risalenti al 1920, vestigia dell’antico fascino di quel quartiere, vicino al museo di Kansas City. Ma quel delizioso cottage, poco distante dalla zona commerciale dove lei era cresciuta, aveva perso qualcosa nel corso degli anni.

    Quello che non erano riusciti a fare il tempo e il degrado urbano, l’aveva fatto un ciclone votato alla distruzione.

    Julia si guardò intorno con aria sospettosa e trattenne il fiato. Letteralmente.

    Sua madre, Barbara, era un passo più indietro. «Oh, povera me. Che cos’è questo odore?» Il modo in cui arricciò il naso strappò un sorriso a Julia.

    Nell’aria aleggiava l’odore acre di formaldeide. «Si è ingorgata la fogna, vero?» chiese Julia.

    Scavalcò lo zerbino e fece strada nel soggiorno. La migliore amica di sua madre, Martha Taylor, chiuse la porta e le raggiunse. «No. In casa non c’è niente che non vada.» Si strinse nelle spalle, chiaramente imbarazzata dal disordine, ma pronta a fornire subito una spiegazione. «Mio figlio maggiore, Brett, ha comprato questa casa per sistemarla e poi rivenderla. Ha appena iniziato i lavori di ristrutturazione, ma l’impianto idraulico è a posto. L’attuale inquilino...»

    «Martha.» Il tono brusco della voce della madre attirò l’attenzione di Julia, e non le sfuggì il fatto che i suoi occhi trasmisero all’amica un messaggio che per lei doveva essere piuttosto chiaro. Anche se a Julia sfuggiva.

    Martha, più alta e un po’ più magra, scosse la testa. «Non può non accorgersene.»

    Julia sapeva che l’intraprendente coppia di amiche aveva in mente qualcosa, ma non era in grado di dire a che cosa potessero condurre le buone intenzioni di sua madre, soprattutto se era in combutta con la sua amica d’infanzia.

    Era tornata a casa soltanto da qualche giorno, ma l’insistenza con cui le due donne l’avevano costretta a uscire quella mattina la spingeva a chiedersi se non avesse già abusato dell’ospitalità della propria famiglia.

    «Qualcuno vuole spiegarmi che cosa sta succedendo? Avevate detto che vi serviva un’infermiera, non una governante» puntualizzò guardandosi intorno nel disordine.

    Martha si inalberò all’istante. «Considerando la tua professione e la tua esperienza, non credi che vivere in questo modo sia un rischio per la salute?»

    «No, se sei uno scarafaggio o un topo a caccia di un nuovo alloggio.»

    Julia ammucchiò le riviste disseminate sul divano e le posò sul tavolino, quindi controllò che la vasta macchia sul cuscino fosse secca prima di lasciarvi cadere sopra lo zaino che le serviva da borsetta e da ventiquattrore.

    Incrociando le braccia, assunse il suo tono più autorevole. «Allora? Mi hai detto di mettere l’occorrente in una borsa perché c’era un’emergenza a casa tua, Martha. Invece, mi avete portato qui. Che cosa sta succedendo? Che avete in mente?»

    Anche se l’umorismo era sempre stata la migliore linea di difesa di Julia, il turno di notte in un impegnativo pronto soccorso di Chicago le aveva insegnato l’arte di farsi valere. Sapeva come sfruttare al meglio il metro e settanta della sua figura robusta per far capire che non si sarebbe lasciata abbindolare da nessuno.

    Purtroppo, era un trucco che aveva imparato dalla madre, e Barbara scimmiottò l’atteggiamento della figlia. «Non arrabbiarti con Martha. Ero pienamente d’accordo con lei. Pensavo che fosse una buona idea, ecco tutto.»

    «Non sono arrabbiata. Voglio soltanto sapere...» Un tonfo proveniente dal retro della casa fece tintinnare il lampadario sopra la testa di Julia, che sobbalzò. Ma a parte trattenere per un attimo il fiato, non lasciò capire alla madre quanto l’avesse innervosita quel rumore inatteso. Passi pesanti e irregolari che avanzavano verso di loro la colmarono di un senso di minaccia imminente.

    «Chi è il paziente, Martha?» Quelle due non erano donne inclini a mentire, ma erano capaci di qualche sotterfugio a loro avviso innocente quando credevano di aiutare una persona cara. «Mamma?» insistette.

    «Ma’?!»

    Julia conosceva quella voce. Anni prima ne aveva memorizzato il tono pacato e autoritario. Anche se adesso conteneva una nota stridula, l’avrebbe riconosciuta ovunque.

    Una volta le aveva salvato la vita.

    Oggi, avrebbe potuto distruggergliela.

    «Non mi sento pronta, mi dispiace.»

    Il panico le tolse la capacità di ragionare e minò la sua sicurezza. Julia afferrò il proprio zaino e se lo gettò in spalla. Sua madre non l’aveva saputo allora, e ne era tuttora all’oscuro. Julia non l’aveva mai rivelato ad anima viva. L’umiliazione bruciava troppo. La futilità dei suoi sentimenti era una ferita aperta, a mala pena nascosta ora, dopo tutto quello che era successo a Chicago.

    Doveva andarsene. Doveva...

    «Ma’, sei qui?»

    Julia s’immobilizzò quando si trovò di fronte all’uomo che si appoggiava all’arco che separava il soggiorno dalla zona pranzo.

    Mac Taylor.

    Alto e magro come lo ricordava. Le spalle ampie e le lunghe gambe sotto la camicia grigia e i jeans sbiaditi erano le stesse. Le dita, forti e affusolate, non avevano perso il loro fascino. Ma era più magro, con un aspetto più spigoloso, e la linea dura della bocca nella corta barba dorata indicava che era in collera.

    Prima di allora, lei non lo aveva mai visto in collera.

    «Ma’?»

    «Sono qui, figliolo.» L’attenzione di Julia fu per un attimo distratta dalla stanchezza che si avvertiva nella voce di Martha. Come sua madre, era sulla sessantina, ma il dolore che le raggrinzì di colpo il volto la invecchiava di parecchi anni.

    «Chi c’è con te?» Alla domanda di Mac, Julia tornò a voltarsi. Il tempo e l’infortunio non erano stati clementi con l’eroe della sua infanzia. I capelli biondi avevano perso la loro lucentezza, e il taglio corto aveva fatto sparire ogni traccia di riccioli. Sopra la guancia sinistra e attraverso la fronte c’era una rete di cicatrici recenti.

    Ma era dai suoi occhi che non riusciva a staccare lo sguardo.

    Sotto il taglio che gli attraversava il sopracciglio, un minuscolo segno bianco guastava la simmetria di pupilla e iride dell’occhio sinistro. E quello destro la guardava senza vederla.

    Mac era cieco.

    Quelle fredde schegge di granito, sulle quali aveva fantasticato negli anni dell’adolescenza, non potevano più vedere.

    «Ma’? Chi c’è con te?» ripeté lui.

    Lacrime di tristezza, e forse anche di pietà per tutto quello che Mac aveva perso, le punsero gli occhi.

    «Barbara Dalton» rispose Martha.

    Lui sollevò il volto, annusando l’aria. «E chi altri?»

    Julia scacciò le lacrime, intuendo che la commiserazione non sarebbe stata apprezzata. «Jules, Mac. Julia Dalton.»

    «Maledizione.» Rosso in volto per l’agitazione, Mac si girò di scatto e sbatté contro l’arco. Una sequela di imprecazioni accompagnò la sua burrascosa uscita.

    «MacKinley Taylor!» esclamò Martha, seguendolo. «È un’infermiera, figliolo, può aiutarti...» Il resto della frase si perse nell’aria quando una porta venne sbattuta, lasciando Julia e la madre ammutolite per lo shock.

    Martha tornò dopo diversi minuti. «Temo di averti portata qui con l’inganno.» Sollevò gli occhi al cielo e serrò le labbra per impedirsi di piangere. «Di tutti i miei figli, lui non mi ha mai dato preoccupazioni. E ora che ha bisogno di me, non mi permette di aiutarlo.»

    «Quegli occhi vanno bendati.» In Julia prevalse l’istinto professionale. «Il danno è così recente che potrebbe provocare delle infezioni. Quanto meno, dovrebbe portare lenti scure. La luce deve essere micidiale.»

    «Sono quasi convinta che gli faccia piacere. Il dolore, intendo.»

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