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Sincronia riflessa
Sincronia riflessa
Sincronia riflessa
E-book270 pagine3 ore

Sincronia riflessa

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Info su questo ebook

Odio chi mi dice "Aspetta! Che fretta hai?"

Come ti permetti? Il tempo è l’unica cosa che ho, che è davvero mia e di nessun altro.

Finirà, è una quantità indefinita, ma limitata!

Lo voglio usare tutto come meglio credo, che si tratti di oziare o lavorare.

Amare, soffrire, gioire, odiare, dormire… ogni cosa desideri.

Ma non chiedermi di aspettare, quello mai, perché io sono vivo, io non aspetto.

I morti aspettano.

-Mak-

Scoprite un romanzo fantasy, dalle spesse sfumature Steampunk, in cui il sole non ha più il coraggio di tramontare e lo scorrere del tempo è delineato solo dal tick tack degli orologi.

I giochi di potere e gli intrighi politici sfociano nell’uso della magia e delle armi da fuoco, in un'atmosfera frenetica intrisa di pericoli, attaccamento alla vita, coraggio, amore e morte.
LinguaItaliano
Data di uscita17 giu 2015
ISBN9786051761770
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    Anteprima del libro

    Sincronia riflessa - Marco Ripepi

    Ringraziamenti

    Ho voluto ringraziare solo le persone strettamente coinvolte a questo progetto.

    Anche se il numero totale dovrebbe essere un po’ più alto, ho preferito non diluire la mia riconoscenza, per concentrarla su chi è stato fondamentale per la riuscita del romanzo.

    Gioele Avolio

    -Per aver sfidato la mia scrittura con entusiasmo e sapienza.

    Paolo Macchi

    -Per essere stato l’unico insegnante a dimostrarmi che imparare è un piacere.

    Giada Pancaccini

    -Per aver reso reale ciò che prima era solo la mia immaginazione.

    Gioele Avolio, Davide Chiarenza, Antonio Eliseo, Benedetta Paganini, Michele Pandolfi, Massimo Zilio

    -Per essere stati parte del gioco della vita.

    Premessa

    Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti non è affatto casuale. Nulla è lasciato al caso.

    Dio non gioca a dadi.

    Questa però è e rimane un’opera di fantasia, i cui fatti narrati non rispecchiano in alcun modo la realtà.

    Capitolo 1 - Philipp Glider

    Philipp gridava mentre correva.

    «Mak scappa!»

    «Quando?»

    Chiesi ovviamente io.

    «Come quando? Adesso!»

    Le solite risposte senza senso di Philipp.

    Gli assassini non erano venuti per noi, volevano dilaniare le carni del nostro mentore. Un compito inadatto per gente vestita in modo così elegante: giacca e pantaloni color mattone scuro su misura, rifiniti con tanti bottoni d’ottone, colletto e polsini con ricami dorati e, a far stonare il tutto, dei lunghi pugnali insanguinati.

    Erano solo quattro umani molto abili con i coltelli e con gli incantesimi di rilocazione. Saltavano di qua e di là nello spazio come bambini felici mentre facevano schizzare sangue sul tappeto e sui mobili della sala.

    Julian Mctorid, il nostro mentore, era ormai un macabro puntaspilli scarlatto. La luce del sole al tramonto veniva riflessa dal sangue sulla sua pesante tunica, per poi rimbalzare sui palmi delle sue mani in movimento. Julian era disarmato, ma aveva dei corti capelli grigi, che per un mago volevano dire esperienza, e un intelletto degno di chi ha servito il grande Shannon come Tunica Gialla.

    Questo doveva essergli sufficiente a tenere testa a un manipolo di assassini.

    «Shirutanda fius mibam zan rutek!»

    Semplici parole stregate unite al roteare preciso delle braccia, alla sapiente posizione delle dita e al peso del corpo sbilanciato su un piede bastarono a sbattere i sicari sulle mura della stanza con un’onda d’urto magica. A niente era servito il loro potere di teletrasporto: in un posto così stretto, era impossibile schivare quell’incantesimo senza lasciare il locale.

    Mentre riecheggiava un suono elettrico, io me ne stavo seduto vicino alla finestra, mi ero protetto d’istinto con una nube solida di oscurità. Restavo lì, distratto, pensavo a come combinare, come aveva fatto lui, uno scudo magico a un esplosione così melodiosa, ma senza dover usare formule magiche. Per questo motivo semplicemente non potevo intervenire.

    Uno dei nostri nemici, quello più gracilino, era svenuto dopo aver dato una forte testata all’appendiabiti. Gli altri invece erano già in piedi che a gran voce cercavano una via diplomatica per portare a termine il loro lavoro.

    «Muori in nome degli Artisti!»

    Come se potesse mai funzionare, ti chiedono di morire e tu muori, che assurdità. 

    Infatti Julian lì per lì non decise di perire, ma al contrario di sopravvivere.

    «Arumo fius mi rutek rok tallos earint.»

    E per magia un’armatura di pietra ferrosa ricoprì il corpo ferito del mago. Gli Artisti non potevano notarlo, ma insieme all’incantesimo di evocazione della terra, era legata una stregoneria di guarigione che, nel tempo, avrebbe rigenerato le sue ferite. Ero di nuovo distratto.

    Il combattimento infuriava. Due degli Artisti consumavano invano i loro coltelli sulla roccia, ma era una tattica, poiché il terzo di loro, che sembrava aver capito meglio cosa stesse succedendo, iniziò la formula di una dispersione magica per dissolvere la pietra. Era un incantesimo facile, dei primi che impari.

    «Disparin libam…»

    Ancora tre parole e l’armatura sarebbe svanita.

    «Fas disparin libam neigas…»

    Julian stava già lanciando un controincantesimo, e lo faceva mentre spezzava a mani nude le braccia di un assassino.

    «Fas disparin libam neigas arcanis.»

    Un’altra contromagia, stavolta da parte dei sicari. La loro superiorità numerica stava cambiando le sorti della battaglia.

    Un lampo di luce improvvisa e la pietra cadde a terra sgretolandosi. L’ex Tunica Gialla di Sunrise era ancora ferita, non perdeva altro sangue, ma la stanza ormai era impregnata di quell’odore, e di profumo di cannella. Ancora due umani attentavano alla sua vita, avevano uno sguardo rassegnato, ma senza la paura di chi sta per essere sconfitto, fu quello il motivo che mi spinse ad andarmene.

    Mi voltai in direzione di Philipp, che stava fuori, oltre alla finestra. C’era ancora un cosa che doveva sapere, la gridai.

    «Philipp! Se non sai dove andare, vai verso est! Sempre verso est!»

    Indossai gli occhialini, allacciai il cappellino e feci uno scatto in avanti, non tornavo quasi mai indietro, era troppo noioso.

    Quello che si presentava a me era un paesaggio devastato: lampioni piegati, un carro a vapore ribaltato e accartocciato, qualche mattone e travi di legno, ma fumo, cenere e odore di bruciato perlopiù. L’intero edificio era stato spazzato via e non c’erano forti tracce magiche, probabilmente erano gli effetti di un esplosivo.

    Ero rimasto soltanto io in quella zona di città: un piccolo bambino mezzo oblivari dalla carnagione pallida, con un cappello da aviatore di cuoio e i prevedibili occhialoni che non avrei mai usato, in quanto, sotto queste bianche bende, ero da sempre privo degli occhi. Il mio potere mi permetteva di usare ciò che dai più ignoranti viene definito psionismo, in realtà erano incantesimi che richiedevano solo uno sforzo mentale, senza parole magiche e potendosi muovere a piacere. Io ero molto bravo ad amministrarli e, grazie a essi, percepivo il mondo a modo mio, senza dipendere della vista.

    Mi incamminai verso il treno ripensando agli eventi di qualche ora prima.

    Le vie della città erano stracolme di umani e rumorose, ma Philipp sfrecciava tra la folla correndo dietro a due guardie in groppa a dei curiosi cavalli. Girò a destra al negozio di liquori, fermandosi a osservarne la vetrina e usandola come uno specchio per sistemare i suoi lisci capelli biondi e riordinare la camicia bianca. Era un giorno importante per lui: Julian gli aveva anticipato che a quella lezione ci sarebbe stato un altro ragazzo oltre a me e, a quanto pare, l’idea lo esaltava non poco.

    Ancora qualche passo verso il tramonto ed era arrivato.

    La casa del nostro mentore era piccola, ma da lui veniva usata solo per studiare e insegnare da oltre dieci anni. Lo spazio abbondava. Quando Philipp aprì la porticina di legno, Jorele era lì insieme a me: un ragazzino poco più grande di noi, avrà avuto quindici anni, con la pelle comunemente inscurita dal sole, due occhi neri, capelli selvaggi e ancora più scuri, un naso importante, e muscoli da combattente. Somigliava a un cucciolo di pantera. Philipp a confronto era un pulcino.

    «Ciao sono Jorele Ivory, piacere di conoscerti!»

    «Philipp, piacere mio.»

    «Come mai il tuo amico è bendato? Siamo qui da dieci minuti e non ha ancora aperto bocca, io volevo solo fare amicizia, beh non subito, ma cominciare a conoscerlo, però è così strano… non in senso negativo, intendo dire che non incontro persone come te spesso.»

    Per un attimo si era rivolto a me, poi tornò da Philipp.

    «Capisce cosa dico, giusto? Non vorrei fosse per quello che non risponde, ma sto divagando.»

    «Direi di sì…»

    Philipp era scioccato. Era abituato a stare con una persona equilibrata come me, e un incontro del genere l’aveva traumatizzato.

    «Va bene ragazzi, mettetevi pure seduti comodi sui tappeti.»

    Julian ci stava salvando.

    Ogni volta che il signor McTorid diceva qualcosa, il nuovo arrivato lo scrutava come se cercasse un messaggio segreto o un intento nascosto tra una parola e l’altra. Di sicuro c’era molto da vedere, la sua corporatura robusta non era certo tipica dei maghi. Spiegava spesso che era importante saper combattere a mani nude oltre che lanciare incantesimi, ma nessuno di noi finora se n’era preoccupato. Anche le sue vesti attiravano l’attenzione: una tunica grigia chiara, forse in origine bianca e inscurita dal tempo, con molti strati, tasche e anellini di stoffa, qualcuno con al suo interno rotoli di pergamena.

    Quando lo guardavamo a lungo, sorrideva sempre sotto i suoi corti baffi grigi che finivano in una barba, e i suoi occhi azzurri quasi scomparivano. In qualche modo faceva sorridere anche me.

    «Philipp come vanno i mal di testa? Sono passati?»

    «Sì maestro, penso di poter imparare tre incantesimi a lezione, o quattro se sono semplici.»

    La sessione d’insegnamento non era ancora iniziata, ma Jorele aveva già preso una pagina di appunti, non sarebbe durato molto.

    «Bene Philipp, per questa volta comincia a spiegare la base teorica della magia a Jorele, Mak invece tu prova a riprodurre quello che farò io.»

    Philipp si mise in disparte con Jorele, prese due libroni da uno scaffale in alto e li consegnò al nuovo arrivato.

    «Questi sono importanti, quando avrai tempo imparali a dovere.»

    «Sembrano parecchie pagine, non c’è un modo più veloce? Anche se doloroso va bene!»

    «Se c’è, io non lo conosco…»

    Philipp era sempre più sconcertato da questo novello compagno di studi.

    «A ogni modo, sono molto semplici, e ti spiegherò io le basi… dunque, un incantesimo si crea combinando tre cose: le parole magiche fanno letteralmente apparire la magia, sono vocaboli potenti, usati dagli dei quando crearono il mondo, la posizione e i movimenti del corpo servono invece a incanalare l’energia dell’incantesimo, in modo da utilizzarla al meglio, infine devi manipolare la magia con la tua mente, questa è la parte più facile da imparare, si tratta di immaginare e desiderare… tutto chiaro fin qui?»

    Jorele aveva iniziato la seconda pagina di appunti, con una mano sembrava scrivere in una lingua che non conoscevo, con l’altra si stropicciava il nasone.

    «Sì! Sì!»

    «Bene, è inoltre possibile per alcuni usare solo la forza mentale per lanciare stregonerie, richiede uno sforzo incredibile però, e questa cosa è detta psionismo ed è una capacità molto rara. Ogni incantatore può prendere l’energia per lanciare un incantesimo da fonti diverse, le più comuni sono tre: la propria forza vitale, che è il metodo che useremo noi, le divinità, ma per fare questo bisogna seguire fedelmente i loro dogmi e pregare con costanza, e l’ambiente, anche qui il potere deriva da un dio, Selargius, ma a differenza della modalità precedente, è possibile ignorare la sua dottrina, purché il mago in questione abbia un legame stretto con la natura.

    Esistono molti altri metodi meno comuni, come ad esempio fare patti con entità molto potenti, rubare potere magico dai propri nemici o utilizzare la polvere di fata, che è di fatto un contenitore di magia. Ma che tu prenda l’energia da un dio, un demone o te stesso, bisogna sempre utilizzare la forza vitale di qualcuno.»

    «Se faccio un patto con un demone posso lanciare incantesimi senza impararli?»

    Jorele si era proprio illuso.

    «No, e meno male, se così fosse le strade sarebbero piene di maghi pazzi. Queste cose sono importanti, ma un po’ noiose, facciamo una prova pratica, ti va?»

    «Certo!»

    Philipp portò Jorele nella stanza delle magie dirompenti, era rinforzata da protezioni magiche lanciate da Julian, e i muri erano spessi almeno il doppio del normale. Ora che ci penso, l’esplosione aveva raso al suolo tutto, compresa questa camera, doveva essere incredibilmente potente.

    Dopo una dimostrazione veloce dei movimenti da fare e delle parole da pronunciare, il novellino cominciò i suoi goffi tentativi di lanciare uno spruzzo di fuoco. Era attento alla spiegazione, ma si distraeva spesso durante l’esecuzione e gli ci vollero due ore per invocare delle scintille. Ammetto che almeno era tenace, mentre provava e riprovava, riusciva anche a raccontare cose del tutto non inerenti.

    «Sai, mia madre lavora in una biblioteca a Twilight, ogni tanto mi fa entrare di nascosto e leggo qualcosa di interessante, lo sapevi che se vai verso est per mare alla fine trovi una cascata infinita? Mentre verso il tramonto il mare continua per così tanto che nessuno ha mai trovato nulla, e non solo! Ma questo non c’entra, un tempo alle donne era proibito lanciare stregonerie, è stato Re Valerian II a cambiare questa legge, prima di allora se lo avessero fatto sarebbero state messe al rogo!»

    Qualche volta interrompeva i tentativi, non era stanco, cercava di rilassarsi per capire i suoi errori e, mentre lo faceva, perlustrava la casa ammirandone i dettagli: quasi tutti i pavimenti erano ricoperti di tappeti non troppo preziosi ma di buon gusto, spesso uno sull’altro per rendere comodo il camminare scalzi. Una stanza era adibita alla creazione di pozioni ed elisir magici, c’erano solo un grande tavolo, alambicchi di ogni genere e fumi nocivi nascosti male da un profumo di lavanda. Le altre, di contro, erano più arredate, si poteva ammirare una parete con appesi fucili e pistole regalategli da un vecchio amico. Un’altra invece sosteneva il notevole peso di grandi spadoni vecchi e consumati, usati dal nonno di Julian in guerre avvenute più di un secolo prima.

    Di solito Jorele terminava il suo giro turistico passando davanti alla biblioteca e leggiucchiando i titoli in verticale di qualche manoscritto arcano o osservando, chiusa in una teca, una logora tunica grigia chiara con due bande giallo luminoso all’altezza delle spalle.

    Io ero da un’altra parte, a caricare alcuni proiettili speciali nella pistola giusta. Non mi era mai interessato sparare, le magie erano di gran lunga più efficaci di pezzi di metallo lanciati a tutta velocità, ma non lo facevo per me stesso. Mi sarei assicurato più tardi di appendere l’arma insieme alle altre, a un’altezza ragionevole.

    Il nostro mentore invece lanciava complessi incantesimi di trasmutazione e divinazione su dei cadaveri che, puntualmente, si faceva mandare dal becchino per usarli come cavie. Una pratica macabra, ma almeno non faceva male a nessuno. Poi di colpo si interruppe, per chiamare Philipp.

    «Vieni un momento biondino, lascia la possibilità a Jorele di concentrarsi e fare qualche prova da solo.»

    Philipp saltellò verso il tavolo da lavoro e Julian si mise di fronte a lui, concentrando al massimo i suoi pensieri.

    «Osserva attentamente, questo incantesimo è unico nel suo genere.»

    Julian si posizionò con precisione, mostrando al suo allievo i movimenti da eseguire: un braccio piegato all’indietro con le dita verso il basso, l’altro quasi verticale, un movimento circolare e coordinato delle braccia, ogni muscolo si muoveva preciso come un orologio di Clockwork.

    «Tarimuti mi tarusaf bolis.»

    D’improvviso il volto del maestro cambiò i connotati: il naso diventò paffuto, gli occhi più piccoli e neri, i capelli crescevano di centimetro in centimetro e anche la corporatura era più bassa e tarchiata.

    «Fantastico! Una trasmutazione completa! Pensavo che solo i cangianti potessero utilizzare questo potere, è una scoperta incredibile, voglio provare!»

    Mai visto un ragazzino così entusiasta di apprendere, ma d’altronde lui imparava tutto subito, troppo comodo così.

    «Visualizza nella tua mente la forma che vuoi assumere, e non cambiare aspetto radicalmente, o potresti danneggiarti gli organi interni.»

    «Sì maestro.»

    Philipp incominciò la sua esecuzione perfetta, non un errore nella sua posizione e nemmeno una sbavatura nella pronuncia. Era addirittura più veloce del suo mentore a muoversi, ma sapere così bene un incantesimo non poteva aiutarti quando un esplosione buttava giù la porta al tuo fianco, e sì, fu quello che successe: un’onda di fumo grigio e fiamme scaraventò pezzi di legno contro il ragazzino prodigio, dagli ora scintillanti capelli azzurri.

    Degli uomini in divisa infuriarono dentro l’edificio brandendo aguzze lame. Per quasi un minuto il fragore dell’esplosione ci impedì di sentire quel che ci urlavamo e ostacolava i nostri ragionamenti, eppure mantenendo un buon bilanciamento tra panico e sangue freddo Philipp recuperò il novellino, raccolse dalla parete la pistola ornamentale che avevo caricato poco prima e corse verso l’uscita libera più vicina.

    Il pulcino si dirigeva verso l’entrata sul retro quando mi vide seduto, pronto a ogni evenienza.

    «Mak scappa!»

    «Quando?»

    Chiesi ovviamente io.

    «Come quando? Adesso!»

    La sua mente era probabilmente offuscata dalla paura.

    Jorele lo strattonò per un braccio.

    «Andiamo! Presto! Ce ne sono altri qua fuori!»

    All’esterno della casa di Julian, tre assassini erano disposti in modo da poter vedere ogni via di fuga e pronti a uccidere chi le avesse utilizzate. Gli sguardi dei ragazzini incrociarono quelli degli Artisti, questi usarono la magia per sparire in un batter d’occhio e riapparire più vicini, ancora e ancora, coprendo decine di metri in meno di un secondo. Il primo di loro accennava un sorrisetto fastidioso e mostrava la sua indole violenta lanciando a ripetizione il pugno sinistro nel palmo della mano destra.

    Philipp sapeva di non poter correre via, aveva molte idee in testa su come nascondersi o scappare con qualche incantesimo, ma prima decise di sparare.

    Non aveva mai usato una pistola fino ad allora, ma gli ci vollero solo tre colpi a vuoto prima di colpire il polso ell più vicino dei sicari.

    Una fortuna fondamentale: ora sapeva sparare.

    Ancora due colpi soltanto e tre bersagli, decise di mirare agli ultimi, in questo modo il superstite sarebbe stato ferito. In un istante prese la mira e piantò due pallottole ciascuna al centro di due occhi, colpi perfetti, e ora valeva la pena di provare a correre via.

    Philipp scattò indietro e svoltò oltre a un negozio, ma si fermò di colpo. Jorele Ivory, il novellino della magia, era rimasto ad affrontare l’assassino a mani nude. Quest’ultimo lasciò cadere uno dei pugnali, la ferita era dolorosissima anche se non lo dava a vedere, poi in men che non si dica si teletrasportò dietro al ragazzo roteando il suo coltellaccio: una mossa prevedibile, quell’umano ferito sottovalutava decisamente il suo avversario.

    L’Artista, omicida di professione, era addestrato ad affrontare e superare gli ostacoli più insormontabili e a gestire gli imprevisti più critici. Eppure si ritrovava a sbattere la faccia sulla terra consumata, preso in una morsa che faceva forza sull’articolazione della spalla e il suo polso ferito, perché Jorele Ivory, novellino della magia, aveva già passato quattro anni a viaggiare per il mondo contando sulle proprie forze, salpando su navi volanti a vapore e trascorrendo oltre un anno nell’esercito di Warroom.

    Il pulcino era senza parole, solo ora si rendeva davvero conto di non sapere nulla del suo nuovo amico, e rimase immobile, perché qualsiasi incantesimo offensivo poteva rivelarsi un’arma a doppio taglio in quel groviglio di persone. Inoltre non voleva usare le sue poche energie rimaste per qualche scudo o barriera, in quel caso forse, era meglio curare che prevenire.

    Passò un istante dal sospiro di sollievo di Jorele al suo gemito di dolore. L’assassino aveva evocato tra i denti uno dei coltelli e con un gesto felino aveva aperto un taglio sul petto del ragazzo. Una ferita prossima alla gola.

    Un’altra rilocazione, ora alle spalle di Philipp e, dopo un colpo secco

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