Fantasie senza volto (eLit): eLit
Di Tawny Weber
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Tawny Weber
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Anteprima del libro
Fantasie senza volto (eLit) - Tawny Weber
successivo.
Prologo
Trasognata e assorta in mille fantasie, Josie puntellò il mento contro il proprio pugno e perse lo sguardo fuori dalla vetrina, fissando il protagonista dei suoi sogni a occhi aperti, un ragazzo muscoloso in uniforme marrone che scaricava brividi di eccitazione da un camion. In realtà, Tom stava scaricando costumi, ignaro di essere il personaggio principale delle sue scandalose fantasticherie.
«Un'altra consegna per Vestiti da brivido.» Tom sciorinò la solita frase di rito, spingendo un pesante carrello dentro il negozio. «Ehi! Ciao, Josie!»
«Ehi, ciao...» farfugliò lei, maledicendo la propria timidezza. Tom era persino più carino visto da vicino. Capelli castani ondulati, brillanti occhi azzurri e spalle da urlo. Josie detestava l'avvento di settembre perché significava – purtroppo – il passaggio dai pantaloncini corti e sdruciti, che indossava nei mesi più caldi, ai jeans che coprivano le sue gambe lunghe e sexy.
Tormentandosi le mani, lei lanciò occhiate agitate attorno a sé, cercando qualcosa di simpatico da dire, un qualsiasi appiglio per iniziare una conversazione. Niente da fare. Quando lui le stava vicino, il cervello le andava nel pallone.
«Come vanno gli affari?» s'informò Tom, intanto che accatastava gli scatoloni vicino al bancone. Quindi le allungò la bolla da firmare.
«Bene. Provocare brividi è il nostro mestiere» replicò lei, in maniera automatica. Lui spalancò gli occhi. Josie realizzò il doppio senso della frase e arrossì fino alla radice dei capelli. Maledetta goffaggine!
Tom increspò le labbra in un sorrisetto smaliziato. «È uno degli slogan della ditta, giusto? L'ho letto sulle etichette. Azzeccato, direi. Questo è senz'altro il posto giusto per realizzare le proprie fantasie.»
Conversazione. Semplice conversazione. Guai a te se molli propria ora, si ammonì, respirando a fondo. Con un sorriso forzato, annuì con un cenno brusco della testa e diverse ciocche di capelli biondi le finirono negli occhi.
«Esatto. Ti faccio vedere.»
Soddisfatta per aver destato il suo interesse e per essere riuscita a trattenerlo un po' più a lungo, Josie afferrò un taglierino e aprì uno degli scatoloni appena consegnati.
«Riceviamo moltissime richieste» gli spiegò, sbattendo le ciglia. «Grazie ai nostri costumi le persone riescono a sperimentare le proprie voglie più strane e recondite, lo sapevi?»
Josie aveva trascorso gli ultimi due mesi elucubrando su quali potessero essere i desideri nascosti di Tom. Forse oggi l'avrebbe scoperto.
Scostando la carta di ricopertura, lei tirò fuori il primo costume, senza nemmeno guardarlo, intenta com'era a non distogliere gli occhi da quelli di Tom.
«Che ne dici di un articolo come questo?» domandò, tentando un tono provocante. «Non è il tipo di abbigliamento che scatenerebbe tutte le tue più inconfessate perversioni?»
Entrambi volsero lo sguardo verso il costume che lei reggeva in mano. Era un coniglio. Bianco, vaporoso e del tutto privo di qualsiasi attrattiva sessuale.
Tom scoppiò a ridere, mentre un violento rossore incendiava le guance di Josie.
«Non saprei. Per quanto mi riguarda, credo che per essere sexy, le conigliette dovrebbero indossare il far-fallino.» Scuotendo il capo, agitò una mano in segno di saluto e uscì dal negozio.
Non appena la porta si chiuse, Josie si lasciò sfuggire un grugnito rabbioso. Come al solito, non era stata capace di flirtare con quel ragazzo per più di un minuto. E un costume di pelliccia sintetica bianca non aveva agevolato le cose.
«Eh, no. Non è materiale adatto alle fantasie erotiche» sospirò, prima di appendere il coniglio su una gruccia.
Nello scatolone successivo, i costumi andavano decisamente meglio. Un completo trasparente da schiava, un audace e ridottissimo abitino stile cabaret e, per concludere, un avvolgente costume da Marilyn Monroe. Josie sospirò. Quello sì che era il suo genere.
Ripensò a qualche attimo prima. Che stupida a flirtare a quel modo! Credeva davvero che Tom potesse essere interessato a lei? Figuriamoci. Arrossì nuovamente per l'umiliazione.
Considerando l'idea di riprovarci, magari in maniera diversa, Josie si accinse a impacchettare i costumi. Davanti a lei, sul bancone, torreggiava una pila di ordini che dovevano essere evasi al più presto. Una Betty Boop per l'Idaho, una dominatrice per New York, un pirata sexy per Pittsburgh. Raccogliendo i vari abiti da disporre nelle scatole già pronte ed etichettate, si mise a canticchiare un motivetto.
Wow! Chissà se avrebbe mai avuto il coraggio di indossare un costume da dominatrice in pelle nera come quello che teneva in mano.
«Josie?»
«Tom?» Lei si voltò di scatto, con una mano sul cuore che le martellava nel petto. «Cosa succede? Pensavo te ne fossi già andato.»
Lui increspò le labbra in un sorriso impacciato che la intenerì. «Ho scordato di consegnare una scatola.»
Senza riuscire a staccare gli occhi dal provocante costume che lei teneva in mano, le allungò il piccolo involucro. Lo sguardo si fece malizioso, le pupille si strinsero mentre osservava quelle minuscole strisce di pelle lucida.
«Questo sì che è un costume interessante» commentò, infine. «Suppongo che non...»
Sgranando gli occhi, Josie scrutò lo striminzito costume, poi Tom. Le stava forse chiedendo se a lei piacessero certi giochetti?
Il viso le andò in fiamme. «Lavorare qui significa anche apprezzare i giochi di ruolo» commentò, in modo inaspettato. «Uno dei nostri slogan dice: Portaci le tue fantasie, noi le trasformeremo in realtà.»
Tom continuava a indulgere in quel sorrisetto bramoso e meditabondo, quando l'acuto squillo del telefono lo fece ritornare alla realtà. «Uhm... meglio se ci rimettiamo al lavoro. Ci vediamo domani.»
Domani. Aveva detto domani! Josie accennò un breve passo di danza per la contentezza e, sentendo che il suo capo aveva già risposto alla telefonata, ritornò a occuparsi delle consegne. Domani! Magari Tom le avrebbe chiesto di uscire.
Con la mente completamente persa nei suoi sogni a occhi aperti, ripiegò con cura il costume da dominatrice e lo mise nella scatola per l'Idaho. Non era magnifico l'amore? Si augurò che quel succinto travestimento portasse fortuna a colei che l'aveva ordinato.
1
La ragazza candidata numero uno a morire vergine. Così squallida e insignificante da dover partecipare al ballo studentesco di fine anno da sola. La regina delle brutte e secchione.
Zoe Gaston increspò la bocca in una lieve smorfia di disprezzo. Una descrizione edificante, quella scribacchiata a mano sotto la sua foto nell'annuario del diploma, considerò. Odiava quelle perfide classificazioni, affibbiate con la tipica incurante crudeltà dell'adolescenza. Tuttavia, come dare torto ai suoi compagni? Lei stessa aveva definito gli anni del liceo un'ode al lato oscuro. All'epoca, teneva i capelli neri corvini sempre modellati a punta con un apposito gel, si truccava gli occhi con una matita rigorosamente nera, e sulle labbra metteva un rossetto lucido, del medesimo colore. Una paffuta ma geniale ragazza dark.
In altre parole, una disadattata fuori di testa.
«Mi domando perché mai dovrei partecipare a questa riunione di ex studenti» chiese con amarezza, più a se stessa che a Meghan.
«Per i soliti motivi, no? Per rivivere e ripensare con nostalgia ai begli anni dell'adolescenza, e avere l'occasione di incontrare tutti i tuoi amici.»
La cognata di Zoe credeva davvero in ciò che aveva appena affermato. Doveva essere stata la classica tipa che adorava andare a scuola. Un sacco di amici, feste, divertimenti, grandi consensi. Proprio tutto l'opposto della sgradevole esperienza di Zoe.
Tralasciando un breve weekend, quando quel fusto sexy della squadra di football, per il quale lei si era presa una cotta stratosferica, aveva dimostrato di contraccambiare il suo interesse, lei aveva trascorso gli anni della scuola superiore malvista e indesiderata.
«Oh, sì, i bei vecchi tempi» ironizzò caustica Zoe, guardando Meghan di traverso. «Cioè, quando le ragazze pompon mi odiavano, i ragazzi avevano paura di me e gli insegnanti facevano festa se ero assente alle lezioni.»
Indispettita dal suo sarcasmo, Meghan scrollò le spalle e le strappò dalle mani l'annuario, gettandolo bruscamente sul divano.
«Hai pubblicamente deriso le cheerleader!» le rammentò, come se si fosse trattato di un atto criminale da punirsi con la detenzione.
Zoe dovette mordersi il labbro inferiore per non riderle in faccia, realizzando che Meghan, con ogni probabilità, conservava ancora con orgoglio due coloratissimi pompon nell'armadio.
«Inoltre, Zack mi ha confermato che hai affibbiato un potente calcio nelle parti intime del quarterback» continuò Meghan, con una vocetta stridula che denotava choc e irritazione. «Per non parlare dei tuoi continui scontri con gli insegnanti!»
«Vedi? Non ero adatta a quella scuola. E non desideravo nemmeno esserlo. Quindi – per tornare in argomento – non ho nessuna intenzione di partecipare alla rimpatriata.» Zoe allargò le braccia, con un'espressione di falso candore.
«Tu devi assolutamente andarci!» sillabò Meghan. «Devi mostrare loro che donna favolosa e di successo sei diventata. Fa' che si rimangino tutto ciò che di brutto e cattivo hanno detto di te.»
«Oh, certo! Sai che trionfo! Non sono una bellezza, e ho cambiato tanti di quei lavori che non li ricordo nemmeno più. Per non parlare di quanto tempo è passato dall'ultima volta che ho fatto sesso! Potrei anche essere tornata vergine. Pensa come li renderei felici!»
«E allora? Mica devi presentare un certificato di servizio per attestare la tua attività sessuale!»
Zoe le lanciò un'occhiataccia, poi sollevò il suo bicchiere di margarita e lo sorseggiò con lentezza. Ancor prima che potesse escogitare qualche risposta, Meghan sbuffò come una bimba indispettita.
«Se non ti presenti, tutti penseranno che avevano ragione. Non puoi dargliela vinta a questo modo!»
Sbalordita per il fervore della cognata, Zoe stava per spiegarle che a lei non importava quello che pensavano i suoi vecchi compagni. Che continuassero pure a considerarla una perdente! Poi, di colpo, si bloccò. Eh, no. Questo non era vero, ammise. Lei adorava vincere. Era una necessità inarrestabile, che la spingeva a partecipare a ogni competizione, un impulso che la obbligava a cercare di avere sempre l'ultima parola. Questo indomabile bisogno l'aveva spronata a rimanere a scuola anche dopo la morte dei genitori, per dimostrare che tutti quegli assurdi pettegolezzi su di lei erano falsi.
Naturalmente, nel momento in cui l'obiettivo era raggiunto, lei perdeva ogni interesse. La noia era, per Zoe, la peggiore tragedia in assoluto.
«In questo caso, posso benissimo soprassedere al mio desiderio di vittoria» borbottò, sollevando il biglietto d'invito che il comitato organizzativo aveva inviato a suo fratello, dato che non era riuscito a rintracciare il suo indirizzo. Sì, forse avrebbe potuto rinunciare e non partecipare alla riunione. «Non mi piace l'idea di essere posta di nuovo sotto tortura.»
«È una stupidissima scusa. Hai paura di scoprire che avevano ragione sul tuo conto!»
Zoe strinse gli occhi. «Ma perché insisti tanto che io ci vada? Cosa t'importa?» le domandò incuriosita, capovolgendo la situazione.
Occhi bassi e viso rabbuiato, Meghan afferrò un cuscino color fucsia e fece scorrere le dita affusolate attraverso le frange. La fede nuziale, tempestata di brillanti, scintillò nel movimento. «Zach è nei guai» confessò, alla fine.
Zoe si raddrizzò di scatto, facendo fuoriuscire un po' di margarita dal suo bicchiere. Afferrò con ansia il braccio di Meghan. «Che guai? Cos'è successo a Zach? È malato?»
«No, niente del genere» si affrettò a rassicurarla l'altra, i grandi occhi blu spalancati. Forse Zoe aveva reagito con eccessiva veemenza ma Zach era tutto ciò che aveva. «Sta bene. Sovraccarico di lavoro, stressato, come al solito. Non è la salute... sono gli affari.»
«La Z-Tech, vuoi dire?» chiese Zoe,