Giochi di famiglia: Harmony Destiny
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Anteprima del libro
Giochi di famiglia - Kathryn Taylor
successivo.
Prologo
Un vento leggero scostò le tende, invase la stanza e fece ondeggiare sinuosamente le fiammelle delle candele sul tavolo. Sophie Anders si aggiustò lo scialle sulle spalle. Le perline dorate sfavillarono alle piccole gocce di luce, vive e frenetiche. Il profumo persistente e acre dell'incenso al legno di sandalo le pizzicò le narici al punto che dovette sopprimere uno starnuto.
Si scostò una ciocca di riccioli dal viso e sorrise all'uomo sprofondato nella poltrona di fronte.
«Per quale motivo vuoi presentarmi ai tuoi come la tua futura moglie? In fondo non siamo che semplici amici. Non parliamo poi del fatto che faccio parte di una famiglia di gitani...»
Damon Winston sorrise mestamente. «I miei da tempo mi perseguitano perché vogliono vedermi sposato, così, tanto per farli tacere un po', ho detto di avere una fidanzata.»
Sophie si lisciò la blusa bianca e l'ampia gonna rossa a balze. «Come mai non hai trovato un elemento migliore di me da proporre? Credimi, non la berranno.»
«Tu sei perfetta allo scopo. Proprio perché rappresenti l'ultima persona che riterrebbero adatta a me, scateneranno una vera e propria guerra contro il nostro presunto matrimonio. Così, nel frattempo, io potrò continuare indisturbato a godermela da scapolo.»
«Oh, ti ringrazio della considerazione, amico!» protestò Sophie sferrandogli un pugno sulla spalla.
«Ehi, non demolirmi!» fece lui ridendo. «Sai bene che non intendevo insultarti. Per i miei, basta che uno si vesta di bianco l'indomani del Labor Day per considerarlo un anticonformista e un alieno.»
Sophie lo sapeva benissimo. Conosceva Damon da vecchia data, dall'epoca dell'università. La loro amicizia era basata soprattutto sullo stuzzicarsi a vicenda, e se durava da molto probabilmente era perché non c'era mai stato fra loro un coinvolgimento sentimentale, tantomeno romantico.
«Perché non dici loro la verità e cioè che non vuoi sposarti? Posso sempre farti da garante, mettere una buona parola sul tuo carattere volubile sottolineando che la fedeltà non è il tuo forte...»
«Cosa vorresti dire?»
«Non ricordi quante volte ho dovuto spalleggiarti in situazioni critiche? Per coprire le tresche con le tue fiamme...»
Damon indugiò in uno di quei sorrisi sornioni che facevano regolarmente cadere le donne ai suoi piedi.
«E quella volta che mi sono ritrovata a un appuntamento fissato a mia insaputa con quel tuo compagno di studi, il famigerato Uomo Piovra, perché ti andava di farmi uno scherzo?»
L'altro rise. «Lo sapevi? Il poveretto, dopo quella serata trascorsa con te, ha deciso di farsi prete.»
«E ricordi quella volta in cui mi hai chiesto di venirti a prendere all'aeroporto? Ti ho aspettato per due ore come un'allocca perché nel frattempo ti eri perso a fare qualcosetta con una delle hostess! E gli esempi non finiscono qui...»
«Va bene, va bene. In altre parole, intendi farmi notare che ti ho sfruttata, ma i piaceri a chi vuoi chiederli se non agli amici più cari?»
Che sviolinata da mascalzone inveterato!, pensò Sophie scuotendo il capo.
«Però ti prometto che questo sarà l'ultimo favore che ti chiedo. E ti assicuro che nessuno dei due ne rimarrà svantaggiato.»
«Non lo so, Damon. In questo periodo sono molto impegnata, sto preparando la fiera. Abbiamo bisogno di raccogliere più soldi possibile per poterci comprare gli strumenti necessari alla nostra attività artistica al centro.»
Damon grugnì. «Quante volte devo dirtelo? Non diventerai mai ricca lavorando gratis.»
«Nemmeno lavorando per te lo diventerei, se è per questo» controbatté lei.
Damon non aveva mai compreso perché Sophie avesse scelto di insegnare gratis al centro giovanile, ma lei aveva sperimentato quanto fosse bello e gratificante darsi agli altri senza un tornaconto. Anzi, aveva scoperto di ricevere molto più di quanto dava a quei ragazzi. La ricchezza era un concetto differente a seconda delle persone. Per Damon era sempre stata legata ai soldi, per lei no.
«Credi davvero di trovare molte persone disposte a separarsi dal loro denaro?» la stuzzicò lui.
«La fiera verrà allestita esclusivamente per finalità benefiche. Ammetto di non essere abile quanto mia madre a leggere le carte, ma qualcosa ho imparato. Vedrai che racimoleremo il necessario.»
«Voglio farti una proposta d'affari, Sophie. Fammi quel favore che ti ho chiesto, e donerò un assegno di duemila dollari per il tuo centro.»
Sophie sgranò gli occhi. «Duemila dollari? Stai scherzando!»
Sebbene il suo primo impulso fosse quello di rifiutare, non poté non considerare le molteplici cose che i ragazzi avrebbero potuto fare con quella somma. Ci pensò e ripensò finché l'esitazione a poco a poco svanì. In fondo, che ci sarebbe stato di male nel recitare la parte della fidanzatina per qualche giorno? Forse il gioco valeva davvero la candela...
«Inoltre potrai goderti una settimana di vacanza spensierata nell'incantevole natura del New England» continuò Damon, facendo leva sul suo amore appassionato per gli spazi aperti.
In quel mentre il cielo vespertino fu squarciato da un tuono colossale. Un segno del destino? Un presagio che voleva suggerirle di andare? O avvertirla di restare? Sta' calma, Sophie. Si tratta di un semplice fenomeno della natura. Non vedere per forza dei segni in ogni cosa.
«Ricordati che niente si ottiene senza pagare un prezzo, Damon» affermò, guidata dalla sua innata saggezza.
Damon schioccò le dita. «Accidenti, Sophie, parli come Alex!»
«Alex? Chi sarebbe?»
«Il mio fratellastro.»
In tutto il tempo che si erano frequentati, non le aveva mai parlato di un fratellastro. Bastò questo perché nella sua mente risuonassero degli insoliti campanelli d'allarme. «Senti, Damon, non lo so se sia una buona idea...»
«Ricordati che lo faresti per uno scopo benefico» le ricordò Damon con una luce maliziosa negli occhi.
«E va bene» si ritrovò a dire lei, a dispetto dei propri cattivi e inspiegabili presentimenti. «Mi hai convinta. Credo che in fondo valga la pena di tentare l'impresa, ma sia ben chiaro che lo faccio solo per amore dei miei ragazzi.»
1
Sophie rimase a bocca aperta di fronte alle imponenti mura di pietra. Si trattava di una vera e propria fortezza, con tanto di torre di guardia. Una targa in ottone posta a lato del cancello in ferro battuto diceva: Il Santuario.
Sullo sfondo, di scorcio, si intravedeva una dimora sontuosa. In che razza di posto era capitata? E in quale situazione si era andata a cacciare?, si chiese preoccupata, lei che non aveva voluto ascoltare certi segnali premonitori...
La visione apparve ancora più suggestiva avvolta nella nebbiolina uggiosa che celava una parte del frontone della casa.
In quell'atmosfera irreale e quasi stregata si sentì percorrere da un brivido e si volse a cercare rassicurazione nei lineamenti familiari dell'amico. Ma d'un tratto le sembrò che Damon fosse divenuto un perfetto estraneo. Le labbra piegate in un sorriso ermetico e indecifrabile, aveva un'espressione cinica e beffarda. Rigido al volante della Porsche, era a malapena riconoscibile come lo stesso uomo sereno, solare e pieno di fascino che lo rendeva gradito anche alle pietre.
«Non è granché, ma è pur sempre una casa» mormorò con sarcasmo venato di nervosismo.
Ritornando con lo sguardo alla sconfinata proprietà, Sophie pensò sconcertata come in realtà conoscesse poco Damon. Davvero aveva ideato quella farsa soltanto per rabbonire i familiari che lo incalzavano al matrimonio? Qualcosa le disse che c'era dell'altro. Ma che cosa?
«Perché non mi parli un po' della tua famiglia?» gli domandò.
Gli occhi di Damon si restrinsero in un'espressione di diffidenza. «Per quale motivo?»
«Be', si suppone che noi due stiamo insieme, no? Una fidanzata non dovrebbe sapere un minimo sulla famiglia della dolce metà?» Tanto per cominciare, non le aveva mai raccontato di essere cresciuto in una proprietà dalle dimensioni principesche. Quali altri segreti serbava?
Damon si fece pensieroso, quindi annuì. «Forse hai ragione. Ebbene, cominciando da mia madre, è una di quelle tipiche mamme tradizionali, che brama di vedermi accasato con una brava ragazza e una mandria di figli.»
«E tuo fratello?»
«Fratellastro» tenne a correggerla lui. «Suo padre sposò mia madre in seconde nozze, e tutti e due noi eravamo già nati, quindi non ci sono rapporti di sangue che ci uniscono, solo legali. Alex è un personaggio, diciamo così, profondo, insomma, uno che prende tutte le cose sul serio. È stato rapito da bambino e il padre pagò una fortuna per il suo riscatto. Ma mi raccomando, non parlare di questa storia. Lui stesso non ne parla mai.»
Sophie non poté fare a meno di pensare alle cicatrici profonde che un'esperienza di quel genere doveva lasciare.
«Siete molto vicini voi due?»
«Non propriamente» rispose Damon. Inserì la marcia e svoltò nel viale d'accesso per fermarsi davanti alla gradinata.
Un maggiordomo in livrea corse loro incontro e aprì la portiera a Damon, facendo un inchino ossequioso. «Bentornato, signor Damon. Spero abbiate fatto buon viaggio.»
«Sì, grazie, William» rispose questi con fare sbrigativo, girando attorno all'auto per raggiungere Sophie. La prese sottobraccio e la condusse su per la gradinata, bagnata ora da una pioggia sottile.
L'interno della casa era immerso in un silenzio tombale. L'unico rumore, che risuonò quasi fastidioso nelle ampie sale, fu quello prodotto dai loro passi sul pavimento in marmo.
L'ingresso era molto vasto e vi troneggiava un mastodontico lampadario in cristallo che scintillava ai riflessi multicolori della luce che penetrava attraverso le vetrate a cattedrale.
Sentendosi intimidita e fuori posto, Sophie si lisciò la gonna con mani nervose, tanto per darsi un contegno. Per un attimo immaginò in quale stato d'animo dovevano essersi sentiti i suoi avi gitani quando venivano convocati alle varie corti d'Europa per intrattenere la nobiltà.
«Perché non mi hai avvertita che mi avresti portato in un posto come... come questo?» biascicò a denti stretti.
«Non volevo pregiudicare la tua innata naturalezza inducendoti a fasciarti la testa inutilmente. Temevo che, sentendo in che specie di mausoleo ti avrei portata, ci avresti ripensato e non saresti più venuta.»
Era stato comunque scorretto da parte sua non prepararla, protestò lei in cuor suo. Ma a che sarebbe servito recriminare adesso? Si augurò soltanto che non si trattasse di uno di quegli scherzi stupidi che di tanto in tanto amava farle. Non sarebbe stata dell'umore per