Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il paese dalle porte di mattone
Il paese dalle porte di mattone
Il paese dalle porte di mattone
E-book315 pagine4 ore

Il paese dalle porte di mattone

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un paese del Sud Italia nasconde un mistero terribile. Un giovane uomo dovrà scoprirne la storia.
Giacomo Marotta è un giovane ferroviere. La guerra è finita da poco e lui ha appena ricevuto un nuovo incarico: sarà il capostazione di Centunoscale Scalo, un paese di un centinaio di abitanti, un luogo che Giacomo immagina come un'oasi di pace e serenità. È l’inizio di una nuova vita e di un futuro che si prospetta luminoso. Ma l'accoglienza che riceve non è quella che si aspetta: non è ancora sceso dal treno che lo porta a destinazione quando una donna gli dice, con uno sguardo ostile e ferino, che non è il benvenuto lì, che a Centunoscale se la possono cavare da soli. Questo è solo il primo di una serie di incontri inquietanti. Incontri che portano con sé mille domande e interrogativi, mettendo a dura prova l’entusiasmo del giovane capostazione. Chi sono davvero i suoi padroni di casa? E chi è il bambino, i capelli grigi come cenere, che vaga per le strade di Centunoscale? E perché quelle case diroccate, quei muri angoscianti di mattone? Cosa nascondono i paesani? Quale terribile segreto si cela dietro ai silenzi e alle stranezze di Centunoscale Scalo?
Giulia Morgani, al suo esordio letterario, riesce, con l'abilità che può derivare solo dal talento, a incantare chi legge con le atmosfere gotiche e inquietanti di Centunoscale Scalo, paese immaginario ma che è naturale dipingersi mentalmente nell’entroterra dell’Italia centromeridionale. Il paese dalle porte di mattone segna il debutto di una nuova grande autrice, una voce unica e inconfondibile per intensità narrativa e per la capacità di evocare mondi al tempo stesso vicini e lontani.
LinguaItaliano
Data di uscita26 mar 2020
ISBN9788830511842
Il paese dalle porte di mattone
Autore

Giulia Morgani

GIULIA MORGANI è nata a Salerno, vive a Roma ed è una giovane attrice e sceneggiatrice che lavora principalmente per il teatro. Il paese dalle porte di mattone è il suo primo romanzo.

Autori correlati

Correlato a Il paese dalle porte di mattone

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il paese dalle porte di mattone

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il paese dalle porte di mattone - Giulia Morgani

    nocchetell’.

    1

    Il treno era quasi deserto. Lo scompartimento era occupato da un solo passeggero, una donna di mezza età tutta vestita di nero, con un foulard sulla testa. Stringeva in grembo un involto rigido e quadrato stretto in un fazzoletto rosso e viola. Ai suoi piedi, due brocche di terracotta colme d’acqua che il sussultare del treno muoveva senza tuttavia farne traboccare una goccia.

    La donna sembrava voler restare per i fatti suoi, ma Giacomo, cordiale per educazione e curioso di natura, non si rassegnava a stare zitto. Viaggiavano insieme da più di un’ora, e ormai lui la sentiva familiare come il vetro da cui vedeva il mondo muoversi e di cui aveva già contato le macchie dei cadaveri degli insetti che avevano sempre l’ultima parola sulla sua conta.

    «La vegetazione è rigogliosa da queste parti!» esordì.

    La donna non rispose e gli lanciò uno sguardo ostile, stringendo a sé il suo misterioso involto.

    La campagna, incorniciata dal finestrino, correva veloce e Giacomo si compiaceva di essere per una volta lui il passeggero, dopo tanti chilometri di rotaie. La vita sfidava il suo ottimismo, a detta sua, bonariamente. Aveva vissuto il passaggio dal bambino all’uomo immerso in una guerra che in fondo non aveva capito, ma che aveva combattuto con onore. Le sofferenze e gli orrori avevano fatto sì che per lui ogni giorno fosse un nuovo dono, il sorriso dei suoi occhi ne era il risultato. E ora nello sguardo gli brillava l’eccitazione di nuovi pensieri, nuove strade, nuovi mattoni da vivere.

    Un unico rammarico lo angustiava, ma il solo tocco del pezzetto di carta che conservava tra le mani con venerazione lo motivava ancor di più a svolgere il suo compito con la massima solerzia. Il timore che anche solo un tratto di quello che vi era scritto potesse sbiadire a forza di tenerlo tra le dita lo spinse a riporlo nella tasca della camicia.

    Cercò di distrarsi per combattere il desiderio di guardarlo ancora.

    Centunoscale Scalo. Mai sentito.

    Grazie alla sua diligenza si era guadagnato una promozione e aveva accettato di buon grado il trasferimento in quel paesino sperduto. Lo aveva cercato sulla cartina, ma la curiosità era rimasta insoddisfatta. Adelmo, che era come un padre per lui, aveva chiesto in giro riuscendo a ottenere qualche informazione. Centunoscale Scalo era un agglomerato rustico di poche centinaia di abitanti, contadini per lo più. Prendeva nome dai ripidi e consumati gradini che conducevano all’eremo dove i devoti si arrampicavano a porgere omaggi alla Signora della Montagna, una madonnina in pietra bianca custodita da una grotta bruna.

    Nella minuscola stazione in cui avrebbe prestato servizio erano previsti due soli treni a settimana. Non sarebbe stato un lavoro impegnativo, ma Giacomo si sentiva a un passo da qualcosa di più grande, ne era sicuro, e non annoiarsi troppo in quel paesino sperduto era l’ennesima sfida.

    «Credo che mi troverò bene a vivere da queste parti.»

    Lo aveva detto ad alta voce, rivolto più che altro a se stesso, ma a quelle parole la donna alzò lo sguardo su di lui, che incoraggiato continuò: «Centunoscale Scalo, lo conosce?».

    «Non aspettiamo nessuno, non abbiamo bisogno di nessuno. Scendete alla stazione dopo e tornate indietro, prima che sia troppo tardi.»

    La donna aveva parlato con un fervore inquietante negli occhi. Giacomo pensò che non ci stesse con la testa e cercò di sdrammatizzare quella che all’improvviso era diventata una strana conversazione.

    «Ah, dunque lei vive lì?» Neanche un cenno da parte della donna. «Ma suvvia, non mi dia un’accoglienza così brusca. Diventeremo buoni amici, vedrà! Immagino che in un piccolo centro gli abitanti non siano avvezzi ai forestieri e che li considerino degli intrusi, ma io so essere discreto e non darò fastidio, farò solo il mio lavoro.»

    La donna lo guardò infiammata dall’ira, strinse gli occhi e con veemenza scandì le parole muovendo tutti i muscoli di quel viso dai tratti contadini che acquistò un che di grottesco.

    «Non abbiamo bisogno di nessuno, non aspettiamo nessuno. Scendete alla stazione dopo e tornate indietro, prima che sia troppo tardi» ripeté.

    Giacomo si lasciò sfuggire una risata. «Scusi, troppo tardi per cosa?»

    La donna abbassò leggermente lo sguardo e cercò di calmarsi, poi con voce ferma riprese a parlare. «Troppo tardi. Il prossimo treno è fra quattro giorni.»

    «Ah, ma non si preoccupi! In quattro giorni io mi sarò già ambientato e tutti voi sarete abituati a me! Ma scusi, non vi hanno avvertito del mio arrivo? Sa, pensavo che sarei stato la novità del mese… Insomma, non vorrei essere offensivo, ma immagino che in un paesino non accadano tante…»

    «Non aspettiamo nessuno, non abbiamo bisogno di nessuno» lo interruppe la donna.

    Giacomo ebbe il timore di essere stato invadente. Certo quella signora non permetteva neanche una banale conversazione, ma decise di recuperare, almeno per non farsi nemica la prima futura compaesana.

    «Oh, strano! Evidentemente ho una visione troppo romanzata dei piccoli villaggi. Però devo contraddirla. Vede, in realtà c’è qualcuno che mi aspetta. E soprattutto ho un lavoro da svolgere.»

    La donna diventò aspra. «Non abbiamo bisogno di nessuno, la stazione si governa da sola!»

    «Ah ah!» esclamò Giacomo. «Lo vede che lei era a conoscenza del mio arrivo? Io non le ho detto qual è il mio lavoro!»

    «Ascoltate.» La voce della donna si ammorbidì, riportando la conversazione su toni più pacati. «Siamo stati senza capostazione per anni, i treni sono pochi e i passeggeri ancora meno. Noi, invece, anche se sembriamo pochi siamo già troppi. Lo dico per voi, non vorrete dormire in stazione, tornate da dove siete venuto. Pensioni non ce ne sono, e case per voi ancora meno.»

    «Non si preoccupi. Prima cercavo appunto di dirle che ho già una sistemazione.»

    La donna sgranò gli occhi.

    «Non le sto mentendo» riprese Giacomo, che iniziava a sentirsi offeso da tanta scortesia. «Ecco, vede, ho appuntato l’indirizzo sull’orario dei treni, proprio qui, dunque, via del… ah, non me n’ero accorto, manca il civico, ma con le indicazioni che mi hanno dato non credo che avrò problemi a trovarlo, no?»

    Sorrise infilando l’orario dei treni nel taschino, soddisfatto di aver messo a tacere la donna, che strinse le labbra raggrinzite e guardò altrove. Dopo pochi minuti, durante i quali Giacomo si era chiesto perché portasse con sé delle brocche colme d’acqua, nel buio della galleria la donna si alzò di scatto.

    «Mi scusi, l’ho forse indispettita con il mio modo di fare? Se è così mi perdoni. Suvvia, non cambi carrozza!»

    «Sono arrivata» rispose lei, secca.

    In quel momento Giacomo avvertì le rotaie stridere sotto la morsa dei freni del treno. Guardò fuori. La vegetazione era mutata nel corso dello strano diverbio. Le sfumature del verde avevano lasciato spazio a una terra grigia, i pochi alberi erano nudi e una triste luce ocra stringeva il cuore, facendo rimpiangere il sole luminoso.

    Si voltò sconcertato verso la strana signora, ma lo scompartimento era vuoto. Il treno stava quasi per fermarsi, prese la sua valigia e si affrettò nel corridoio.

    Il misterioso fardello era legato con una corda al collo della donna che, china sulle brocche ai suoi piedi, ne copriva le bocche con le mani. Giacomo immaginò che avesse paura che una frenata brusca le facesse strabordare. Tutta questa attenzione per dell’acqua, pensò, poi un dubbio lo assalì.

    «Mi scusi, c’è per caso qualche problema con i pozzi, in paese?»

    La donna aspettava con ansia che la porta si aprisse e rispose brusca di no.

    «Ah, bene. No, sa, vedendo le brocche…»

    Per la prima volta i loro occhi s’incrociarono. A Giacomo parve di vedere nello sguardo stanco della donna una preoccupazione cocente, quasi una supplica.

    Ma fu un attimo, prima che tornasse quella luce ferina e ostile a cui l’aveva abituato.

    2

    La stazione era deserta. Giacomo restò fermo sul binario a salutare il treno che si allontanava; la prossima volta che un convoglio si fosse fermato, lui l’avrebbe accolto in veste di capostazione. Pregustando quel momento, si voltò a osservare la sua nuova stazione. Nei pressi del cancelletto che dava sulla strada, un uomo dalla barba incolta e i vestiti sgualciti stava bisbigliando qualcosa, pieno di apprensione, alla donna con le brocche, che si dileguò in fretta.

    Giacomo si guardò intorno. Il buio stava scendendo rapidamente. Aveva comunicato l’ora del suo arrivo ma, a parte l’uomo che sembrava un accattone, nessun altro era presente. La vista di quello che sarebbe stato il suo ufficio non lo invogliò ad avvicinarvisi. Il piccolo edificio era fatiscente; spogliato dall’intonaco in più punti, mostrava delle crepe che avrebbero potuto essere sintomo di fratture ben più gravi. Mettendo a freno la sua pignoleria, Giacomo decise che se ne sarebbe preoccupato l’indomani.

    La sera cancellava l’inquietante luce ocra che lo aveva accolto, le tenebre però non erano motivo di sollievo. Non conosceva il paese e nessuno gli avrebbe fatto da guida. Le cose non sarebbero state tanto facili.

    L’uomo barbuto, appoggiato a un pozzo nel mezzo della piazzetta davanti alla stazione, succhiava un rametto di liquirizia e sputava in terra i resti macerati dalla saliva. Poiché pareva ancora più ostile della donna con le brocche, Giacomo si frenò dal chiedergli indicazioni e si incamminò affidandosi alla fortuna.

    Si era figurato un ridente villaggio bucolico, ma la nebbia stava ricoprendo tutto con un denso fumo grigio, impedendogli la vista. A fatica riusciva ancora a scorgere la figura dell’uomo che succhiava la radice emettendo uno sgradevole fischio. Giacomo si affrettò. Non si era accorto di essergli così vicino se non quando fu arrestato dallo sputo che cadde proprio dove era destinato il suo prossimo passo. Sollevò gli occhi incrociando quelli dello Sputaradici.

    «Benvenuto» disse il barbuto allargando gli angoli della bocca in una smorfia che voleva essere un sorriso.

    Giacomo si rincuorò, vergognandosi di quello che aveva pensato. Il suo comitato di benvenuto sotto quella barba aveva in realtà un’espressione che in un altro contesto avrebbe definito amichevole.

    «La ringrazio!»

    «Sono venuto a darvi le chiavi dell’ufficio.»

    «Ah, grazie! Dunque lei deve essere il custode.»

    «Be’, anima a parte, qui c’è ben poco da custodire, figliolo. Comunque ecco qua.»

    Il vecchio gli porse le chiavi e restò a guardarlo storcendo la barba.

    «Grazie al cielo! Per un attimo ho temuto un errore di comunicazione circa il giorno del mio arrivo. Sa, vista l’accoglienza che ho ricevuto sul treno, ho pensato che non sarebbe stato facile recuperare le chiavi.»

    Il suo interlocutore si fece improvvisamente serio, lo fissò e strinse gli occhi in due fessure. Giacomo pensò di aver detto qualcosa di sbagliato, ma l’uomo succhiò la saliva con uno schiocco e annuendo riprese la sua espressione che più si avvicinava alla cordialità.

    «Avete incontrato il nostro sindaco.»

    «Il sindaco?» Giacomo era quantomeno sconcertato.

    «O quello che più ci si avvicina. È una brava donna, se vi è sembrata scontrosa è solo perché ha molto a cuore la nostra comunità. Protettiva come una chioccia con i suoi pulcini.» Nel dire queste ultime parole, la bocca dell’uomo si fece piccola come se avesse mangiato qualcosa di aspro.

    Nel tentativo di evitare altre stranezze, Giacomo cambiò discorso. «C’è sempre così tanta nebbia qui?»

    «Tra poco non si vedrà più niente. E non ci sono locande. Se volete, per questa sera vi posso offrire un tozzo di pane e una carota.»

    «La ringrazio davvero, ma preferisco andare a casa. Sa, non voglio arrecare disturbo presentandomi troppo tardi.»

    L’uomo lo guardò sorpreso e sospettoso. «Voi non dormite qui?»

    Giacomo s’immaginò in quell’edificio pericolante, abbandonato da anni, a rimboccarsi le coperte tra le ragnatele, la polvere e chissà cos’altro, e iniziò a ridere. «Oddio, no di certo! Ho affittato una stanza.»

    Il volto dell’uomo si accartocciò in un’espressione contrariata. «E se posso chiederlo, quale dei miei compaesani ve l’ha affittata?»

    Il suo tono aveva perso ogni briciola di cordialità, e Giacomo non aveva alcuna voglia d’infilarsi, appena arrivato, in contese tra compaesani.

    «Il nome non me l’hanno comunicato. Hanno spedito una lettera al mio ufficio offrendomi questa sistemazione.»

    Sputaradici appoggiò una mano sulla spalla di Giacomo, che al tocco robusto trasalì.

    «Tranquillo, giovanotto!» ridacchiò il vecchio. «Non dovete essere così teso! Vi accompagno. Con questa nebbia non è facile orientarsi. Allora, dov’è che dovete andare?»

    Quello che la barba e il volto rilassato nascondevano veniva invece rivelato dagli occhi assorti e insistenti che sembravano brillare nella nebbia. Giacomo intuì che non era la gentilezza a spingere quell’uomo a fargli strada, ma la curiosità di conoscere la sua meta e quindi l’identità del padrone di casa. Non voleva mettere nei guai forse le uniche persone che lo avrebbero accolto senza quella riluttanza incontrata finora, ma non aveva scelta. Presto tutto il paese avrebbe saputo dove abitava, quindi tirò fuori dalla tasca l’orario dei treni e senza mostrare l’indirizzo diede uno sguardo alle indicazioni fornite nella lettera.

    «Qui dice che devo arrivare al rudere.»

    «Al rudere! Aha! Allora stiamo andando da Frangigalline o da Archidrappi!» L’uomo si chinò su di lui stringendo un occhio con fare inquisitorio. «Vi dice niente uno di questi nomi?»

    Giacomo, irritato, decise di tenergli testa. «No! Le ho già spiegato che non conosco il nome dei signori che mi ospiteranno!»

    «Allora vi accompagno al rudere. Siete fortunato, sapete? È alla fine del paese, da solo non ci sareste mai arrivato con questa nebbia.»

    Si avviarono lungo un dedalo di vicoli che Giacomo non riuscì a distinguere. Tutto quello che intuiva del percorso era dato dai cambi di traiettoria dei suoi piedi, guidati dal virgilio che camminava in silenzio al suo fianco succhiando il rametto di liquirizia.

    «Ecco qua il rudere.» Il vecchio si fermò. «Ora, cos’altro dice la vostra paginetta?»

    Giacomo avrebbe preferito perdersi nella nebbia piuttosto che continuare ad ascoltare quel tono di voce irridente. Alzò lo sguardo ma riuscì a scorgere poco della facciata del rudere, gli parve però una struttura imponente.

    «Dice che devo recarmi alle spalle del rudere…»

    L’uomo aggrottò le sopracciglia, folte quanto la barba. «Ma il paese finisce qui. Là non c’è nulla.»

    «E proseguire lungo il sentiero…»

    Il barbuto perse il suo sarcasmo e trasalì. «Lungo il sentiero? Ne siete sicuro?»

    «Sì, certo, almeno qui dice così.»

    Sputaradici barcollò all’indietro, farfugliò qualcosa e scomparve nella nebbia. Era buio, ma Giacomo avrebbe giurato che quella che aveva visto sul volto del vecchio fosse paura.

    3

    Giacomo prese allegramente quella fuga repentina. Era bastato parlare del sentiero per togliersi dai piedi lo Sputaradici. Che fosse un luogo infestato? Trovò molto divertente il pensiero che quel vecchio burbero potesse avere paure del genere, ma tra il buio e la barba il suo non era un volto facile da decifrare, probabilmente non era terrore quello che gli aveva letto negli occhi. Più facilmente, doveva avere chissà quali contese con la gente di via del Tufo e voleva tenersene alla larga. Chissà se si trattava proprio dei suoi nuovi padroni di casa. Sorrise pensando che questo sarebbe stato un ulteriore motivo di provare simpatia per loro.

    Fedele alle indicazioni ricevute, Giacomo procedette tenendosi rasente alle mura del rudere. La pietra che scorreva sotto le sue dita era fredda ma una strana vibrazione sembrava abitarla, come se qualcosa di vivo si muovesse al suo interno e lo accompagnasse per mano verso casa.

    «Di’ un po’, rudere, la guerra ha colpito anche te? Sembra strano che sia arrivata fin qui, ma tutto sembra un po’ strano in questo paese, non credi? Spero proprio che il mio padrone di casa non lo sia… No, il nome non lo conosco, del Tufo è la via…»

    E si ritrovò a terra. Tastò il terreno per capire su cosa avesse inciampato. Il rudere, prima di diventare tale, a quanto pare aveva vomitato le sue pietre riversandole sulla strada, e nessuno si era preso la briga di liberare il passaggio. L’ennesima stranezza, o semplice incuria. Giacomo raccolse la sua sacca, la rimise in spalla e procedette cauto.

    Superando le pietre che ostacolavano il suo passo, era costretto a procedere chino, le braccia tese e le mani a fargli strada nella bruma che imbiancava il buio. Si rese conto di trovarsi all’interno di una scatola di pietra. Ovunque toccassero, le sue mani trovavano massi.

    Un muro davanti a lui gli impedì di proseguire, ma tanto tastò che scoprì un passaggio. Si ritrovò a percorrere un corridoio dritto. A ogni passo la nebbia si diradava e la luna illuminava la notte. Le pietre di tufo che formavano il corridoio gli ostacolavano la visuale.

    Sollevato dal poter finalmente rivedere il tetto di stelle, Giacomo procedette baldanzoso, sentendosi un avventuriero delle storie che il padre gli raccontava quando era piccolo.

    A mano a mano le pietre iniziarono a ritrarsi fino a scomparire, lasciandolo nell’aperta campagna, solo la leggera traccia di un sentiero a fargli da guida.

    Si ritrovò in una distesa pianeggiante, mossa dalle sagome di un paio di collinette in lontananza.

    Nonostante il posto sembrasse idilliaco rispetto a quanto aveva visto al suo arrivo in stazione, qualcosa gli suonava in testa come un campanello d’allarme, ma non avrebbe saputo dire cosa. Dopo la nebbia, le pietre e un villaggio praticamente deserto, per non parlare della zotica accoglienza che gli unici due abitanti incontrati gli avevano riservato, qualunque posto sarebbe sembrato ospitale o quantomeno rassicurante. Eppure qualcosa lo turbava.

    Ripensò al vecchio, a com’era fuggito via non appena lui aveva fatto riferimento a via del Tufo.

    Che quel luogo fosse davvero infestato? Era ridicolo, non aveva creduto mai a quel genere di storie, neanche da bambino.

    Si fermò e si guardò intorno. Ora tutto sembrava congruo con l’immagine di un paesaggio sereno, avvolto nella notte blu scuro di un settembre mansueto. Sembrava proprio come se fosse stato dipinto da una mano capace.

    Il silenzio regnava imperioso e regalava al luogo un’irreale staticità, non un filo d’erba o una fronda d’albero che lo muovesse, non il verso vellutato di un rapace notturno che lo incrinasse.

    Nulla. Ecco cos’era a turbarlo. Il silenzio e l’immobilità davano l’impressione di trovarsi all’interno di un quadro. S’immaginò la sua sagoma blu zaffiro, appena un tono più scura del cielo, impressa in una notte incorniciata. Provò a immaginare quale spettatore lo stesse osservando in quel momento e un brivido gli frugò la schiena. Si decise a proseguire.

    Gli pareva di camminare da ore. L’immoto panorama accompagnava silenzioso ogni suo passo, e non incontrò nulla che potesse sembrare un’abitazione. Solo alberi spogli, i rami come dita artrosiche tese a implorare il cielo.

    4

    La struttura di pietra gli si palesò davanti come materializzata dal nulla: una casa di due piani alquanto malridotta. Le finestre accecate da spesse assi di legno suscitarono in Giacomo una moltitudine di curiosi interrogativi. A mano a mano che si avvicinava, avvertiva un odore acre che divenne via via più pungente fin quando, proprio vicino alla casa, svanì del tutto.

    Alzò il pugno per bussare, ma proprio in quel momento la porta venne spalancata e lui si ritrovò davanti un uomo imponente, che lo osservò e distese le labbra in una specie di sorriso. In realtà pareva che due ami da pesca avessero arpionato gli angoli della bocca e che mani decise tirassero dei fili invisibili imponendogli quell’espressione senza calore.

    Giacomo sorrise a sua volta. «Salve, sono…»

    Non ebbe il tempo di finire che l’altro prese la parola.

    «Giacomo Marotta! Vi aspettavamo. Avanti, non state sulla porta. Questa ora è casa vostra» disse cordiale.

    Forse la sua espressione tirata era dovuta alla scarsa consuetudine a sorridere, pensò Giacomo, un po’ come quegli animali sotterranei dagli occhi stretti che paiono sospettosi a causa della poca abitudine alla luce.

    L’uomo si allontanò dall’uscio facendogli cenno di seguirlo e raggiunse il centro della stanza, accompagnato dallo scricchiolio del ginocchio gravato dal peso del suo corpo massiccio.

    L’ambiente era modesto ed essenziale, un tavolo di legno coperto da una tovaglia, una credenza e tre sgabelli, uno dei quali dalla seduta rotta. Pur nella penombra, a Giacomo non sfuggì che la tovaglia era tirata e legata con più giri di spago ai piedi del tavolo.

    Un camino con un bel focolare animava il contenuto di un pentolone. Per il resto la stanza era spoglia. Sembrava che vi si fossero appena trasferiti.

    Una forte presa afferrò il suo esiguo bagaglio. Giacomo si voltò. Un altro uomo, poco più vecchio del primo, ma della stessa imponenza, ora reggeva la sua sacca.

    «Ve la metto in camera» disse con

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1