Avevi ragione tu
Di Anne Mather
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Avevi ragione tu - Anne Mather
successivo.
1
C'era una grande nebbia, una nebbia spessa che le era piombata addosso tutt'a un tratto avvolgendo la campagna in una coltre di umidità più penetrante della pioggia stessa.
Una notte da non mettere neanche il naso fuori di casa, pensò Emma Seaton gettando all'indietro con un brusco movimento del capo i lunghi capelli bagnati. Camminava sul ciglio della strada voltandosi continuamente indietro, angosciata all'idea che un'automobile potesse spuntare all'improvviso dall'oscurità e investirla. Era incredibile che, a meno di cinquanta chilometri da Londra, ci fosse una strada senza neanche una casa. Perdersi, pensava Emma, era stato assurdo, e restare impantanata in un fosso con la macchina ancora peggio.
Aveva dovuto abbandonare l'auto per proseguire a piedi, ma temeva che non sarebbe riuscita a ritrovarla neanche in pieno giorno. Veniva da Guildford: probabilmente aveva sbagliato direzione a un incrocio e ora aveva perso completamente il senso dell'orientamento.
Victor si sarebbe certamente infuriato. Si era opposto in tutti i modi a quel viaggio notturno: secondo lui nessuna persona di buonsenso si sarebbe messa in viaggio con quel brutto tempo. Ora Emma doveva riconoscere che non aveva tutti i torti, ma quando era partita da Londra scendeva soltanto una pioggerella sottile e non si poteva prevedere che le condizioni del tempo sarebbero peggiorate fino a quel punto.
Ogni anno andava a trovare Strafford Lawson, il suo padrino, nel giorno del suo compleanno. Ormai aveva ottant'anni e ogni visita poteva essere l'ultima occasione per rivederlo.
Victor insisteva nel dire che era una visita di circostanza, ma per Emma non lo era affatto. Strafford, benché così in là con gli anni, era ancora un uomo pieno di spirito e lei trovava piacevole la sua compagnia. Fortunatamente la sua vista era ormai molto debole, altrimenti non l'avrebbe lasciata ripartire con quella nebbia.
Lei invece ci teneva molto a rientrare: era l'occasione buona per dimostrare a Victor che era capace di sbrigarsela da sola, senza bisogno di aiuti, e invece eccola lì sperduta e con la macchina in un fosso! L'indomani Victor le avrebbe chiesto come mai l'auto non era parcheggiata in giardino, come al solito...
Emma sospirò. In quel momento i commenti di Victor erano l'ultima cosa cui voleva pensare. Doveva trovare al più presto un telefono e chiamare un taxi che potesse riportarla a casa sua, a Kensington. Chissà in chi sarebbe incappata, in quel posto fuori dal mondo. In quel periodo i giornali avevano raccontato che erano scomparse misteriosamente alcune giovani donne, ma lei non ricordava se anche in quella regione ci fosse stato qualche caso del genere.
Si diede mentalmente della sciocca per essersi lasciata cogliere da quei pensieri. Prima o poi avrebbe senz'altro raggiunto un paesino o almeno una fattoria e là avrebbe trovato della gente, un telefono e un aiuto.
Subito dopo le venne in mente, però, che era partita da Guildford abbastanza tardi e che ormai doveva essere almeno mezzanotte. Chi poteva essere ancora sveglio a quell'ora? I contadini sono gente che si alza presto e si corica presto. Se non vedeva luci, era perché dormivano già tutti.
Questo pensiero la fece rabbrividire. Il freddo le era penetrato nelle ossa e non si sentiva più molto coraggiosa. Aveva paura di fare una brutta fine.
Improvvisamente sentì un rumore di pneumatici sulla strada bagnata e si vide venire incontro due fari gialli antinebbia.
Emma perse la testa: non aveva considerato quella eventualità. Chi poteva essere ancora in giro a quell'ora? Non sapeva che cosa fare: era meglio cercare di fermare la macchina, sperando di incontrare una persona gentile che la soccorresse, o nascondersi il più in fretta possibile augurandosi che il suo cappotto di pelle passasse inosservato?
L'istinto le suggeriva di scegliere la prima soluzione, ma siccome in quegli ultimi anni aveva lasciato che fosse Victor a pilotare la sua vita con tanto senno e tanta prudenza, si girò verso il fosso per nascondersi. Victor le avrebbe detto di fare così: la gente per bene a quell'ora è a casa che dorme.
Ma, appena ebbe messo i piedi sull'erba, gli stivali con la suola di cuoio non fecero presa sul terreno. Lei scivolò, cadde all'indietro e si ritrovò lunga distesa sulla strada.
L'auto ormai era vicinissima e il conducente frenò appena in tempo, fermandosi a pochi centimetri da lei.
Subito dopo una portiera si aprì e si richiuse con un tonfo.
Emma, paralizzata all'idea di essere scampata per miracolo alla morte, era ancora a terra incapace di reagire.
Stordita, non ebbe il tempo di pensare a che cosa dovesse fare che già un uomo l'aveva afferrata e rimessa in piedi apostrofandola brutalmente in spagnolo.
Accortosi che lei non capiva una sola parola, lo sconosciuto passò senza difficoltà all'inglese.
«Ma lei è matta! Buttarsi sotto una macchina! Voleva suicidarsi?»
Emma si sentì salire le lacrime agli occhi, ma fece uno sforzo per rispondere.
«Matto sarà lei! Io non volevo assolutamente suicidarmi» ribatté con violenza. «Volevo ripararmi nel fosso, ma sono scivolata sull'erba e sono caduta.»
L' uomo la stava guardando, ma era troppo buio perché potessero vedersi in faccia.
«Mi vuole spiegare perché diavolo stava cercando di scendere in un fosso a quest'ora di notte, con questo tempo e per giunta su una strada privata?»
Lei sgranò gli occhi.
«Una strada privata? Questo spiega tutto!»
«Tutto che cosa?» chiese l'uomo spazientito. «Senta, fa un gran freddo, e io non ho tempo da perdere. Stava andando dai Gregory?»
«Gregory?» chiese lei stupita. Si rese conto che quello sconosciuto non avrebbe mai potuto immaginare quello che le era successo, quindi gli spiegò brevemente: «Stavo tornando a Londra, ma ho paura di essermi persa».
Lui esitò. Guardò la strada dietro di sé e alzò le spalle.
«Già. Le piace così tanto andare a spasso sotto l'acqua? Venga» disse vedendo che lei era tutta un brivido, «continuiamo a parlare in macchina, almeno staremo al caldo. Anch'io vado a Londra. Se vuole può venire con me, ma a un patto: voglio sapere per filo e per segno che cosa stava facendo qui nel bel mezzo della notte.»
Lei lo seguì sospettosa verso la macchina. Quella proposta avrebbe dovuto riempirla di gioia, ma non era ancora riuscita a vedere in faccia quell'uomo. Aveva intuito che doveva avere un carattere duro e forte, ma questo la faceva sentire ancora più inquieta. Non avendo altra scelta, si mise benché a malincuore nelle sue mani.
L'auto del suo soccorritore era una Jaguar sportiva. L'abitacolo era impregnato di un odore forte, ma non sgradevole: un miscuglio di aromi di cuoio, acqua di colonia e sigaro. Emma salì trattenendo il fiato: poteva essere l'errore più grave della sua vita.
E se fosse ubriaco?, si chiese. Poi ricordò come l'uomo aveva frenato con prontezza quando gli era caduta davanti alla macchina: se avesse bevuto, avrebbe avuto i riflessi appannati e a quell'ora lei chissà dove sarebbe stata. Si sistemò sul sedile mentre lui prendeva posto al volante.
Emma si toccò i capelli bagnati. In che stato doveva essere! Victor sarebbe rimasto scandalizzato se l'avesse vista così. Ci teneva molto che lei avesse un aspetto ben curato.
Lo sconosciuto accese la luce dell'auto e le lanciò un'occhiata fredda e penetrante.
«Devo dire che alla luce non è niente male, señorita» le disse.
Lei arrossì imbarazzata. Da tempo non riceveva un complimento del genere. Lo guardò: non aveva mai incontrato un uomo così inquietante. Aveva i capelli neri lunghi fino al colletto della giacca di pelle blu, cosa che avrebbe scandalizzato Victor: detestava gli individui con i capelli lunghi. La pelle era olivastra, gli occhi scuri e ombreggiati da folte ciglia nere. I tratti del viso erano irregolari: il naso leggermente aquilino, le guance scavate e la bocca sottile e sensuale. Non si poteva dire che nell'insieme non avesse un certo fascino.
Emma sentì il bisogno di giustificarsi.
«Le assicuro che la mia presenza qui non ha nessun secondo fine.»
Lui le strizzò l'occhio.
«Ne sono certo, ma non si offenda se sono un po' diffidente. Per un attimo ho pensato che lei fosse qui proprio per causarmi dei guai.»
«Se così fosse, avrei rischiato la vita anch'io?»
«Già» commentò lui con una piccola smorfia.
Emma si sentì a disagio sotto quello sguardo ironico. Lo sconosciuto sapeva bene di essere affascinante. Doveva essere sulla trentina. Anche se era certa di non averlo mai incontrato prima, trovava che quel viso avesse un non so che di familiare, ma per il momento mise a tacere la sua curiosità.
Finché restavano a guardarsi in quel modo, però, non sarebbero mai arrivati a Londra.
Come se avesse letto nei suoi pensieri l'uomo alzò una mano per spegnere la luce, poi mise in moto la macchina. Mentre partivano ricominciò a parlare.
«Eccoci qua. Mi dica tutto, adesso. Che cosa faceva da sola in questo nebbione?» Le diede una rapida occhiata interrogativa e proseguì: «Ha litigato con il fidanzato?».
A queste parole Emma, che si era rilassata, s'irrigidì di nuovo.
«Come sarebbe?»
«Non si stupisca, non ci sarebbe niente di anormale, no? A vederla così, si direbbe che abbia avuto a che fare con qualcos'altro oltre che col brutto tempo.»
Lei si portò una mano tremante al volto sentendosi spaventosa. I capelli, che poche ore prima erano perfettamente acconciati, erano ridotti a fradice ciocche ingarbugliate. Del trucco, poi, non restava nessuna traccia.
«Sono andata a trovare una persona a Guildford» gli spiegò cercando di restare calma. «Mentre tornavo mi sono persa nella nebbia. Ho voluto fare un'inversione a U e sono finita con la macchina in un fosso.»
«Un altro fosso?» domandò lui sorridendo.
«Sì, un altro fosso» rispose lei, seccata.
«Ed è venuta fin qui da Londra con un tempaccio simile apposta per fare visita a questo suo amico? Perché si tratta senz'altro di un uomo, non è vero, señorita?»
«Sì, ma non è come crede lei» obiettò stancamente Emma.
«E che cosa credo io, secondo lei?» chiese lo sconosciuto con finta innocenza.
Emma si morse le labbra per impedirsi di rispondere male. Quel tipo si stava divertendo alle sue