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La duchessa americana
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E-book274 pagine4 ore

La duchessa americana

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1819 - Per l'americana Katrina Vandenberg, le regole dell'alta società londinese sono insopportabili e rischiano di soffocarla. Così, quando riesce a ritagliarsi un raro momento di solitudine e tranquillità lontano dal ballo a cui sta partecipando non accetta di buon grado di venire disturbata, almeno fino a quando non posa gli occhi sull'affascinate sconosciuto davanti a sé. Julian Carlisle, Duca di Lyonsdale, è destinato a un matrimonio di facciata, e Katrina non può essere più lontana dalla docile e affettuosa sposa di sangue blu che si addice a un duca. Ma lei non è il tipo di donna che si incontra a ogni angolo e forse un affare tanto sconveniente alla fine potrebbe rivelarsi perfetto sia per Julian che per Katrina, trasformandola nella duchessa perfetta.
LinguaItaliano
Data di uscita20 feb 2017
ISBN9788858962787
La duchessa americana

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    Anteprima del libro

    La duchessa americana - Laurie Benson

    1

    Mayfair, Londra, 1818

    Katrina Vandenberg era giunta alla conclusione che i saloni da ballo di Londra fossero luoghi pericolosi.

    Ferma sotto uno degli scintillanti candelabri nella grande sala dell'ambasciatore di Russia, nascose bene il piede sotto il vestito e ruotò lentamente la caviglia, ma non riuscì a lenire il dolore.

    «Perché mai Lord Boreham continua a invitarmi a ballare?» gemette nel posare il piede a terra. «Finisce sempre col pestarmi i piedi e poi sostiene che la colpa è mia, che sono americana e che per questo non conosco i passi.»

    «Magari è innamorato di te» replicò Sarah Forrester, la figlia dell'ambasciatore americano alla corte di St. James.

    «O magari si aspetta di strapparmi un grido di guerra nel bel mezzo della pista da ballo» ribatté lei con una risata che le guadagnò un'occhiataccia da parte di Madame de Lieven, la moglie dell'ambasciatore di Russia, nonché padrona di casa. «Questi gentiluomini inglesi sono insopportabili, sempre pronti a vantarsi della loro importanza e delle gesta eroiche di qualche lontano antenato. Se non fosse per loro, Londra sarebbe una gran bella città.»

    Le due amiche scoppiarono di nuovo a ridere, attirandosi un'altra occhiata di disapprovazione da parte di Madame de Lieven.

    Katrina trasse un profondo sospiro. «Ho la sensazione che la nostra ospite stia cercando di farci capire che a Londra le signore non ridono durante ricevimenti come questo.»

    Oh, quanto le sarebbe piaciuto trovare un posto in cui sfuggire a quell'interminabile scrutinio! E a quel lezzo. Si erano forse dimenticati tutti di lavarsi?

    Katrina sollevò la mano per massaggiarsi la fronte dolente e si accigliò alla vista della goccia di cera che le era caduta sul guanto di seta bianca. Serate come quelle erano sempre incredibilmente tediose.

    Quella serata non poteva diventare più noiosa di così.

    Julian Carlisle, Duca di Lyonsdale, non riusciva a spiegarsi come avessero fatto Lady Morley e sua figlia Lady Mary a imprigionarlo in un angolo. Per non parlare di quel dannato candelabro! Già immaginava la disperazione del valletto, quando avrebbe visto quanta cera gli era caduta sul nuovo abito nero.

    C'era una tale calca, al ricevimento di quella sera, che non sarebbe riuscito neppure a portarsi il bicchiere alle labbra senza sfiorare accidentalmente il seno di Lady Mary, e a quel punto si sarebbe trovato coinvolto in uno scandalo di proporzioni epiche e costretto a prendere una moglie che non desiderava.

    Si sarebbe tenuto la sete.

    «Madame Devy è da sempre la modista di Mary. Non sapremmo cosa fare, se dovesse tornare a Parigi.»

    Trentatré, trentaquattro. Julian continuò a contare i sobbalzi delle piume di pavone sul turbante di Lady Morley. In quel mentre gli giunse alle orecchie il suono argentino di una risata femminile e desiderò di essere coinvolto in una conversazione simile, invece di quella che gli era toccata. Gli costò fatica trattenere un sospiro.

    Prima che riuscisse ad assumere la consueta espressione annoiata, tuttavia, un odore ripugnante gli colpì le narici. Nessun uomo al mondo avrebbe mai dovuto mischiare la puzza di sudore con un'esagerata dose di essenza profumata, rifletté. «E vostro marito sta giocando a carte nella sala attigua, stasera?» domandò, senza particolare interesse.

    Lady Morley fu sorpresa di quell'improvvisa interruzione. «Oh, sì... sì, credo di sì.»

    «Mi unirò a lui, dunque.»

    Le due donne si inchinarono e Julian tentò di fare altrettanto, ma urtò contro qualcosa di morbido. Si girò per scusarsi, ma così facendo si ritrovò premuto contro un paio di soffici seni.

    Una donna dal viso soave lo guardò sorpresa con due occhi azzurri come l'oceano, gli stessi occhi che subito dopo gli scesero sul panciotto per poi risalire a guardargli il viso. E quando si morse le labbra con i denti bianchissimi, lui provò l'irrefrenabile impulso di leccarle le labbra con la lingua. Dandosi una scrollata, tentò di soffocare quell'impulso inatteso.

    La giovane sgranò gli occhi mentre un debole rossore le imporporava le guance. «Vi prego di perdonarmi, milord» mormorò.

    Erano passati ben nove anni da quando qualcuno si era rivolto a lui con il semplice appellativo di milord. Sapevano tutti che era il Duca di Lyonsdale e che dunque bisognava chiamarlo Vostra Grazia, anche se a lui non importava un accidenti. «Le scuse non sono necessarie. Vi assicuro che è colpa mia.»

    La giovane gli rivolse una piccola riverenza e gli voltò le spalle, ma, mentre si allontanava tra la folla, qualcosa sussultò dentro di lui. All'improvviso si ritrovò ad attraversare a lunghi passi la stanza, inconsapevole perfino della folla che faceva ala per lasciarlo passare.

    Una volta in terrazza, Katrina chiuse gli occhi e trasse un profondo sospiro. Almeno per un attimo non avrebbe dovuto prestare attenzione a ogni più piccolo gesto che faceva.

    Il marmo della balaustra era fresco sotto la sua mano inguantata, mentre si dirigeva verso un angolo deserto della terrazza in cui sarebbe finalmente riuscita a sfuggire per qualche minuto a sguardi indiscreti e mormorii pungenti. Finalmente poteva rilassarsi, godersi il primo attimo di solitudine in tutta la serata. Era magnifico essere finalmente sola.

    «È una fortuna che l'aria della sera sia così piacevole e che non piova» risuonò una profonda voce baritonale al suo fianco.

    Katrina represse un sospiro. «Oh, sì, una fortuna» replicò in tono annoiato senza staccare lo sguardo dal panorama, augurandosi in quel modo di scoraggiare ulteriori tentativi di conversazione.

    «La qualità dei giardini dell'ambasciatore è ben nota. Avete già avuto la possibilità di passeggiarvi?»

    «No, mai, ma per fortuna le lanterne che illuminano i viali ci danno la possibilità di goderne della bellezza da quassù.» Chissà, magari lo sconosciuto avrebbe capito che lei non era tipo da intrattenersi tra i cespugli e l'avrebbe lasciata in pace.

    Quando però sollevò lo sguardo verso di lui, fu sorpresa nel riconoscere il gentiluomo contro il quale era andata a sbattere pochi minuti prima. Era alto e imponente, elegantissimo con l'abito da sera e i folti capelli scuri incorniciavano un profilo meravigliosamente cesellato.

    In quel momento lui si girò a guardarla, i loro sguardi si incrociarono. E fu allora che accadde. Le parve che il terreno le si muovesse sotto i piedi e stavolta non si erano neppure sfiorati. Dicendosi che era preferibile concentrarsi sulle siepi fiorite e sul prato ben curato, dunque, distolse lo sguardo per distrarsi dall'uomo che le stava accanto.

    Julian chiuse gli occhi e serrò le labbra. Da quando in qua era diventato tanto noioso da non avere altro di cui discutere con una bella donna se non di tempo e di giardinaggio? Inoltre, aveva l'impressione che la giovane gli avesse appena dato il benservito. Inaudito. Nessuno poteva permettersi di fare una cosa del genere.

    Per la prima volta in vita sua avvertì la necessità di conquistarsi l'attenzione di una donna. «Siete nuova in città?»

    «Sì. Sono arrivata da poche settimane.»

    «Non riesco a distinguere il vostro accento.»

    Lei incrociò le braccia sotto quei graziosi, piccoli seni e si girò verso di lui. «Sono americana» lo informò, poi lo osservò con maggior attenzione. «Vorrete perdonarmi, ma ci hanno presentati?»

    «Non che ricordi. E vi garantisco che non siete il tipo che avrei dimenticato.»

    «Dunque è sconveniente che io parli con voi» osservò Katrina a disagio. «Mi avete forse seguita qui fuori?»

    Justin non seguiva le donne e non si comportava mai in maniera sconveniente, ma aveva provato l'insopprimibile necessità di sfuggire a Lady Morley e a quel terribile puzzo di sudore. «Abbiamo semplicemente deciso di uscire nello stesso momento.»

    «Ed è per caso che vi siete trovato accanto a me?»

    L'espressione scettica della giovane lo mise a disagio. «Mi è parso un luogo particolarmente gradevole.»

    Intanto una figura si muoveva nel giardino sotto di loro, entrando e uscendo dalla sfera di luce delle lanterne. «Vi state forse nascondendo a qualcuno?» le chiese Julian.

    «Cosa vi fa mai pensare una cosa del genere?»

    «Quando una donna singolare come voi resta sola a un ballo che pullula di uomini, l'unica possibile conclusione è che la sua solitudine sia una scelta. State forse cercando di sfuggire a un corteggiatore troppo insistente?»

    Un tremito le contrasse le labbra. «Cosa vi fa credere che abbia corteggiatori insistenti?»

    «Ah, io ho parlato di un corteggiatore, ma a quanto pare ce n'è più d'uno.»

    «Forse volevo solo prendere una boccata d'aria.»

    «In tal caso direi che è stato stolto l'uomo che vi ha lasciata uscire da sola.»

    «Perché mai?»

    Julian ebbe l'irrefrenabile desiderio di avvicinarsi. Profumava di limoni. «Perché in questo angolo così nascosto vi ha lasciata libera di farvi affascinare da un altro uomo.»

    «State cercando di affascinarmi?»

    «Ci sto riuscendo?»

    «Niente affatto» negò lei, anche se la sua espressione diceva tutt'altro.

    «Dunque il vostro corteggiatore detiene ancora il vostro favore.»

    Una risatina le salì alle labbra prima che riuscisse a trattenerla.

    «O forse no» si corresse Julian, lieto che lei lo trovasse divertente.

    «In verità sono uscita soltanto per godermi qualche attimo di solitudine.»

    «E io, maldestro, ho invaso il vostro spazio. Magari potremmo goderci insieme un po' di solitudine?»

    «Dubito che in tal caso la si possa considerare tale.»

    «Semantica» ribatté lui con una levata di spalle. «Ebbene, perché mai cercate la solitudine?»

    Lei abbassò gli occhi e rifletté a lungo, prima di rispondere. «Mi stanca la gente che non fa che rimarcare la propria importanza.»

    Julian decise all'istante di tacerle quanto fosse importante lui stesso. «Un'affermazione piuttosto ardita.»

    «Onesta, piuttosto. E voi come mai siete qui fuori? Sono forse la causa dell'attesa della gentildonna con cui avevate un convegno clandestino?»

    «Niente affatto. Diciamo piuttosto che mi stanca la gente che non suscita il mio interesse.»

    «La pensiamo allo stesso modo, dunque.»

    «A quanto pare.»

    A quel punto lei sorrise e per la prima volta in vita sua Julian temette di non riuscire a respirare. «Siete così bella...» mormorò.

    «Vi ringrazio, anche se mi ripetono spesso che sono troppo espressiva.»

    «Non per me.»

    «State cercando di nuovo di affascinarmi.»

    «Voi dite? Sono solo schietto e in grado di apprezzare un sorriso sincero. Quelli fasulli mi infastidiscono.»

    Ma cosa gli era preso? Si era forse lasciato contagiare dal candore di quella giovane?

    «A quanto pare, milord, siete molto diverso dai tipici esponenti del ton» commentò lei in quel momento.

    Oh, se solo avesse saputo!

    Gli sembrava di essere attratto verso di lei da un'invisibile forza magnetica. Gli batteva forte il cuore quando le si avvicinò. Le labbra di quella giovane avevano l'aria così morbida, i suoi seni un aspetto così invitante.

    Strinse i pugni, si avvicinò al parapetto alla ricerca di una distrazione, rivolse lo sguardo verso il cielo stellato. Si accorse che lei lo guardava. Poi, dopo un attimo, anche lei girò la testa e sollevò il viso verso il cielo scuro della notte.

    Aveva forse inavvertitamente infranto qualche regola della società inglese?, si domandò Katrina, incapace di spiegarsi altrimenti l'improvviso mutamento nell'atteggiamento del suo compagno. Doveva ammettere, tuttavia, che quella conversazione aveva migliorato notevolmente il suo umore. «Sembra che stasera tutte le stelle del firmamento siano accese» mormorò nel tentativo di riprendere il discorso lasciato a metà.

    «Vi piace guardare le stelle?»

    «Oh, sì.»

    «E siete in grado di distinguere le diverse costellazioni?»

    Katrina scosse il capo.

    A quel punto lui le si avvicinò, sfiorandole il braccio con la manica. «Vedete quella costellazione lassù, sopra gli alberi? Si chiama Cassiopea.»

    Le ci volle un momento per raccogliere le idee, adesso che lo aveva tanto vicino. «È il nome di un'antica regina etiope.»

    «Infatti, e quella è la sua costellazione. Cosa sapete di lei?»

    «Soltanto che l'orgoglio esagerato che nutriva per la figlia Andromeda suscitò le ire di Poseidone, che le ingiunse di sacrificargli Andromeda.»

    «Infatti. Andromeda è la stella lassù. Però si dice anche che Poseidone si adirò ancora di più, poiché Cassiopea non aveva portato a termine il suo sacrificio e che dunque, come punizione, pose il suo trono nel cielo della notte. Ricordate cosa accadde ad Andromeda?»

    «Fu salvata da Perseo, che divenne il suo sposo.»

    «Brava. Ecco, dunque, Perseo, lassù.» Julian si sporse in avanti, avvicinandosi ancora di più. Aveva un buon odore, constatò Katrina. Sapeva di menta e champagne.

    I loro visi erano vicinissimi, per un attimo perfino i loro respiri si unirono. Poi, all'improvviso, lui si allontanò e una ventata di aria fredda le sfiorò le guance.

    «È davvero Perseo, o state solo cercando di fare appello al mio sentimentalismo?»

    «Oh, quella costellazione è davvero Perseo. Si dice che sia stata Atena a porre Andromeda accanto a Perseo nel cielo notturno, alla morte di lei.»

    «Oh, è davvero poetico!»

    «Sì, alcuni potrebbero considerarlo tale.»

    «Voi no?»

    «Non ci avevo mai pensato, prima d'ora.»

    Per un istante i loro sguardi si incrociarono e Katrina si rese conto che avrebbe dovuto allontanarsi, prima di fare qualcosa che potesse metterla in imbarazzo. Traendo un profondo sospiro, serrò le mani. «Sarà bene che torni in sala. I miei amici si staranno chiedendo dove sono finita. Vi sono grata per avermi mostrato le stelle. Questa volta posso affermare senza ombra di dubbio di non essermi affatto annoiata.»

    Julian le rivolse un inchino e quando si sollevò scorse il lampo che le brillava negli occhi. «Ne sono lieto. Neppure io mi sono annoiato e vi auguro di trascorrere piacevolmente il resto della serata.»

    Con una piccola riverenza, Katrina gli volse le spalle e tornò verso il salone, ma prima di entrare non riuscì a resistere alla tentazione di girarsi a rivolgergli un'ultima occhiata. E quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, abbassò gli occhi ed entrò, cercando di nascondere la soddisfazione che animava il suo sorriso.

    Julian la seguì con lo sguardo, mentre si allontanava. E fu un bene, perché se non lo avesse fatto gli sarebbe sfuggita l'ultima occhiata che lei gli rivolse prima di entrare in casa. E non aveva importanza che lo avesse sorpreso a fissarla come un ragazzino privo di esperienza. Quell'ultima occhiata gli aveva rivelato tutto quello che c'era da sapere, e cioè che il desiderio che provava per lei era ricambiato.

    Un sorriso compiaciuto gli distese suo malgrado le labbra. Era eccitante scoprire che una donna lo desiderava pur senza essere consapevole della posizione preminente che occupava in società. Il profumo al limone di lei aleggiava ancora nell'aria. Julian lo aspirò a pieni polmoni mentre si appoggiava alla balaustra.

    Alla fin fine, quella serata si andava rivelando tutt'altro che tediosa.

    «Strano, si direbbe quasi che tu stia sorridendo, amico mio, il che non è possibile. Già, perché mentre io torno da momenti piacevoli trascorsi in giardino, tu, amico mio, sei tutto solo.»

    Lord Phineas Attwood, Conte di Hartwick, lo apostrofò ridacchiando mentre saliva le scale verso il terrazzo. «Ha un nome?» domandò a braccia conserte fermandosi accanto a lui.

    «Chi?»

    «La donna che ha catturato il tuo interesse.»

    Con un sospiro esasperato, Julian distolse lo sguardo dalla finestra per rivolgerlo verso l'amico. «Cosa ti fa pensare che si tratti di una donna?»

    «Andiamo! Non vorrai certo mentire con me! Facciamo un patto: io ti racconterò della mia dama e tu mi dirai della tua.»

    «Non c'è niente da dire.»

    «Molto bene, incomincerò io. Margaret ha una bocca stupefacente. Pensi che...»

    «Eri in giardino con Lady Shepford?» Julian chiuse gli occhi. «Sei forse impazzito? Non più di due ore fa hai soffiato oltre duecento sterline al marito al tavolo da gioco e adesso ti prendi anche sua moglie?»

    «Eccitante, vero?» Hartwick si sistemò i polsini della camicia. «Non è colpa mia, se mi trova irresistibile.»

    «Un giorno o l'altro il marito ti sfiderà a duello. Sappi sin d'ora che non ho alcuna intenzione di farti da secondo.»

    «So bene che preferisci le vedove, ma io la penso diversamente. Le maritate sono infinitamente meglio. Loro, almeno, non vanno a caccia di titoli. Senza contare che il mio istruttore è sempre pronto e che io sono imbattibile sia con la pistola che con la spada.» Hartwick scosse la testa. «Ti preoccupi per niente, amico mio. Che ne diresti di fare un salto da White's per divertirci un po'?»

    Julian scosse la testa. Gli sarebbe piaciuto conoscere meglio quell'americana e se fosse stata un'aristocratica, avrebbe fatto di tutto per farsela presentare. Sfortunatamente, le responsabilità legate al suo titolo gli impedivano un legame con una straniera. Se si fosse risposato, avrebbe dovuto scegliere un'inglese dal lignaggio ineccepibile, non di certo un'americana.

    E poi, perché mai pensava al matrimonio? Hart aveva ragione: era arrivato il momento di andarsene.

    2

    Leggere il Morning Chronicle non era mai stato così difficile, nelle settimane che Katrina aveva trascorso a Londra con il padre. Quel giorno, tuttavia, non riusciva a concludere nemmeno un articolo, e tutto per colpa del gentiluomo con cui aveva chiacchierato la sera prima in terrazza.

    Il silenzio nella sala da pranzo della casa che il padre aveva affittato a Mayfair era quasi completo, a eccezione del fruscio delle pagine del documento inviato dal governo americano, che il padre era intento a leggere con attenzione.

    Frustrata dall'impossibilità di concentrarsi, Katrina accantonò il giornale e prese a spalmare del miele su una fetta di pane tostato, incapace di reprimere il sorriso che le distese le labbra mentre, per la centesima volta, ripensava alla conversazione della sera prima.

    Perché non riusciva a smettere di pensare a lui? Non era mai stata attratta dagli inglesi, troppo orgogliosi e condiscendenti, per i suoi gusti, ma quell'uomo le era parso diverso da tutti gli altri. Non aveva fatto commenti stupidi o irriguardosi sulla sua nazionalità e in una serata che non era certo nata sotto i migliori auspici era riuscito a farla sorridere e a farle dimenticare il dolore al piede. Per non parlare del fatto che aveva avuto il potere di farle battere forte il cuore.

    Sperava tanto di rivederlo presto. Si augurava che qualcuno li presentasse, così avrebbe finalmente saputo come si chiamava. Chissà, magari l'avrebbe perfino invitata a ballare un valzer! Non che intendesse legarsi a un inglese, beninteso, ma trascorrere del tempo con lui nel corso degli eventi mondani a cui era obbligata a partecipare avrebbe rappresentato un piacevole diversivo.

    Sorridendo tra sé, riprese il giornale e fece un ultimo tentativo di leggerlo.

    In un'altra zona di Mayfair, in una casa molto più grande, Julian uscì dai suoi appartamenti massaggiandosi la fronte dolente. Sogni troppo vividi sulla bella americana conosciuta al ballo l'avevano svegliato ripetutamente nel cuore della notte, lasciandolo irritabile e frustrato. Una mattinata tranquilla era l'unica cosa di cui aveva bisogno, anche se i suoni provenienti dalla sala da pranzo non lasciavano ben sperare.

    La madre e la nonna erano già a tavola, immerse in una fitta conversazione, ma nel momento in cui lui prese posto a tavola, il chiacchiericcio intorno al tavolo si fermò e lo sguardo acuto della madre approdò su di lui, facendogli rimpiangere la decisione di far colazione in sala da pranzo, anziché nel suo studio.

    «Buongiorno, Lyonsdale» lo accolse ripiegando la lettera che aveva appoggiato accanto al piatto. «Com'è andato il ballo dell'ambasciatore?»

    «Una folla esagerata, come al solito, ma sorprendentemente tollerabile.»

    «E Lady Wentworth? Si è divertita?»

    Julian era stato molto discreto riguardo al legame con la vedova,

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