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Rogue - i Ribelli di Talon
Rogue - i Ribelli di Talon
Rogue - i Ribelli di Talon
E-book447 pagine6 ore

Rogue - i Ribelli di Talon

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Info su questo ebook

Ember Hill è fuggita dall'organizzazione di Talon per unirsi a Cobalt, drago disertore, e alla sua banda di ribelli. Non riesce però a dimenticare il sacrificio che Garret Xavier Sebastian - cavaliere dell'Ordine di San Giorgio - ha fatto per lei, salvandole la vita pur sapendo che con quel gesto avrebbe firmato la propria condanna a morte.

Ember è determinata ad aiutarlo a tutti i costi, ma per riuscirci dovrà convincere Cobalt ad entrare con lei di nascosto nel quartier generale dell'Ordine. Con i sicari di Talon sulle loro tracce e il fratello di Ember che li aiuta nella loro caccia, i ribelli trovano un alleato inaspettato in Garret. Subito la battaglia tra Talon e l'Ordine assume una prospettiva tutta diversa.

Si prepara dunque la resa dei conti mentre entrambi i fronti nascono segreti scioccanti e mortali. Presto Ember dovrà decidere: battere in ritirata per combattere un altro giorno, o iniziare una guerra all'ultimo sangue?
LinguaItaliano
Data di uscita9 giu 2016
ISBN9788858950678
Rogue - i Ribelli di Talon
Autore

Julie Kagawa

Born in Sacramento, CA, Julie Kagawa moved to Hawaii at the age of nine. There she learned many things; how to bodyboard, that teachers scream when you put centipedes in their desks, and that writing stories in math class is a great way to kill time. Her teachers were glad to see her graduate. Julie now lives is Louisville, KY with her husband and furkids. She is the international and NYT bestselling author of The Iron Fey series. Visit her at juliekagawa.com.

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    Anteprima del libro

    Rogue - i Ribelli di Talon - Julie Kagawa

    successivo.

    1

    Garret

    Ero in piedi davanti a una commissione silenziosa e attenta, sei paia di occhi mi fissavano, alcuni con sospetto altri in modo critico, mentre aspettavamo che venissero pronunciate le accuse. Gli uomini in uniforme nera e grigia sfoggiavano orgogliosi sulle giacche l'emblema dell'Ordine, una croce rossa su uno scudo bianco. I loro volti duri, segnati, erano il riflesso di una vita fatta di guerra e fatiche. Alcuni li conoscevo solo di fama. Altri erano stati i miei istruttori, avevo combattuto per loro, avevo eseguito i loro ordini senza battere ciglio. Il tenente Gabriel Martin era seduto a un capo del tavolo, gli occhi neri e l'espressione impassibile non lasciavano trapelare nulla. Lo conoscevo quasi da tutta la vita; era lui che mi aveva trasformato nella persona che ero. Il Soldato Perfetto, come avevano preso a chiamarmi i miei compagni di squadra. Un soprannome che mi avevano affibbiato nel periodo relativamente breve in cui avevo combattuto. Fenomeno era un'altra parola che avevo sentito pronunciare spesso nel corso degli anni, insieme a paraculo del cazzo, quando volevano essere meno generosi. Dovevo gran parte del mio successo al tenente Martin, che aveva visto qualcosa nell'orfano taciturno e cupo che ero e mi aveva spronato a impegnarmi, a fare sempre di più. A spiccare su tutti gli altri. E così avevo fatto. Avevo ucciso più nemici dell'Ordine di qualsiasi altro mio coetaneo, e il numero delle vittime sarebbe stato molto più alto se quell'estate non fosse sopraggiunto quell'imprevisto. Malgrado la mia situazione, ero stato uno dei migliori e dovevo ringraziare Martin per questo.

    Ma l'uomo seduto dall'altra parte del tavolo in quel momento era un estraneo, un giudice imperturbabile. Quella sera lui e gli altri soldati disposti lì in fila avrebbero deciso il mio futuro.

    La stanza in cui mi trovavo era piccola e spartana, con il pavimento piastrellato, violente luci attaccate al soffitto basso e pareti senza finestre. In genere veniva usata per fare rapporto o per le riunioni sporadiche, il lungo tavolo solitamente posto al centro con le sedie tutte intorno. Se si esclude il quartier generale a Londra, le basi dell'Ordine non avevano aule destinate ai processi. Anche se ogni tanto qualche soldato disturbava la quiete pubblica o si verificavano spiacevoli episodi di diserzione, non c'erano mai stati casi di vero e proprio tradimento. La fedeltà alla causa era un concetto che tutti i soldati di San Giorgio avevano ben chiaro. Tradire l'Ordine voleva dire rinnegare tutto.

    L'uomo al centro della fila drizzò le spalle e mi scrutò dall'altra parte del tavolo di legno lucido. Si chiamava John Fischer ed era un rispettato capitano dell'Ordine, oltre che un eroe sul campo. Il lato sinistro della sua faccia era un ammasso di cicatrici da ustione e pelle raggrinzita, che lui esibiva come una medaglia al valore. La sua espressione dura non cambiò quando intrecciò davanti a sé le mani altrettanto segnate e prese la parola.

    «Garret Xavier Sebastian.» Pronunciò il mio nome per esteso con voce tonante, e tutti nella stanza ammutolirono di colpo. Il processo era ufficialmente iniziato. «Per aver disubbidito a un ordine diretto» continuò Fischer, «attaccato un compagno di squadra, simpatizzato con il nemico e permesso a tre noti avversari di fuggire, sei accusato di alto tradimento ai danni dell'Ordine di San Giorgio.» I suoi penetranti occhi azzurri erano fissi su di me, severi e implacabili. «Capisci la gravità delle accuse a tuo carico?»

    «Sì.»

    «Benissimo.» Guardò gli uomini seduti sulle sedie disposte lungo la parete alle mie spalle e annuì. «Allora procediamo. Tristan St. Anthony, vieni avanti.»

    Si udì uno scricchiolio quando qualcuno si alzò dalla sedia, poi dei passi felpati attraversarono il pavimento e il mio ex compagno si fermò a pochi metri da me.

    Non lo guardai. Tenni gli occhi fissi davanti, le mani intrecciate dietro la schiena, e lui fece altrettanto. Ma riuscivo a vederlo con la coda dell'occhio, un soldato alto e snello, con qualche anno più di me, i capelli scuri tagliati quasi a zero. Il sorrisetto che aveva perennemente stampato sul volto si era trasformato in una smorfia truce, e gli occhi azzurri assunsero un'espressione solenne quando affrontò la commissione.

    «Prego, riferisci alla corte nel modo più esaustivo possibile quali sono le circostanze che hanno portato al raid di quella notte e quello che è accaduto dopo.»

    Tristan esitò. Mi domandai cosa avesse pensato in quella frazione di secondo, prima di rilasciare la sua testimonianza. Se avesse qualche rimpianto per come erano andate a finire le cose.

    «Quest'estate» cominciò Tristan con voce piatta, «io e Sebastian siamo stati mandati sotto copertura a Crescent Beach, una cittadina sulla costa della California. I nostri ordini erano ben precisi: dovevamo infiltrarci fra gli abitanti, stanare una dormiente insediata nella città ed eliminarla.»

    L'uomo al centro alzò una mano. «Quindi, per chiarezza, Talon aveva insediato uno dei suoi operativi a Crescent Beach e voi siete andati lì per scovarlo.»

    «Sì, signore.» Tristan fece un rapido cenno con il capo. «Dovevamo uccidere un drago.»

    Un brusio attraversò la stanza. Fin da quando l'Ordine era stato fondato, i soldati di San Giorgio sapevano per cosa combattevamo, cosa difendevamo, cosa c'era in ballo. La nostra guerra, la nostra missione sacra, non era cambiata nel corso dei secoli. L'Ordine si era evoluto con il tempo – le armi da fuoco e la tecnologia avevano sostituito spade e lance – ma il nostro scopo era rimasto invariato. Avevamo un solo obiettivo, e ogni soldato dedicava tutta la sua vita a quella causa.

    Lo sterminio totale dei nostri eterni nemici, i draghi.

    La gente comune non sapeva nulla della nostra antica guerra. L'esistenza dei draghi era un segreto custodito gelosamente, da entrambe le parti. Ormai non c'erano più veri draghi nel mondo, a parte un paio di specie di banali lucertole che erano solo una copia sbiadita dei loro famigerati omonimi. I veri draghi – le gigantesche creature alate e sputafuoco che infestavano la mitologia di tutte le civiltà del mondo, dai mostri avidi di tesori dell'Europa ai benevoli portatori di pioggia dell'Oriente – esistevano solo nella leggenda e nella storia.

    E questo era esattamente quello che loro volevano far credere alla gente.

    Come l'Ordine di San Giorgio si era evoluto con il passare degli anni, così avevano fatto i nostri nemici. Secondo la dottrina di San Giorgio, quando i draghi erano stati sul punto di estinguersi, avevano fatto un patto con il diavolo per preservare la loro razza, ottenendo così il potere di mutare forma e assumere le sembianze umane. Che quella storia fosse vera oppure no, il fatto che fossero in grado di trasformarsi e sembrare umani non era una leggenda. I draghi erano emulatori impeccabili; sembravano umani, si comportavano da umani, parlavano come gli umani, tanto che era quasi impossibile distinguere un drago da un comunissimo mortale, anche se sapevi cosa cercare. Nessuno era in grado di dire quanti draghi esistessero al mondo oggi; si erano del tutto amalgamati alla società umana, travestendosi da mortali, nascondendosi in bella vista. Sotto mentite spoglie, combattevano per ridurre l'umanità in schiavitù, per fare degli esseri umani la razza inferiore. Il nostro compito era quello di scovare e ammazzare il numero più alto possibile di quei mostri, con la speranza che un giorno avremmo potuto decimare le loro schiere portandoli una volta per tutte all'estinzione che si meritavano.

    Questo era quello che credevo un tempo. Prima che incontrassi lei.

    «Ho letto il tuo rapporto, St. Anthony» riprese Fischer. «Dice che tu e Sebastian siete entrati in contatto con la sospettata e avete cominciato a indagare.»

    «Sì, signore» confermò Tristan. «Abbiamo stabilito un contatto con Ember Hill e, per eseguire gli ordini, Garret ha instaurato un legame con lei per appurare se era la dormiente.»

    Ember. Il suo nome mi provocò un leggero sobbalzo nello stomaco. Prima degli avvenimenti di Crescent Beach, sapevo chi ero, cioè un soldato di San Giorgio. La mia missione era entrare in contatto con il bersaglio, stabilire se era un drago e nel caso ucciderlo. Chiarissimo. Nessun dubbio. Semplice.

    Solo che... non era stato così semplice. Il bersaglio che eravamo andati a neutralizzare era una ragazza. Una ragazza allegra, audace, simpatica e bellissima. Una ragazza che amava fare surf, che aveva insegnato a me come fare surf, che mi aveva stuzzicato, mi aveva fatto ridere e mi aveva sorpreso ogni volta che avevo passato del tempo con lei. Mi aspettavo una creatura spietata e sleale capace soltanto di imitare le emozioni umane. Ma Ember non era così.

    Fischer continuò a rivolgersi a Tristan. «E che cosa avete stabilito?» chiese, parlando più che altro a beneficio della corte. «Quella ragazza era la dormiente?»

    Tristan guardò dritto davanti a sé, l'espressione seria. «Sì, signore» replicò, e un brivido mi percorse tutto il corpo. «Ember Hill era il drago che dovevamo eliminare.»

    «Capisco.» Fischer annuì. Nella stanza regnava il silenzio; non si sentiva volare una mosca. «Prego, informa la corte» riprese in tono pacato Fischer, «di quanto è accaduto la sera del raid. Quando tu e Sebastian avete seguito la dormiente fino alla spiaggia dopo che l'attacco al loro covo era fallito.»

    Deglutii, aspettando che il mio tradimento venisse spiattellato per filo e per segno in faccia a tutti. La notte che mi aveva portato dove mi trovavo in quel momento, la decisione che aveva cambiato tutto.

    «Abbiamo scoperto dove si nascondeva il bersaglio» iniziò Tristan, la voce fredda e professionale. «Un covo in cui c'erano almeno due draghi, forse di più. Doveva essere un raid come tanti altri: irrompere, uccidere i bersagli, uscire. Ma dovevano esserci degli apparecchi di videosorveglianza piazzati intorno alla casa. Quando siamo entrati stavano fuggendo. Ne abbiamo ferito uno, ma sono riusciti lo stesso a scappare.»

    Mi si torse lo stomaco. Avevo guidato io quell'attacco. I bersagli erano scappati perché io avevo visto Ember in quella casa, e avevo esitato. Avevo l'ordine di sparare a vista – a qualsiasi creatura in movimento, umano o drago che fosse – avrei dovuto fare fuoco, senza pensarci due volte.

    Ma non lo avevo fatto. Avevo fissato la ragazza, incapace di premere il grilletto. E quel momento di indecisione ci era costato caro, perché Ember aveva assunto la sua vera forma e aveva trasformato la stanza in un inferno. Nell'infuocato trambusto che era seguito, lei e gli altri draghi erano usciti dal retro e si erano gettati da una scogliera, mentre la villa bruciava fino alle fondamenta.

    Nessuno poteva immaginare cosa era successo in quella stanza, che avevo visto Ember oltre la bocca del fucile e mi ero paralizzato. Nessuno sapeva che per la prima volta in assoluto il Soldato Perfetto aveva tentennato. Che in quel momento il mio mondo e tutto quello che avevo sempre conosciuto erano crollati.

    Ma questo non era niente in confronto a quello che era accaduto dopo.

    «Quindi l'attacco è stato un fallimento» disse Fischer, e io feci una smorfia fra me e me nel sentirgli pronunciare quella parola. «Cos'è successo dopo?»

    Per un brevissimo istante, lo sguardo di Tristan guizzò su di me. Fu quasi impercettibile, tanto era veloce, ma mi fece comunque martellare il cuore. Lui sapeva. Forse non tutta la storia, ma sapeva che mi era successo qualcosa dopo che l'attacco era fallito. Per un breve lasso di tempo dopo il raid, mentre il quartier generale decideva cosa fare con i draghi fuggiti, io ero scomparso. Tristan mi aveva rintracciato poco dopo ed eravamo andati a cercare i bersagli insieme, ma ormai il danno era fatto.

    Quello che era avvenuto dopo il raid non lo avevo detto a nessuno. Quella sera avevo chiamato Ember, le avevo chiesto di incontrarmi su una scogliera isolata, da sola. Durante il raid avevo indossato il casco e la maschera; lei non sapeva che ero un soldato di San Giorgio. Dal tono frettoloso con cui mi aveva parlato, avevo intuito che avrebbe lasciato la città, probabilmente con il fratello, dopo avere scoperto che San Giorgio era nella zona. Ma aveva acconsentito a vedermi un'ultima volta. Forse per dirmi addio.

    Avevo in mente di ucciderla. Era colpa mia se la missione era fallita; toccava a me rimediare. Lei era un drago e io un soldato di San Giorgio. Non contava nient'altro. Ma ancora una volta, mentre fissavo la ragazza dagli occhi verdi oltre la canna della mia pistola, la ragazza che mi aveva insegnato a surfare e a ballare, e che qualche volta sorrideva solo per me... non ce l'avevo fatta. Era stato più di un momento di esitazione. Più di un attimo di stupore. Mi ero ritrovato faccia a faccia con il bersaglio che ero andato ad annientare lì a Crescent Beach – la ragazza che sapevo essere il mio nemico – e non ero riuscito a premere il grilletto.

    Era stato allora che lei aveva attaccato. Un attimo prima tenevo sotto tiro un'umana dagli occhi sgranati e un attimo dopo ero inchiodato a terra sotto un ruggente drago rosso, le sue zanne a pochi centimetri dalla mia gola. In quel momento avevo capito che stavo per morire, dilaniato dagli artigli o incenerito dal fuoco del drago. Avevo abbassato la guardia, ero rimasto indifeso, e il drago aveva reagito come faceva qualunque esemplare della sua razza quando si trovava di fronte a San Giorgio. Stranamente, non avevo provato alcun rimpianto.

    E poi, mentre ero sdraiato impotente sotto il peso del drago e mi preparavo a morire, era successo l'impensabile.

    Mi aveva lasciato andare.

    Non era stato distratto da qualcosa. Non era arrivato un soldato di San Giorgio appena in tempo per salvarmi. Eravamo soli, lontani chilometri da tutto e tutti. La scogliera era buia, deserta e isolata; anche se avessi gridato, nessuno avrebbe potuto sentirmi.

    A parte il drago. Il mostro spietato e calcolatore che avrebbe dovuto disprezzare il genere umano e non possedere alcuna empatia, alcuna umanità, niente di niente. La creatura che odiava San Giorgio più di ogni altra cosa e non ci aveva mai mostrato né pietà, né misericordia, né perdono. Il bersaglio a cui avevo mentito, la ragazza che avevo corteggiato con il solo intento di distruggerla, che avrebbe potuto mettere fine alla mia vita in quel momento con un solo graffio o respiro. Il drago che teneva il soldato di San Giorgio sotto le zampe, alla sua totale mercé... si era ritratto volontariamente e mi aveva lasciato andare.

    E mi ero reso conto... che l'Ordine si era sbagliato. San Giorgio ci insegnava che i draghi erano mostri. Li uccidevamo senza discutere, perché non c'era niente da discutere. Erano alieni, diversi. Non erano come noi.

    Invece... lo erano. Ember aveva già scardinato tutte le convinzioni che l'Ordine mi aveva inculcato sui draghi; il fatto che mi avesse risparmiato la vita era stato la stoccata finale, la prova che non avevo potuto ignorare. Il che significava che alcuni dei draghi che avevo ucciso in passato, che avevo abbattuto senza alcun ripensamento perché l'Ordine mi aveva detto di farlo, potevano essere stati come lei.

    E se era così, avevo sulle mani il sangue di molti innocenti.

    «Dopo il raid» continuò Tristan, sempre rivolto alla commissione, «io e Garret abbiamo ricevuto l'ordine di seguire Ember Hill con la speranza che ci conducesse dagli altri bersagli. L'abbiamo pedinata fino a una spiaggia fuori mano, dove di fatto ha incontrato altri due draghi. Uno giovane e l'altro adulto.»

    Un altro brusio si levò nell'aula. «Un adulto» confermò Fischer, mentre il resto della commissione faceva una faccia truce. I draghi adulti si vedevano di rado; i draghi più anziani erano anche i più misteriosi, vivevano nell'ombra, si nascondevano attentamente all'interno dell'organizzazione. L'Ordine sapeva che il capo di Talon era un drago vecchissimo e potentissimo che veniva chiamato Anziano Wyrm, ma nessuno lo aveva mai visto.

    «Sì, signore» proseguì Tristan. «Dovevamo osservare e riferire se il bersaglio si fosse rivelato un drago, e quando siamo arrivati avevano tutti e tre le loro vere sembianze. Ho informato subito il comandante St. Francis e ho ricevuto l'ordine di sparare a vista.» S'interruppe, e Fischer strinse gli occhi.

    «Cosa è successo dopo, soldato?»

    «Garret mi ha fermato, signore. Mi ha impedito di sparare.»

    «Ti ha dato qualche spiegazione per il suo comportamento?»

    «Sì, signore.» Tristan prese un respiro profondo, come se le parole successive fossero difficili da pronunciare. «Mi ha detto che... l'Ordine si era sbagliato.»

    Calò il silenzio. Un silenzio carico di stupore e tensione che mi fece drizzare i peli sulla nuca. Insinuare che l'Ordine si era sbagliato era come sputare sul codice che i primi cavalieri avevano creato secoli prima. Il codice che definiva i draghi dei wyrm del demonio senza anima e gli umani che simpatizzavano con loro irrimediabilmente corrotti.

    «C'è altro?» L'espressione di Fischer era fredda, rispecchiava quella di tutti gli uomini seduti a quel tavolo. Tristan esitò di nuovo, quindi annuì.

    «Sì, signore. Ha detto che non mi avrebbe permesso di uccidere i bersagli, che non dovevamo massacrarli. Quando ho provato a farlo ragionare, mi ha aggredito. Abbiamo avuto una breve colluttazione e lui mi ha messo al tappeto.»

    Feci una smorfia. Non volevo ferire il mio compagno. Ma non potevo lasciare che sparasse. L'abilità di Tristan come cecchino era ineguagliabile. Avrebbe ucciso almeno uno dei draghi prima che i tre si rendessero conto di quello che stava succedendo. Non potevo starmene lì a vedere Ember che veniva trucidata davanti ai miei occhi.

    «Quando ho ripreso i sensi» concluse Tristan, «i bersagli erano fuggiti. Garret si era arreso al comandante della nostra squadra ed era stato preso in custodia, ma non siamo più riusciti a ritrovare i draghi.»

    «È tutto?»

    «Sì, signore.»

    Fischer annuì. «Grazie, St. Anthony. Garret Xavier Sebastian» continuò, rivolgendosi a me mentre Tristan si congedava. La sua voce e il suo sguardo rimasero severi. «Hai sentito le accuse che sono state mosse contro di te. Hai qualcosa da dire in tua difesa?»

    Presi fiato con delicatezza.

    «Sì.» Alzai la testa e affrontai gli uomini seduti a quel tavolo. Ero combattuto, non ero sicuro di voler dire qualcosa, di voler dire in faccia all'Ordine che si era sempre sbagliato. Avrei aggravato la mia situazione, ma dovevo fare un tentativo. Lo dovevo a Ember, e a tutti i draghi che avevo ucciso.

    «Quest'estate» cominciai, mentre gli sguardi piatti della commissione si spostavano su di me, «sono andato a Crescent Beach pensando di trovare un drago. Non è stato così.» Uno degli uomini sgranò gli occhi; il resto continuò semplicemente a fissarmi. «Quello che ho trovato era una ragazza, una creatura simile a me per molti versi. Ma era anche una persona vera. Non era l'imitazione di un essere umano, non erano artificiali le sue emozioni o i suoi gesti. Tutto quello che faceva era reale. La nostra missione è durata tanto proprio perché non riuscivo a cogliere nessuna differenza fra Ember Hill e una normale civile.»

    Il silenzio in aula a quel punto divenne tombale. Il volto di Gabriel Martin era di pietra, il suo sguardo gelido. Non osai voltarmi verso Tristan, ma sentivo i suoi occhi increduli puntati su di me.

    Deglutii per inumidirmi la gola secca. «Non sto chiedendo la grazia» ripresi. «La mia condotta di quella sera è ingiustificabile. Ma prego la corte di riflettere sulla possibilità che i draghi non siano tutti uguali. Ember Hill potrebbe essere un'anomalia nella sua razza, ma da quel che ho visto lei non voleva avere niente a che fare con la guerra. Se ce ne sono altri come lei...»

    «Grazie, Sebastian.» La voce di Fischer fu brusca. La sedia raschiò il pavimento quando lui si alzò, abbracciando la stanza con lo sguardo. «La corte si aggiorna» annunciò. «Ci riuniremo di nuovo fra un'ora. La seduta è sciolta.»

    Tornato in cella, mi sedetti sul materasso duro con la schiena appoggiata alla parete e un ginocchio accostato al petto, in attesa che la corte decidesse il mio destino. Chissà se avrebbe tenuto conto di quello che avevo detto. Se la testimonianza appassionata dell'ex Soldato Perfetto sarebbe stata sufficiente a convincerla.

    «Garret.»

    Alzai lo sguardo. Vidi la figura slanciata e nerboruta di Tristan davanti alla porta della cella. Aveva il volto impassibile, ma osservandolo meglio notai che sembrava combattuto, quasi tormentato. Mi guardò torvo e i suoi occhi blu notte mi trafissero il cranio, poi sospirò e scosse il capo con rabbiosa rassegnazione.

    «Che diavolo avevi in mente?»

    Distolsi lo sguardo. «Non importa.»

    «Non dire cazzate.» Tristan fece un passo avanti, mi avrebbe tirato un pugno in testa se non ci fossero state delle sbarre di ferro a dividerci. «Siamo stati compagni per tre anni. Per tre anni abbiamo combattuto insieme, ucciso insieme, un paio di volte abbiamo addirittura rischiato di farci sbranare. Ti ho salvato la pelle non so quante volte e, sì, tu hai fatto lo stesso con me. Mi devi una cazzo di spiegazione, socio. E non ti azzardare a raccontarmi una balla, pensando che io non possa capire. Ti conosco troppo bene.»

    Dato che non risposi, strinse il pugno attorno a una delle sbarre, la fronte corrugata per la perplessità e la rabbia. «Cos'è successo a Crescent Beach, Garret?» m'incalzò, anche se il suo tono era quasi supplichevole. «Tu sei il Soldato Perfetto, cavolo. Conosci il codice a memoria. Saresti capace di recitarne le norme nel sonno, anche al contrario se necessario. Perché hai rinnegato tutto?»

    «Non lo so...»

    «È stata quella ragazza, non è vero?» La voce di Tristan mi provocò un vuoto allo stomaco. «Il drago. Ti ha fatto qualcosa. Maledizione, avrei dovuto capirlo. Vi siete frequentati un bel po'. Potrebbe averti manipolato per tutto il tempo.»

    «Non è così.» Nell'antichità, si credeva che i draghi potessero fare degli incantesimi agli umani psicologicamente deboli, rendendoli schiavi attraverso la magia e il controllo della mente. Anche se quel mito era stato ufficialmente sfatato, nell'Ordine di San Giorgio c'era ancora qualcuno che credeva alle vecchie superstizioni. Tristan non era certo uno di quelli; lui possedeva il mio stesso freddo pragmatismo, questo era uno dei motivi per cui andavamo tanto d'accordo. Ma avevo il sospetto che preferisse pensare che un drago malvagio aveva manipolato il suo amico contro il suo volere, pur di non ammettere che il suo amico aveva tradito in modo deliberato e consapevole lui e l'Ordine. Non è stata colpa di Garret; è il drago che lo ha costretto.

    Ma non era stato qualcosa che Ember aveva fatto. Era stata... lei in generale. La sua passione, la sua impavidità, il suo amore per la vita. Persino nel cuore della missione mi ero dimenticato che lei era un potenziale bersaglio, che poteva essere un drago, proprio la creatura che ero andato ad annientare. Quando ero con Ember, non vedevo un obiettivo, un bersaglio, il nemico. Vedevo solo lei.

    «Com'è allora?» chiese Tristan, sembrando di nuovo arrabbiato. «Com'è esattamente, Garret? Per favore, spiegami. Spiegami come mai il mio compagno, il soldato che ha sterminato più draghi di qualsiasi altro suo coetaneo nella storia di San Giorgio, all'improvviso ha deciso che non poteva uccidere quel drago. Spiegami come ha potuto abbandonare la sua famiglia, l'Ordine che lo ha allevato, gli ha insegnato tutto ciò che conosce e gli ha dato uno scopo nella vita, spiegami come ha potuto schierarsi con il nemico. Come ha potuto pugnalare alle spalle il suo compagno per salvare uno schifosissimo drago che...»

    Tristan s'interruppe. Mi fissò. Lo vidi prendere coscienza di qualcosa, vidi il sangue defluire dal suo volto mentre metteva insieme i pezzi.

    «Oh, mio Dio» sussurrò e si allontanò dalle sbarre barcollando. Spalancò la bocca e scosse lentamente la testa, la voce piena di orrore e incredulità. «Ti sei innamorato

    Distolsi lo sguardo e fissai il muro lontano. Tristan emise un lungo sospiro.

    «Garret.» La sua voce fu un gracidio, strozzato dal disgusto e dal ribrezzo. E forse anche da qualcos'altro. Pietà. «Non... Ma come...»

    «Non dire nulla, Tristan.» Non guardai il mio ex compagno; non avevo bisogno di vederlo, sapevo con esattezza cosa stava provando. «Non serve che tu me lo dica. Lo so.»

    «Ti uccideranno, Garret» proseguì, la voce bassa e tesa. «Dopo quello che hai detto oggi davanti alla corte. Martin avrebbe potuto chiedere la grazia, se tu avessi ammesso di avere sbagliato, di aver avuto un breve momento di squilibrio, di essere stato ingannato dai draghi, qualsiasi cosa! Avresti potuto mentire. Sei uno dei nostri uomini migliori... avrebbero potuto risparmiarti la vita, nonostante tutto. Ma adesso?» Emise un verso di rassegnazione. «Sarai giustiziato per alto tradimento ai danni dell'Ordine. Lo sai, vero?»

    Annuii. Sapevo quale sarebbe stato l'esito del processo ancor prima di mettere piede in aula. Sapevo che avrei potuto confessare ciò che avevo fatto, implorare pietà, dire alla corte quello che voleva sentire. Che ero stato ingannato, imbrogliato, manipolato. Perché era quello che facevano i draghi, e nemmeno i soldati di San Giorgio erano immuni. Avrei fatto la figura dello sciocco e il mio curriculum da Soldato Perfetto sarebbe stato macchiato per sempre, ma essere raggirato dal nemico non era come tradire consapevolmente l'Ordine. Tristan aveva ragione; avrei potuto mentire, e mi avrebbero creduto.

    Invece non lo avevo fatto. Perché non potevo farlo più.

    Tristan aspettò ancora un istante, poi si avviò senza aggiungere una parola. Sentii i passi che si allontanavano e capii che quella sarebbe stata la nostra ultima conversazione. Alzai lo sguardo.

    «Tristan.»

    Pensai che non si sarebbe fermato. Invece si arrestò sulla soglia della prigione e si voltò verso di me.

    «Per quel che vale» dissi, sostenendo il suo sguardo, «mi dispiace.» Lui mi guardò perplesso e io mi sforzai di accennare un sorriso. «Grazie... di avermi coperto le spalle per tutto questo tempo.»

    Piegò un angolo della bocca. «Sapevo che prima o poi ti saresti fatto ammazzare da un drago» borbottò. «Ma non pensavo che sarebbe successo in questo modo.» Sbuffò in maniera quasi impercettibile e roteò gli occhi. «Ti rendi conto che il mio prossimo compagno si sentirà del tutto inadeguato a prendere il posto del Soldato Perfetto e probabilmente avrà un esaurimento nervoso con cui io dovrò fare i conti? Be', grazie tante.»

    «Almeno avrai qualcosa per cui ricordarti di me.»

    «Già.» Il suo sorrisetto svanì. Ci guardammo per un attimo, la tensione e l'imbarazzo fra di noi, prima che Tristan St. Anthony se ne andasse.

    «Stammi bene, socio» disse. Non c'era bisogno di aggiungere altro. Né ciao, né arrivederci. Sapevamo entrambi che non ci saremmo più rivisti.

    «Anche tu.»

    Si girò e uscì dalla porta.

    «La corte ha raggiunto il verdetto.»

    Ero di nuovo in piedi nella stanza mentre Fischer si alzava e si rivolgeva a tutti i presenti. Lanciai una rapida occhiata a Martin e vidi che stava fissando un punto sopra la mia testa, lo sguardo impassibile.

    «Garret Xavier Sebastian» cominciò Fischer con voce tagliente, «all'unanimità ti dichiariamo colpevole di alto tradimento ai danni dell'Ordine di San Giorgio. Per i tuoi crimini verrai giustiziato da un plotone d'esecuzione domani all'alba. Che Dio abbia misericordia della tua anima.»

    2

    Dante

    Altri quindici piani e passa.

    L'ascensore era freddo. Asettico. Un energico motivetto arrivava dall'alto, metallico e indistinto. Le pareti erano rivestite di specchi, che riflettevano l'immagine sfocata di un uomo in giacca e cravatta e un adolescente che stava al suo fianco con le mani intrecciate davanti a sé. Osservai il mio riflesso con il freddo distacco su cui il mio istruttore insisteva tanto e per cui mi ero tanto esercitato. Il nuovo completo nero mi calzava a pennello, non faceva una grinza, i miei capelli color cremisi erano tagliati e pettinati in modo appropriato. Avevo una cravatta di seta rossa infilata con cura nella giacca, le scarpe scure lucidate a specchio e un grosso Rolex d'oro che mi avvolgeva il polso come una fascia pesante e fredda. Non sembravo più il ragazzo umano di Crescent Beach, con i calzoncini e la canotta, i capelli lunghi e scompigliati dal vento. Non sembravo un adolescente senza alcun pensiero al mondo. No, avevo completato l'integrazione. Avevo dato prova del mio valore, a Talon e all'organizzazione. Avevo superato tutti gli esami e avevo confermato che di me ci si poteva fidare, che per me la sopravvivenza della nostra specie era la cosa più importante.

    Avrei voluto che mia sorella avesse fatto altrettanto. A causa sua, il nostro futuro era incerto. A causa sua, non sapevo cosa volesse da me Talon adesso.

    Giunti al trentesimo piano l'ascensore si fermò e le porte si aprirono con un sibilo quasi impercettibile. Mi ritrovai in un maestoso atrio dal pavimento rosso e dorato, le mie scarpe battevano sulle piastrelle e il tacchettio risuonava nel vasto ambiente circostante. Mi guardai intorno per abbracciare quello spazio e sorrisi sotto i baffi. Era proprio come lo immaginavo, come speravo che fosse Talon. Il che era un bene, perché avevo grandi progetti.

    Un giorno qui comanderò io.

    Il mio istruttore, che sin dall'inizio dell'addestramento mi aveva detto di chiamarlo Signor Smith, mi accompagnò nell'atrio, poi si girò verso di me con un sorriso. A differenza di altri draghi, il cui sorriso sembrava forzato, il suo era caloroso e seducente, poteva sembrare del tutto sincero, se non badavi alla fredda impassibilità dei suoi occhi.

    «Pronto?»

    «Certo» risposi, cercando di non apparire troppo nervoso. Purtroppo, il signor Smith avvertiva la paura e la tensione come uno squalo sentiva l'odore del sangue, per cui il suo sguardo divenne più severo, nonostante il largo sorriso.

    «Rilassati, Dante» disse, posandomi una mano sulla spalla. Avrebbe dovuto essermi di conforto, ma non c'era alcun calore in quel gesto. Ormai avevo capito che le sue manifestazioni d'affetto erano vuote; me lo aveva insegnato lui stesso. Non dovevi credere a quello che dicevi; dovevi solo far credere agli altri che ti importava. «Andrà bene, fidati.»

    «Non deve preoccuparsi per me, signore» gli assicurai, deciso a non mostrare altro che fredda sicurezza. Un netto contrasto con il fascio di nervi che sentivo nello stomaco. «So perché sono qui. E so cosa devo fare.»

    Mi strinse la spalla e, malgrado tutto, mi rilassai. Ci voltammo e lo seguii lungo uno stretto corridoio fiancheggiato da uffici, svoltammo l'angolo e infine arrivammo davanti a una grossa porta. Sul legno verniciato spiccava una semplice targa dorata: A. R. Roth.

    Il mio stomaco si aggrovigliò di nuovo. Il signor Roth era uno dei vicepresidenti più anziani di Talon. Uno dei draghi che, pur non essendo tanto in alto nella gerarchia da avere contatti diretti con l'Anziano Wyrm, ci andava parecchio vicino. E voleva parlare con me. Probabilmente di Ember e di quello che avevano intenzione di fare al riguardo.

    Ember. Provai un momentaneo accesso di rabbia e paura nei confronti della mia indomita gemella; rabbia per il fatto che fosse così testarda, così ribelle e ingrata, che avesse voltato le spalle ai suoi simili – all'organizzazione che ci aveva allevati – per fuggire con un noto traditore, fregandosene delle conseguenze. Paura per quali sarebbero state quelle conseguenze. Di norma quando un drago disertava veniva mandata una Vipera, uno dei tanto temuti sicari di Talon, a occuparsene. Era spiacevole, ma necessario. I draghi che disertavano erano instabili e pericolosi, e mettevano a repentaglio la sopravvivenza della nostra specie. Fuori dalla struttura di Talon, un disertore poteva accidentalmente, o anche deliberatamente, rivelare agli umani la nostra esistenza, il che avrebbe rappresentato una catastrofe per tutti noi. Gli umani non dovevano sapere che i draghi si muovevano in mezzo a loro; la loro paura istintiva dei mostri e dell'ignoto li avrebbe sopraffatti, proprio come centinaia di anni prima, e ci avrebbero portati di nuovo verso l'estinzione.

    Sapevo quali misure Talon era costretta ad adottare contro i disertori in caso di necessità. Anche se la perdita di un drago era un duro colpo per tutti noi, quelli che rifiutavano di allinearsi all'organizzazione avevano già scelto il loro cammino, si erano dimostrati sleali. Dovevano essere eliminati. Lo capivo. Non avrei mosso obiezioni.

    Ma Ember non era una traditrice. Era stata traviata, ingannata da quel disertore. Era sempre stata una testa calda, un'ingenua, e lui le aveva raccontato un mucchio di frottole per metterla contro Talon, contro la sua stessa razza... e contro di me. Era colpa sua se lei era scomparsa. Ember aveva sempre avuto... dei problemi... con l'autorità, ma prima di incontrare il disertore riusciva ancora a ragionare e a capire dov'era la verità.

    Serrai la mascella. Se solo fosse tornata dall'organizzazione, avrebbe capito di avere sbagliato. Le avrei mostrato la verità: che i disertori erano pericolosi, che Talon aveva a cuore i nostri interessi e che l'unico modo per sopravvivere in un mondo popolato da umani era collaborare. Ut omnes surgimus. Uniti dominiamo. Un tempo ci aveva creduto anche lei.

    Io non avevo mai smesso di crederci.

    Varcammo la soglia ed entrammo in un ufficio freddo e spoglio. C'era una parete fatta interamente di finestre e al di là del vetro la città di Los Angeles si stendeva fino alle montagne lontane, le torri e i grattacieli scintillavano al sole.

    «Signor Roth» esordì il signor Smith, mentre mi faceva cenno di avanzare, «questo è Dante Hill.»

    Un uomo si alzò da una grande scrivania nera per salutarci, sorrise e fece un passo avanti con la mano tesa. Indossava un completo blu scuro e un orologio ancora più massiccio del mio, dal taschino che aveva sul petto spuntava una penna dal cappuccio dorato. I suoi capelli scuri erano talmente corti da sembrare dei piccoli aculei e i suoi occhi, ancora più scuri, mi osservarono con aria critica persino quando mi strinse la mano fra le sue, rompendomi quasi le dita con una presa d'acciaio.

    «Dante Hill! Piacere di conoscerla.» Mi stritolò la mano, e io trattenni un mugolio, sorridendo nonostante il dolore. «Come è andato il viaggio?»

    «Bene, signore» risposi, lieto che avesse allentato la stretta mortale e si fosse allontanato. Talon aveva mandato un'auto a Crescent Beach che ci aveva portati a Los Angeles, ma il viaggio era stato tutt'altro che rilassante, con il mio istruttore che mi bombardava di notizie sulle policy della società, sul protocollo e su come comportarsi davanti al vicepresidente locale. Io ero un cucciolo insignificante e stavo

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