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Legion - L'esercito di Talon
Legion - L'esercito di Talon
Legion - L'esercito di Talon
E-book405 pagine5 ore

Legion - L'esercito di Talon

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Info su questo ebook

Ember Hill, come tutti gli altri draghi, ha imparato a trasformarsi in un essere umano e poi a riprendere le proprie sembianze, ma nessuno, mai, l'ha preparata ad affrontare l'amore. Garrett, l'ex cavaliere dell'Ordine di San Giorgio, è il primo che le ha fatto battere forte il cuore, ma anche Riley, capo carismatico dei draghi ribelli, ha suscitato in lei sensazioni che ancora non sa come definire. A poco a poco, tutto ciò in cui Ember credeva ha iniziato a sgretolarsi davanti ai suoi occhi, costringendola a rimettere in discussione ogni cosa: gli umani, i ribelli, se stessa, la sua capacità di giudizio, i suoi sentimenti.

Al momento, quindi, può soltanto unirsi alla causa di Riley per combattere contro l'antico nemico, l'Ordine di San Giorgio, e soprattutto contro Dante, suo fratello gemello, futuro erede dell'impero di Talon. Perché lui è a capo di una legione di nuovi draghi creata in laboratorio. E se il genere umano non accetterà di piegarsi per sempre al suo volere, ha intenzione di far sprofondare il mondo in un periodo di morte e distruzione.
LinguaItaliano
Data di uscita22 giu 2017
ISBN9788858967089
Legion - L'esercito di Talon
Autore

Julie Kagawa

Born in Sacramento, CA, Julie Kagawa moved to Hawaii at the age of nine. There she learned many things; how to bodyboard, that teachers scream when you put centipedes in their desks, and that writing stories in math class is a great way to kill time. Her teachers were glad to see her graduate. Julie now lives is Louisville, KY with her husband and furkids. She is the international and NYT bestselling author of The Iron Fey series. Visit her at juliekagawa.com.

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    Anteprima del libro

    Legion - L'esercito di Talon - Julie Kagawa

    trio

    PARTE PRIMA

    Il sacrificio è necessario

    1

    DANTE

    Era sempre stata la preferita.

    «Ember» sospirò il signor Gordon per la seconda volta da quando era iniziata la lezione. «Stai attenta, per favore. È importante. Mi stai ascoltando?»

    «Sì» mormorò la mia gemella, senza alzare lo sguardo dal banco e dai personaggi dei fumetti che stava disegnando sul libro di testo.

    Il signor Gordon si accigliò. «Benissimo. Allora, mi sai dire come si chiama la parte morbida e tondeggiante dell'orecchio umano?»

    Alzai la mano. Come previsto, il signor Gordon mi ignorò.

    «Ember?» insistette. «Sai la risposta a questa domanda?»

    Ember sospirò e posò la matita. «Il lobo» disse con un tono che lasciava intendere: Mi annoio e vorrei essere da tutt'altra parte.

    «Esatto» annuì Gordon. «La parte morbida e tondeggiante dell'orecchio umano è il lobo. Molto bene, Ember. Prendi nota, sarà nella verifica di domani.»

    «Allora» proseguì mentre Ember scarabocchiava qualcosa sul quaderno. Dubitavo che fosse la risposta alla domanda o qualunque cosa avesse a che fare con la verifica, quindi, per ogni evenienza, annotai la definizione. «Passiamo alla prossima domanda. I capelli e le unghie degli umani sono composti della stessa sostanza di cui sono fatti anche gli artigli e le corna dei draghi. Come si chiama questa sostanza? Ember?»

    «Ehm…» Ember sgranò gli occhi. Evidentemente non ne aveva idea. «Boh.»

    Feci per alzare la mano, ma mi fermai. Non sarebbe servito a niente.

    «Ne abbiamo parlato ieri» proseguì severo il signor Gordon. «L'anatomia umana è stato l'argomento di tutta la lezione. Dovresti sapere la risposta. I capelli e le unghie degli umani e gli artigli e le corna dei draghi sono di…?»

    Dai, Ember, la incitai mentalmente. Lo sai. È lì nella tua testa, anche se ieri hai passato quasi tutta la lezione a guardare fuori della finestra.

    Ember scrollò le spalle e si lasciò scivolare sulla sedia, mettendosi in una posizione che si poteva tradurre come Non ho voglia di stare qui. Il nostro professore sospirò e si rivolse a me. «Dante?»

    «Cheratina» risposi.

    Mi fece un brusco cenno di assenso e tornò da Ember. «Esatto, cheratina. Tuo fratello è stato attento» le disse fissandola con espressione severa. «Perché non puoi fare come lui?»

    Ember lo fulminò con lo sguardo. Paragonarla a me era un metodo infallibile per farla arrabbiare. «Non capisco perché dovrei conoscere la differenza tra le squame e le unghie dei piedi degli umani» borbottò incrociando le braccia. «A chi importa come si chiama? Scommetto che nemmeno gli umani sanno di essere fatti di kraken

    «Cheratina» la corresse il signor Gordon lanciandole un'occhiataccia. «Ed è estremamente importante che sappiate fin nei minimi dettagli in che cosa vi trasformate. Se volete imitare gli umani alla perfezione dovete conoscerli alla perfezione. Anche se loro non si conoscono così a fondo.»

    «Mi sembra lo stesso una cosa stupida» mormorò lei guardando con aria nostalgica il deserto e il cielo azzurro oltre la rete metallica che circondava il complesso. Il professore si incupì.

    «Benissimo, allora dovrò darti uno stimolo. Se non risponderete entrambi correttamente ad almeno il novantacinque per cento delle domande nella verifica di domani, vi sarà vietato l'accesso alla sala giochi per un mese.» Ember sobbalzò, gli occhi che lampeggiavano indignati, e il signor Gordon le sorrise con freddezza. «Questo dimostra quanto sia importante per Talon che voi conosciate l'anatomia umana. Quindi io studierei, se fossi in voi.» Indicò la porta. «Potete andare.»

    «Non è giusto» sbottò Ember mentre attraversavamo il cortile polveroso per andare al dormitorio. Il sole che splendeva alto nel cielo del Nevada scacciava il freddo dell'aria condizionata e mi scaldava la pelle. O forse avrei dovuto dire l'epidermide?

    Sorrisi della mia battuta, sapendo che Ember non l'avrebbe colta. E se anche l'avesse capita, in quello stato d'animo non l'avrebbe apprezzata.

    «Gordon è un prepotente» sbuffò dando un calcio a un sasso che rimbalzò sulla sabbia. «Non può vietarci di andare in sala giochi per un intero mese, è assurdo. Rischierei di impazzire, non c'è nient'altro da fare qui!»

    «Be', potresti stare attenta» suggerii mentre ci avvicinavamo al lungo edificio di cemento in prossimità della recinzione. Come sospettavo, la mia proposta non fu accettata di buon grado.

    «Ma come faccio a stare attenta se è tutto noiosissimo?» scattò Ember spalancando la porta. Il soggiorno era freddo, quasi gelido. Due divani in pelle erano disposti a L intorno a un tavolino e alla parete opposta era appeso l'enorme schermo piatto di una tv con più di cento canali; c'era di tutto, dalla fantascienza ai notiziari, dai film allo sport; immaginavo fosse un modo per tenerci buoni, ma con Ember non aveva mai funzionato. Avrebbe preferito stare all'aperto, piuttosto che rinchiusa a guardare la televisione tutto il giorno. La stanza era linda e immacolata, nonostante tutti i giorni una certa sorella di mia conoscenza la trasformasse in un porcile.

    Ember andò dritta al divano e lanciò i libri tra i cuscini. «Non mi lasciano mai tranquilla un attimo» proseguì senza badare al fatto che uno dei libri era scivolato per terra. «Continuano a farmi pressioni: puoi fare di meglio, devi essere più veloce, stai più attenta. Niente di quello che faccio è mai abbastanza.» Era una battuta, ma nei suoi occhi c'era un velo di tristezza. «Con te non lo fanno mai, Pinco Panco.»

    «Perché io sto attento.» Posai la borsa sul tavolo e andai in cucina a prendere da bere. Il nostro custode, il signor Stiles, non c'era. Forse era uscito, o era in camera sua. «Non hanno motivo di assillarmi.»

    «Sì be', non sai quanto sei fortunato» borbottò lei incamminandosi lungo il corridoio. «Se hai bisogno di me sono in camera mia a ripassare per questa stupida verifica di domani. Se senti un botto non spaventarti, sono io che sbatto la testa contro il muro.»

    Come no, pensai mentre la porta della camera di Ember sbatteva alle sue spalle. Fortunato, certo.

    Rimasto solo in cucina, mi versai del succo d'arancia, mi sistemai sullo sgabello e fissai pensieroso il bicchiere.

    Fortunato, aveva detto Ember. Era ovvio che ai suoi occhi potessi sembrare fortunato. Era la preferita, l'unica a cui loro prestassero attenzione. Era sempre stato così. Negli undici anni che avevamo trascorso insieme, gli istruttori avevano sempre posto le domande prima a lei, avevano sempre mostrato le cose prima a lei, si erano sempre assicurati che fosse ben preparata. L'avevano spronata in ogni modo e avevano insistito perché facesse tutto al meglio senza accorgersi – o curarsi – del fatto che io sapevo le risposte. E quando lo notavano di solito era per citarmi come esempio. Vedi, Dante lo sa. Dante l'ha già imparato. Avrei potuto uccidere per avere anche solo la metà delle attenzioni che riservavano a lei.

    Vuotai il bicchiere, lo misi nella lavastoviglie e mi incamminai lungo il corridoio verso la mia camera. Dovevo fare ancora meglio, mi dissi. Avrei dovuto lavorare sodo per guadagnarmi le attenzioni che mia sorella otteneva senza il minimo sforzo. Ember era una testa calda che si cacciava sempre nei guai, e spettava a me proteggere entrambi. Ma allo stesso tempo, se avessi continuato a impegnarmi e a eccellere, alla fine si sarebbero resi conto che ero sempre stato più bravo della mia gemella. Si sarebbero resi conto che ero io quello intelligente, quello che faceva sempre tutto giusto. Se Talon non capiva una cosa tanto ovvia, gliel'avrei dimostrato io.

    «Signor Hill? L'Anziano Wyrm è pronto a riceverla. Prego, si accomodi.»

    Seduto su un divano nell'atrio freddo e luminoso, sollevai il capo e tornai al presente, scacciando i pensieri cupi e i ricordi del passato. In quell'ultimo periodo avevo pensato molto a Ember e la sua presenza gravava sulla mia mente. Mi sentivo forse in colpa per averla delusa? Per non essere stato in grado di proteggerla dal suo peggior nemico, cioè se stessa?

    Mi alzai in piedi, feci un cenno all'umano che lavorava come assistente e andai verso l'enorme porta dell'ufficio dell'Anziano Wyrm. Non potevo più permettermi di ragionare in quel modo. Non ero più un ragazzino di undici anni che moriva dalla voglia di dimostrare il proprio valore. Non ero il gemello patetico e negletto della figlia dell'Anziano Wyrm. No, avevo dimostrato a me stesso e a tutta Talon di essere degno del mio retaggio. Ero io il braccio destro dell'Anziano Wyrm, quello a cui aveva affidato la campagna più importante di Talon.

    E prima o poi, se tutto fosse andato per il verso giusto, avrei guidato l'intera organizzazione. Prima o poi, tutto sarebbe stato mio. Ero vicino, vicinissimo all'obbiettivo che mi ero prefissato anni prima. Non potevo vacillare.

    Le gigantesche porte di legno dell'ufficio del CEO si stagliavano davanti a me, le maniglie di ottone scintillavano sotto le luci. Non bussai né aspettai che l'Anziano Wyrm mi dicesse avanti. Aprii semplicemente la porta ed entrai.

    L'Anziano Wyrm era seduta alla scrivania, le dita dalla manicure impeccabile ticchettavano rapide sulla tastiera e gli occhi erano fissi sul monitor del computer. La sua presenza riempiva l'ufficio, gigantesca e spaventosa nonostante non mi stesse nemmeno guardando. Attraversai la stanza e mi fermai davanti alla sua scrivania, le mani intrecciate dietro la schiena. Un conto era avere libero accesso all'ufficio dell'Anziano Wyrm, ma interromperla prima che facesse capire di aver notato la mia presenza era tutta un'altra storia. Io ero l'erede di uno degli imperi più grandi del mondo della finanza, ma lei era ancora il capo assoluto di Talon nonché il drago più potente al mondo. Nemmeno suo figlio era dispensato dal protocollo.

    L'Anziano Wyrm non disse nulla né alzò lo sguardo e io rimasi in silenzio ad aspettare che finisse. Cliccò sul mouse, spinse il cassettino della tastiera sotto la scrivania e mi guardò. I suoi occhi verdi, identici a quelli di Ember e ai miei, perforarono lo spazio tra di noi.

    «Dante.» Sorrise e, a differenza della maggior parte dei draghi che sapeva solo imitare un sorriso, il suo mi sembrò sincero. E non poteva essere altrimenti, visto che era quello a renderla tanto pericolosa: non si riusciva mai a capire se ciò che lasciava trasparire fosse vero o meno. «Mi fa piacere rivederti. Come è andato il viaggio di ritorno?»

    «Benissimo, signora. Grazie.»

    Annuì e si alzò indicandomi le due sedie davanti alla scrivania. Obbedii e accavallai le gambe mentre lei faceva il giro del tavolo e mi inchiodava con lo sguardo. Il peso dei suoi occhi era difficile da sostenere, ma mi appoggiai allo schienale con un'espressione calma e piena di aspettativa, stando ben attento a non mostrare paura.

    «I piani procedono» disse l'Anziano Wyrm e la sua voce bassa mi fece correre un brivido lungo la schiena. «È quasi tutto pronto. Manca solo una cosa, a questo punto. L'ultima di cui dobbiamo occuparci.»

    Il cuore iniziò a battermi forte. Immaginavo di che cosa si trattava. Non poteva che essere lei. Lei che nemmeno a quel punto si rendeva conto di essere tanto importante.

    «Ember Hill deve essere recuperata» proseguì L'Anziano Wyrm in tono sempre più intenso e minaccioso. Sentii i peli rizzarsi sulle braccia e mi si contorsero le viscere per il terrore quando mi trafisse con uno dei suoi terribili sguardi. «È indispensabile che ritorni a Talon. Basta errori. Ecco come procederemo…»

    2

    EMBER

    È morto.

    Mi inginocchiai sulla crosta di sale, tenendo in grembo il corpo immobile di Garret mentre il sole sorgeva lentamente sulla pianura e tingeva di sangue la distesa desolata delle saline che circondavano la città. Il suo viso era pallidissimo, la pelle ancora calda mentre lui si dissanguava fra le mie braccia. Intorno a me un turbinio di movimenti, voci che gridavano, domande che forse erano rivolte a me. Ma nulla mi sembrava reale. Garret era morto. L'avevo perso.

    «Merda, si sta dissanguando in fretta.» Lo aveva detto Riley, che stava inginocchiato di fronte a me accanto a Garret e gli premeva uno straccio insanguinato contro il fianco. «Non possiamo aspettare l'ambulanza, se non facciamo subito qualcosa morirà nel giro di qualche minuto.»

    «Tieni» disse un'altra voce soffocata alle mie spalle. Tristan St. Anthony, ex compagno di Garret e soldato di San Giorgio, si inginocchiò accanto a Riley e sollevò il coperchio di una grossa valigetta di plastica al cui interno c'era un assortimento di bende, garze e attrezzature sanitarie. «Posso fargli subito una trasfusione» aggiunse tirando fuori un lungo tubicino trasparente dal fondo del contenitore. «Ma non ho sacche di sangue del suo gruppo, e se non è quello giusto il suo organismo lo rigetterà.»

    «Che cosa gli serve?» chiese Riley.

    «Zero positivo.»

    «Merda.» Riley infilò una mano nella valigetta e tirò fuori un oggetto metallico che brillò nella luce fredda. Lo fissò per qualche secondo, come se dovesse prendere una decisione. «Non credo a quello che sto per fare» borbottò poi, incidendosi il braccio con la lama del bisturi, appena sopra il gomito. Il sangue sgorgò dalla ferita colando lungo la pelle, e a me si strinse lo stomaco.

    Tristan sgranò gli occhi. «Vuoi…»

    «Sta' zitto e attaccagli il tubo al braccio prima che cambi idea.»

    Tristan obbedì senza discutere. Riley si alzò in piedi tenendo l'altra estremità del tubicino trasparente e scrollò la testa. «Non ci credo, cazzo, lo sto facendo davvero» borbottò di nuovo infilandosi il tubicino nell'avambraccio.

    Il fluido rosso cupo fluì lentamente nella cannula scendendo lentamente verso il soldato morente. Guardai incantata quel flusso cremisi mentre il cuore mi batteva forte nel petto, finché la voce di Riley non mi riscosse da quella specie di trance.

    «Non startene lì impalata, Firebrand! Pensa a ricucirlo prima che il mio sangue finisca per terra.»

    Sussultai, ma Tristan era già all'opera e stava tirando fuori con febbrile determinazione disinfettante, bende, ago e filo. Mi guardò, e quando i suoi occhi azzurri incontrarono i miei scorsi le emozioni che ribollivano dietro la maschera impenetrabile del soldato. Con un nodo alla gola posai delicatamente Garret a terra e presi il materiale che Tristan mi stava porgendo. Nei minuti successivi lavorammo insieme per evitare che il soldato a cui volevamo entrambi bene morisse sulla brulla piana di Salt Lake City, mentre Riley, collegato a Garret da un sottile tubicino rosso, incombeva su di noi con espressione minacciosa.

    3

    RILEY

    Ooh, mi gira la testa.

    Barcollai e strinsi i denti quando una violenta ondata di vertigini rischiò di farmi perdere l'equilibrio. Per fortuna Ember e St. Anthony non se ne accorsero. Avevano medicato le ferite del soldato suturandole o applicando delle compresse di garza, ed erano ancora chini sul suo corpo disteso in mezzo a loro, immobile come la morte e pallido come la distesa delle saline. Guardai Ember, le lacrime che le rigavano il volto, e mi domandai se avrebbe pianto così anche per me, se mai avessi tirato le cuoia.

    «È ancora vivo?» domandai, burbero.

    L'altro soldato di San Giorgio gli tastò il polso, poi si accovacciò sui talloni sospirando e annuì. «Sì» rispose altrettanto bruscamente. «Per il momento.»

    «Ottimo. Almeno non mi è venuta la nausea per niente.» Lo osservai rimuovere delicatamente il tubicino dal braccio del soldato e coprire quell'ultima ferita. L'estremità del tubo cadde a terra e il mio sangue macchiò la crosta di sale.

    «Dovete andare» mormorò St. Anthony senza guardarmi. «Portatelo via di qui. Prima che arrivi l'Ordine.»

    Annuii, spossato. «Chiamo Wes» dissi a Ember. Il mio amico umano, nonché hacker, era in attesa, pronto a correre in nostro aiuto se qualcosa fosse andato storto. E di certo quello che era successo si poteva definire storto, anzi, stortissimo. «Dovrebbe arrivare nel giro di un paio di minuti.»

    Ember annuì senza alzare lo sguardo, gli occhi inchiodati sul soldato, e io soffocai il ruggito di rabbia che mi ribolliva nella gola. Invece presi il telefono dalla tasca e premetti il tasto che avevo usato così tante volte.

    «Dimmi che non sei morto, Riley» disse una brusca voce inglese all'altro capo del telefono.

    Sospirai. «Invece sì, Wes. Mi hanno fatto saltare la testa e a parlarti è il mio fantasma dall'aldilà. Ma come ragioni, cacchio?»

    «Be', se mi stai chiamando significa che le cose non sono filate lisce come avevamo previsto. San Giorgio è riuscito a farsi ammazzare?»

    Guardai Ember e il soldato. «Può darsi.»

    «Può darsi? Che cavolo di risposta è? O è morto o non lo è.»

    «È complicato.» Gli spiegai la situazione e quello che era successo il più in fretta possibile. Wes sapeva già che Garret era stato sfidato a duello dal Patriarca, il capo dell'Ordine di San Giorgio. Era riuscito a batterlo, anche se a fatica, e alla fine dello scontro lo aveva obbligato ad arrendersi. Ma aveva commesso un errore fatale: gli aveva risparmiato la vita. E mentre si stava allontanando il Patriarca aveva tirato fuori una pistola e lo aveva colpito alla schiena. Aveva pagato quel gesto con la vita, perché uno dei suoi stessi padrini aveva reagito immediatamente crivellandolo di colpi, ma non era servito a salvare il soldato, che ora stava morendo sulla piana di sale appena fuori della città.

    «Alla faccia del leggendario codice d'onore di San Giorgio» borbottai al mio interlocutore, ammutolito dallo shock. «Quindi devi portarlo via di qui all'istante, e noi con lui. Puoi farcela?»

    «Maledizione, Riley!» sospirò Wes. «Non potresti, almeno per una volta, evitare di ritrovarti con uno di voi che sta per morire?» Ci fu una pausa e sentii il rombo del motore che si accendeva. «Arriverò al più presto. Nel frattempo cercate di non farvi sparare addosso di nuovo, okay?»

    «Un'ultima cosa» dissi in un sussurro voltando le spalle agli altri inginocchiati sul sale. «Ho intenzione di attivare il protocollo d'emergenza. Manda il segnale alla rete, a tutti i rifugi.»

    «Merda, Riley» sospirò Wes. «È così grave?»

    «Il capo di San Giorgio, il Patriarca in persona, è appena stato ucciso. Se anche non dovessero dare la colpa a noi, cosa che invece è praticamente certa, sarà comunque un pandemonio. Nessuno deve essere allo scoperto quando si scatenerà l'inferno. Che nessuno si muova o metta anche solo una squama fuori di casa fino al mio contrordine.»

    «Cazzo» borbottò Wes e sentii il ticchettio della tastiera. Anche quando era solo appostato ad aspettare, Wes aveva sempre con sé il portatile. «Avviare procedura… immediatamente.» Sospirò di nuovo, sembrava esausto. «Okay, fatto. Presumo che adesso non ci resti che raggiungere la casa sicura e aspettare che l'Ordine venga a sapere che cosa è successo e scateni l'inferno.»

    «Vieni qui appena puoi, Wes.»

    «Ricevuto. Sto arrivando.»

    Chiusi la comunicazione e guardai St. Anthony con un sorriso forzato. «Immagino che non abbiate una barella, eh?»

    «In realtà sì.» Il soldato era ancora inginocchiato accanto al corpo di Sebastian. La voce era ferma, ma un lieve tremore, quasi impercettibile, gli percorse il corpo. «L'Ordine è sempre pronto per ogni evenienza. Anche se ci aspettavamo solo… solo un corpo.»

    Un brivido si aggiunse alle vertigini. Sollevai lo sguardo e osservai le persone raccolte intorno a una forma immobile vestita di bianco riversa sul terreno salato a pochi metri di distanza. Anche quell'uomo, come il soldato, era coperto di sangue e l'uniforme immacolata era punteggiata di rosso sulla schiena, dove i proiettili lo avevano colpito perforandogli la carne. Il Patriarca dell'Ordine di San Giorgio era crollato al suolo, morto sul colpo, sul volto una maschera di incredulità e rabbia.

    Immagino che sarei stato sorpreso anche io se fossi stato colpito più volte alle spalle da uno dei miei stessi soldati. E non da quello che avevo sfidato a duello.

    «Tristan St. Anthony.» Una voce sconosciuta rimbombò alle mie spalle, bassa e fredda. Vidi l'umano chiudere brevemente gli occhi prima di alzare la testa.

    «Signore.»

    «Alzati e allontanati dai draghi. Subito.»

    St. Anthony obbedì senza discutere, anche se i suoi movimenti erano rigidi mentre si alzava e si allontanava da me ed Ember. La sua espressione era impenetrabile quando si voltò verso l'uomo alle nostre spalle. Martin, l'aveva chiamato il Patriarca. Tenente Martin. Non era né grosso né alto, ma era più vecchio del soldato ed emanava la stessa sicurezza di chi è abituato a comandare che avevo già visto nei comandanti delle unità e nei veterani. St. Anthony rimase sull'attenti, lo sguardo fisso davanti a sé mentre l'altro lo fissava con occhi neri duri come la pietra.

    Lo osservai con attenzione, chiedendomi se gli avrebbe sparato lì, sui due piedi. Se lo avrebbe giustiziato per aver ucciso il Patriarca. Anche se, a parer mio, St. Anthony aveva solo fatto il suo dovere. I padrini erano lì per assicurarsi che il duello fosse leale, che nessuno interferisse, barasse o influenzasse l'esito della sfida in un senso o nell'altro. Sebastian aveva vinto; il Patriarca si era arreso e il duello era finito. Sparare a Sebastian alle spalle non era stato solo un gesto di estrema viltà, ma aveva anche bollato il Patriarca come colpevole senza alcuna ombra di dubbio, e St. Anthony aveva reagito come doveva. Forse la sua era stata una reazione istintiva e solo in quel momento iniziava a rendersi conto di ciò che aveva fatto, ma probabilmente era stata proprio quella reazione a salvarli da due draghi assetati di vendetta pronti a ridurli in cenere.

    Tuttavia io non sapevo nulla delle regole e delle politiche dell'Ordine di San Giorgio, salvo che erano così rigide e severe da sfiorare il fanatismo. Forse le azioni del Patriarca non avevano alcuna importanza. Forse uccidere il capo indiscusso di San Giorgio equivaleva a un'immediata condanna a morte, indipendentemente dalle motivazioni. La cosa non mi avrebbe stupito.

    E a giudicare dall'espressione di St. Anthony, non avrebbe sorpreso nemmeno lui.

    L'ufficiale fissò il giovane per un attimo, in silenzio, poi sospirò. «Hai fatto quello che dovevi fare, St. Anthony» disse con una voce dura che indusse il ragazzo a sollevare lo sguardo di colpo. «Nel rispetto delle regole di San Giorgio. Il Patriarca era colpevole e il suo gesto richiedeva una contromisura immediata.» Nonostante il tono, era chiaro che in cuor suo avrebbe dato qualunque cosa perché non fosse vero. «Hai fatto il tuo dovere, ma il Consiglio potrebbe non essere dello stesso parere» aggiunse, e St. Anthony si morse le labbra. «Ma parlerò in tuo favore e farò tutto ciò che è in mio potere perché tu non venga punito.»

    «Signore» mormorò St. Anthony quando si avvicinò anche l'altro ufficiale, il più anziano. Aveva la barba bianca e una benda sull'occhio, e ci guardò con un'espressione carica d'odio che gli deformava i lineamenti.

    «Sappiate una cosa, draghi» annunciò con voce tremante di rabbia. «Oggi avete vinto, ma non ci avete sconfitto. L'Ordine si riprenderà e non ci fermeremo finché Talon non sarà completamente distrutta. La guerra non è finita. Tutt'altro: è appena cominciata.»

    Sorrisi sprezzante, pronto a ribattere con una frecciata insolente, ma Ember alzò lo sguardo che fino a quel momento era rimasto incollato al corpo del soldato e fissò gli umani.

    «Non deve per forza essere così» disse in tono pacato, controllato. «Alcuni di noi non vogliono avere nulla a che fare né con Talon né con la guerra. Alcuni di noi cercano soltanto di sopravvivere.» Si voltò verso St. Anthony e sostenne il suo sguardo. «Garret l'ha capito. Ed è per questo che è venuto da te, è per questo che ha rischiato il tutto per tutto denunciando il Patriarca. Talon stava usando l'Ordine per uccidere i draghi che non fanno parte dell'organizzazione. San Giorgio pensa che noi draghi siamo tutti uguali, ma non è vero.» Nelle ultime parole si intuì un accenno di disperazione, quando abbassò lo sguardo e fissò ancora una volta il corpo del soldato.

    «Noi non vogliamo questa guerra» mormorò. «Ci sono già state troppe vittime, troppi morti. Ci deve pur essere un modo per mettere la parola fine a tutto questo.»

    «Certo che c'è» replicò l'umano senza scomporsi. «Finirà quando tutti i draghi del pianeta si saranno estinti. Fino all'ultimo. Se anche quello che dici fosse vero, San Giorgio non si arrenderà. L'Ordine non abbandonerà mai la sua missione finché non avrà estirpato dalla faccia della terra la minaccia che la vostra specie rappresenta. Se non altro, tutto questo è servito solo a dimostrare quanto siate infidi voi draghi. Forse era proprio questo il piano di Talon, fin dall'inizio: infliggere un colpo letale all'Ordine eliminando il Patriarca.»

    «Siete davvero così stupidi?» intervenni e i tre umani mi lanciarono un'occhiata di fuoco. «L'Ordine è davvero così cieco e rigido da non prendere nemmeno in considerazione altre ipotesi? Aprite gli occhi, maledizione! Avete davanti a voi due draghi che odiano Talon tanto quanto lo odia l'Ordine. E se credete davvero che questa fosse un'elaborata macchinazione messa in atto dall'organizzazione per far fuori il Patriarca è evidente che non ci avete riflettuto bene. Perché Talon avrebbe dovuto uccidere il Patriarca se in realtà aveva in pugno sia lui che l'Ordine? Noi» proseguii indicando me stesso, Ember e il soldato esanime, «siamo stati costretti a smascherare questa alleanza altrimenti Talon avrebbe continuato a usarvi per cancellarci dalla faccia della terra. Forse dovreste riflettere seriamente su ciò che questo significa.»

    St. Anthony, notai, stava ancora guardando Ember, che era inginocchiata accanto al soldato e stringeva le sue mani nelle proprie. Era combattuto, si capiva chiaramente dallo sguardo e dalla sottile ruga che gli increspava la fronte. Ma poi l'uomo riprese a parlare con voce ancor più fredda e severa.

    «Prendete Sebastian e andatevene via di qui» disse facendo un passo indietro. «L'Ordine non vi inseguirà, quanto meno non oggi. Ma arriverà il momento della resa dei conti, draghi. E quel giorno vi consiglio di stare alla larga se non volete scomparire insieme al resto della vostra specie. Martin, St. Anthony» chiamò avviandosi verso il cadavere del Patriarca riverso sul sale macchiato di sangue a pochi metri da noi. Il soldato che rispondeva al nome di Martin lo seguì immediatamente, ma Tristan si fermò ancora un istante a osservare Ember prima di girare sui tacchi e allontanarsi a testa alta. Nessuno di loro si voltò indietro.

    Mi inginocchiai, misi una mano sul braccio di Ember e mi chinai verso di lei. «Wes sta arrivando» le dissi. «Tra poco saremo lontani da qui.»

    Lei annuì senza alzare lo sguardo. «Tu… credi che ce la farà?» mi chiese con un filo di voce.

    Non volevo turbarla, ma non volevo nemmeno mentirle o, peggio, darle false speranze. «Non ne ho idea, Firebrand» mormorai. «Ha perso molto sangue. Non so se il proiettile ha lesionato organi vitali, ma… non è messo molto bene. Forse è meglio che ti prepari al peggio.» Ember chiuse gli occhi, chinò la testa e una lacrima le rigò il volto. Il drago dentro di me si agitò e sentii un nodo d'amarezza serrarmi la gola. Ripensai a ciò che aveva detto al soldato che stava morendo tra le sue braccia, alla confessione che aveva sussurrato un attimo prima che l'umano perdesse i sensi. E mi resi conto che non avrebbe mai detto quelle parole a me.

    A meno che lui non morisse.

    Disgustato da me stesso e dagli orribili pensieri del mio drago interiore, mi alzai in piedi e mi allontanai scrutando l'orizzonte brullo.

    Dunque… il Patriarca era morto, riflettei. Avevamo raggiunto l'obbiettivo che ci eravamo prefissati. Non che volessimo ucciderlo, in realtà. Volevamo solo denunciarlo all'Ordine e spezzare l'alleanza tra lui e Talon. L'organizzazione non poteva più manovrare l'Ordine, ormai, perché la sua pedina era fuori combattimento. Ciò che era successo avrebbe fatto precipitare San Giorgio nel caos e qualcuno alla fine avrebbe pagato per la morte del capo, ma almeno per il momento avrebbero avuto altro a cui pensare. E nel frattempo io avrei potuto riorganizzare la mia rete, in modo che fossero tutti ben nascosti e al sicuro quando sarebbe arrivata l'inevitabile ritorsione.

    Ma c'era ancora Talon a cui pensare.

    Un brivido mi percorse la schiena mentre guardavo il sole alzarsi sulla pianura e tingere l'orizzonte di rosso. Stava per succedere qualcosa, me lo sentivo. Talon era là, da qualche parte, e il fatto che il Patriarca fosse stato ucciso avrebbe scatenato anche la loro reazione. Mi sentivo come un pedone sulla scacchiera… un pedone che aveva appena mangiato l'alfiere e si ritrovava di fronte la regina che gli sorrideva beffarda.

    Scrollai la testa, tornando al presente. Stavo diventando paranoico. Se anche fosse stato Talon a orchestrare tutto questo, i nostri piani non sarebbero cambiati. Avremmo dovuto denunciare il Patriarca in ogni caso e ci saremmo comunque ritrovati qui, con il capo dell'Ordine morto e il soldato che lo aveva smascherato riverso sul sale insanguinato, sospeso tra la vita e la morte.

    Mi voltai verso Ember e l'umano, stretti l'una all'altro in quella pianura tetra e inclemente. Il viso del soldato era bianco come il sale sotto di lui, la metà del suo sangue e forse anche un po' del mio che si stava seccando in fretta sotto il sole.

    Vedi di non morire, San Giorgio, pensai, e le parole che si erano formate nella mia mente colsero di sorpresa anche me. Da adesso in avanti la situazione sarà ancor più difficile, e non sarebbe male averti intorno quando tutto imploderà. Se Talon deciderà di darci la caccia in grande stile, avremo bisogno di tutto l'aiuto possibile. E poi, se muori adesso, Ember non potrà mai dimenticarti.

    E io non voglio competere con un maledetto fantasma per il resto dei miei giorni.

    4

    GARRET

    Stavo volando.

    Le nuvole si stendevano a perdita d'occhio sotto di me come un mare spumeggiante bianco e grigio. Sopra il cielo era una limpida distesa azzurra che mi faceva girare la testa solo a guardarla. Sentivo il vento sferzarmi la faccia, il profumo della pioggia e della nebbia, e il sole che mi scaldava il dorso. Da quanto tempo stavo volando? Non riuscivo a ricordarlo, ma avevo la sensazione che fosse un'eternità e al tempo stesso un battito di ciglia. Perché ero quassù? Stavo… stavo cercando qualcosa, credo. O inseguendo qualcuno.

    O qualcosa stava inseguendo me.

    Un brontolio lontano echeggiò alle mie spalle. Guardai indietro e vidi una muraglia di nuvoloni neri alzarsi dal bianco e avventarsi verso di me a una velocità allarmante. Senza scompormi, cercai di volare più veloce, ma il cielo si oscurò rapidamente e i fulmini iniziarono a crepitare

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