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Soldier - I segreti di Talon
Soldier - I segreti di Talon
Soldier - I segreti di Talon
E-book392 pagine5 ore

Soldier - I segreti di Talon

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Info su questo ebook

Un eroico soldato votato a salvare l'umanità dalla millenaria minaccia dei draghi in completa segretezza: questo pensava di essere Garret Xavier Sebastian come fedele membro dell'Ordine di San Giorgio. Ma quello che ha appreso da una fiera e giovane drago ha ribaltato letteralmente tutto ciò in cui credeva e lo ha portato a pochi passi da morte certa.

Tradita e ancora in fuga, Ember scopre, insieme al drago ribelle Riley, una verità su Talon e sull'Ordine incredibile e difficile da accettare. Avranno bisogno di tutta l'abilità di Garret e di quello che sa dell'Ordine per negoziare un accordo impossibile. Perché, se falliranno, non ci sarà modo di fermare una guerra assoluta.



Altri titoli della Talon Saga:

1° Talon

2° Rogue - I ribelli di Talon
LinguaItaliano
Data di uscita24 nov 2016
ISBN9788858958148
Soldier - I segreti di Talon
Autore

Julie Kagawa

Born in Sacramento, CA, Julie Kagawa moved to Hawaii at the age of nine. There she learned many things; how to bodyboard, that teachers scream when you put centipedes in their desks, and that writing stories in math class is a great way to kill time. Her teachers were glad to see her graduate. Julie now lives is Louisville, KY with her husband and furkids. She is the international and NYT bestselling author of The Iron Fey series. Visit her at juliekagawa.com.

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    Anteprima del libro

    Soldier - I segreti di Talon - Julie Kagawa

    successivo.

    1

    Garret

    Il mondo andava a fuoco.

    Le fiamme circondavano il bambino, gli crepitavano nelle orecchie, riempivano l'aria di calore e fumo. Lui tossiva, rannicchiato in un angolo che il fuoco non aveva ancora raggiunto, le lacrime gli rigavano dolorosamente le guance, gli occhi gli bruciavano. Non riusciva a respirare. Era tutto così caldo; il sudore stillava dal suo piccolo corpo e gli impregnava i vestiti. Sentendosi soffocare, strisciò fino all'armadio aperto che si trovava in fondo alla stanza, voleva solo fuggire, nascondersi nel buio seducente e sperare che finisse tutto.

    «Garret!»

    Una figura indistinta gli comparve davanti e lo raccolse da terra. Lui si rilassò all'istante e nascose il viso contro il collo della donna che lo stringeva forte. Era al sicuro adesso. Finché c'era lei, era al sicuro.

    «Resisti, piccolo» gli sussurrò la donna, mettendosi a correre, mentre lui strizzava gli occhi. Il calore gli avvolgeva la schiena e le braccia, gli ustionava le gambe, ma lui non aveva più paura. Sentiva le grida e gli spari arrivare da qualche parte lì vicino, ma non gli importava. Ora che lei l'aveva trovato, sarebbe andato tutto bene.

    Una brezza fresca gli carezzò la pelle e lui sbirciò oltre la spalla della donna. Erano fuori; vide l'edificio bruciare dietro di loro, lingue di fuoco arancioni e rosse lambivano il cielo. Gli spari e gli strilli si fecero più vicini e un paio di persone li superarono correndo verso il rumore e il caos. Un boato assordante fece tremare la terra e lui trasalì.

    «Va tutto bene» mormorò la donna, accarezzandogli i capelli. Lui sentì il rapido martellio del suo cuore contro il petto, mentre la donna arrancava lungo la strada. «Va tutto bene, Garret, siamo salvi. Dobbiamo solo trovare papà e...»

    Dall'alto arrivò un ruggito. Garret alzò lo sguardo proprio quando un'enorme e spaventosa creatura dalle coriacee ali nere piombò su di loro, e il mondo si spense di colpo come una lampada.

    «Signore e signori, tra pochi minuti inizieremo la discesa verso l'aeroporto di Heathrow. Vi preghiamo di rimettere i sedili in posizione verticale e di allacciare bene le cinture di sicurezza.»

    Quando sentii il comandante parlare all'interfono, aprii gli occhi e misi a fuoco la cabina dell'aereo. Il corridoio era semibuio, c'era solo qualche luce da lettura accesa qua e là. Fuori dal finestrino, un fioco bagliore rossastro era spuntato sopra l'orizzonte lontano, tingendo di rosa le nuvole sottostanti. Quasi tutti i passeggeri dormivano, compresa la donna anziana seduta accanto a me. Il rumore dei motori mi ronzò nelle orecchie, quando sbadigliai e scrollai il capo. Mi ero appisolato? Non era da me, nemmeno durante un volo di dieci ore sull'Oceano Atlantico.

    Nella mia mente aleggiavano ancora le ultime immagini di un sogno, familiari e al tempo stesso inquietanti. Calore e fumo, fuoco e spari, una donna che mi portava in salvo, il ruggito di un drago nelle orecchie. Avevo già avuto quell'incubo; per anni il mio sonno era stato turbato da immagini di morte e fiamme, ma soprattutto di draghi. Con il tempo gli incubi erano diventati meno frequenti, ma ogni tanto mi capitava ancora di rivedere me stesso a quattro anni in quella stanza avvolta dalle fiamme, tratto in salvo da una donna che ormai non ricordavo neanche più, con le urla di uomini morenti che echeggiavano tutto intorno.

    E rivedevo anche il mostro che ci piombava addosso con un ruggito, quel mostro che all'epoca non conoscevo, ma a cui avrei dato la caccia per tutta la vita. Era lì che finiva il sogno, e anche il mio ricordo. Nessuno sapeva veramente come fossi sfuggito a una morte certa e brutale. L'Ordine mi aveva spiegato che avevo rimosso quel ricordo; che era una cosa normale per i bambini che avevano subito un trauma. Mi avevano riferito che non avevo parlato per tre giorni dopo essere stato salvato.

    Immaginavo che non potesse esserci quasi nulla di più traumatico del vedere la propria madre dilaniata dalle fauci di un drago.

    Mi appoggiai allo schienale e guardai fuori dal finestrino. Sotto di me vidi lo scintillio delle luci, dove fino a poche ore prima c'era solo oscurità. Non vedevo l'ora di toccare di nuovo terra, di potermi muovere, invece di starmene rattrappito in uno spazio angusto in mezzo a degli estranei. La donna seduta accanto a me aveva iniziato a parlare a raffica subito dopo il decollo dicendo che le ricordavo suo nipote, mi aveva mostrato foto dei vari membri della sua famiglia e si era lamentata perché nessuno andava più a trovarla. Quando le foto erano finite, aveva cominciato a fare domande su di me, quanti anni avevo, dov'erano i miei genitori, se stavo andando oltreoceano da solo, finché non mi ero messo gli auricolari e avevo finto di dormire per legittima difesa. Lei aveva mormorato: «Povero caro», prima di tirare fuori dalla borsa un giornale di cruciverba, che aveva completato in silenzio finché non si era assopita. Durante quel lunghissimo volo sull'Atlantico ero stato attento a non svegliarla se sonnecchiava e mi ero mostrato assorto in altre faccende quando mi accorgevo che era sveglia.

    L'aereo sobbalzò per una leggera turbolenza e la donna borbottò, ma non aprì gli occhi. Appoggiai la testa al finestrino e guardai le luci che scorrevano sotto di me a migliaia di metri di distanza. I draghi possono volare così in alto? si domandò la mia mente stanca.

    I miei pensieri vagarono. Un altro drago apparve nella mia mente, non era nero ma color cremisi, vivace e allegro, e soprattutto non assassino. Sentii un'improvvisa fitta di dolore, ma la scacciai, sforzandomi di dimenticare, di reprimere quello che sentivo. Lei non faceva più parte della mia vita; la ragazza dal sorriso facile e dai lucenti occhi verdi, che mi aveva fatto scoprire cose che non avrei mai creduto possibili... non l'avrei rivista mai più. Non la odiavo; non ero nemmeno arrabbiato. Come potevo avercela con lei, dopo che mi aveva salvato la vita e mi aveva dimostrato tante cose, tra cui il fatto che l'Ordine si sbagliava? Avevo passato la vita a massacrare i suoi simili e lei, nonostante tutto, mi aveva soccorso, mi aveva salvato dall'esecuzione e aveva combattuto al mio fianco contro Talon e San Giorgio. Ma lei era un drago e, quando finalmente le avevo rivelato i miei sentimenti e le avevo chiesto cosa provasse per me, si era tirata indietro. Aveva ammesso di non sapere che i draghi potessero provare certi turbamenti, aveva detto che non avrebbero dovuto provare emozioni umane. Ma anche che non poteva più ignorare la sua attrazione per Riley, il drago che le aveva messo gli occhi addosso.

    In quel momento avevo capito che era del tutto inutile. Amare un drago. Era stato facile sorvolare sulla sua vera natura e vedere solo il suo lato umano. Non avevo mai dimenticato chi fosse in realtà, soprattutto quando mutava forma e mi rammentava quanto potessero essere potenti, selvaggi e pericolosi i draghi. Però era più complicato di così. In un angolo della mia mente, a tormentarmi di continuo, c'era la consapevolezza che, se anche Ember avesse ricambiato i miei sentimenti, sarebbe vissuta centinaia di anni più di me. Non c'era futuro per noi; appartenevamo a due specie diverse, tra le quali infuriava una guerra che non si sarebbe fermata davanti a niente. Se mai fossi riuscito ad amare anche il drago oltre alla ragazza, che razza di vita avrei potuto offrirle io, un ex soldato di San Giorgio? Non avevo un futuro neanche da solo.

    La mia risolutezza tornò a imporsi. Avevo fatto bene ad andarmene; ora lei poteva stare con i suoi simili, era così che doveva andare. Era con Riley e i suoi ribelli. Avrebbero condotto una vita pericolosa, sempre in fuga da Talon e San Giorgio, ma Ember era caparbia e piena di risorse e Riley aveva superato in astuzia sia Talon sia San Giorgio fino ad allora. Non avevano bisogno di me. Ember Hill, il drago di cui mi ero innamorato, se la sarebbe cavata benissimo.

    «Signore e signori, abbiamo iniziato la discesa finale verso l'aeroporto di Heathrow» ronzò di nuovo la voce dall'interfono. «Vi preghiamo di spegnere tutti i computer e i dispositivi elettronici in vostro possesso e di controllare che i tavolini siano ben chiusi. Atterreremo fra circa quindici minuti.»

    La signora accanto a me si svegliò sbuffando e si guardò intorno frastornata. Si tolse il cuscinetto da viaggio da dietro il collo e si voltò verso di me con un sorriso.

    «Ce l'abbiamo fatta» annunciò, mentre io ricambiavo il sorriso con aria compassata. «Che bello sarà alzarsi e sgranchirsi le gambe, non credi? Questi voli diventano sempre più lunghi, davvero. Dove andrai una volta atterrato a Londra, caro?»

    «A Knightsbridge» mentii. «Ho degli amici lì. Starò da loro per un paio di settimane.»

    La donna fece ballonzolare la testa ingrigita. «Be', fatti portare a vedere le attrazioni principali. Londra è una città meravigliosa. Hai in programma di visitare Buckingham Palace o l'abbazia di Westminster?»

    «Non lo so, signora.»

    «Oh, ma devi assolutamente andare a Buckingham! Non puoi venire a Londra e non visitare il palazzo!» Quindi cominciò a elencarmi tutti i luoghi turistici che avrei dovuto vedere, quelli che invece avrei dovuto evitare e infine i «tesori» nascosti della città, non smise di parlare finché l'aereo non atterrò e scendemmo tutti in fila per ritrovarci nel trambusto dell'aeroporto di Heathrow.

    Guardai la città di Londra che mi passava davanti sotto le luci dei lampioni, mentre il taxi mi portava in un piccolo albergo di South Kensington, a circa un chilometro e mezzo da Hyde Park. Quando superammo una chiesa, notai qualcosa di bianco che ondeggiava in alto. La bandiera di San Giorgio, una croce rossa in campo bianco, sventolava in bella mostra, e il disagio, che mi aveva dato tregua per un po' sull'aereo, tornò a farsi sentire ancora più forte.

    Ero arrivato. A Londra. Il territorio più vasto e importante dell'Ordine. Ero stato in quella città solo una volta, ma potevo stare certo di una cosa: non avrei trovato draghi lì, e nemmeno nelle cittadine limitrofe. La presenza di San Giorgio in quella zona era massiccia ed evidente. Il simbolo dell'Ordine, la croce rossa sullo scudo bianco, campeggiava dappertutto a Londra, sulle insegne stradali, sulle chiese e sulle facciate degli edifici. Anche se San Giorgio era il patrono di tutta l'Inghilterra, e quella bandiera rappresentava tutto il paese, il messaggio per Talon era molto chiaro in quella città: vietato l'ingresso ai draghi.

    Era un posto pericoloso per me. Lo sapevo. L'Ordine mi stava cercando e, se qualcuno mi avesse riconosciuto, non sarei mai riuscito a fuggire. Per fortuna, la maggior parte dei soldati e delle forze armate di San Giorgio era stanziata altrove, poiché la legge inglese sulle armi da fuoco e sulle armi in generale era molto rigida. Ma era proprio da Londra che il Patriarca, il capo dell'Ordine, dirigeva le truppe insieme agli altri membri del consiglio e supervisionava tutte le attività di San Giorgio. Se qualcuno avesse scoperto che ero lì, in un batter d'occhio mi sarei ritrovato l'intero Ordine alle calcagna.

    Ma lui era anche il motivo per cui ero lì, era la persona che poteva darmi le risposte che cercavo. Quanto sapevano di Talon lui e il consiglio? Davvero ignoravano l'esistenza dei disertori, dei draghi che non volevano avere niente a che fare con l'organizzazione e con la guerra? Non riuscivo a credere che fossero all'oscuro di tutto, e che lo fossero da così tanto tempo. San Giorgio doveva sapere qualcosa e, se aveva dei segreti, io dovevo scoprirli. Avevo ucciso decine e decine di esseri viventi – umani e draghi – perché l'Ordine mi aveva assicurato che in quel modo avrei protetto il mondo. Dovevo scoprire la verità, dovevo farlo per loro, per tutti i probabili innocenti a cui avevo tolto vita.

    Arrivato in albergo, andai in camera, lanciai il mio unico bagaglio sul letto e, anche se avevo viaggiato per tante ore, presi il mio cellulare prepagato e chiamai il numero che avevo memorizzato prima di lasciare gli Stati Uniti.

    Mentre il telefono squillava, controllai l'orologio. 6:32 del mattino, orario di Londra; era presto, ma lui sapeva che lo avrei chiamato appena atterrato. Eppure contai sette squilli, prima di sentire uno scatto e una voce roca dall'altra parte.

    «Pronto?»

    «Sono qui» dissi in tono pacato.

    Lui grugnì.

    «Nessun problema con l'Ordine?»

    «Nessuno.»

    «Bene. Se fossi in te non me ne andrei tanto in giro. Anzi, non dovresti proprio essere qui.» Sbuffò e me lo immaginai mentre scrollava il capo. «Cocciuto bastardo. Credo ancora che tu sia pazzo, Sebastian, a venire qui dopo che l'Ordine ha messo una taglia sulla tua testa.»

    Accennai un sorriso. «Questo è l'ultimo posto in cui gli verrebbe in mente di cercarmi.»

    «Questo non vuol dire che puoi giocare con il fuoco, bello mio.»

    «Mi serve il tuo aiuto, Andrew» continuai. «Non sarei venuto, se non fosse importante. Ma se non vuoi vedermi perché pensi che sia troppo pericoloso, abbandonami pure.»

    «Oh, piantala» borbottò Andrew. «Non potrei mai abbandonare uno che mi ha salvato la vita.» Sospirò. «Ma dobbiamo essere prudenti. L'Ordine ha occhi dappertutto, te lo assicuro. Se qualcuno ci vede insieme, siamo morti tutti e due.»

    «Quando possiamo incontrarci?»

    «Oggi» fu la sua risposta. «Oggi a mezzogiorno. Ti invio l'indirizzo tramite sms.»

    «Ricevuto.»

    Riagganciai, controllai di nuovo la porta per assicurarmi che fosse chiusa a chiave e alla fine mi sdraiai sul letto a fissare il soffitto. Sentivo gli occhi pesanti, ma dovevo rimanere sveglio, un po' per non mancare all'appuntamento imminente e un po' per impedire al jet lag di scombussolarmi l'orologio interno. Mi avrebbe fatto comodo una pistola o anche solo un coltello, ma portare di nascosto un'arma su un volo di linea sarebbe stato impossibile. Avrei dovuto farne a meno per il momento. La porta aveva un fermo con la catenella; se qualcuno si fosse introdotto nella stanza per uccidermi, almeno avrei avuto un minimo di preavviso.

    D'accordo, San Giorgio. Sono qui. Cosa ci nascondi? Stai per distruggere l'ultimo briciolo di fede nei tuoi ideali che ancora mi resta? Scoprirò che sei spietato e corrotto quanto Talon?

    Preferivo quasi non sapere la risposta.

    2

    Ember

    «Al mio tre» mormorò Riley, fissandomi dall'altro stipite. Io annuii e contrassi i muscoli, mentre fissavamo la porta bianca screpolata con sopra il 14 dorato e ascoltavamo i rumori della televisione attraverso il legno. Il mio drago ringhiò agitato, presagendo la violenza, e io socchiusi gli occhi. Riley prese un respiro profondo e sollevò la pistola che aveva tenuto nascosta sotto il giubbotto di pelle. «Uno... due... tre!»

    Diede un calcio alla porta, colpendola proprio accanto alla maniglia di ottone, e quella si spalancò rumorosamente. Io mi tuffai dentro, e Riley entrò subito dopo di me, indirizzando la pistola da una parte all'altra della stanza. Era una camera d'albergo piccola e sporca, con il letto disfatto in un angolo, il vociare della televisione in sottofondo... ma per il resto vuota.

    «Maledizione!» Riley abbassò la pistola e guardò bieco lo spazio abbandonato. «È sparito di nuovo. Probabilmente lo abbiamo mancato soltanto per un pelo, quel lurido bastardo.» Con la fronte aggrottata prese il telefono dalla tasca, schiacciò un pulsante e se lo portò all'orecchio. «Wes, se n'è già andato.» Pausa. «Non so come faceva a saperlo... è Griffin! È sempre stato una blatta paranoica.» Sospirò. «Bene. Stiamo tornando. Chiamami se c'è un'emergenza.»

    Espirai lentamente, lasciando che il drago e la sua speranza di vendetta piano piano si placassero. «E adesso?» chiesi a Riley, che sbuffò.

    «Ritorniamo al punto di partenza, purtroppo. Wes rintraccerà di nuovo quel bastardo, scoprirà dove è andato a nascondersi. Ma potrebbe volerci tempo, e noi non ne abbiamo più molto. Maledizione.» Tirò un pugno al muro, facendo rimbombare il colpo sordo per tutto il corridoio. «Eravamo così vicini. Forza, andiamo, Firebrand. Prima che arrivino i poliziotti, vediamo se ha lasciato qualcosa. Qualche indizio che ci aiuti a scovarlo.»

    Ispezionammo rapidamente la stanza ma, nonostante fosse un porcile, non trovammo niente che potesse aiutarci a rintracciare Griffin, nemmeno una ricevuta accartocciata.

    «Probabilmente ha pagato in contanti» bofonchiò Riley, dopo aver svuotato i cestini dei rifiuti, aver guardato sotto il letto e rovistato nel bagno inutilmente. «E ha coperto davvero bene le sue tracce. Maledetto. Sembra che se ne sia andato in fretta e furia... sa che gli stiamo dando la caccia.» Si passò una mano sulla faccia. «Non so cosa sia più irritante, il fatto che sia un grandissimo figlio di puttana o il fatto che sia così bravo perché ha imparato da me

    «Commetterà qualche errore» dissi. «Come l'ultima volta. Wes lo beccherà. Non può scappare per sempre.»

    «Non conosci Griffin» borbottò Riley. «Ma, sì, credo che tu abbia ragione.» Scosse la testa. «In ogni caso qui non c'è niente, e non possiamo fare niente ormai. Andiamocene.»

    Lo seguii fuori dalla porta, lungo il corridoio e dentro il parcheggio. Una Mustang nera ammaccata con i finestrini fumé era parcheggiata in un angolo; Riley spalancò la portiera, sgusciò dentro e la sbatté tanto forte da fare tremare l'auto.

    Entrai e chiusi la mia portiera con meno forza, poi guardai Riley che metteva in moto, prima di uscire sgommando dal parcheggio dell'hotel. La luce dei lampioni scivolava sulla sua faccia rabbiosa, aveva la mascella serrata, lo sguardo incollato al parabrezza. Mi appoggiai al sedile di finta pelle, sospirai e guardai fuori dal finestrino. Un'altra cittadina del Midwest, ordinaria e anonima, mi passò davanti al di là del vetro. Ne avevamo viste talmente tante negli ultimi tempi che non ricordavo nemmeno come si chiamasse.

    Capivo la frustrazione di Riley. L'umano a cui stavamo dando la caccia, Griffin Walker, era stato uno dei contatti di Riley, prima che scoprissimo che forniva informazioni di nascosto sia a Talon sia a San Giorgio. Griffin era il traditore, la talpa nella rete dei disertori. A Las Vegas ci aveva venduti a Talon ed eravamo quasi morti per colpa sua. Ma la cosa peggiore era che per colpa sua tutti i rifugi di Riley, tutti i cuccioli che aveva tirato fuori da Talon, potevano essere in pericolo. Dovevamo trovarlo, scoprire cosa sapeva e quanto aveva spifferato all'organizzazione. Ma acciuffare un umano in fuga si stava rivelando più difficile del previsto. Quella era la seconda volta in un mese che eravamo a un soffio dal prenderlo e la nostra sfuggente preda spariva nel nulla.

    Era una situazione davvero snervante, ma almeno teneva la mia mente lontana da altre cose. Questioni di cui non volevo occuparmi al momento. Ero così impegnata ad aiutare Riley nel dare la caccia a Griffin che non avevo il tempo o le energie per soffermarmi su nient'altro. E Riley era deciso a salvare la sua organizzazione clandestina, a tenere al sicuro la sua rete e a difendere i suoi cuccioli da Talon; era divorato dalla voglia di trovare il traditore che ci aveva venduti a Talon e a San Giorgio. Dopo aver lasciato Las Vegas, per giorni non avevamo parlato d'altro che di Griffin e di Talon, il che se da una parte era stata una delusione dall'altra era anche un sollievo. Se avessimo rallentato mi sarei ricordata di certe persone, e non ero ancora pronta per farlo.

    Tornati al nostro albergo, andammo dritti in camera di Wes e ci chiudemmo dentro. L'umano era seduto alla scrivania d'angolo, ricurvo sul suo laptop, nella stessa identica posizione in cui lo avevamo lasciato qualche ora prima. Quando entrammo ci rivolse un'occhiata stanca e scosse il capo.

    «Niente» disse, prima che Riley potesse chiedere. «Nessuna telefonata, nessuna nuova transazione con la carta di credito, un cazzo di niente. Abbiamo perso le tracce, amico. Griffin è ufficialmente sparito.»

    «Maledizione» imprecò Riley, avanzando a grandi passi. «Quel viscido, schifoso bastardo. Continua a cercare» gli ordinò, e Wes si girò di nuovo verso il computer con un sospiro. «Eravamo a tanto così, Wes. Non possiamo lasciarcelo sfuggire adesso.»

    Mi stropicciai gli occhi e mi voltai, sapendo che Riley e Wes avrebbero avuto da fare almeno per un paio di ore. Wes in pratica viveva davanti al computer, e la rabbia di Riley lo avrebbe obbligato a continuare le ricerche, ma a me quel ritmo folle cominciava a dare sui nervi. «Va bene, voi due divertitevi» dissi, avviandomi verso la porta. «Io mi faccio una dormita, visto che per ora non avete bisogno di me.»

    Riley si voltò, i suoi solenni occhi dorati incontrarono i miei. Per un attimo il mio drago si agitò e quasi lo sfidò con lo sguardo mentre ci fissavamo. Sfidò Riley – anzi, Cobalt – a uscire e affrontarlo. Lui non lo avrebbe fatto, e lo sapevamo entrambi; Riley non avrebbe mai rischiato di esporsi assumendo la sua vera forma a meno che non fosse stato necessario. Ma istintivamente il mio drago sperava ancora che lo facesse. Riley esitò, come se volesse dire qualcosa, ma poi Wes borbottò e lui distolse lo sguardo.

    «Riposati finché puoi, Firebrand» mormorò, chinandosi di nuovo. «Probabilmente partiremo fra qualche ora.»

    Senza rispondere, me ne andai in camera mia, entrai in bagno e mi tolsi i vestiti. Compresa la tuta nera da Vipera, che gettai a terra senza troppe cerimonie. Strisciò sulle piastrelle formando un'ondulata macchia nera e io arricciai il naso prima di entrare nella doccia.

    L'acqua quasi ustionante mi colpì la pelle e io sospirai, chiudendo gli occhi mentre il vapore si alzava intorno a me. Quella sera ci eravamo andati davvero vicini. Avevamo quasi messo fine a quella folle ricerca, quasi scoperto quali informazioni Griffin avesse fornito a Talon, e per poco non avevamo chiuso la faccenda una volta per tutte. Ero certa che lo avremmo trovato prima o poi. Nessuno poteva nascondersi da Wes tanto a lungo, e chiunque osasse invischiarsi con i cuccioli o con i rifugi di Riley, be', non faceva una bella fine. Non avrei definito Riley ossessivo, ma di sicuro era tenace e determinato, e la rete clandestina era tutto per lui. A volte poi tendeva a essere un filino vendicativo.

    Dopo aver chiuso il rubinetto mi asciugai, mi vestii alla svelta e gironzolai per la stanza vuota, quindi accesi la televisione per abitudine. Il rumore era gradevole. Il silenzio invece era deprimente e triste. E soprattutto, nel silenzio totale, i miei pensieri andavano in luoghi che non volevo esplorare. I ricordi erano ancora troppo freschi, troppo dolorosi, per rivangarli. Alcune persone mi mancavano tanto che sentivo una voragine alla bocca dello stomaco, altre mi avevano tradita ed era come se uno specchio mi si fosse rotto dentro, le schegge mi squarciavano dall'interno.

    Mi lasciai cadere sul letto, misi un film d'azione a caso e alzai il volume, cercando di annegare i pensieri. Concentrati, mi dissi, mentre guardavo un tizio che sfrecciava su un'auto sportiva lungo strade strette, travolgendo bidoni dell'immondizia ed evitando passanti per un pelo. C'erano cose più importanti dei miei caotici sentimenti di cui bisognava preoccuparsi. Non ero più un cucciolo normale, che doveva pensare solo a divertirsi, ad ambientarsi e a fare tutto quello che l'organizzazione ordinava. Ero una ribelle, facevo parte della rete clandestina di Riley e forse ero il drago più ricercato di Talon dopo lo stesso Cobalt. A Las Vegas avevo capito esattamente di cosa era capace l'organizzazione. Se non prendevo le cose sul serio, altre persone e altri draghi avrebbero perso la vita.

    Un colpo leggero sulla porta mi fece alzare lo sguardo. «Firebrand» disse una voce familiare, e il mio drago si rianimò nel sentirla. «Sei ancora sveglia?»

    Placai il mio drago e scesi dal letto, attraversai la stanza e aprii la porta. Riley era in piedi davanti a me, le mani affondate nelle tasche della giacca, i capelli scuri davanti agli occhi. Sembrava stanco, anche se le sue labbra si incresparono in un accenno di sorriso quando mi vide.

    «Ehi» mi disse sottovoce. «Io... ehm, volevo parlarti prima che ti addormentassi. Va bene se entro un secondo?»

    Alzai le spalle e mi scansai, anche se le mie viscere cominciarono a contorcersi freneticamente, mandandomi un'ondata di calore per tutto il corpo. «Wes ha scoperto qualcosa su Griffin?» chiesi, forzandomi a restare su quell'argomento.

    Riley scosse il capo. «No, non ancora. Ma non è per questo che sono qui.» Sempre con le mani in tasca, si appoggiò contro il muro, fissandomi con i suoi seri occhi dorati. Mi appollaiai sul bordo del materasso e sostenni il suo sguardo. «Sono preoccupato per te, Firebrand» confessò Riley. «Da quando abbiamo lasciato Las Vegas non sei più la stessa.»

    Mi sforzai di sorridere. «E come dovrei essere?» chiesi, e lui sospirò.

    «Non lo so. Più chiacchierona? Più testarda?» Scrollò le spalle, con un'aria frustrata e smarrita. «Da quando siamo andati via da Las Vegas mi hai a malapena rivolto la parola. E ogni volta che dico qualcosa, qualsiasi cosa, tu sei... d'accordo. È sconcertante...»

    «Vuoi che mi metta a discutere con te?»

    «A questo punto? Sì.» Riley si accigliò e si ravviò i capelli. «Discuti con me. Dimmi che mi sbaglio. Di' qualcosa, qualunque cosa! Non so più cosa ti passa per la testa, Ember. So che non è stato facile per te, con Dante che è rimasto con Talon e...»

    «Sto solo cercando di fare la mia parte» lo interruppi, prima che potesse andare oltre. Lui sbatté le palpebre e io scacciai la rabbia e il dolore che nascevano in me ogni volta che sentivo nominare mio fratello. «Non voglio esserti d'intralcio. So qual è la posta in gioco. Quanto sia importante per te, e per tutti noi.» La sua fronte si corrugò e io alzai le spalle, girandomi verso il televisore. «Sono una disertrice, adesso» dissi. «Non posso più giocare. Non posso più svignarmela o farmi distrarre dalle cose degli umani. Devo imparare a sparare, a combattere e a... uccidere, o altri di noi moriranno.» Nella mia mente comparve per un attimo l'immagine di un piccolo drago viola, sdraiato in modo scomposto sul pavimento di cemento di un magazzino, gli occhi dorati fissi nel vuoto, ma io misi a tacere quel ricordo.

    «Quindi... sì.» Tornai a guardare Riley. «Sto prendendo questa cosa sul serio. Il che implica seguire i tuoi ordini e concentrarmi sulla missione. Tutto il resto non conta.»

    «Ember...» Riley tutto a un tratto sembrò ancora più stanco. Si staccò dal muro e venne a piazzarsi di fronte a me con un'espressione quasi triste. «Questo non significa che io voglia perdere la vera te» disse, mentre io lo fissavo. «Non lasciare che questa vita ti distrugga. Sei giovane. Hai una lunga, lunga esistenza davanti. No, non voglio che scappi di nascosto o che dia feste pazzesche nel cuore della notte, ma non ci possono essere solo guerra e combattimenti ogni secondo di ogni giorno. Sarai esaurita prima di diventare maggiorenne. O sarai così acida e arrabbiata che potresti fare qualcosa di davvero folle.» Piegò l'angolo della bocca in un sorriso sbieco, poi tornò serio. Non ricambiai il sorriso, così lui si avvicinò – tanto che riuscivo a sentire l'odore del suo giubbotto di pelle, il lieve calore che pulsava sotto la sua pelle.

    «Non voglio che odi stare qui, Firebrand» continuò. «Non voglio che ti penta di esserti unita ai disertori. So che sono stato preso da altre cose, ma voglio farti sapere che puoi venire da me per qualsiasi problema. Non pensare di dover affrontare tutto da sola. Fidati di me, io ne ho passate talmente tante.» Sbuffò. «Chiedi a Wes. Ti racconterà delle storie spaventose.»

    Il mio cuore prese a battere più veloce. Averlo così vicino mi procurava un formicolio sulla schiena e sentivo la pelle tirare per il forte desiderio di trasformarmi. Riley esitò, come se si fosse appena reso conto di quanto fossimo vicini, ma non si spostò. Io alzai lo sguardo e vidi l'intenso sguardo dorato di Cobalt fisso su di me.

    Per un attimo rimanemmo in bilico, i nostri draghi entrambi vicini alla superficie, ognuno ad aspettare che l'altro facesse la prima mossa. Ma poi lo sguardo di Riley si rabbuiò e lui si allontanò, interrompendo il contatto visivo.

    «Dovresti dormire un po'» mi consigliò, mentre il mio drago ringhiava per la frustrazione e il disappunto. «È stata una giornata lunga, e domani dovremo cominciare presto. Verrò a svegliarti quando saremo pronti per andare.»

    «Riley!»

    Un brusco colpo sulla porta ci fece sussultare. Riley indietreggiò, con aria quasi sollevata, e andò subito ad aprire. Dopo aver spalancato la porta, guardò accigliato Wes. «Lo hai trovato?»

    «Non esattamente, amico.» Wes mi lanciò uno sguardo fugace e strinse gli occhi, prima di rivolgersi di nuovo a Riley. «Ma devi vedere questo. Griffin ha contattato noi. Ho appena ricevuto un messaggio da quel viscido bastardo.»

    «Dove si trova?»

    «Non ne ho idea.» Wes alzò le spalle. «Ma vuole incontrarci al più presto, faccia a faccia. Dice che vuole fare un accordo. Che è disposto a darci delle informazioni... in cambio della nostra protezione.»

    Riley aggrottò la fronte. «Protezione? Cosa gli fa pensare che io...» S'interruppe e scrollò la testa. «Maledizione» mormorò. «Talon. Anche Talon gli sta dando la caccia. Non ci avrebbe contattati se non se la stesse facendo sotto.»

    «Già.» Wes annuì, un sorriso truce attraversò il suo viso lungo. «È quello che avevo immaginato anch'io. E in circostanze normali manderei al diavolo quell'ipocrita scarafaggio – gli lascerei raccogliere ciò che ha seminato. Lascerei che qualche Vipera desse la caccia a lui, per una volta. Ma...»

    «Ma ci serve qualsiasi tipo di informazione possa avere» bofonchiò Riley. «E non possiamo permettere che Talon scopra quello che sa.» Si passò una mano fra i capelli e guardò torvo Wes. «Cosa vuole che facciamo Griffin?»

    «Ha scritto che

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