Egitto. Democrazia militare
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Anteprima del libro
Egitto. Democrazia militare - Giuseppe Acconcia
IL LIBRO
L’incoronazione dell’ex generale Abdel Fattah al-Sisi come nuovo presidente egiziano ha chiuso tre anni rivoluzionari che hanno cambiato il Paese. Il racconto dal basso delle rivolte di piazza descrive un Egitto straordinario, diviso tra modernità e tradizione, dalla repressione di migranti e minoranze, alla punizione collettiva delle tribù del Sinai, dagli operai delle fabbriche di Suez al massacro di Rabaa al-Adaweya.
Piazza Tahrir da laboratorio di politica di strada è diventato il centro della repressione, con le centinaia di stupri contro le donne che hanno preso parte alle manifestazioni. Eppure gli islamisti avevano gioito per la vittoria del primo presidente eletto della storia egiziana, Mohammed Morsi, dopo mesi di violenze, le contestazioni degli operai di Mahalla al Kubra, la strage dello stadio di Port Said e gli scontri tra sufi e salafiti al confine libico.
Sebbene il movimento sociale di piazza Tahrir del gennaio 2011 si sia trasformato subito in un colpo di stato militare, l’esercito ha agito con cautela per riprodurre il consueto rapporto tra élite politica e militare, intervenendo sul potenziale rivoluzionario dei movimenti di piazza. L’incontro a Tahrir tra gli organizzatissimi Fratelli musulmani e i giovani rivoluzionari ha immediatamente disattivato il potenziale del movimento. Ma le forze armate hanno voluto di nuovo azzerare la distinzione tra politici e militari intervenendo direttamente per annullare la rivoluzione del 25 gennaio 2011 con il colpo di stato del 3 luglio 2013. Da quel momento i militari hanno imposto la vendetta verso movimenti di opposizione laica e islamista e un controllo scientifico sulla società egiziana.
GLI AUTORI
Giuseppe Acconcia, giornalista e ricercatore specializzato in Medio Oriente. Lavora per istituti di ricerca e testate inglesi, egiziani e italiani (tra cui «Al Ahram», «The Independent», «il Manifesto»). È laureato in Economia politica all’Università Bocconi di Milano con tesi sul movimento riformista iraniano. Ha conseguito un Master in Middle Eastern Studies alla School of Oriental and African Studies (Soas) di Londra con tesi sul ruolo dell’esercito in politica in Medio Oriente. Ha insegnato all’Università americana del Cairo e lavorato nella cooperazione euro-mediterranea. Ha pubblicato saggi tra gli altri con Il Mulino, The International Spectator, Ispi. È autore di La primavera egiziana
(Infinito, 2012) e Un inverno di due giorni
(Fara, 2007).
Vincitore del premio Giornalisti del Mediterraneo 2013, ha realizzato un documentario radiofonico per Radio3 Il Cairo dalle strade della rivoluzione
e collaborato alla drammaturgia di Pictures from Gihan
dei Muta Imago.
Sonallah Ibrahim, 77 anni, è uno dei più importanti scrittori egiziani. Marxista, autore tra l’altro di Warda
(2000) e Americanli
(2005), militante del Movimento democratico per la liberazione nazionale, Sonallah nel 2003 ha rifiutato un premio letterario, pari a 100.000 ghinee (12.000 euro), in polemica con il ministero della Cultura controllato dal Partito nazionale democratico dell’ex presidente Hosni Mubarak. Sonallah ha trascorso cinque anni in prigione tra il 1959 e il 1964 per il suo impegno politico durante la presidenza di Gamal Abdel Nasser.
EGITTO. DEMOCRAZIA MILITARE
GIUSEPPE ACCONCIA
Prefazione di Sonallah Ibrahim
Egitto. Democrazia militare
di Giuseppe Acconcia
© 2014 – Edizioni Exòrma
via Fabrizio Luscino 73 – Roma
Tutti i diritti riservati
www.exormaedizioni.com
Fotografie Giuseppe Acconcia, Kim Badawi, Nabil Farag, Hazem Gouda, Francesca Leonardi, Roqayah Nashaat, Giulio Piscitelli, Tommaso Sacconi
In copertina foto di Nabil Farag
Impaginazione omgrafica, roma
ISBN 978-88-98848-188
ad Anna e Mimmo
Filo spinato in piazza Tahrir dopo l’assalto alla Sicurezza di stato, 9 aprile 2011
Prefazione
UNA PAROLA SULLA SINISTRA EGIZIANA
di Sonallah Ibrahim
La sinistra egiziana ha radici profonde. C’è sempre stata una sinistra, che rappresentasse gli interessi delle masse popolari all’interno del movimento di liberazione contro l’occupazione britannica. Questo era evidente prima e dopo la rivoluzione nazionale del 1919. Il successo della rivoluzione russa, parallelamente all’intensificazione dei movimenti dei lavoratori ad Alessandria, ha portato alla nascita del Partito comunista ufficiale nel 1922. È stato presto crudelmente represso e messo al bando dal governo della coalizione borghese-feudale, guidata da Saad Zaghloul, il leader della rivoluzione abortita del 1919.
La lotta di liberazione continuò nelle due decadi successive. E si intensificò con lo scoppio della seconda guerra mondiale. Molti gruppi marxisti si formarono in quegli anni e alcuni di loro si unirono nel Movimento democratico clandestino per la liberazione nazionale. Il Dmnl chiamò per un fronte unito contro l’occupazione britannica e i reazionari locali. Venne attaccato sia dallo Stato che dalla sinistra radicale. Questo non impedì la sua veloce diffusione tra lavoratori e intellettuali nelle forme diverse di azioni legali e lavoro comune con le correnti liberali e di sinistra degli altri partiti.
Queste attività culminarono con la formazione del Comitato nazionale di studenti e lavoratori che ha guidato le rivolte del 1946. Ancora una volta le contestazioni vennero represse e vi fece seguito una diffusa campagna di polizia contro la sinistra.
Seguì un periodo di declino. Il Dmnl si dissolse in piccole organizzazioni che combatterono le une contro le altre. Ma la lotta nazionale non si fermò. Presto i gruppi marxisti si riunirono e Dmnl emerse come movimento popolare. Iniziarono i preparativi per la formazione di un sindacato generale dei lavoratori, nacquero nuovi giornali e il movimento fu capace di penetrare l’esercito e cooperare con il gruppo di ufficiali, guidati da Gamal Abdel Nasser, leader del colpo di Stato del 1952 che mise fine al regime monarchico e realizzò infine l’evacuazione delle forze britanniche.
Tuttavia, il golpe determinò la fine di tutti i partiti a eccezione del partito unico, questo condusse alla fioritura della sinistra estrema che lo definì come americano o fascista. Ma l’influenza degli slogan di sinistra e le richieste vicine alla natura rivoluzionaria della personalità di Nasser portarono a uno scontro continuo con gli interessi imperialisti e l’adozione di misure economiche nell’interesse delle masse.
Mentre le organizzazioni marxiste furono capaci di unirsi formando il Partito comunista egiziano, gli estremisti all’interno del partito non vollero riconoscere la natura progressista di Nasser e adottare una politica adeguata nei suoi riguardi. Presto il nuovo partito si dissolse in due gruppi, Dmnl era uno di questi. La natura autocratica di Nasser, incoraggiata dallo status che conquistò in tutto il mondo, promosse un’ondata di puerili tendenze di sinistra nel mondo arabo che vennero strumentalizzate dalle forze imperialiste e revisioniste. Questo portò alla nota campagna di Nasser contro tutti i gruppi di sinistra all’inizio del 1959. Durante questa campagna, che continuò per cinque anni, alcuni leader comunisti di sinistra furono torturati a morte.
D’altra parte, durante questa campagna, Nasser attuò alcune misure rivoluzionarie contro il grande capitale e i residui feudali e nell’interesse delle masse. Si muoveva velocemente verso il socialismo scientifico, un fenomeno che promosse l’ipotesi di una via non capitalista
. Nei suoi discorsi iniziò a spiegare le idee di base del marxismo. Dopo la liberazione dalla prigione degli attivisti di sinistra in seguito a un’amnistia generalizzata, si formò un’organizzazione segreta all’interno dell’Unione socialista – l’unica organizzazione governativa – sotto il nome di Avanguardia socialista, che includeva alcuni ex comunisti.
Questo condusse a una decisione, presa dai due partiti comunisti di sciogliersi e confluire, individualmente, nell’Unione socialista. La sconfitta del 1967 dopo l’aggressione israeliana condusse alla distruzione sia di Nasser che del suo socialismo. Il suo successore, Anwar al-Sadat, fece del suo meglio per liberarsi di ogni traccia di entrambi. Con questa intenzione, permise l’esistenza di partiti legali, uno di questi in rappresentanza della sinistra con il nome di Tagammu, un raggruppamento di tutte le correnti di sinistra, nasseristi e liberali. Il nuovo partito godette all’inizio di una grande popolarità. Nel frattempo i gruppi comunisti cercarono di ristabilire l’ex partito illegale e vennero perseguitati dalle forze di sicurezza.
Durante le miserabili tre decadi seguenti di Hosni Mubarak, il successore di Sadat fece in modo di consolidare un sistema di borghesia compradora, soggetta alle multinazionali e alle imposizioni occidentali. Riuscì anche a contenere il partito Tagammu che perse gran parte della sua popolarità e dei suoi iscritti.
Le organizzazioni non governative, finanziate da dubbie istituzioni straniere, hanno avuto successo nel reclutare molti elementi di sinistra e coinvolgerli in battaglie sicure
per cause sociali lontane dai problemi reali. La disintegrazione dell’Unione sovietica e dei paesi socialisti, assieme alla confusione teoretica che ne è seguita, ha condotto alla formazione di nuove piccole organizzazioni di sinistra che hanno giocato un ruolo centrale nella preparazione delle rivolte del 25 gennaio 2011. Sebbene sotto slogan di sinistra, le rivolte sono state spontanee, senza una leadership organizzata. Questo ha permesso ai Fratelli musulmani, un vecchio partito conosciuto per le sue posizioni reazionarie, violenza e opportunismo, di conquistare il potere.
Una volta ancora, le masse non organizzate si sono rivoltate, sotto gli stessi slogan nel giugno 2013.
Questa volta i militari hanno conquistato il potere. La voce della sinistra risuona ancora con i suoi slogan di giustizia sociale e libertà. Il suo destino è soggetto all’unificazione delle sue forze e all’abbandono di puerili tendenze estreme.
I diciotto giorni di piazza Tahrir da via Talaat Harb
Veduta dal mercato di Bab al-Louk
(foto di Francesca Leonardi)
EGITTO. DEMOCRAZIA MILITARE
Abdel Fattah al-Sisi è stato eletto presidente, con il voto del 27 maggio 2014, boicottato dalla maggioranza degli egiziani. Per la prima volta, il più grande paese del Nord Africa è guidato da un uomo con le mani insanguinate. L’ex generale, esponente del Consiglio supremo delle Forze armate (Scaf), è responsabile dei test della verginità su diciassette donne che manifestavano in piazza Tahrir (2011), e corresponsabile delle morti di circa mille egiziani nei diciotto giorni di occupazione di piazza Tahrir (2011), delle violenze di Mohammed Mahmud e Maspiro (2011), ideatore del massacro di Rabaa al-Adaweya (2013) e coinvolto nelle morti dei mesi precedenti alle elezioni presidenziali del maggio 2014. Nonostante ciò, il colpo di Stato del 2013 che ha deposto l’ex presidente Mohammed Morsi lo ha incoronato come personaggio mediatico, diffondendo la mania per il ritorno della stabilità
tra gli egiziani.
I MILITARI IN GIACCA E CRAVATTA
«È l’ultima volta che mi vedrete con questa uniforme», ha detto Sisi dagli schermi della televisione pubblica all’annuncio della sua candidatura. Il passaggio dall’uniforme alla giacca e cravatta, come fu per Gamal Abdel Nasser, Anwar al-Sadat e Hosni Mubarak, si è così compiuto. Le dimissioni di Sisi da ministro della Difesa sono state poi essenziali per mantenere viva l’ambigua relazione tra élite militare e politica che domina l’Egitto dalla rivoluzione del 1952.
I venerdì della rabbia
Sebbene il movimento sociale di piazza Tahrir del gennaio 2011 si sia trasformato immediatamente in un colpo di Stato militare, l’esercito ha agito con molta cautela per riprodurre il consueto rapporto tra élite politica e militare. Ha agito sul potenziale rivoluzionario dei movimenti di piazza. L’incontro in piazza Tahrir tra gli organizzatissimi Fratelli musulmani e i giovani rivoluzionari ha immediatamente disattivato il potenziale del movimento.
In un secondo momento, gli islamisti sono stati usati dall’élite militare per dimostrare al popolo egiziano che l’esercito, e solo l’esercito, è in grado, in altre parole ha il potenziale rivoluzionario
per guidare il paese. E così le forze armate hanno di nuovo azzerato la distinzione tra politici e militari, intervenendo direttamente per annullare la rivoluzione del 25 gennaio 2011 con il colpo di Stato del 3 luglio 2013.
Da quel momento i militari hanno imposto la vendetta verso gli islamisti e un controllo scientifico sulla società egiziana: facendo ciò che la Fratellanza si era dimostrata incapace di fare (coprifuoco, controllo della polizia, leggi anti-proteste, leggi anti-terrorismo).
Non è un caso poi che il primo annuncio ufficiale della candidatura di Sisi sia arrivato dopo tre attentati e cinquanta vittime nel gennaio 2014. Riportando alla ribalta, per tipo di attacchi e luoghi dove sono avvenuti, le solite oscure connessioni tra Sicurezza di stato e islamismo radicale jihadista. Il sangue è servito ai militari per dimostrare ancora una volta che l’unica soluzione per gli egiziani è il ritorno del Faraone. E così, se il passaggio dall’élite politica a quella militare è stata impercettibile per gli egiziani nelle tre presidenze precedenti, tanto che pochi associano all’esercito Gamal Abdel Nasser, Anwar al-Sadat e Hosni Mubarak, questa volta il passaggio dall’uniforme agli abiti civili da presidente è avvenuto dopo un anno di governo islamista, che per i sostenitori dell’esercito verrà considerato come un incubo scampato
, per arrivare a incoronare Sisi e la sua lucida follia
. Dopo il 25 gennaio 2011, i militari hanno optato quindi prima per l’intervento diretto in politica dello Scaf e poi per un anno di farsa in cui hanno portato allo scoperto il lato oscuro dello Stato: la Fratellanza musulmana, con lo scopo di dimostrare a tutti che si tratta solo di terroristi incompetenti
.
Il principale strumento di controllo di lungo termine, adoperato dallo Stato per disattivare le contestazioni, è stata la legge anti-proteste. Le principali ONG indipendenti hanno condannato l’aumento senza precedenti del numero di persone sparite e torturate in carcere. Molti detenuti sono stati arrestati senza accusa e senza che venisse notificato ai familiari il luogo della detenzione per mesi.
Secondo il sito indipendente «Mada Masr», sono 41.000 le persone arrestate in Egitto dal giorno del colpo di Stato militare del 3 luglio 2013, tra cui 926 minori, 4768 studenti e 166 giornalisti. Anche le indagini sulle violenze di Rabaa al-Adaweya sono state costantemente inquinate. Secondo organizzazioni dei diritti umani e ONG indipendenti, sono oltre duemila le persone scomparse il 14 agosto 2013, tra i partecipanti ai sit-in al Cairo.
Nonostante ciò, non sarò io a dire che la rivoluzione
è finita con un colpo di Stato. Si registrano voci molteplici all’interno dell’esercito che vengono messe a tacere, non ultima la possibile candidatura alle presidenziali dell’ex capo dello Staff dell’esercito, Sami Annan, ritirata all’ultimo momento. Non solo, la scarsa affluenza al voto del maggio 2013 dimostra una sempre più alta disaffezione degli egiziani ad aderire ai meccanismi di continua riproduzione del sistema autoritario e le autentiche aspirazioni democratiche del paese. Tuttavia, solo la contestazione del ruolo politico dell’esercito può riportare in vita le aspirazioni rivoluzionarie. Questo potrà avvenire forse con la trasformazione della Fratellanza da pilastro dello Stato a movimento rivoluzionario, sperando che nel frattempo gli egiziani non abbiano dimenticato che il presidente Sisi era un militare.
Parte da qui il racconto dell’Egitto dopo le