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Paura di Cadere
Paura di Cadere
Paura di Cadere
E-book435 pagine5 ore

Paura di Cadere

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Info su questo ebook

Non riesco neanche a ricordare l’ultima volta in cui mi sono sentita al sicuro.

La sicurezza mi è sempre sembrata un lusso, un qualcosa di riservato soltanto a coloro che erano stati abbastanza fortunati da avere avuto un’infanzia perfetta. Da che ho memoria, la mia compagna è stata la paura: una paura costante e paralizzante. È tutta la vita che cerco di sfuggirle, eppure, da quando l’ho incontrato, non sento più il desiderio di scappare.
Blaine mi spaventa a morte e, allo stesso tempo, fa vibrare ogni fibra del mio essere. E non è a causa dei suoi tatuaggi o dei suoi piercing, oppure di quello che provo quando lui mi è vicino. Il fatto è che questo ragazzo, bello da morire, minaccia di stravolgere ventitré anni di abitudini, facendomi venir voglia di affrontare ciò che più mi terrorizza.
Mi chiamo Kami e ho sempre paura, da sempre.
Ora, però, la cosa che più mi spaventa è proprio quella che più desidero.

***Ispirato a eventi reali***

Questa è la storia di una donna che ha lottato contro il mondo, contro le persone che l’hanno ferita e contro i suoi demoni. Ma è anche la storia di alcune persone che hanno fatto capire a questa donna che non importa quanto un cielo sia grigio, visto che, prima o poi, tornerà a splendere il sole. 
LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2020
ISBN9788855312455
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    Anteprima del libro

    Paura di Cadere - S.L. Jennings

    Capitolo 1

    Avevo bisogno di un drink.

    Uno bello forte.

    Possibilmente uno che mi mettesse k.o. e che mi facesse dimenticare quello che avevo fatto solo venti minuti prima. Quella era sempre stata la parte più difficile; il senso di colpa, il disprezzo per me stessa. A volte mi soffocava. Detestavo quello che facevo, odiavo il dolore che infliggevo, ma faceva parte del processo, era ciò che mi rendeva me.

    Facevo del male alle persone e non era qualcosa di cui ero orgogliosa.

    Parcheggiai davanti al primo bar che avevo trovato dopo aver lasciato la scena del crimine e digitai un numero sul mio cellulare, che corrispondeva alla chiamata rapida per Angel. 

    «È fatta» annunciai, senza nemmeno preoccuparmi di salutarla. I convenevoli erano destinati ai giorni in cui non avevo voglia di estraniarmi da tutto e tutti, ai giorni in cui non mi sentivo andare in mille pezzi.

    Dall’altra parte, Angel sospirò, sentendo il mio dolore attraverso il ricevitore. «Stai bene, tesoro?»

    «Sì. Starò bene. Ci stai a sbronzarti?» Ridacchiai, ma francamente non riuscii a trovare divertente la mia domanda.

    «Sempre disponibile. Dove sei?»

    Dopo averle dato l’indirizzo sistemai il mascara sbavato, usando lo specchietto retrovisore. Avrei potuto fermarmi in un negozio di liquori e tornare a casa per dimenticare i miei problemi, ma avevo bisogno di una scusa per non perdere il controllo. Una distrazione. In pubblico, non avrei avuto altra scelta che stamparmi un sorriso falso e ignorare l’immenso senso di colpa che provavo. Sarei stata costretta a fingere.

    10... 9... 8... 7...

    Avevo cominciato il mio solito conto alla rovescia mentale. Avevo iniziato da dieci. Iniziare da venti era riservato ai giorni più schifosi. Iniziare da cinquanta, invece, ai giorni catastrofici. Oggi sembrava più da dieci: una situazione di merda.

    «Puoi farcela» sussurrai al mio stesso riflesso. «Va bene. È tutto a posto. Doveva essere fatto. Devi andare avanti. Puoi farcela, Kami Duvall. Non andrai in pezzi. Non oggi.»

    L’insegna del bar diceva Dive e somigliava poco alla tipica bettola cui ero abituata. Mentre mi precipitavo nel locale climatizzato, alla ricerca di un rifugio dall’inarrestabile calura estiva di Charlotte, mi accorsi che era stato recentemente ristrutturato con un arredamento moderno e una mano di vernice alle pareti. Mi piacque subito, anche se l’atmosfera non era un requisito fondamentale per ciò che avevo in mente per la serata.

    Mi sedetti al bancone e chiesi uno shot di tequila insieme a un Long Island Iced Tea. Davanti alla mia ordinazione, il barista barbuto inarcò un sopracciglio con espressione interrogativa e io distolsi lo sguardo, fissando la ciotola di noccioline poco più in là: non avevo bisogno del suo giudizio.

    «Ehi, dolcezza, ma sei sicura che una cosina carina come te sia in grado di reggere un drink del genere?» disse qualcuno con un accento del sud. 

    Alzai il volto e mi ritrovai a fissare un tizio sorridente, seduto alla fine del bancone. Ottimo! Non bastava il giudizio del barista su ciò che bevevo, ora c’era anche quello di una Testa di Cazzo.

    Sorrisi con dolcezza prima di afferrare il mio shot di tequila e mandarlo giù; poi gettai la fetta di lime sbattendo il bicchiere sul bancone. Quando tornai a guardare, la Testa di Cazzo si stava già dirigendo verso di me, ovviamente incuriosita dalle mie capacità di sbattere uno shot in quel modo. Per sua sfortuna, il bicchiere sarebbe stato l’unica cosa sbattuta quella sera.

    «Ehi, tesoro, non ti ho mai visto qui. Devi essere nuova. Sono Craig.» Sorrise, tendendo la mano. La fissai, poi lo scrutai dalla testa ai piedi e rivolsi di nuovo l’attenzione al mio drink: era molto più eccitante. Craig capì l’antifona e ritirò la mano, ma si sedette comunque sullo sgabello accanto a me. Sbuffai; era uno stronzetto insistente. Di solito il fascino del sud faceva presa su una ragazza californiana come me, ma, dopo quello che mi era appena successo, la cosa mi infastidiva da morire.

    «Craig, giusto?» chiesi dopo una lunga sorsata del mio Long Island. Lui annuì e sorrise speranzoso. Non vedevo l’ora di togliergli quello sguardo ebete dalla faccia. «Prima di tutto, chiamare dolcezza la persona sbagliata potrebbe farti finire davvero nei guai. Secondo, come sai che sono nuova? Vieni qui spesso?»

    «Calma, cara» ridacchiò, alzando le mani in segno di resa. «Sto solo facendo due chiacchiere. E sì, in effetti, vengo qui spesso. Questo locale è della mia famiglia.»

    Fissai Craig con uno sguardo di disapprovazione. Con i capelli castani ondulati, lunghi fino alla mandibola, gli occhi castano chiaro e l’accenno di barbetta sul mento, tutto sommato non mi sembrava da buttar via. In realtà era piuttosto carino, tipo giovane gentiluomo del sud, ma in quel momento mi disprezzavo troppo persino per cedere al suo fascino.

    «E allora? Questo ti dà il diritto di molestare i clienti paganti?» risposi inarcando un sopracciglio, prima di buttare giù l’ultimo sorso del mio drink. Era forte, ma non abbastanza da nascondere la mia incazzatura.

    «Sei un tipino esotico, vero? Sì, sicuramente» valutò Craig, ignorando il mio sarcasmo. Finì la sua birra e poi i nostri bicchieri vuoti vennero subito tolti dal bancone. «Fammi indovinare, sei una di quelle ragazze mulette

    Stavo quasi per strozzarmi e, se avessi avuto la bocca piena, probabilmente gli avrei anche sputato in faccia il mio drink, solo per il gusto di farlo. «Prego? Stai cercando di dire mulatta

    «Sì! Quel mix di cioccolato e vaniglia! Ho ragione, vero?»

    Wow. Craig era ancora più cretino di quanto pensassi. Avevo già avuto conversazioni simili con i ragazzi. Tutti mi chiedevano: Che origini hai? Fammi indovinare... La frase non era nuova per me. Di solito tagliavo corto, ma dato che non avevo nient’altro di meglio da fare che meditare sulla mia situazione, pensai di farmi un paio di risate con Craig e prendermi gioco di lui. Non credevo che ci sarebbe voluto molto.

    «No, non sono una meticcia, somaro. Cioccolato e vaniglia? Ti sembro un cono gelato?» Ridacchiai. A Craig si illuminarono gli occhi dalla gioia per via delle mie parole, facendomele subito rimpiangere. Per fortuna, il barista arrivò con i nostri drink, così potei tornare al mio piano originale: prendermi una sbronza colossale.

    Alzai lo sguardo per ringraziarlo, ma mi ritrovai davanti un paio d’occhi color cioccolato e un sorriso sbarazzino. I capelli erano coperti da un berretto da baseball logoro e aveva un po’ di barba sul mento e sopra il labbro superiore, che conferiva un po’ di carattere al viso da ragazzino. Le mani e le braccia erano ricoperte da tatuaggi intricati e colorati. Era diverso dai ragazzi che di solito mi attraevano ed era incredibilmente bello; così bello che dovetti distogliere a forza lo sguardo prima di iniziare a spogliarlo usando i trucchi mentali Jedi. Volevo vedere cos’altro coprivano quei tatuaggi. Cavolo, se lo volevo.

    «CJ, spero che tu non stia disturbando questa giovane signora.» Il barista più giovane e molto più attraente sorrise. Dalla sua voce profonda traspariva un leggero accento del sud. Allungò la mano enorme – sì, l’avevo notata – per dare una pacca sulla schiena di Craig e, mentre scuoteva la testa, una ciocca di capelli castani gli sfuggì dal berretto e gli ricadde sugli occhi. Tornò a guardarmi e mi fece l’occhiolino.

    In circostanze diverse, quel gesto mi avrebbe probabilmente fatto arrossire e gli avrei rivolto un sorriso civettuolo, ma la mia mente e il mio cuore erano ancora pieni di dolore. Restituii il gesto con un cenno del capo e un mezzo sorriso nervoso. Certo, era attraente, terribilmente attraente, ma quel pensiero sarebbe stato tutto ciò che mi sarei concessa.

    «Oh, mi conosci, Blaine. Cerco solo di fare amicizia.» Craig sghignazzò prima di bere un sorso di birra fresca.

    Blaine.

    Anche il suo nome era sexy da morire, ma resistetti alla tentazione di provare a ripeterlo. Lui posò i palmi sul bancone e si sporse verso di me, guardandomi, in attesa. Merda, non volevo davvero la sua attenzione. Ma lui mi guardava con intensità, con la testa piegata di lato e con la bocca imbronciata, tanto che non riuscii a pensare a niente di spiritoso o addirittura scortese da dire per far sì che mi lasciassero in pace.

    La situazione mi innervosiva. E parecchio

    Quindi distolsi lo sguardo e feci un cenno verso un cartello con la scritta cercasi personale appoggiato su uno scaffale in alto. «State assumendo?»

    Blaine si girò e diede un’occhiata al cartello prima di tornare a guardarmi. «Sì. Cameriere, aiuto-cuochi. Un barista. Cerchi lavoro?»

    «Forse.» Feci spallucce prima di bere un sorso del mio drink, continuando a osservare la sala. Non era un locale piccolo ed era in posizione centrale, ma era praticamente vuoto a parte qualche avventore. «Questo posto è stato aperto da poco?»

    «No» rispose Blaine scuotendo leggermente la testa. Una ciocca di capelli gli ricadde sugli occhi e, con mio grande rammarico, la scostò, rimettendola sotto il berretto. «Ha solo cambiato gestione.»

    Craig sbuffò e alzò gli occhi al cielo prima di bere un sorso di birra. Si voltò di nuovo verso di me e inarcò le sopracciglia. «Allora, cara, dove eravamo rimasti? Oh giusto... sei portoricana? Messicana? Ci sono andato vicino. Vero? O dovrò continuare a tirare a indovinare?»

    Ignorai completamente Craig e il mio sguardo cadde sulle mani di Blaine. Erano sul bancone, a pochi centimetri dalle mie. In una, sopra ogni dito c’era tatuata una lettera in un carattere antico. L’altra aveva sul dorso un disegno che si fondeva con quello che risaliva lungo il braccio. Il mio sguardo seguì lentamente il motivo dettagliato studiandone ogni linea e curva. Anche se velate dall’inchiostro, si capiva che le sue braccia avevano dei muscoli tonici e definiti. Muscoli che si fletterono e si gonfiarono quando si appoggiò al bancone, facendo sì che la T-shirt bianca aderente si tendesse sui bicipiti e sulle spalle.

    «Allora?» chiese Craig, intromettendosi nei miei pensieri e distogliendomi dalle magnifiche braccia di Blaine.

    «Eh?» farfugliai. Alzai lo sguardo spalancando gli occhi e pregando che nessuno dei due avesse notato che stavo fissando Blaine in modo sfacciato. Entrambi ridacchiarono, confermandomi che le mie preghiere non erano state esaudite.

    «Sei una di quelle piccanti latino-americane?» chiese Craig avvicinandosi e sperando di attirare la mia attenzione.

    Sentii le mie labbra curvarsi in una smorfia e inghiottii il disgusto che provavo in quel momento. Senza sapere cosa fare o dire, alzai lo sguardo su Blaine che mi stava ancora fissando con un sorrisetto divertito. All’inizio, i miei occhi si spalancarono come per chiedere aiuto, poi però dovettero assumere un’aria sognante: volevano continuare a contemplare il corpo di Blaine e non potevo certo biasimarli. Chi ero io per privarli della vista dell’uomo più sexy che avevano davanti dopo anni?

    Blaine dovette notare la disperazione sul mio viso perché fece un enorme sorriso e si rivolse a Craig, liberandomi dal suo sguardo irresistibile. «Come al solito, CJ, non ci siamo» disse, mentre si girava per appoggiarsi su un gomito. Quel movimento mi permise di avere una visuale migliore del suo torace e, sotto il tessuto sottile, mi rivelò un petto e degli addominali che supplicavano di essere leccati, centimetro dopo centimetro. Il peso del corpo sostenuto dal gomito fece sì che il suo bicipite tendesse ancora di più la T-shirt. Invidiavo quella maledetta maglietta.

    «Perché?» chiese Craig, fermandosi prima di portare la bottiglia di birra alle labbra.

    Blaine distolse lo sguardo da Craig per fissarmi di nuovo, tuttavia, la sua espressione era diversa stavolta. Meno giocosa e curiosa, e più... intensa. Quasi libidinosa. Mi teneva inchiodata allo sgabello e non mi permetteva di distogliere lo sguardo o addirittura di battere le palpebre. Mi sentivo bruciare dentro, mi faceva sentire strana. La sua espressione mi turbava e mi eccitava allo stesso tempo, e non riuscivo a decidere cosa mi disturbasse di più.

    «Be’, prima di tutto» iniziò, «non è mulatta o ispanica. Guarda i suoi occhi... sono perfettamente obliqui e sexy. Espressivi. E i suoi capelli... così scuri e folti, leggermente ondulati. Capelli che ti invogliano a passarci le dita dalla radice alla punta. Forse anche a tirarli un po’» disse con un sorrisetto sghembo. «E poi c’è la forma delle labbra... si incurvano come per fare il broncio. Labbra che fisseresti per ore. Labbra che desiderano essere baciate.»

    Blaine si morse il labbro inferiore e socchiuse gli occhi, mentre continuava a scrutare ogni parte di me che aveva descritto in modo così eloquente. Ero quasi stordita e non mi ero nemmeno accorta di trattenere il fiato.

    «Asiatica. Sei in parte asiatica, vero?» chiese con semplicità, senza nessuna traccia seduttiva nel tono di voce. Il suo sguardo non ardeva più né sprizzava la passione che aveva mostrato solo qualche secondo prima.

    Il cambiamento mi destabilizzò. Per fortuna entrò la mia coinquilina/amica/salvatrice che distolse con successo l’attenzione da me. Tutti gli sguardi furono catturati dall’ingresso trionfale di Angel Cassidy, vestita con un paio di pantaloncini troppo corti, una canotta rossa tagliata ad arte per mostrare i suoi seni generosi. Ai piedi, scarpe nere con la zeppa, dotate di un cinturino che risaliva lungo la caviglia. Era la quintessenza della bionda sexy che popolava le fantasie di ogni uomo. Con le sue labbra rosse a cuore, la pelle chiara e tutte le curve al posto giusto, ricordava in maniera impressionante una Marilyn Monroe più giovane e piccante.

    Mascherai la delusione di aver perso l’attenzione di Blaine e feci l’occhiolino ad Angel. Lei si diresse verso di me con una mano sul fianco e un sorriso malizioso. Mi afferrò la testa, intrecciò le dita tra i miei capelli castano scuri e schiacciò le sue labbra lucide sulle mie. Un gemito le rimbombò nel petto mentre premevo il suo corpo contro il mio.

    Fu un bacio che fece il giro del mondo. Be’, il giro del bar, almeno.

    Il locale rimase nel più assoluto silenzio, a parte qualche leggero sussulto, mentre la lingua rosa di Angel usciva dalla bocca e mi sfiorava il labbro superiore, prima di allontanarsi. I due uomini vicino a noi sorridevano divertiti e di sicuro stavano immaginando tutte le possibili situazioni licenziose.

    «Oh, diavolo, sì!» esclamò Craig, rompendo il silenzio assordante e colpendo il petto di Blaine con il dorso della mano. «Lesbiche! Adesso si spiega

    «Come stai, tesoro?» tubò Angel, infilandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio mentre mi fissava adorante.

    Risposi con un sorriso dolce e le misi le mani sulla vita stretta. «Meglio, adesso che sei qui.»

    «Wow! Ci pensi, B?» Craig continuava a farfugliare eccitato.

    Mi girai sullo sgabello per valutare la reazione di Blaine, che era illeggibile, quasi indifferente. Bene. Buon per lui e per tutti gli altri: meglio capissero subito che non c’era alcuna possibilità con me. Non che credessi che ci stesse pensando.

    «Ragazze, posso farvi una domanda?» intervenne Craig. Per la prima volta da quando lo avevo incontrato venti minuti prima, ero contenta che si fosse intromesso. Dovevo smettere di fissare Blaine. Dovevo smettere di dargli l’impressione di essere interessata. Perché non lo ero, non era possibile.

    «Certo!» disse Angel, mettendomi un braccio sulle spalle per poi chinarsi verso di me.

    Craig bevve un sorso di birra e si schiarì la gola prima di avvicinarsi di più. «Okay. So che voi ragazze siete lesbiche e tutto il resto, ma siate sincere... non vi manca la sensazione di quelle spinte decise…?» ridacchiò fingendo di sussurrare.

    «CJ, amico!» lo schernì Blaine, dandogli uno schiaffo sulla testa.

    «Siete mai state con un uomo?» continuò Craig, ignorando le suppliche di Blaine di smetterla. «Perché mi piacerebbe essere la carne nel vostro sandwich.»

    Angel e io sbuffammo e ci dirigemmo verso un tavolo libero. Blaine stava ancora rimproverando Craig per i suoi commenti e a dire il vero facevo fatica a non ridere. Craig era di certo un cretino, ma, dovevo concederglielo, era un cretino divertente.

    «Allora che cosa è successo?» chiese Angel una volta sedute.

    Scrollai le spalle, fissai il tavolo e affondai l’unghia in una scalfittura del tavolo. «La stessa cosa che succede sempre. L’ho distrutto, ha pianto, poi sono venuta qui.»

    «Ha pianto?» Angel mi prese la mano, le sue unghie nere lucide erano in netto contrasto con la sua carnagione pallida. «Vuoi parlarne, tesoro?»

    «No» risposi scuotendo la testa. Odiavo quella parte del gioco. Ogni volta, mi dicevo che non mi sarei lasciata coinvolgere, che sarei stata meglio evitando il problema. Eppure, ogni volta, in qualche modo infrangevo le regole. Poi arrivava il dolore.

    Prima che potessi sprofondare nella sofferenza che mi autoinfliggevo, Blaine si avvicinò permettendomi di avere una visione chiara del resto del suo corpo. Indossava jeans blu bassi sui fianchi, che evidenziavano i muscoli scolpiti senza fasciarlo troppo. La semplice maglietta bianca gli aderiva al busto e, guardando bene, riuscivo a notare il contorno dei suoi addominali a tartaruga. Intuivo che aveva altri tatuaggi e questo suscitava ancora di più il mio interesse. Mi sforzai di guardarlo negli occhi, maledicendomi in silenzio.

    «Ehi, signore, mi dispiace per mio cugino. Ha battuto la testa da piccolo» disse con un sorriso prima di incrociare le braccia al petto e appoggiarsi a un tavolo vicino. Il movimento fece gonfiare quei bicipiti seducenti e, ancora una volta, quella T-shirt fortunata si tese.

    «Oh, wow, sei imparentato con quel cretino?» ridacchiò Angel. «Le mie più sincere condoglianze.»

    «È un somaro, ma è innocuo» rispose Blaine con un’alzata di spalle e un sorriso sghembo. La combinazione era incredibilmente adorabile e dovetti soffocare un patetico sospiro. «C’è qualcos’altro che posso portarvi, signore?»

    Come sempre, Angel attirava attenzione. «Be’, tesoro, per iniziare prenderemo due shot di tequila.» Scrutò la mia espressione malinconica attraverso le lunghe ciglia. «Meglio ancora, fai quattro shot. Forse avrò fortuna» disse ammiccando.

    Blaine fece un sorrisino compiaciuto prima di passarsi i denti sul labbro inferiore. Sentii lo stomaco stringersi. 

    «Avevo ragione?» chiese lui, rivolgendosi improvvisamente a me.

    Aggrottai la fronte, del tutto presa alla sprovvista. «Come?»

    Lui mise le braccia lungo i fianchi e fece un passo in avanti, sorprendendomi e facendomi ansimare. «A proposito della tua nazionalità. Avevo ragione, vero?»

    «Ehm...» balbettai. Non ero del tutto sicura del perché avessi all’improvviso perso il filo del discorso, ma tutto ciò su cui riuscivo a concentrarmi era quella fastidiosa ciocca di capelli che stava di nuovo sfuggendo dal cappello.

    «Oh, la nazionalità di Kami?» chiese Angel e il suo sguardo guizzò da Blaine a me con aria interrogativa. «Sua madre è filippina.»

    Blaine sorrise e annuì, ma non distolse mai gli occhi dai miei. Poi si allontanò, rubandomi il respiro e portandoselo con sé al bancone per preparare i nostri shot.

    «Ma che cazzo succede?» squittì Angel con tono acuto. Il commento volgare era in netto contrasto con il timbro tintinnante della sua voce.

    Dopo aver riacquistato l’uso degli arti e del cervello, mi rivolsi a lei. «Niente. Lui e suo cugino stavano cercando di capire le mie origini.»

    «Sì, sì, ci ero arrivata... Sto parlando degli sguardi: Prendimi, prendimi adesso. Insomma, dai, sbaglio o qui si è appena alzata la temperatura? Pensavo che stesse per sbatterti sul tavolo!»

    Scossi la testa e mi guardai lo smalto sulle unghie. «No, ti sbagli. Inoltre, non ho intenzione di fare lo stesso errore. Basta!»

    «Certo, certo, tesoro, se lo dici tu. Ti voglio bene lo stesso.» Sorrise, mi lanciò un bacio e di rimando feci una risatina. «Ecco il tuo bel sorriso!»

    Proprio mentre stavo iniziando a rilassarmi, Blaine tornò con un vassoio di shot, fette di lime e sale. Con un bicchierino in più. Ci porse i nostri e ne prese uno per sé, sollevandolo per un brindisi. Angel mi guardò con un perfido luccichio e prese la saliera. Si sporse verso di me, mi leccò il collo con fare seducente e vi cosparse un po’ di sale. Soddisfatta della mia accondiscendenza, posò una fettina di lime tra le mie labbra e prese il suo shot. Chiusi gli occhi quando le sue piccole mani mi strinsero il viso e iniziò a succhiarmi il sale dal collo, leccandomi e accarezzandomi come se fossimo sole nella sala. Poi si tirò indietro, fece cin-cin con il bicchiere di Blaine e buttò giù il suo shot. Infine, per la seconda volta quel giorno, premette le sue labbra contro le mie, mentre succhiava la fettina di lime.

    Blaine non si era nemmeno preoccupato della sua fetta, troppo impegnato a fissare noi due che praticamente stavamo limonando davanti a lui. A pochi metri di distanza, sentii Craig che gridava e fischiava, mentre Blaine era silenzioso e aveva un sorrisetto sulle labbra perfette. Mi chiesi se fosse solo educato o fosse anche lui gay.

    «Ok, tocca a te, Kami!» esclamò Angel. Con un sospiro annuii e cominciai ad avvicinarmi al suo collo quando lei mi afferrò per le spalle, fermandomi. «Non io, stupida! Lui. Ha solo quello shot e voglio bere il prossimo con te. Non preoccuparti, non sarò gelosa.»

    Il mio sguardo andò subito alla fronte corrugata di Blaine: avevamo entrambi un’espressione sorpresa. «Mmm, Angel, tesoro, penso che sia inappropriato. Non posso fare una cosa del genere. Lui lavora qui.»

    Blaine si leccò le labbra e si schiarì la voce. Sembrò più un gemito. «A me non dispiace, se non dispiace a te, Kami» disse lui. Il mio nome sembrava diverso pronunciato da lui, quasi indecente. Una deliziosa indecenza.

    Mi morsi il labbro inferiore e guardai Angel: sapevo esattamente cosa stava combinando. Aveva trasformato tutto in un gioco ed era sempre alla ricerca di modi per divertirsi. Quell’atteggiamento era radicato nella sua immagine da povera ragazza ricca. Alla mia occhiataccia, mi fece l’occhiolino e agitò la mano verso Blaine.

    Nonostante i drink bevuti in precedenza, non ero abbastanza ubriaca, sbuffai e riportai la mia attenzione sul delizioso barista tatuato davanti a me. «Mmm, okay. Come vuoi.»

    Blaine sorrise imbarazzato prima di avvicinare una sedia, girarla e sedersi a cavalcioni. Adesso mi era più vicino, così vicino che potevo sentire il suo profumo e, accidenti, aveva un odore incredibile! Era un mix di menta e di colonia speziata che si abbinava all’odore naturale del suo corpo tanto da farmi venire l’acquolina in bocca. Imprecai di nuovo in silenzio, ma questa volta la destinataria era Angel. Non avrei mai dovuto annusare quell’uomo, era sbagliato, assolutamente sbagliato. Eppure, allo stesso tempo, assolutamente perfetto.

    Raccolsi tutto il mio coraggio e mi avvicinai a lui. Blaine teneva lo sguardo fisso sul mio, rifiutandosi persino di battere le ciglia. Sapevo che doveva sentire il cuore che mi martellava nel petto; diavolo, era tutto quello che riuscivo a sentire io. Il suo sguardo non vacillò mai. Quando mi ritrovai a pochi centimetri dalla pelle liscia e abbronzata del suo collo, lui si mordicchiò il labbro inferiore e inclinò la testa, dandomi pieno accesso alla ben nota zona erogena. A quel punto, il mio cuore iniziò a battere ancor più veloce e pensai che potesse venirmi un infarto da un momento all’altro. Dovevo continuare, non potevo lasciargli capire quanto mi avesse colpito. Angel e io lo avevamo fatto un sacco di volte con uomini anche meno affascinanti. Lui non avrebbe fatto eccezione.

    Il sapore della sua pelle mi fece sfuggire un piccolo gemito mentre la punta della mia lingua calda tracciava una scia verso il lobo dell’orecchio. Aveva lo stesso sapore del profumo che avevo percepito: menta e spezie. Mi fece desiderare di continuare a leccare fino a risucchiare in bocca quel lobo, per poi mordicchiarlo delicatamente con i denti. Consapevole che la sensazione della mia lingua bagnata aveva fatto venire il respiro corto a Blaine, mi tirai indietro per valutare la sua reazione. I suoi occhi erano offuscati e ardenti, e sapevo che era lo stesso per i miei. Smise di mordicchiarsi il labbro inferiore e vi appoggiò la lingua, pronto per... Non sapevo cosa, ma lo notai. In quel momento notai tutto di lui; con il suo sapore che indugiava ancora sulla mia lingua, era praticamente impossibile non farlo.

    Angel si schiarì la voce e mi diede un colpetto con la saliera, riportandomi alla realtà. La presi, senza nemmeno guardare la mia amica, e versai un po’ di sale sul collo leggermente umido. Con un altro colpetto, Angel mi passò una fettina di lime. Mi avvicinai di nuovo a Blaine, esitando, con lo sguardo fisso sulla sua lingua. Quando ci fu un solo centimetro a separare la punta delle mie dita dalle sue labbra, Blaine aprì un po’ la bocca e lo vidi: un piercing. Sulla sua bellissima lingua c’era un piercing.

    Sapevo che mi sarei dovuta fermare. Non ci stavo capendo più niente. Davvero? Dei body shot con un completo estraneo? Non solo, ma uno sconosciuto tatuato e con il piercing che gridava sregolatezza? Ma non riuscii a impedirmi di chinarmi in avanti. Non riuscii a impedire alla mia lingua di catturare e leccare quella scia salata, succhiargli con dolcezza la pelle con la bocca e farlo gemere. Dopo aver buttato giù la tequila, continuai a sentire il suo sapore in bocca. Quello mi convinse a prendergli il viso tra le mani e premere le mie labbra sulle sue. La fettina di lime poteva anche separare le nostre bocche, ma sentii chiaramente le labbra morbide di Blaine e il calore del suo respiro. All’inizio non mi preoccupai nemmeno di succhiare il lime. Chiusi solo gli occhi per una frazione di secondo e mi godetti quell’intima sensazione. Era... incredibile. Stupida e pericolosa, ma incredibile.

    Ricordando ciò che dovevo fare, diedi una succhiatina alla fetta di lime, provocando un altro gemito di Blaine. Poi mi resi conto che in realtà gli stavo succhiando il labbro. Il suo labbro inferiore, morbido e dolce, era nella mia bocca, e ci stavo passando sopra la lingua. Mi allontanai di scatto, abbandonando il lime e facendolo cadere sul pavimento in mezzo a noi. Nessuno dei due fece una mossa per raccoglierlo. Era successo qualcosa tra noi.... proprio in quell’istante. Non sapevo cosa fosse, ma qualcosa c’era e mi confondeva da morire.

    Blaine aveva un’espressione interrogativa e ancora piena di desiderio, e questo mi fece pensare che fosse altrettanto confuso su ciò che era appena accaduto. Le labbra mi bruciavano e volevo sentire subito di nuovo quel fuoco. Il modo in cui si leccava le labbra dimostrava che lo voleva anche lui.

    «Wooooow, cugino!» Craig si avvicinò di soppiatto, diede una pacca sulla schiena di Blaine e ruppe la connessione silenziosa. «Stasera sembra che sia tu a voler diventare la carne di un sandwich! Sei un fortunato figlio di puttana!»

    Blaine alzò lo sguardo su suo cugino e sbatté le palpebre più volte, come se negli ultimi cinque minuti fosse stato in trance. Si alzò in fretta dalla sedia tanto da farla stridere contro il legno del pavimento e il suo sguardo guizzò tra me e Angel prima di posarsi sul mio viso. Poi... si accigliò. Aggrottò la fronte come se lo avessi usato e gli avessi infilato a forza la lingua in bocca, come se si fosse pentito del quasi bacio che avevamo appena condiviso. Abbassai lo sguardo sul mio ultimo shot e lo bevvi tutto d’un fiato, senza nemmeno preoccuparmi del sale e del lime. Non credevo che sarei stata in grado di utilizzarli ancora.

    «Ehm, se non c’è nient’altro...» balbettò Blaine, mordicchiandosi di nuovo il labbro. Lo stesso labbro da cui avevo appena succhiato il succo di lime. «Sì, sarò al bar se aveste bisogno di qualcosa.» Poi si voltò e tornò al suo solito posto, lasciandoci con il suo stupido cugino.

    Convinto di essere il prossimo, Craig ci sorrise e si sedette sulla sedia lasciata vuota da Blaine. Scossi la testa verso Craig e poi guardai Angel che aveva un sorrisetto diabolico. Cominciavo a credere che quello fosse l’unico tipo di sorriso che aveva.

    «Quindi, sei CJ, giusto? Ciao, sono Angel Cassidy» disse con la tipica arroganza che solo Angel riusciva a far sembrare aggraziata. Lei gli tese la mano e lui la prese con entusiasmo.

    «Sì, be’, mi chiamo Craig, ma le persone mi chiamano CJ da quando ero piccolo. È davvero un piacere conoscerti, Angel. Veramente un piacere. Il nome ti calza alla perfezione.»

    Angel alzò le mani in segno di avvertimento prima che CJ continuasse. «Mmm, non chiedermi se mi faccio male quando cado dal cielo, o se ho le ali, o qualsiasi altra stupida battuta da rimorchio.»

    Li ignorai, visto che si erano messi a chiacchierare, e mi voltai verso il bancone dove i miei occhi furono catturati all’istante da quelli di Blaine che mi stava fissando con intensità. Passarono diversi secondi prima che ognuno dei due riuscisse a fare qualcosa, oltre che respirare. Alla fine, un cliente catturò la sua attenzione e lui smise di guardarmi. Fui grata e allo stesso tempo irritata.

    «Allora, CJ, parlaci di tuo cugino. Si vede con qualcuna?» chiese Angel, costringendomi a voltarmi e a fissarla esasperata.

    Craig tornò a guardare verso il bar dove Blaine stava ancora servendo un cliente. «Chi, B? Nooo. Lui non ha una ragazza. Non più. Perché?»

    «Oh, niente» rispose Angel, lanciandomi un’occhiatina che non prometteva nulla di buono, come sempre. Prima che potesse chiedere se Blaine fosse un tipo da boxer o slip, il barista più anziano, quello che mi aveva servito per primo, fece capolino da una porta a pochi metri di distanza e richiamò Craig sul retro.

    «Penso sia arrivato il momento di andarcene» dissi, cercando di non guardare verso il bancone.

    «Che cosa? Non ho bevuto abbastanza!» Detto ciò, Angel sollevò una mano per richiamare l’attenzione del ragazzo al bancone che stavo cercando di evitare.

    Qualche secondo dopo, Blaine era davanti a noi, con le mani tatuate poggiate sul bordo del tavolo. La sua presenza mi riportò tutto alla mente... il suo profumo, il suo sapore, il suo corpo, un’opera d'arte che volevo pennellare con la lingua. Tutti motivi per i quali non avrei più dovuto parlargli.

    «Ehi, Blaine, possiamo avere un altro paio di shot? E non dimenticare di prenderne uno anche per te» disse Angel facendogli l’occhiolino.

    «Può prendere il mio» mormorai, rifiutandomi di guardarlo.

    Sentii un dito sfiorarmi la fronte e spingere una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Poi, lui sfiorò la curva del lobo del mio orecchio, facendomi rabbrividire. Il suo tocco mi provocò di nuovo quel fastidioso martellare nel petto.

    «Sei sicura, Kami?» chiese Blaine con voce roca, la stessa voce che aveva usato poco prima con me, mentre descriveva i miei occhi, i miei capelli, le mie labbra... e cosa si sarebbe dovuto fare con loro.

    Incapace di mettere insieme una frase di senso compiuto, mi limitai ad annuire. Blaine non fece alcun tentativo di andarsene; continuò a toccarmi, come se fosse la cosa più naturale del mondo per

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