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Un cuore in vendita: Harmony Collezione
Un cuore in vendita: Harmony Collezione
Un cuore in vendita: Harmony Collezione
E-book173 pagine2 ore

Un cuore in vendita: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Lucas Vieira ha bisogno di una interprete, e di una finta fidanzata, per chiudere un importante affare eludendo al tempo stesso le insistenti avances della moglie della sua controparte. Quindi perché non prendere due piccioni con una fava, cogliendo al volo il suggerimento di un suo collega?

Caroline Hamilton non può certo lasciarsi sfuggire quell'occasione, ma non appena incontra il suo cliente capisce che la situazione potrebbe essere davvero pericolosa per lei. Non solo Lucas è l'uomo più sexy che abbia mai incontrato, ma dovrà addirittura fingere di essere la sua fidanzata!
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2019
ISBN9788858998588
Un cuore in vendita: Harmony Collezione
Autore

Sandra Marton

Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Un cuore in vendita - Sandra Marton

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Not For Sale

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2011 Sandra Myles

    Traduzione di Sonia Indinimeo

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-858-8

    1

    Lucas Vieira era fuori di testa.

    La giornata non era andata bene.

    Non era andata bene? Fu sul punto di mettersi a ridere. Che eufemismo!

    In realtà era cominciata nel caos più completo e ora stava rapidamente volgendo in catastrofe.

    Come buongiorno, una bella tazza di caffè bruciato! Lucas non aveva mai immaginato che potesse esistere una pozione così schifosa, finché la sua segretaria... o meglio, la sostituta della sua segretaria, non gli aveva versato una tazza di liquido bollente, nero e oleoso.

    Dopo un sorso, aveva spinto da parte la tazza fumante e controllato i messaggi sul cellulare. Ce n’era uno di quel pazzo reporter che lo stava asfissiando da due settimane, per ottenere un’intervista.

    Ma come diavolo aveva avuto il suo numero? Era privato come tutto il resto, nella sua vita.

    Lucas era un maniaco della privacy.

    Evitava la stampa. Viaggiava sul suo jet personale. Il suo attico di due piani sulla Quinta Strada era accessibile solo da un ascensore privato. La sua villa sull’oceano, a East Hampton, era circondata da mura e l’isola caraibica che aveva comprato un anno prima era tempestata di divieti d’accesso.

    Lucas Vieira, l’uomo del mistero, lo avevano definito in un articolo. Ma non era del tutto vero. C’erano circostanze in cui nemmeno lui poteva evitare le telecamere, i microfoni e le domande.

    Era un multimilionario e faceva notizia.

    Incuriosiva non poco anche il fatto che avesse raggiunto il top in un mondo in cui lignaggio e origini illustri avevano un certo significato, mentre lui non ne vantava affatto.

    O almeno, non erano del tipo più apprezzato a Wall Street. Non del tipo di cui avrebbe parlato volentieri. Le sole domande a cui rispondeva erano quelle relative all’immagine pubblica della Vieira Financial. Su come aveva conquistato tanto potere e su come aveva raggiunto un simile successo, a soli trentatré anni.

    Era stanco di sentirsi fare le stesse domande e alla fine aveva concesso un’intervista.

    «Il successo...» aveva detto con quella sua voce possente, dal leggero accento, «... il successo si ottiene quando la preparazione incontra l’opportunità.»

    «Tutto qui?» gli aveva chiesto il giornalista.

    «Tutto qui» aveva risposto Lucas. Poi si era tolto il piccolo microfono dal risvolto della giacca, si era alzato ed era uscito dallo studio televisivo.

    Quello che non avrebbe mai detto, era che per raggiungere quel punto un uomo doveva impedire che qualcosa o qualcuno si mettessero sulla sua strada.

    Lucas voltò la grande poltrona di pelle e dando le spalle alla massiccia scrivania di legno brasiliano fissò fuori dalla finestra affacciata su Manhattan.

    Tornò al presente e si chiese come, in nome del cielo, sarebbe riuscito a tener fede a quel suo credo.

    Aveva imparato l’importanza di non lasciare che qualcosa si mettesse tra un uomo e i suoi obiettivi, quando era solo un bambino di sette anni. Uno sporco e affamato menino de rua, un bambino di strada, a Rio de Janeiro, che rubava tutto quello che poteva, frugava nei bidoni della spazzatura dei ristoranti in cerca di cibo, dormiva nei parchi o sui marciapiedi. Ma non si dormiva molto quando si doveva stare attenti a ogni passo e a ogni suono.

    Allora non aveva via d’uscita.

    Il Brasile era il paese degli estremi, dove convivevano uomini incredibilmente ricchi in case difficili da descrivere e favelados, i miseri abitanti delle baraccopoli che si arrampicavano sulle colline intorno a Rio. Lucas non era nemmeno uno di loro. Non era niente. Era feccia. Cosa avrebbe potuto fare, a sette anni?

    Era cresciuto solo con sua madre ma una notte, un uomo che lei aveva portato a casa lo aveva scorto appiattito in un angolo buio della baracca. Aveva fatto una scenata urlando che non era disposto a darle soldi buoni per andare a letto con una sgualdrina, mentre suo figlio guardava.

    Il giorno dopo, sua madre lo aveva portato a fare un giro nelle sporche strade di Copacabana, gli aveva detto di fare il bravo bambino e lo aveva lasciato lì.

    Non l’aveva mai più vista.

    Lucas aveva imparato a sopravvivere. A correre se arrivavano i poliziotti, perché quando afferravano uno di loro lo spelavano vivo a forza di botte. Ma una notte, qualcuno aveva urlato: «Bichos!», e lui non si era mosso. Delirava per la febbre ed era disidratato, dopo aver vomitato il poco che era riuscito a mangiare.

    Si era sentito condannato, ma non era stato così.

    Quella notte la sua vita era cambiata per sempre.

    Quella notte, con la polizia era arrivata un’assistente sociale. Chissà perché... La donna lo aveva preso tra le braccia e lo aveva portato in una delle pochissime strutture che consideravano i bambini di strada degli esseri umani. Gli avevano dato dosi massicce di antibiotici, succo d’arancia e quando era stato in grado di trattenerlo, anche del cibo. Lo avevano lavato, gli avevano tagliato i capelli e fatto indossare abiti puliti. Erano a dir poco enormi, ma se non altro non erano pieni di pidocchi.

    Lucas era un bambino intelligente. Aveva imparato da solo a leggere e a fare i conti e quando era arrivato al centro si era gettato sui libri che gli avevano dato. Osservava gli altri e cercava di imitarli. Aveva imparato a parlare in modo educato, non dimenticava mai di lavarsi le mani e i denti o di chiedere per favore.

    E aveva anche imparato a sorridere.

    Quella era stata la cosa più difficile. Sorridere non faceva parte di lui, ma alla fine ci era riuscito.

    Dopo qualche mese era avvenuto un altro miracolo. Una coppia di nordamericani era arrivata al centro e grazie a quel po’ di inglese che Lucas aveva assimilato, avevano chiacchierato con lui. Poi, lo avevano portato in un posto chiamato New Jersey e gli avevano detto che da quel giorno sarebbe stato figlio loro.

    Avrebbe dovuto sapere che non sarebbe durata.

    Lucas era diventato bello. Capelli neri, occhi verdi, pelle dorata. Era pulito e parlava bene, ma dentro di lui albergava ancora il bambino che non credeva a niente. Odiava che gli venissero impartiti ordini e la coppia del New Jersey sembrava non fare altro.

    La situazione si era deteriorata in fretta.

    Suo padre lo accusava di essere un ingrato e cercava di insegnargli la gratitudine a suon di ceffoni. La madre sosteneva che fosse posseduto dal demonio e lo costringeva a implorare la redenzione in ginocchio.

    Alla fine si erano arresi. Il giorno del suo decimo compleanno lo avevano portato in un grande edificio grigio e lo avevano affidato ai servizi sociali.

    Aveva passato i successivi otto anni in affido, nelle mani di persone spregevoli. Uno o due erano stati quasi gentili, ma gli altri... Strinse istintivamente i pugni al pensiero di ciò che lui e i suoi compagni di sventura avevano passato. L’ultimo posto era talmente orribile che a mezzanotte del giorno del suo diciottesimo compleanno aveva infilato in una federa i suoi pochi averi e se n’era andato.

    Ma aveva imparato la lezione più importante della sua vita e sapeva esattamente cosa voleva.

    Rispetto. Sapeva che per garantirsi il rispetto servivano soldi e potere. E li voleva entrambi.

    Aveva lavorato sodo. D’estate, nei campi di grano del New Jersey e d’inverno accettando qualunque lavoro manuale. Era riuscito a prendere il diploma perché non aveva mai smesso di studiare. Aveva frequentato le scuole serali, trascinandosi in classe quando avrebbe solo voluto dormire. Con l’aggiunta di qualche abito decente e un po’ di buone maniere, si era reso conto che tutto sarebbe stato possibile.

    Più che possibile. Realizzabile.

    A trentatré anni, Lucas Vieira ce l’aveva fatta.

    Quasi, pensò gravemente in quella giornata cominciata col pessimo caffè preparato da una segretaria inetta. E doveva biasimare solo se stesso.

    Infuriato, si alzò in piedi di scatto e cominciò a camminare in lungo e in largo per l’ufficio.

    Un brutto segno, un’insolita manifestazione di rabbia. L’autocontrollo era una condizione necessaria per raggiungere il successo. Ma la cosa più grave era stata ignorare i segnali lanciati dalla sua amante, su quella che lei considerava una relazione.

    Lui pensava alla loro come a una storia di sesso. Ma qualunque cosa fosse, si era trasformata in un disastro che rischiava di far fallire l’acquisizione della holding di Leonid Rostov, valutata in duecento milioni di dollari. Un affare praticamente concluso...

    Tutti volevano la holding di Rostov, ma Lucas la voleva più degli altri.

    Includerla nel suo già vastissimo impero avrebbe consolidato ciò per cui lui aveva lavorato sodo.

    Qualche mese prima, quando si era sparsa la voce che Rostov fosse intenzionato a vendere e che prevedeva un viaggio a New York, Lucas aveva rischiato grosso. Non gli aveva inviato una bozza di proposta. Non gli aveva telefonato al suo ufficio di Mosca. Visto che tutte le foto del magnate apparse sui giornali lo ritraevano con un sigaro tra i denti, gli aveva inviato una scatola di Havana e un biglietto da visita con un appunto sul retro. Cena a New York il prossimo sabato, 20:00 Palace Hotel.

    Rostov aveva abboccato all’amo.

    Avevano cenato piacevolmente in una saletta privata, senza parlare di affari. Lucas sapeva che Rostov lo stava studiando. Il russo aveva mangiato e bevuto in modo esagerato mentre lui si era fatto durare a lungo ogni drink. Alla fine della serata, Rostov gli aveva dato una pacca sulla spalla e lo aveva invitato a Mosca.

    Ora, dopo un estenuante andirivieni tra Mosca e New York erano arrivati al dunque, grazie agli interpreti. L’inglese di Rostov era a dir poco scarso e il russo di Lucas cominciava e finiva con zdravstvuj, ciao.

    Ora, Rostov era di nuovo a New York.

    «Ceniamo insieme, Lukeahs, ci scoliamo una bottiglia di vodka, poi farò di te un uomo felice.»

    C’era solo un problema.

    Rostov avrebbe portato sua moglie.

    Ilana Rostov aveva pranzato con loro l’ultima volta che Lucas era stato a Mosca. Aveva un viso bellissimo, anche grazie a qualche ritocco chirurgico. Era avvolta da una nuvola di profumo francese e parlava un inglese perfetto. Quel giorno, infatti, aveva fatto da interprete a suo marito.

    E aveva anche insinuato una mano tra le cosce di Lucas, sotto la lunga tovaglia.

    In qualche modo Lucas era riuscito ad arrivare alla fine della serata. L’interprete che Lucas aveva assunto e Rostov non si erano accorti di nulla, solo lui e Ilana sapevano cosa stava succedendo.

    E quella sera Rostov l’avrebbe portata con sé.

    «Niente interpreti» aveva sentenziato. «Gli interpreti sono funzionari dello stato, da? Puoi portare una duonna, chiaro, e Ilana può prendersi cura di te come fa con me.»

    Lucas era stato sul punto di ridere. E avrebbe riso questa volta, perché aveva un asso nella manica.

    Il suo nome era Elin Jansson. Elin era nata in Finlandia e parlava russo in modo fluente. Era una modella, sua attuale amante, e quella sera avrebbe dovuto accompagnarlo ed essere la sua interprete.

    E la sua protezione contro Ilana

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