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Paura di Volare
Paura di Volare
Paura di Volare
E-book365 pagine5 ore

Paura di Volare

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Info su questo ebook

Dominic Trevino è stato chiamato in molti modi. 
Prostituto. 
Donnaiolo. 
Puttana. 
Ma il nome con cui tutti lo conosco è Dirty Dom. 
Perché lui è sempre stato così… anche se non è non mai stato soltanto quello.
Il suo passato è tormentato e macchiato, tanto quanto la sua reputazione licenziosa. Una reputazione che si è costruito senza porsi troppi limiti, nell’unico modo che conosceva per affrontare quei fantasmi che, da sempre, lo tengono imprigionato nell’orrore e nel disgusto per se stesso. 
Il giorno in cui Raven entra con prepotenza nella sua vita, con il suo temperamento così focoso e con quei suoi pantaloncini striminziti da adolescente, Dominic capisce che tutto quel sesso anonimo non sarà più in grado di placarlo. Eppure, non può lasciare che la ragazza veda chi – ma soprattutto cosa – lui è in realtà.
Riuscirà Raven a liberarlo dal suo passato di dolore?
Riuscirà a salvarlo nonostante Dominic stesso non creda ne valga la pena?

Dall’autrice best seller di Paura di Cadere, ecco un nuovo romanzo autoconclusivo della serie Fearless, che parla di amicizia incrollabile, del potere della guarigione e dell’imparare ad amare attraverso il perdono.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2020
ISBN9788855312417
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    Anteprima del libro

    Paura di Volare - S.L. Jennings

    Capitolo 1

    C’ero già stato.

    Bloccato in quello stato permanente di odio in cui il dolore regna sovrano, e io ero solo un umile capro espiatorio, che nutriva i mostri del mio passato con la mia colpa e la mia vergogna. Un luogo in cui quegli stessi sentimenti alimentavano il mio costante bisogno di approvazione e amore, facendo sì che l’infelicità distruggesse la mia etica e mi lasciasse spegnere il fuoco con bugie vuote e segnate dalle lacrime. Dove il rimpianto era il mio unico amico, ed era un bastardo figlio di puttana.

    C’ero già stato.

    No sul serio. Ero già stato qui.

    Non mi definirei un frequentatore abituale del Pink Kitty, ma ero ben lungi dall’essere uno sconosciuto. I drink erano forti, la musica alta e provocante. E, cosa più importante, le ragazze erano sexy e impressionabili.

    Un uomo come me non avrebbe potuto chiedere di più.

    «Amico, non posso credere che tu mi abbia portato qui.»

    Guardai Blaine Jacobs, il fidanzato della mia migliore amica/anima gemella/ex coinquilina, e alzai le spalle con un sorriso malizioso. «Ehi, sei tu quello che ha detto che aveva bisogno di uscire. Che cosa pensi che facciano gli uomini durante le loro serate tra maschi? Che parlino?»

    «Be’… Sì. Non sto dicendo di non aver contribuito con diverse banconote da un dollaro a vari fondi per il college, ma, merda, sai che Kam mi farà il culo.»

    Ridacchiando, valutai con uno sguardo annebbiato il nostro intrattenimento di quella sera, seguendo l’ipnotico dimenarsi dei suoi fianchi armoniosi. Cherri, due R e una I. Anni venti. Segno zodiacale vergine. Il suo nome proveniva dal suo feticcio per la frutta in posti poco convenzionali e dalla sua affinità con il colore rosso.

    «Rilassati, B» intervenne il cugino di Blaine, CJ, dandogli un colpetto scherzoso sulla spalla. «Kami è fantastica. Inoltre, da quando siete andati a vivere insieme, non vedo quasi più il tuo culo. Cazzo, la sua fica è d’oro o qualcosa del genere? Spero che lo sia, visto che ti comporti come uno zerbino. Che cazzo, amico? Non sei mica sposato!»

    Blaine si sporse in avanti e mise i gomiti sulle sue ginocchia prima di guardare CJ minaccioso e furioso. Riuscii a sentire la temperatura abbassarsi di un paio di gradi. A giudicare dall’inturgidimento dei capezzoli di Cherri, a pochi centimetri dal mio viso, doveva essersene accorta anche lei.

    «Primo, è l’ultima volta in cui nominerai una parte anatomica della mia donna, in particolare lo spazio tra le sue cosce. Non voglio sentire una parola oscena e il suo nome nella stessa cazzo di frase. Non pensarlo nemmeno. Secondo, in caso volessi parlare a vanvera di stronzate e pronunciare il suo nome, se vuoi tenerti i denti non farlo. Siamo intesi?»

    Proprio quando pensavo che avrebbe disintegrato CJ solo con l’intensità di quello sguardo, Blaine cambiò espressione. Da omicida il suo sguardo divenne quasi pensieroso. Si appoggiò allo schienale della sedia e sospirò, nell’aria che odorava di profumo a buon mercato e sesso.

    «E sì... ho bisogno di parlare. Quindi provate a chiudere quella cazzo di bocca per due secondi, okay?»

    Smisi di guardare l’esibizione di Cherri sulla canzone Sweet Cherry Pie e mi concentrai totalmente su Blaine. Era un tipo piuttosto tranquillo, la maggior parte delle volte. Il tono solenne nella sua voce mi mise in allerta, sirene e campane che si aggiunsero alla vibrazione dei bassi nella mia testa. Non stava scherzando.

    Blaine fece un altro sospiro e si tirò indietro i capelli ribelli, prima di sfregarsi le mani tatuate contro i jeans. «Voglio chiedere a Kam di sposarmi.»

    «Che cosa?!» gridammo CJ e io all’unisono. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal viso pallido di Blaine, ma ero pronto a scommettere la mia palla sinistra che CJ aveva gli occhi fuori dalle orbite come i miei.

    «Sì. Ci ho pensato molto ultimamente» continuò lui. «E, merda, so che non vorrò mai nessun’altra. Non c’è nessun’altra. Ed è abbastanza grave che stiamo facendo le cose al contrario con il bambino in arrivo e tutto il resto. Voglio solo che diventiamo una vera famiglia. Per nostro figlio, in modo che abbia i genitori che condividono lo stesso cognome.» Strinse le labbra come faceva quando era nervoso o concentrato a pensare a qualche stronzata, di solito le stronzate di Kami, prima di prendere la birra e scolarsela. Ne stava già ordinando un’altra mentre sbatteva la bottiglia vuota sul tavolo.

    Chiusi la bocca spalancata e cercai di soffocare i sentimenti strani e contrastanti che mi torcevano le budella. Blaine e Kami erano decisamente fatti l’uno per l’altra. Lui era paziente, comprensivo e protettivo con lei. Cavolo, doveva essere un maledetto santo per sopportare tutti i suoi vari livelli di follia. E in qualche modo, le aveva reso più facili da digerire tutte le cose brutte che lei aveva passato. No, non avrebbe mai potuto farle scomparire del tutto: il passato di Kami era quello che la rendeva ciò che era. Ma Blaine l’amava in un modo che glielo rendeva accettabile. Lui le dimostrava che il passato era proprio quello... passato.

    Tuttavia, Kami era ossessionata dai suoi fantasmi tanto quanto lo ero io dai miei. Kami era fragile. Una mossa sbagliata e sarebbe scappata, disposta a rinunciare alla sua occasione di vera felicità. E il matrimonio era un grande passo, una cosa per cui non ero sicuro che fosse pronta. Merda, forse non sarebbe mai stata pronta per qualcosa del genere. Io sapevo di non esserlo.

    «Amico, ti sei fumato una canna? Matrimonio? Mi stai prendendo per il culo?»

    Ringraziai in silenzio CJ e la sua fottuta boccaccia. Blaine infatti, era troppo infastidito dalla volgarità di suo cugino per notare la mia espressione non proprio gioiosa. Blaine mi piaceva, adesso almeno. Avevamo fatto molta strada dall’inizio dell’anno, quando aveva deciso di inserirsi nelle nostre vite e di far innamorare di lui la nostra piccola svitata nonostante le perplessità della stessa Kami. Ma una parte di me avrebbe continuato a essere convinto che nessuno sarebbe mai stato abbastanza per lei. Sia che guidi un grosso pick-up o che cavalchi uno stallone bianco, Kami Duvall sarebbe sempre stata troppo buona per qualsiasi uomo, me compreso.

    Volevo essere alla sua altezza? Certo che sì. Più di qualsiasi altra cosa. Ma ci avevo rinunciato già da parecchio tempo. L’amavo troppo per gravarla con le stronzate del mio passato quando aveva già le sue che la soffocavano.

    «Ehi. Terra chiama Dom» disse Blaine, agitandomi una mano davanti al viso.

    Sbattei le palpebre un paio di volte prima di concentrarmi di nuovo sui ragazzi. «Uhm?»

    «Ho detto, me ne vado, ragazzi. Non ho un sabato sera libero da mesi e non ho intenzione di passarlo in un posto come questo. Perché diavolo dovrei restare in uno strip club quando ho una bellissima ragazza a casa che mi sta aspettando?» Estrasse il portafoglio e mise del denaro sul tavolo. «Il prossimo giro lo offro io.»

    «Sì, sì» rispose CJ, salutandolo. «Più tette e culi per noi.» Riportò la sua attenzione sul palco proprio mentre cominciava la canzone della nuova ballerina.

    Scuotendo la testa verso suo cugino, che si stava sistemando volgarmente il pacco, Blaine si rivolse a me. «Allora Dom, voglio solo avere la tua opinione al riguardo. Sei d’accordo, giusto? Perché se non lo sei, sai che Kami non accetterà mai la mia proposta. E non gliene parlerei nemmeno.» Ancora una volta, si tirò indietro le ciocche più lunghe che gli sfioravano la fronte. «Significherebbe davvero tanto per me avere la tua benedizione.»

    Abbassai lo sguardo sul drink che avevo in mano, senza sapere veramente che cosa dire. Merda, mi andava bene? E una volta sposata? Non sarebbe stata più la mia Kami. Sarebbe stata sua. La Kami di Blaine. Cazzo, a dire il vero lo era già.

    «Sì, amico» riuscii a sorridere, dandogli una pacca sulla schiena. «Ce l’hai. Vi auguro tutto il bene. Congratulazioni.»

    Blaine tirò un respiro di sollievo e sul suo viso apparve uno stupido sorriso. Era una brava persona. Cosa che non sarei mai stato. E adesso era anche meglio perché era abbastanza modesto e premuroso da chiedere la mia benedizione. «Grazie. Significa... questo significa molto. Non ne hai idea.»

    «Certo.» Annuii. Non ne avevo idea. Non avrei mai conosciuto quella sensazione di incommensurabile orgoglio e gioia.

    «Okay, fantastico. Me ne vado.» Blaine balzò in piedi, improvvisamente ansioso e felice di tornare a casa dalla donna dei suoi sogni. Che era anche la donna dei miei sogni. Se avessi davvero avuto dei sogni, invece degli incubi che si scatenavano e provocavano il caos nel mio subconscio quasi ogni notte.

    Lo salutai proprio mentre una cameriera si avvicinava al nostro tavolo, penna e block-notes in mano. «Che cosa posso portarvi ragazzi?» chiese lei, facendo scoppiare la gomma da masticare rosa che aveva in bocca. Catturò la mia attenzione, stuzzicando i miei sensi con pura femminilità avvolta in un concentrato di sex appeal. Era alta per essere una ragazza, magra, ma sinuosa e morbida in tutti i posti giusti. Indossava la tipica divisa da cameriera di cocktail bar, pantaloncini oscenamente corti e una canotta attillata che sembrava adatta più a una passerella che a un quartiere a luci rosse. Cavolo, era proprio a suo agio. Praticamente trasudava sicurezza da tutti i pori della sua pelle di alabastro.

    «Be’?» chiese lei, alzando lo sguardo dal suo block-notes e inchiodandomi con i suoi brillanti occhi azzurri. Fanculo. A me. Era stupenda. I capelli scuri le incorniciavano il viso a forma di cuore, uno sfondo ammaliante per quegli occhi straordinari. Aveva pochissimo trucco, grazie a Dio, ma sulle labbra carnose aveva un rossetto rosso fuoco. Solo la vista di quelle labbra mi costrinse a leccare le mie.

    «Un altro giro» disse CJ prima che ritrovassi la voce, il suo sguardo senza pudore fisso sul culo della donna. Volevo dirgli di smetterla. Volevo dargli uno scappellotto per togliergli quello sguardo avido dal viso. Ma la delicata bellezza di fronte a me mi aveva lasciato senza fiato e, sostanzialmente, senza parole.

    Che diavolo c’era di sbagliato in me? Uhm, ciao? Sono Dominic Trevino. Il fottuto Dom. Non ero proprio nuovo a quella roba. Non mi agitavo davanti a una ragazza. Mai. Le portavo a letto e le lasciavo alla velocità della luce. E le ragazze... le ragazze conoscevano il gioco. Non avevo bisogno di mentire. Non le raggiravo con false cazzate, né promettevo loro qualcosa di più di qualche orgasmo e forse un pasto o due. A volte ci voleva meno. Le donne avevano un debole per il mio aspetto esotico e il mio fascino latino. Era un dono e una maledizione. Perché, il più delle volte, era tutto quello che vedevano.

    Allora perché quella ragazza mi guardava come se avessi tre teste e fossero tutte brutte da far schifo? Cavolo, sembrava quasi incazzata. Oh merda, ero già andato a letto con lei? E avevo dimenticato di richiamarla o qualcosa del genere? No. Me la sarei ricordata. Sicuramente.

    «Ehi» dissi alla fine, toccandole il gomito mentre si voltava per andarsene. Allontanò il braccio con tanta forza che la sua penna cadde sul pavimento con un tintinnio. «Sei nuova.»

    «Ma davvero, Sherlock. Adesso toglimi le mani di dosso, coglione» sbottò lei a denti stretti.

    «Wow, wow, scusami colpa mia.» Alzai le mani per mostrarle che non ero una minaccia. Quella era l’ultima cosa che volevo che pensasse di me. «Mi dispiace, non volevo spaventarti.»

    «Non mi hai spaventato» disse con tono di scherno e i suoi eterei occhi azzurri che scintillavano come prismi filtrati dal sole sotto le luci al neon multicolori. «Non voglio le tue mani su di me. Intesi?»

    «Sì, scusami, non volevo offenderti.» Aggrottai le sopracciglia confuso e inclinai la testa di lato, cercando di scoprire il motivo del suo evidente disprezzo. Nonostante la durezza del suo sguardo accigliato, c’era qualcosa di dolce e aggraziato in lei. Incantevole. Come un agnello travestito da leone. Avevo solo bisogno di rimuovere tutti gli strati. «Ti conosco? Per caso, ho fatto qualcosa per farti arrabbiare?»

    Fece scoppiare di nuovo il palloncino di chewing-gum rosa, masticando con forza quella cosa appiccicosa come se stesse facendo a pezzi la mia virilità. Le palle mi facevano male, ma non riuscivo a capire se fosse per l’eccitazione, la paura o un mix contorto di entrambe.

    «Mi conosci? Ah!» Rise sardonicamente. «Come se volessi essere associata a qualcuno come te

    Nel giro di tre secondi, in qualche modo mi ero trasformato in una creatura gialla di sessanta centimetri simile a una merendina Twinkie, con addosso una tuta e gli occhiali protettivi, perché giuro, l’unica risposta che mi venne in mente fu: "Che cooooooosa?" «Qualcuno come me?» Ridacchiai, scuotendo la testa. «Divertente detto da una tizia con short inguinali e un top che sembra esserti stato dipinto addosso... e per di più in uno strip club.»

    Ehi, bocca. Vedi il piede? Adesso strozzati con questa merda.

    Prima che potessi aprire bocca per scusarmi, la cameriera emise un ringhio frustrato e se ne andò come una furia, lasciando la penna a morire lentamente e crudelmente sul pavimento appiccicoso e bagnato.

    «Amico, che tonfo!» CJ rise fragorosamente, godendosi una volta tanto la vista di qualcun altro che riceveva un due di picche. Trangugiai il whisky per curarmi le ferite invisibili.

    Prima che potessi rimuginare sulla strana svolta degli eventi della serata, Cherri si avvicinò al nostro tavolo, piazzandomi il suo culo quasi nudo sulle ginocchia.

    «Stacco tra due ore» sussurrò lei, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli rosso fuoco.

    Guardai CJ proprio mentre una delle ballerine più esperte lo scortava nella Champagne Room per un balletto privato. Scossi la testa. C’era da sperare che fosse a posto con le vaccinazioni…

    Accarezzai la coscia nuda di Cherri, con le dita sfiorai la carne sexy nascosta solo da un sottile strato di seta. Lei gemette quando le mie labbra scivolarono sul lobo del suo orecchio. «Sì. Ci sarò.»

    Capitolo 2

    Mi svegliai in un groviglio umido di arti nudi e capelli arruffati. Tre paia di gambe, comprese le mie, erano aggrovigliate tra le lenzuola. Ciocche bionde e rosse mi solleticavano il viso e il petto. Avevo due mani appoggiate sul torace, ma una aveva le unghie rosso fuoco, mentre l’altra di un familiare rosa cipria.

    C’ero già stato.

    Questa situazione. Questo sentimento. Questo rimpianto.

    Stessa merda, giorno diverso.

    Mi districai dal mosaico erotico del mio letto e mi infilai il paio di jeans che avevo scartato la sera prima. Sentivo ancora forte la stanchezza nelle giunture, quindi mi sedetti sul bordo del materasso, passandomi una mano tra i capelli arruffati dal sonno e cercando di mettere insieme i ricordi delle ultime ore.

    Merda.

    Sapete cosa c’è di peggio del rivivere alcuni degli aspetti più infimi della propria perversione? Essere troppo incasinati per ricordarli.

    Una parte di me voleva essere quel depravato. Mentre l’altra parte, la parte più razionale e matura che non si sarebbe mai placata con le avventure occasionali, sapeva che stavo sbagliando. Ma come si smette di fare l’unica cosa che ti dà un senso di sicurezza? La cosa che ti fa sentire in sintonia e accettato da qualcuno, da chiunque, anche solo per poche ore?

    Non è che fossi proprio stufo di quello che stavo effettivamente facendo, di ciò che in realtà stavo nascondendo sotto una collezione di mutandine strappate, graffi sulla schiena e lenzuola sporche. Sì, il sesso, le donne... erano eccitanti e mi soddisfacevano fisicamente. Ma non facevano nulla per colmare il vuoto fatto di confusione e vergogna. Tuttavia, mi ero rassegnato a soffocare entrambe, non importa quanto sembrasse impossibile l’impresa.

    Arrancai verso la cucina per svegliarmi con la solita caffeina. Ero alla seconda tazza quando arrivò Angel, vestita con un paio dei miei boxer e una canottiera bianca a coste, senza reggiseno. Senza dire una parola, si avvicinò e mi prese la tazza con le sue piccole mani, bevendo un lungo sorso.

    Restammo in un pesante silenzio mentre mi preparavo un’altra tazza di caffè. Quando due persone avevano condiviso quello che avevamo fatto… in realtà non restava molto da dire.

    «Allora...» disse Angel, rompendo finalmente la tensione imbarazzata.

    «Sì.»

    «Pazzesco.»

    Un’altra pausa di silenzio mentre sorseggiavamo il caffè. Non mi vergognavo di quello che era successo tra noi. Cavolo, non era la prima volta. E non era come se io e Angel avessimo fatto sesso. Ma sapevo che quello che stavamo facendo non era salutare. Non era giusto. Era solo un tappabuchi per la felicità che entrambi desideravamo ardentemente.

    «Che resti tra noi» mormorai. «Non abbiamo bisogno che Kami pensi che qui stia andando tutto in malora. Farebbe le valigie e tornerebbe subito nella sua vecchia stanza.»

    «E sarebbe la cosa peggiore del mondo?» Angel fece spallucce. Era serissima, anche se si capiva che era pentita del suo egoismo. «Sì, hai ragione... andrebbe fuori di testa. L’ultima volta le abbiamo promesso che ci avremmo dato un taglio. E comunque non sopporterei un’altra delle sue prediche.»

    Sorrisi, ricordando l’ultima volta che Angel e io avevamo fatto i cattivi. Kami ci aveva assillato per ore e, stranamente, l’avevamo lasciata fare. «Quella ragazza è più materna di quanto creda.»

    «Cavolo, se avessi avuto una madre come lei, forse sarei un po’ meno incasinata» aggiunse Angel con un sorriso malinconico che non arrivò fino ai suoi occhi color azzurro fiordaliso.

    «Ehi…»

    Angel mi bloccò con un cenno della mano, fece spallucce e distolse lo sguardo. «È così e basta. Sappiamo entrambi che ero condannata sin dall’inizio.»

    Avrei voluto prenderla tra le braccia. Spazzare via qualunque fosse la stronzata con cui cercava di classificarsi. All’esterno, Angel Cassidy, straordinaria rocker, aveva le palle più grandi di qualsiasi uomo avessi conosciuto. Ma dentro, dietro al trucco, al denaro e le cose materiali, era una bambina sola e spaventata. L’avevo trovata così quasi dieci anni prima. E in qualche modo, gli anni, il tempo e le circostanze l’avevano fatta invecchiare, ma mai veramente crescere.

    Il suono penetrante di tacchi a spillo contro il legno duro attirò la nostra attenzione e notammo Cherri che si dirigeva in cucina, il suo succinto mini abito sembrava volgare e offensivo alla luce del giorno.

    «Ehi ragazzi» disse con un sorriso pigro. Aveva i resti del mascara nero agli angoli degli occhi e i capelli arruffati. Premette le labbra contro le mie per poi voltarsi e fare lo stesso con Angel. «Voi due... wow. Una ragazza potrebbe abituarsi.»

    Afferrò la tazza di caffè di Angel e bevve un sorso prima che lei potesse obiettare, poi voltò sui tacchi e se ne andò. «Ieri sera è stato divertente. Chiamatemi» disse, voltando la testa verso di noi. Nessuno dei due si prese la briga di chiederle come sarebbe tornata a casa, visto che era stata Angel a darci un passaggio. E poi non credo ci sarebbe importato.

    Ci guardammo inarcando le sopracciglia. «Dobbiamo smetterla con questa roba» dissi alla fine, più per me stesso che per altri.

    «Lo so.» La voce di Angel era leggera come una piuma, solo un sussurro. Era difficile credere che tre sere a settimana fosse la cantante cazzuta delle AngelDust, la band di sole ragazze che stava rapidamente diventando una forza da non sottovalutare nel circuito indie rock di Charlotte. Ma comunque lo capivo. Angel era brava come me quando si trattava di mantenere le apparenze. Eravamo fatti della stessa pasta, eravamo gli artisti delle cazzate. Blateravamo la nostra versione deviata della verità per camuffare le guerre che infuriavano dentro di noi. Le nostre situazioni potevano essere diverse, ma il dolore era lo stesso. L’infelicità non faceva discriminazioni.

    «Devo scappare» disse Angel, gettando nel lavandino i resti del caffè contaminato dalla spogliarellista. «Ho dei piani per pranzo.»

    «Con chi? La tua fiiiiiiidanzata?» La stuzzicai, dandole un colpetto alle costole.

    Riuscivo quasi a sentire il calore irradiarsi dalle guance arrossate di Angel. «Sta’ zitto, stronzo. Non la mia fidanzata. È un’amica. È sposata, ricordi?»

    «E allora?» Scherzai inarcando le sopracciglia.

    «Alloooora... non scopo con donne sposate. Porta male. Non ho bisogno che il karma mi faccia il culo. Ho già abbastanza casini di mio.»

    Annuii, mentre mi tornava in mente il ricordo delle notizie della sera prima. Sapevo che Blaine si stava confidando con CJ e me, e non volevo rovinare tutto. Ma avevo bisogno di ripeterlo per assimilarlo. Forse dirlo ad alta voce avrebbe reso più facile accettarlo.

    «Parlando di matrimonio... devo dirti una cosa.» Feci un respiro profondo e buttai fuori i miei sentimenti egoistici, mascherandoli con un sorriso. «Blaine farà la proposta a Kam.»

    Gli occhi di Angel divennero enormi e si velarono di shock e orrore, quella che sarebbe stata la mia iniziale e sincera reazione. «Che cosa?»

    «Sì. Me l’ha detto ieri sera.»

    «Cazzo!» strillò lei, fiondandosi verso il telefono di casa a pochi metri di distanza. «Devo chiamarla.»

    «Che cosa? No.» Le afferrai il gomito, fermandola. «Non puoi farlo, Ang.»

    «Perché? Perché no, cazzo? Non vorresti essere avvisato prima che qualcuno ti rovini la vita? Prima che qualcuno prenda l’unica cosa buona, intera e sacra che hai e la distrugga?»

    Lasciai che le parole mi entrassero in testa, sentendo la disperazione nella sua voce. Era sinceramente spaventata per Kami. Merda, aveva paura per se stessa. Lo avevamo sperimentato in prima persona, quanto potesse essere fragile l’amore. Così bello, ma sottilissimo e impalpabile. Una mossa sbagliata, e si sbriciolava in mano come cenere, portato via dal vento come se non fosse mai esistito.

    «No. Non possiamo» mi costrinsi a dire. «Dobbiamo lasciarla andare. Dobbiamo lasciarla volare. Se la tratteniamo, la bloccheremo a terra, condannandola a una vita che nemmeno noi vogliamo vivere.»

    «Va bene» rispose Angel, rimettendo a posto il ricevitore. «Sai, di solito sei meno emotivo dopo che ti sei fatto una tizia.»

    Feci spallucce, e mi stampai in faccia un sorriso malizioso. «Forse ho bisogno di farmene un’altra.»

    Trascorsi il resto della domenica come al solito, allenandomi, rilassandomi e pensando ai miei genitori. Sulla vita che avrei potuto avere se fossero sopravvissuti a quell’incidente automobilistico, venti anni prima. Sembrava passato tanto tempo, come la pagina della storia di qualcun altro. I ricordi rubati di qualcun altro. Non li avevo mai conosciuti, non avevo mai saputo cosa si provava a essere veramente amati e accuditi, ma qualunque cosa doveva essere meglio di quello che mi era capitato.

    Quello era tutto ciò che mi concedevo. Non tenevo il broncio e non piangevo. Non lasciavo che il mio tragico passato mi facesse a pezzi. Lo mandavo giù e mi costringevo ad andare avanti, dicendomi che stavo bene. Ero forte. Ed ero al sicuro.

    Quello era stato il mio mantra da che ricordavo. Le parole cui ero stato costretto ad aggrapparmi durante i giorni più bui, dove non c’era sole, né calore, né tregua dal dolore. Le parole che continuavo a ripetermi per restare in vita.

    Capitolo 3

    Lunedì mattina, mi stavo aggiornando su un caso quando la direttrice del programma del centro, Amber, bussò alla mia porta. Mi massaggiai le tempie dicendole di entrare, con la tensione che si stava ripresentando dopo essersi allentata durante il fine settimana.

    «Ehi, Dom. So che sei sommerso di lavoro, ma vorrei il tuo aiuto per un caso» disse, entrando nel mio cubicolo di ufficio. Amber sorrise, toccandosi i capelli corti e ricci mentre si sedeva di fronte a me, facendo scivolare un dossier sulla mia scrivania.

    «Okay, di che cosa si tratta?» chiesi, sperando di non aver fatto trasparire l’irritazione nella voce. Non fraintendetemi, amo il mio lavoro. Non riuscivo a vedermi a fare altro. Ma Charlotte risentiva sicuramente degli effetti della crisi. Lavorare in un’organizzazione senza scopo di lucro per aiutare i giovani a rischio e diversamente abili non era un’impresa facile, soprattutto quando i finanziamenti venivano tagliati a destra e a manca. La città cresceva costantemente, eppure le donazioni scarseggiavano. Sembrava che venissimo sommersi da casi ad alta priorità un giorno dopo l’altro, senza soldi per assumere altro personale.

    «Questa settimana arriverà un ragazzo, ma il punto è che... non parla.»

    «Mi stai prendendo in giro.» Aggrottai la fronte, anche se sapevo che non lo stava facendo. Potevo vederlo da solo nella documentazione del ragazzo:


    Toby Christian, 12 anni.

    Ripetizioni di matematica (lunedì, mercoledì e venerdì). Lingue (martedì e giovedì).

    Psicologo 3 volte a settimana.

    Circostanze speciali: mutismo selettivo.


    «Mi piacerebbe» rispose Amber. Riuscivo a sentire l’esasperazione nella sua voce, e sapevo che era incerta quanto me su come procedere.

    «Non sarebbe meglio rivolgersi ai servizi sociali? Considerando il suo handicap...» Sfogliai la documentazione, dando una scorsa alle informazioni sulla vita familiare del ragazzo. Un unico tutore. Sospirai e scossi la testa. Ovviamente. E la sua povera madre probabilmente lavorava fino allo sfinimento cercando di restare a galla mentre si prendeva cura di un ragazzo con problemi. L’avevo visto accadere troppo spesso in quel lavoro, e il mio cuore si spezzava ogni volta un po’ di più quando vedevo quanto fossero affamati di amore e attenzione alcuni di questi ragazzi. Non avevano chiesto loro questa vita. Non avevano scelto di nascere nella povertà e nell’abuso di sostanze stupefacenti e nelle scuole pubbliche sovraffollate, dove passavano inosservati. E mentre noi facevamo quello che potevamo con l’associazione Helping Hands, c’erano ancora tanti bambini là fuori che aspettavano che qualcuno, anche solo una persona, aprisse gli occhi e se ne curasse.

    A me importava, motivo per cui ero lì. E sì, avrei potuto usare la mia laurea per qualcosa di più redditizio che mi avrebbe riempito le tasche. Tuttavia, solo questo lavoro poteva riempirmi l’anima: sapere che stavo facendo qualcosa che poteva potenzialmente salvare una vita.

    «È quello il problema...» replicò Amber con una leggera

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