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Rogoredo andata e ritorno: Dal boschetto si può uscire
Rogoredo andata e ritorno: Dal boschetto si può uscire
Rogoredo andata e ritorno: Dal boschetto si può uscire
E-book170 pagine2 ore

Rogoredo andata e ritorno: Dal boschetto si può uscire

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Info su questo ebook

Ci sono storie che le cronache non raccontano. Questa è una di quelle. Capita che l’esistenza delle persone s’intrecci, generando gli epiloghi più differenti. La vita da, la vita toglie e non fa sconti; più alte sono le aspettative, maggiore è la posta in gioco. Alcune scelte, a volte, portano a tragici epiloghi. Risorgere da tali situazioni non è facile ma possibile; comunque, la felicità per aver superato alcune difficoltà dovrà sempre fare i conti con la realtà della vita futura.
Il racconto descrive episodi, situazioni particolari, stati d’animo e un finale dalle prospettive non immutabili; lasciando immaginare alla sensibilità del lettore la vita futura dei protagonisti. Quanto raccontato fa parte della quotidianità: amori finiti, separazioni, droga, violenza e lutti; ma anche nuovi amori, nuova vita, nascite e voglia di normalità. Tutto è condizionato, nel bene e nel male, dal bisogno di amore e dalla felicità o dal dolore da esso causato. Passionale, romantico, fraterno, sponsale, spirituale o familiare che sia, l’amore rimane comunque un elemento indispensabile, quasi sempre presente nella vita della maggior parte degli individui. A chi non ha avuto la fortuna di incontrarlo o ha subito la sfortuna di perderlo, rimarrà la speranza in un futuro migliore.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2020
ISBN9791220212878
Rogoredo andata e ritorno: Dal boschetto si può uscire

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    Anteprima del libro

    Rogoredo andata e ritorno - Tino Sabaschi Dini

    Introduzione

    Ci sono storie che le cronache non raccontano. Questa è una di quelle. Capita che l'esistenza delle persone s'intrecci, generando gli epiloghi più differenti. La vita da, la vita toglie e non fa sconti; più alte sono le aspettative, maggiore è la posta in gioco. Alcune scelte, a volte, portano a tragici epiloghi. Risorgere da tali situazioni non è facile ma possibile; comunque, la felicità per aver superato alcune difficoltà dovrà sempre fare i conti con la realtà della vita futura.

    Il racconto descrive episodi, situazioni particolari, stati d’animo e un finale dalle prospettive non immutabili; lasciando immaginare alla sensibilità del lettore la vita futura dei protagonisti. Quanto raccontato fa parte della quotidianità: amori finiti, separazioni, droga, violenza e lutti; ma anche nuovi amori, nuova vita, nascite e voglia di normalità. Tutto è condizionato, nel bene e nel male, dal bisogno di amore e dalla felicità o dal dolore da esso causato. Passionale, romantico, fraterno, sponsale, spirituale o familiare che sia, l’amore rimane comunque un elemento indispensabile, quasi sempre presente nella vita della maggior parte degli individui. A chi non ha avuto la fortuna di incontrarlo o ha subito la sfortuna di perderlo, rimarrà la speranza in un futuro migliore.

    Protagonisti

    Sarah Doyle (Madre di Marco)

    Alessandro Bormolini (Padre di Marco)

    Marco Doyle Bormolini (Giovane veterinario)

    Giulia Esposito (Figlia di Annarosa Esposito)

    Annarosa Esposito (Annarò) (La piccola)

    Mandragone Carmela (Madre di Annarosa)

    Esposito Antonio (Antò) (Padre di Annarosa)

    Esposito Maria (Una delle sorelle gemelle)

    Esposito Chiara (L’altra sorella gemella)

    Don Peppino (Il parroco del paese)

    Gennaro Tortora (Figlio del boss e fidanzatino di Annarosa)

    Ciro Tortora (Padre di Gennaro) (Boss capo zona affiliato alla camorra)

    Suor Teresa (Superiora della casa per ragazze madri)

    Gianrusso Maria (Marì) (Ginecologa della famiglia Esposito e amica di Carmela)

    Lorenzo De Angelis (Sedicente organizzatore di eventi, rivale in amore di Marco)

    Eleonora Mandelli (La donna conosciuta in treno da Marco)

    Dante (Ex marito di Eleonora)

    Linda e Paolo (Figli deceduti di Eleonora e Dante)

    Pierluigi (Marito di Annarosa)

    Loris (Tossicodipendente che salva Giulia con il Narcan)

    PRIMA PARTE

    Un viaggio nei ricordi

    Stazione ferroviaria di Sondrio. L'altoparlante annuncia l’arrivo del treno regionale per Milano. Un fischio penetrante, emesso dal convoglio prima di entrare in stazione, allerta coloro che sostano sulla banchina e scuote improvvisamente Marco che, lasciata velocemente la sala d’attesa, oblitera il biglietto e si avvia verso il binario per salire nel treno in arrivo. Destinazione, Milano Rogoredo.

    Non ci sono molti passeggeri in attesa, l’ondata dei pendolari è già passata; sono le undici e quarantuno, il treno porta qualche minuto di ritardo e Marco dovrà affrontare più di due ore di viaggio.

    Nelle carrozze ci sono tanti posti liberi ma, per evitare di stare da solo e viaggiare più tranquillo, il giovane si accomoda di fronte a una signora intenta a leggere il suo quotidiano; ultimamente, aveva ascoltato tante storie di brutti incontri avvenuti proprio sui convogli ferroviari.

    Era trascorso molto tempo dall'ultima volta che Marco aveva utilizzato il treno; quando era studente usava spesso quel mezzo di trasporto, poiché gli permetteva di pensare, viaggiare rilassato, ripassare qualche lezione e guardarsi attorno senza la tensione generata dal dover guidare.

    Il leggero movimento del vagone, il rumore ritmato e lo scorrere del paesaggio fuori dai finestrini stavano assopendo diversi viaggiatori e, dopo pochi minuti, anche Marco aveva ceduto al dolce arrivo della sonnolenza. Si era svegliato di buon'ora per sfruttare un passaggio offertogli da un amico, un Carabiniere Forestale che doveva recarsi da Livigno a Sondrio per motivi di servizio.

    Marco Bormolini Doyle, nome completo del giovanotto, è un veterinario trentaduenne di Livigno. La madre Sarah Doyle, di origine irlandese, conobbe il suo futuro marito Alessandro Bormolini, maestro di sci e guida alpina, a Livigno, durante una vacanza. Da allora, Sarah era tornata in Irlanda solo per fare saltuarie visite alla sua famiglia d’origine. Marco amava profondamente quella donna che lo aveva messo al mondo e che lo coccolava con tanto affetto; così, come gesto di riconoscenza, aveva aggiunto al proprio cognome anche quello della tenera genitrice, con il benestare paterno. Il giovane possedeva la stessa fisionomia della madre: viso magro, rossi capelli riccioluti e occhi celesti; del carattere materno aveva preso la disponibilità. Invece, dal padre aveva ereditato la notevole statura, gambe e spalle possenti, carattere poco avvezzo ai compromessi. La famiglia, il territorio, lo sci di fondo e lo studio avevano forgiato il suo carattere, abituandolo al sacrificio e alla fatica.

    Da qualche tempo, però, le certezze di Marco e i suoi programmi di vita avevano subito forti scossoni, dovuti a vicissitudini inaspettate. Quei pensieri erano come aghi conficcati nella carne, un assillo da cui il ragazzo non trovava pace; e si chiedeva spesso come avrebbe potuto evitare di perdere Giulia, l’amore della sua vita. Ma quelle riflessioni non portavano a nulla, finendo sempre per trasformarsi in un tormento che conficcava sempre più in profondità quei maledetti aghi. Marco aveva ritrovato un po’ di serenità dopo aver maturato la certezza che Giulia si era trasferita altrove per inseguire il sogno di fare la stilista, e non perché lui l’avesse lasciata. E che la decisione di troncare la relazione con la ragazza era stata inevitabile, fortemente condizionata dalla presenza di quel nuovo amico conosciuto casualmente e dalle ambizioni della madre di lei. Marco accusava questi ultimi di essersi frapposti fra lui e Giulia, e di aver illuso la ragazza prospettandole una carriera nel mondo della moda; che Milano fosse il posto giusto per iniziare e che lui fosse diventato un ostacolo per il suo futuro.

    Tutto ebbe inizio per caso. L’ultimo anno di università, durante la stagione invernale, Marco aveva deciso di lavorare come cameriere in un piccolo hotel di Livigno. I soldi in casa non mancavano, ma provvedere autonomamente ai propri bisogni di giovane era sempre stato un suo desiderio, qualcosa di cui andare fieri. Come in tutte le cose che faceva, anche in quell'occasione il ragazzo si distinse per rapidità e facilità di apprendimento, senso di responsabilità e generosità. L’estate seguente, il proprietario dell’hotel gli chiese se, in caso di necessità, avrebbe potuto chiamarlo per il servizio della sera. In quel periodo, la maggior parte dei clienti sceglieva il trattamento di mezza pensione: il giorno si dedicava alle escursioni e rientrava la sera per la cena. Marco accettò senza indugi; avrebbe avuto comunque tanto tempo libero per preparare gli ultimi esami, e quel denaro gli serviva per una specializzazione post laurea che aveva in mente da tempo.

    Quella stessa estate, Giulia Esposito, una ragazza che viveva con la madre Annarosa in una piccola frazione del comune di Livigno, conseguita la maturità artistica, aveva cercato lavoro, con successo, come cameriera o barista nel medesimo hotel dove lavorava Marco. Le sere in cui il giovane era in servizio, il caposala gli affidava Giulia affinché la seguisse per insegnarle il lavoro. Tra i due nacque una solida amicizia, che il tempo trasformò in un’intensa relazione sentimentale. Più i ragazzi si frequentavano più aumentava la loro intesa e il legame si rafforzava, per la felicità di entrambi. Giulia era già una bellissima ragazza e le tante escursioni cui aveva partecipato, da quando aveva conosciuto Marco, le avevano modellato e tonificato gambe e glutei; la linea acquisita faceva risaltare un giro vita da modella e un seno proporzionato al suo fisico. Lo sguardo dolce, sprigionato dai grandi occhi della giovane, presentava una seducente condizione genetica, l’eterocromia: un occhio era di colore azzurro, l’altro verde, e risaltavano sotto i capelli neri tagliati a caschetto. Anche i lineamenti delicati di Giulia, la mitezza del carattere e la delicatezza dei suoi modi avevano contribuito a fare innamorare perdutamente Marco.

    A ogni fermata del treno, il giovane veterinario si svegliava, riemergeva dai suoi pensieri e tornava alla realtà. Poi si assopiva di nuovo avvolto dai ricordi, e quelli brutti si alternavano ai momenti belli e indimenticabili vissuti con Giulia.

    Nelle sere d’estate, i fidanzatini salivano sulla Panda 4x4 di Marco e si recavano nel loro posto segreto, scoperto casualmente durante una lunga passeggiata. Poco sopra il paesino dove abitava Giulia iniziava un boschetto, all’interno del quale c’era una piccola radura tappezzata di morbida erba, protetta dagli sguardi dei curiosi da un fitto sottobosco. Durante la bella stagione, i due giovani la usavano come romantica alcova a cielo aperto. Lì, Marco stendeva un grande plaid, sul quale s'intratteneva a lungo con la sua Giulia; entrambi si abbandonavano a tenere effusioni e appassionati rapporti amorosi, fino ad arrendersi alla piacevole spossatezza.

    I giovani amanti, nudi e ansimanti, avvolti dall’inebriamento del rapporto appena avuto e dalla fresca aria notturna che accarezzava i loro corpi, fissavano intensamente il cielo tenendosi per mano, rapiti dalla sensazione di fluttuare nell’aria, di avvicinarsi alle stelle. I gradevoli brividi che correvano veloci sulla pelle provocavano loro un’interminabile, intensa prosecuzione dell'appagamento sessuale.

    Le sere in cui Marco accompagnava Giulia a casa, questa non si decideva a scendere dalla macchina. Lei non avrebbe mai voluto lasciarlo, e le chiassose reazioni che avrebbe avuto la madre, nel sentirla rientrare tardi, la spingevano a trattenersi il più possibile con il suo amore; fino al punto che avrebbe preferito dormire nella scomoda panda che nel suo comodo letto.

    Gioventù e spensieratezza

    A un sobbalzo del vagone, Marco aprì per un attimo gli occhi e si guardò attorno; appena il treno riprese la sua corsa senza altri scossoni si lasciò andare di nuovo sul sedile, avvolto subito da altri ricordi.

    All’inizio, il rapporto tra Giulia e Marco era visto di buon occhio da Annarosa, madre della ragazza: lui era un bel giovane, di buona famiglia e terminata l’università avrebbe fatto il veterinario. Insomma, sarebbe diventato un buon partito.

    In un momento di malinconia, Annarosa gli aveva perfino raccontato la lunga e travagliata storia della sua vita, e Marco l’aveva abbracciata con tenerezza, come avrebbe fatto con la sua mamma. Allora, Annarosa non immaginava che le cose sarebbero cambiate repentinamente, che sarebbe stata proprio lei a favorirne il mutamento e che a farne le spese, in modo drammatico, sarebbe stata proprio la sua amata figlia.

    La madre di Giulia, Annarosa Esposito, per tutti Annarò, a volte chiamata dai genitori Piccola, era nata più di quarant'anni fa in un paesino del casertano da una famiglia conosciuta e rispettata. Il padre Antonio, impiegato di banca, aveva come uniche passioni la famiglia, la Casertana e la lingua italiana. Sì! Provava attrazione anche per la lingua italiana e, spinto da questo interesse, aveva preteso che tutta la famiglia parlasse il dialetto del luogo solo in certe circostanze, prevalentemente con gli amici. In casa, al lavoro e a scuola si doveva usare un italiano corretto; unica concessione, l'uso dei caratteristici intercalari, inevitabili per chi vive in un vero e proprio bilinguismo. Antonio pensava che lo sforzo di esprimersi in italiano avrebbe arricchito il lessico individuale, ampliando la conoscenza dei vocaboli da usare; convito che ciò avrebbe aiutato le figlie nello studio e a fare bella figura di fronte alle persone che contano. Inoltre, papà Esposito era sicuro che, usando l’italiano anche in casa, litigi e discussioni sarebbero diventati meno volgari e aggressivi.

    Tuttavia, si sa che quando il gatto non c’è i topi ballano; e per non smentire il proverbio, in assenza di Antonio, mamma Carmela e figlie si lasciavano andare a interlocuzioni sguaiate e colorite, tipiche delle loro espressioni dialettali.

    Antonio aveva accettato di buon grado che fosse la moglie Carmela a gestire le questioni familiari. Lui interveniva solo su richiesta di lei o in situazioni particolari, se necessitava la sua autorevolezza e, a volte, la sua autorità. Ed era solito pensare:

    Vivere con quattro donne non è la cosa più facile al mondo, un continuo esercizio di pazienza ed equilibrismo. Appena ti chiedono di fare qualcosa, se non le accontenti subito, sono dolori. E dopo aver esaudito i loro desideri, saranno dolori comunque, perché troveranno sempre qualcosa che, a loro dire, hai sbagliato.

    La madre di Annarosa, Carmela Mandragone, era una donna molto attiva e decisa: provvedeva alla casa, insegnava nelle scuole elementari, frequentava assiduamente la parrocchia e cantava nel coro della chiesa con le figlie più gradi, le gemelle Maria e Chiara. Le due sorelle maggiori si erano diplomate, avevano trovato subito lavoro e si erano fidanzate. La famiglia

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