Biografia di Giuseppe Garibaldi
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Considerato dalla storiografia e nella cultura popolare del XX secolo il principale eroe nazionale italiano, iniziò i suoi spostamenti per il mondo come ufficiale di navi mercantili, per poi diventare capitano di lungo corso. La sua impresa più nota fu la vittoriosa spedizione dei Mille, che portò all'annessione del Regno delle Due Sicilie al nascente Regno d'Italia, episodio centrale nel processo di unificazione della nuova nazione. Massone di 33º grado del Rito scozzese antico ed accettato, favorevole all'ingresso delle donne in massoneria (tanto da iniziare sua figlia Teresita), ricoprì anche brevemente la carica di Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia; dichiaratamente anticlericale, fu autore di numerosi scritti, prevalentemente di memorialistica e politica, ma pubblicò anche romanzi e poesie.
Giovanni Battista Cuneo (Oneglia, 9 novembre 1809 – Firenze, 18 dicembre 1875) è stato un giornalista, politico e patriota italiano.
Fu aderente alla Giovine Italia, che nel 1833 presentò a Giuseppe Garibaldi, a Taganrog, sul Mar Nero. Si adoperò poi a diffondere le idee mazziniane tra gli emigrati in Argentina, quando si trasferì nel sud America. In Uruguay, a Montevideo, fondò alcuni giornali tra cui L'Italiano (1842), Il Legionario Italiano (1844). Sempre in questo periodo fu stretto collaboratore, una sorta di segretario, di Garibaldi.
Nel 1849 fu deputato al parlamento subalpino, ma non si allontanò mai definitivamente dal sud America. Nel 1863 divenne responsabile generale per l'emigrazione in Argentina. Cuneo è ricordato, inoltre, per essere il primo autore di una biografia su Giuseppe Garibaldi (Biografia di Giuseppe Garibaldi, 1850). Giuseppe Garibaldi nei suoi scritti si riferisce a lui come a "il credente", tanta era la fede nelle idee mazziniane che in lui che traspariva.
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Biografia di Giuseppe Garibaldi - Giovanni Battista Cuneo
Giovanni Battista Cuneo
Biografia di Giuseppe Garibaldi
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Indice dei contenuti
Giovanni Battista Cuneo
Biografia di Giuseppe Garibaldi
(1850)
Digital Edition 2020
Passerino Editore (a cura di)
Gaeta 2020
Vedrai
Un Cavalier che Italia tutta onora
Pensoso più d'altrui, che di sè stesso.
Petrarca
Di media statura, largo nel petto e negli omeri, tarchiato e spigliato ad un tempo, ti dà l'idea della forza e dell'agilità. Severo il volto al primo affacciarsi; e gli danno aspetto imponente la fulva intonsa barba, i lunghi e biondi capelli e l'ampia fronte da cui scende e forma col naso una retta linea che cade a perpendicolo, e lo sguardo perspicace ed acuto; ma fissandolo, una cara armonia di linee e di forme ti balza come aspettata dinanzi, e un sentimento di fiducia e di simpatia ti sorge improvviso nell'animo e si mesce al rispetto che t'ispirava dapprima.
Aperto l'animo cavalleresco a tutte le manifestazioni del bello, la musica e la poesia hanno su di lui un magico impero. I racconti delle onorevoli imprese e gli atti di carità a pro degl'infelici lo esaltano potentemente; ma ciò che sovra ogni cosa predomina in lui è la devozione all'Italia ed all'onor nazionale. La costanza nelle avversità, il coraggio crescente in ragione degli ostacoli e de' pericoli, la fermezza nelle deliberazioni, un colpo d'occhio che di rado colpisce in fallo ne' più terribili frangenti e la serenità in tutti i casi della vita, sono altrettante doti che lo distinguono fra i contemporanei.
Coi germi di queste virtù, fremente azione ed un campo di lotta, si lanciò giovinetto sul mare, che dalle sponde della sua Nizza nativa aveva tante volte con una specie di voluttà contemplato sconvolto dalla tempesta, desideroso d'affrontare quelle onde infuriate e signoreggiarle. E cominciò a dar prova dell'imperterrito animo e della sua perspicacia, adolescente ancora, un giorno, che trovandosi a diporto in riva al mare tra Nizza e Villafranca, gettavasi nelle onde per recare aiuto ad alcuni compagni imbarcatisi sur un palischermo che per improvviso infuriare del vento pareva vicino a capovolgersi. Sottraevasi il minacciato legno all'imminente pericolo, mercè l'ardire e il pronto consiglio di quel fanciulletto di 13 anni. Navigò pel Levante, e in Mar Nero; toccò varii porti d'Italia, e da uno di questi recossi in quei suoi primi anni a veder Roma, di cui gli rimase poi sempre impressione profonda. Dato naturalmente allo studio, alla pratica che andava facendo degli uomini accoppiava pure lo insegnamento dei libri. E senza misura era quindi il dolore in lui, allorchè pensando a ciò che l'Italia fu e può essere ancora, vedevala misera preda dello straniero, e per giunta insultata da chi fu sempre strumento della nostra rovina. Ira e pietà l'assalivano a un tempo; e a questi affetti profondamente sentiti venivano ad accrescer forza gli ammaestramenti d'un fratello console sardo in Filadelfia, il quale dalla lontana terra non cessava dal rammentare all'amato Giuseppe, loro essere Italiani, e come tali dover vivere, temendo forse che la vicinanza di Francia e le bastarde tendenze di alcuni lo traviassero.
Nelle sue navigazioni in Levante, colto da malattia, dovè fermarsi in Costantinopoli, ove conobbe la famiglia dell'esule Calosso, del quale divenne amico; guarito e trovandosi privo di mezzi, s'offerse maestro di calligrafia, di lingua italiana e francese; si provvide così del bisognevole fino a che, avuto un favorevole incontro, riprese l'interrotta carriera del mare. Una decisa inclinazione pei Greci e pei lor canti popolari, di cui sovente egli ricorda con desiderio ed affetto le armonie ed i versi, gli rimase nell'animo, frutto di quei viaggi e delle reminiscenze dei primi studi.
Venivasi frattanto avvicinando l'epoca in cui l'Italia doveva nuovamente tentare, e invano, di vincere l'avverso destino: e Garibaldi affratellavasi ai generosi, cui non isgomentava l'indifferenza dei molti. E da quanto rilevo da alcuni suoi versi fu appunto in Taganrok, al cospetto de' servi Cosacchi, com'egli scriveva, che venne iniziato ai sublimi misteri da un credente:
Nell'età giovanil
Là sui ghiacci del Ponto giurava
Per la terra natale morir [1] .
Nè mai uomo si adoperò con maggior religione per compiere il fatto giuramento.
Scoperta la congiura del 1833, i patriotti si preparavano a riannodar le fila sgominate, per un tempo non molto lontano. Più tardi, fallito anche il tentativo di Savoia, e compromessi all'interno coloro che eransi adoperati a secondarlo, Garibaldi, che all'intento di meglio giovare erasi un mese prima offerto volontario nella marina da guerra, nella fuga soltanto potè trovare salvezza. La notte del 3 al 4 gennaio 1834 un moto insurrezionale doveva aver luogo in Genova; le notizie di Savoia pervenute in tempo, ed altri inaspettati avvenimenti sospendevano fortunatamente ogni moto; ma tutto questo non avveniva senza dare troppo chiari indizii alla polizia del mancato tentativo, per cui molti de' congiurati ebbero ad evadersi: alcuni furono arrestati. Garibaldi si rifugiò presso una buona popolana che il fornì d'abiti contadineschi. Così travisato usciva il giorno seguente dalla città, e prendeva su per le montagne. Di monte in monte, battendo rare volte ai tuguri dei montanari per ripararsi dai freddi delle notti alpine o chiedere un tozzo di pane, dopo molti giorni entrò furtivo nella casa paterna in Nizza; riposatosi alquanto e stretti al seno i cari parenti, se ne andò verso Francia. Vide finalmente dietro di sè le acque del Varo! e commosso, dalla sponda straniera guardò la terra nativa, per cui dopo i corsi pericoli e le tante fatiche sentì sorgersi in petto più vivo e più intenso quell'amore che in lui cesserà colla vita.
Ai profughi che d'Italia rifuggivansi sul territorio francese, il governo di Luigi Filippo non permettendo scegliere il luogo della dimora, veniva Garibaldi avviato a Draghignano, ove stette sorvegliato da quelle autorità; ma non potendo egli sopportare a lungo quello stato d'inerzia, scomparve; e di là recossi a Marsiglia, da dove poco tempo dopo uscì ad altre navigazioni su legni francesi, e una volta andò uffiziale a bordo d'una fregata a Tunisi, la quale aveva comprato in Francia quel bey. Forse alle conoscenze fatte in quell'epoca è dovuta la determinazione da lui presa ultimamente di recarsi in quel paese, cercandovi un rifugio che non volle dargli la mal grata sua patria. Un bel tratto di Garibaldi in Marsiglia merita di essere qui riferito. Trovavasi egli a bordo in quel porto, e d'improvviso un rumore come di chi annunzia una sciagura si leva sullo scalo dal popolo affollato: Garibaldi guarda, e vede in mare un giovinetto