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Il rumore di una foglia d'acero
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Il rumore di una foglia d'acero
E-book316 pagine4 ore

Il rumore di una foglia d'acero

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Info su questo ebook

Mi chiamo Jaelle e da quando ho memoria, il mio cuore è sempre appartenuto a Jason. Credevo che non ci saremmo mai lasciati, ma un giorno, i miei selvaggi capelli rossi hanno attirato l’attenzione di un mostro dagli occhi neri, un demonio che alla fine mi ha portato via l’unico tesoro che avessi, distruggendo la mia vita. Il dolore mi ha costretto a reclamare vendetta e il sangue che ho versato con le mie stesse mani, mi ha condotto dal dottor Lucan J. Taylor, il più stimato psicologo e psicoterapeuta di Montreal. Non potevo certo immaginare che al primo appuntamento mi sarei smarrita negli occhi più incantevoli che avessi mai visto: di un intenso blu fiordaliso e così penetranti da leggere la mia anima come un libro aperto, facendomi sentire nuda e vulnerabile. Fra noi doveva esserci soltanto un rapporto professionale, ma poi qualcuno ha iniziato a perseguitarmi, trasformandomi nella pedina di un folle e macabro gioco fatto di messaggi e foglie d’acero, e Lucan si è sentito in dovere di aiutarmi. Ben presto, la nostra relazione è andata oltre quella fra medico e paziente, mutando in una potente attrazione. Tuttavia, lui ha ventidue anni più di me e io non voglio tradire la memoria di Jason. Ma soprattutto, sarebbe saggio cedere ai sentimenti quando la mia vita ha i giorni contati?

Il rumore di una foglia d’acero, primo volume di una dilogia, racconta una storia in cui tutto è diverso da ciò che sembra, il confine tra verità e bugia è sottile come il filo di una lama e la minaccia è sempre dietro l’angolo.   
LinguaItaliano
EditoreAmélie
Data di uscita3 nov 2020
ISBN9791220215558
Il rumore di una foglia d'acero

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    Anteprima del libro

    Il rumore di una foglia d'acero - Amélie

    Neruda

    Sinossi

    Mi chiamo Jaelle e da quando ho memoria, il mio cuore è sempre appartenuto a Jason. Credevo che non ci saremmo mai lasciati, ma un giorno, i miei selvaggi capelli rossi hanno attirato l’attenzione di un mostro dagli occhi neri, un demonio che alla fine mi ha portato via l’unico tesoro che avessi, distruggendo la mia vita. Il dolore mi ha costretto a reclamare vendetta e il sangue che ho versato con le mie stesse mani, mi ha condotto dal dottor Lucan J. Taylor, il più stimato psicologo e psicoterapeuta di Montreal. Non potevo certo immaginare che al primo appuntamento mi sarei smarrita negli occhi più incantevoli che avessi mai visto: di un intenso blu fiordaliso e così penetranti da leggere la mia anima come un libro aperto, facendomi sentire nuda e vulnerabile. Fra noi doveva esserci soltanto un rapporto professionale, ma poi qualcuno ha iniziato a perseguitarmi, trasformandomi nella pedina di un folle e macabro gioco fatto di messaggi e foglie d’acero, e Lucan si è sentito in dovere di aiutarmi. Ben presto, la nostra relazione è andata oltre quella fra medico e paziente, mutando in una potente attrazione. Tuttavia, lui ha ventidue anni più di me e io non voglio tradire la memoria di Jason. Ma soprattutto, sarebbe saggio cedere ai sentimenti quando la mia vita ha i giorni contati?

    Il rumore di una foglia d’acero, primo volume di una dilogia, racconta una storia in cui tutto è diverso da ciò che sembra, il confine tra verità e bugia è sottile come il filo di una lama e la minaccia è sempre dietro l’angolo.   

    Capitolo 1

    Questa parte della mia vita può chiamarsi felicità.

    Nel corso degli anni, ho cercato più e più volte di dare una definizione esaustiva di felicità, ma non ci sono mai riuscita, perché ogni volta che ci provavo, non ero mai felice. Una cosa puoi conoscerla bene soltanto se la vivi sulla tua pelle. Senza un’esperienza diretta, puoi limitarti a fare supposizioni. Se oggi sono finalmente in grado di comprendere un sentimento così straordinario come la felicità è perché io sono felice. Ho un’ottima salute, mi guadagno da vivere con quello che mi piace fare, posso contare su pochi ma fidati amici, abito nella casa dei miei sogni, ma soprattutto, al mio fianco c’è un uomo che mi ama davvero e bacia la terra su cui cammino. Non manca nulla nella mia vita e non c’è nulla che cambierei: questa è la mia definizione di felicità. Alcune persone quando sono così felici temono che da un momento all’altro arriverà qualcosa a distruggere la loro gioia, ma io non ho paura, perché ho già pagato – con gli interessi – la mia quota d’infelicità e ora ho il sacrosanto diritto di godermi serenamente questa gioia.

    Un dito percorre con tenerezza il contorno delle mie labbra e, allettata da quel richiamo, schiudo gli occhi su un viso che non mi stancherei mai di contemplare. Dal modo in cui ricambia il mio sguardo, per lui vale la stessa cosa.

    «Stai sorridendo» sussurra, continuando ad accarezzarmi la bocca.

    «È perché…».

    «Sei felice» mi anticipa.

    «Sì» sospiro.

    «Anch’io lo sono ed è soltanto per merito tuo, Jaelle. Non so che ne sarebbe stato di me senza il tuo amore».

    Immediatamente, dalle viscere più oscure della mia memoria riaffiorano gli angoscianti ricordi dell’orfanotrofio, nel quale siamo stati abbandonati in tenera età e da cui siamo usciti a diciotto anni. Ciò che abbiamo subìto in quel luogo orrendo non ci ha annichilito soltanto perché potevamo contare l’uno sull’altra. Per quanto abbiano provato a separarci, non ci sono mai riusciti, perché entrambi sapevamo che da soli non ce l’avremmo fatta a sopravvivere. Lui era la mia forza e io la sua. L’ho amato sin dal primo momento, quando la suora lo presentò come il nuovo arrivato. Aveva il capo chino e il viso imbronciato, ma appena alzò lo sguardo e mi vide, abbagliato dal colore scarlatto delle mie trecce, il suo broncio si trasformò in un timido sorriso e nei suoi occhi grigi si accese la speranza di non essere da solo in mezzo a quell’ostile massa di estranei. Fu in quel preciso istante, mentre i nostri sguardi erano avvinti, che capii una cosa sconcertante: non lo conoscevo nemmeno, eppure sapevo già che non avrei più potuto fare a meno di lui. Siamo subito diventati compagni di giochi, poi compagni di sventura e infine, compagni per la vita. Abbiamo condiviso ogni cosa, incapaci di nasconderci nulla. Per quanto amara e brutale fosse, ci siamo sempre detti la verità. Se a volte avessimo mentito, avremmo risparmiato all’altro delle sofferenze inutili, ma alla fine abbiamo sempre scelto di essere sinceri, perché un peso è più facile da portare quando si è in due. Jason e Jaelle da soli non esistono, non hanno senso. Insieme, acquistano significato e importanza. Siamo una sola carne, un sol pensiero, un unico intento.

    Poso la mano sulla sua guancia ispida e lui chiude gli occhi, solo per un momento, perché non può fare a meno di guardarmi.

    «Non pensarci più. È finita. Di quegli anni deve rimanere soltanto il ricordo del nostro amore».

    «Ti amo, Jaelle Wilkins. Vuoi sposarmi?».

    Scoppio a ridere, facendo tremare tutto il letto.

    «Quando ti stancherai di chiedermelo?».

    «Mai. Continuerò a farlo anche dopo il matrimonio».

    «Conoscendoti, ne saresti capace».

    Mi attira fra le sue braccia, facendomi stendere su di lui.

    «Allora, pel di carota, cosa mi rispondi?».

    Gli tiro scherzosamente una ciocca di capelli, rubandogli una risata.

    «Non sono più così rossi. Adesso sono quasi decenti».

    Jason allunga una mano, lasciando che le sue dita scorrano pigre in mezzo alle mie ciocche color rubino.

    «Sono bellissimi e riflettono il fuoco che arde dentro di te. Voglio che mi prometti una cosa: non permettere mai che questo fuoco si spenga».

    «Con te al mio fianco, non si spegnerà mai. Ti amo».

    «Allora… Vuoi sposarmi?».

    Appoggio la fronte sulla sua.

    «Sì». Mi bacia e dentro di me si sprigiona quel fuoco che solo lui è in grado di vedere. «Per quanto sia magnifico stare abbracciati sotto le coperte, è ora di alzarci. Tu devi andare al lavoro e io ho un appuntamento con le mie amiche per scegliere l’abito da sposa».

    Sono emozionatissima, poiché questo passo rende più reale il fatto che tra poco ci sposeremo, ma allo stesso tempo temo di non essere in grado di scegliere l’abito giusto, perché io odio lo shopping e di vestiti non ci capisco nulla.

    «So che la decisione spetta a te, ma vorrei che prendessi qualcosa di semplice. Il giorno delle nozze, voglio vedere te, non un fagotto di pizzi e tulle. Devi mettere in risalto la tua bellezza, e non nasconderla, ok?».

    Gli stampo un rapido bacio sulle labbra.

    «Ok».

    Non avrò difficoltà ad accontentarlo, perché posso anche non capirne nulla di abiti, ma una cosa la so: la semplicità sta benissimo su di me.

    *

    «Oh, Jaelle, sei davvero… magnifica. Anzi, no». Dà un colpo secco con la mano, come a spazzare via il ricordo di quella parola. «Regale rende meglio l’idea».

    Di solito contraddire Michelle è uno dei miei passatempi preferiti, ma oggi ci rinuncio volentieri, perché mentre ammiro il mio riflesso nell’enorme specchio del negozio, io mi sento davvero una regina, padrona della mia vita e con un posto preciso nel mondo. Sono esattamente dove dovrei essere e faccio ciò che è giusto. Quest’abito, che sulla stampella sembrava così anonimo, su di me acquista una bellezza nuova, semplice ma allo stesso tempo d’effetto. Sento che non starebbe bene a nessun’altra a parte me. Il corpetto e le maniche sono di un delicato pizzo color avorio con riflessi rosa antico, mentre la gonna, di pura seta e senza ricami, ha una conturbante silhouette a sirena che gratifica le mie forme senza alcuna volgarità. La scollatura, a cuore, è modesta e nasconde il mio seno, ma non la scia di efelidi sul mio petto. Niente velo, né strascico. Gli unici ornamenti saranno i miei capelli rossi e la collanina che non tolgo mai, perché è stata la prima cosa che Jason abbia potuto permettersi di comprarmi con i soldi del suo lavoro. Anziché acquistare qualcosa di utile o per la sua felicità, ha pensato a me. Non l’ho trovato giusto, ma mentirei se dicessi di non aver amato il suo gesto.

    «Jason impazzirà nel vederti con questo vestito» cinguetta Jessica, la mia vulcanica vicina di casa, nonché amica straordinaria.

    Michelle, invece, è la proprietaria della galleria d’arte in cui espongo le mie tele, ma fra noi non c’è un semplice rapporto lavorativo. Lei è la madre che non ho mai avuto. Sin dal primo momento, mi ha accolto sotto la sua ala, come una chioccia che si prende cura dei suoi pulcini, e da allora non mi ha più lasciato andare. A essere sincera, prego ogni giorno che non lo faccia mai.

    «Jaelle, non hai ancora detto una parola. Che cosa ne pensi dell’abito?» mi chiede Michelle, posandomi affettuosamente le mani sulle spalle e accostando il suo viso al mio.

    Pur avendo cinquantacinque anni, è ancora una splendida donna, in grado di far voltare gli uomini quando sfila per strada con il suo passo sicuro e civettuolo. Con quei grandi occhi verdi, il caschetto corvino e la pelle priva d’imperfezioni – a parte le piccole rughe agli angoli degli occhi –, il suo viso è lontano anni luce dal mio. Enormi occhi blu, lentiggini sul naso e sugli zigomi e indisciplinati capelli rossi sono ciò che mi contraddistingue e mi rende riconoscibilissima da chilometri.

    «Lo trovo perfetto, Michelle. Non voglio provarne altri».

    Mi sorride compiaciuta.

    «E fai bene, perché quest’abito sembra fatto apposta per te».

    Appena le sue mani calde e protettive lasciano le mie spalle, accade qualcosa d’inspiegabile. Un brivido gelido e viscido inizia a percorrere la mia spina dorsale, come una carezza sgradevole e crudele. La mia pelle perde un tono di colore e nei miei occhi scorgo le sembianze di un sentimento che non provavo da molti anni: paura.

    No, è qualcosa di ben peggiore.

    Terrore.

    Ciò che avvertono le mie narici è il sentore di una catastrofe imminente, e il retrogusto che si espande sulla mia lingua è quello di un veleno che risale dalle mie viscere. Non so come spiegarmelo, ma sono assolutamente certa che il pericolo si trovi appena fuori dalla mia portata e che mi basterebbe voltarmi da un lato per vederne le fattezze.

    E allora lo faccio.

    Raccolgo tutto il mio coraggio, affronto il terrore che mi attanaglia e mi giro verso sinistra, dove la vetrina dà sulla strada. E proprio lì, in piedi, innaturalmente immobile come un fotogramma, c’è un uomo. Indossa jeans blu scuro e un giubbotto di pelle nera, che aderisce come un guanto alle spalle possenti e alle braccia muscolose. Lunghe ciocche color miele incorniciano un viso che trasuda virilità da tutti i pori, e guardarlo sarebbe pure piacevole… se solo non ci fossero quegli occhi a scoraggiarmi. Sono grandi e così scuri che non si riesce a distinguere la pupilla dall’iride. Sembrano due buchi neri, che minacciano di risucchiarmi al loro interno per non lasciarmi andare mai più. Sono due fredde e desolate segrete che non conoscono la luce del sole e invocano a gran voce il mio nome. Quando Jason mi guarda, mi sento libera, in armonia con il mio corpo e in pace con la mia anima. Amo questa sensazione.

    Mentre quell’estraneo mi guarda, mi sento sua prigioniera, così sua che il mio corpo non mi appartiene più e la mia anima dimentica chi sono. Detesto questa sensazione.

    Può uno sguardo ridurti in schiavitù? .

    Può un mezzo sorriso distruggere tutto il tuo mondo? .

    «Jaelle, che ti succede?» chiede Michelle, preoccupata, frapponendosi in modo provvidenziale tra me e lui.

    Grazie a Dio. Senza il suo aiuto, non sarei stata in grado di distogliere l’attenzione da quel diavolo. Sì, soltanto un essere demoniaco può avere occhi del genere. Oppure un pazzo. Al solo pensiero, vengo scossa da un nuovo brivido.

    «Sei impallidita all’improvviso» interviene Jessica, avvicinandosi a me con la stessa faccia preoccupata di Michelle.

    «Sembra che tu abbia visto un fantasma». Michelle si gira verso la vetrina. «Ma non c’è nessuno».

    In effetti, è proprio così. Rapido com’è comparso, il diavolo è svanito nel nulla e io mi sento già molto meglio.

    «Non preoccupatevi, si è trattato di un piccolo capogiro. I preparativi per il matrimonio sono piacevoli ma stancanti. Sto bene adesso».

    Torno a guardarmi allo specchio, a sorridere al mio riflesso, a riaccogliere la gioia nel mio cuore, ma purtroppo il diavolo è subdolo e può ingannarti facilmente, facendoti credere di essere lontano quando invece il suo fiato è già sul tuo collo.

    «Signorina?».

    È una delle commesse del negozio. La guardo di sfuggita, perché la mia attenzione è subito catturata dal giglio bianco che stringe nella mano.

    «Questo è per lei» dice, e quelle parole risuonano come una sentenza di morte.

    Lo prendo con dita tremanti quando lei me lo porge, ma ancor prima che possa chiederle chi lo manda, la donna scompare dalla mia vista, ritornando al suo lavoro.

    Non importa. Conosco già il mittente.

    Al lungo gambo è legato un bigliettino e sebbene il mio amor proprio mi suggerisca di non leggerlo, lo faccio ugualmente, perché la verità viene prima di tutto, anche di me stessa. La grafia è nervosa, come se a guidare le sue dita fosse stata la collera.

    Se ti avessi conosciuto prima, sarebbe stato più facile…

    Deglutisco e giro il foglietto.

    Ma di certo meno divertente.

    Non è complicato interpretare il significato delle sue parole. Sono chiare in maniera quasi sconcertante.

    «Tornerà» bisbiglio, e mentre il giglio scivola dalle mie dita, cadendo sul pavimento senza che la sua bellezza si scomponga minimamente, comincio a credere che forse, non ho ancora pagato del tutto la mia quota di sofferenza.

    Capitolo 2

    Quando ho finito e metto giù il pennello, due occhi neri come la mezzanotte emergono con prepotenza da un caleidoscopio di colori, monopolizzando la tela. Trattengo il fiato mentre il mio corpo rabbrividisce sino ai confini della mia anima. Se il gelo non arriva anche lì dove farebbe più male è perché lo sto respingendo con tutte le mie forze, ingaggiando contro di esso una lotta estenuante.

    È trascorsa una settimana da quando questi occhi hanno sconvolto il mio mondo con la rapidità di un battito di ciglia, e da allora, non li ho più avvertiti su di me. Tuttavia, non penso minimamente di essere fuori pericolo. Più il tempo passa, più mi avvicino al momento del suo ritorno. Quel bigliettino non lascia adito a dubbi sulle sue intenzioni: si rifarà vivo quando lo riterrà opportuno. E nel frattempo, il ricordo avvilente di quegli occhi continua a popolare la mia immaginazione, rovinando la mia quotidianità. Jason, che mi conosce meglio di chiunque altro, sa che qualcosa mi turba e oltre a essere preoccupato, è anche deluso, perché per la prima volta gli sto nascondendo un segreto, violando il nostro patto di sincerità. Crede che io abbia dei ripensamenti sul nostro matrimonio, ma non è assolutamente vero e per quanto cerchi di convincerlo del contrario, non ci riesco. La soluzione sarebbe confessargli tutto, ma ho come un blocco alla lingua che mi impedisce di farlo.

    Guardo la tela e un sentimento d’ira divampa in seno alle mie viscere. Sono arrabbiata con lui per aver infranto la mia felicità perfetta. Sono arrabbiata con me stessa perché gli sto dando troppa importanza, trascurando Jason e i preparativi per il matrimonio. Sono arrabbiata con il mondo intero perché questa è senz’altro la mia opera migliore. Il contrasto netto tra le vivaci forme astratte che fanno da sfondo e il realismo di quegli occhi neri così espressivi e penetranti, è a dir poco sbalorditivo. È il genere di dipinto che ti smuove qualcosa dentro, affascinandoti a tal punto che rimarresti a fissarlo per ore e ore.

    Fra tre giorni, alla Fondation Phi, sarà inaugurata la mostra dei miei nuovi dipinti, organizzata sin nei minimi dettagli da Michelle, la proprietaria della galleria. Ieri sera mi ha telefonato, pregandomi di realizzare un nuovo dipinto, da aggiungere alla collezione come pezzo forte. Non le ho promesso niente, considerati i tempi ridotti, e credo proprio che non avrà niente, perché lui non merita di entrare in galleria e attirare su di sé l’attenzione generale. Ho sputato l’anima per creare quella che considero la mia collezione più soddisfacente e se aggiungessi questo dipinto, tutti vedrebbero soltanto lui e il magnetismo dei suoi occhi. Gli altri quadri perderebbero importanza e questo non è ciò che desidero. Scivolo giù dallo sgabello, vado a procurarmi un paio di forbici in cucina e torno nel mio studio, risoluta a squarciare la tela. Sollevo il braccio, caricando il colpo, ma all’ultimo momento mi fermo. Non posso distruggere un’opera uscita dalle mie mani. Sarebbe come uccidere un figlio. Tuttavia, non la voglio qui. Come un figlio indesiderato, la abbandonerò. Avvolgo il quadro in un grande telo bianco e lo porto giù in strada, lasciandolo accanto al cassonetto della spazzatura. Avverto una leggera fitta al cuore, ma prima che il dolore possa piantare radici in esso, alzo i tacchi e me ne vado, ritornando al sicuro nella mia casa. Jason non tornerà prima di un’ora, quindi mi concedo un lungo bagno rilassante. Forse mi addormento involontariamente, perché quando apro gli occhi, trovo Jason inginocchiato fuori dalla vasca, intento a guardarmi con una dolcezza che scioglie tutti i nodi di tensione nel mio corpo. Potrei dirgli tante cose, a cominciare dalla verità e dalle mie scuse, ma soltanto due parole scivolano fuori dalla mia bocca: «Ti amo».

    I suoi occhi grigi si illuminano e nella mia vita torna il sole. Jason è come l’arcobaleno dopo un temporale.

    «Allora fa l’amore con me, Jaelle».

    Un fremito scuote la mia femminilità.

    «Sì» sussurro.

    Jason sfiora le mie labbra con le sue, e quel fremito si trasforma in qualcosa di più intenso, come un brivido costante che tiene sotto scacco il mio corpo.

    «Sbrigati, ho bisogno di te».

    «Oh, Jaelle, anch’io ho bisogno di te, non sai quanto».

    *

    Il mattino dopo, quando mi sveglio, sono una donna nuova. Il peso dell’ultima settimana è svanito come d’incanto e il ricordo di quell’incontro non mi spaventa più. Tra le braccia del mio Jason, ho dimenticato persino il colore di quegli occhi. L’amore può tutto, anche l’impossibile.

    Mi alzo e vado in cucina, prendendo l’occorrente per realizzare dei succulenti pancake allo sciroppo d’acero. Un attimo prima che inizi a preparare l’impasto, sento vibrare il mio telefono. È Michelle, che sicuramente vorrà notizie del nuovo dipinto. Mi dispiace doverla deludere, ma non ho alcuna intenzione di mettere mano a un’altra tela. Ho fatto un tentativo, è andato male e non mi va di ritentare. Inspiro ed espiro profondamente; poi, rispondo.

    «Ciao, Michelle».

    «Ciao, tesoro!» strilla, perforandomi un timpano.

    «Che hai da urlare di prima mattina?».

    «Non lo immagini?» chiede, smorzando appena il suo entusiasmo.

    Aggrotto la fronte, confusa.

    «Perché dovrei?».

    «La tua modestia è commovente, Jaelle. Tuttavia, questa volta potresti fare un’eccezione e concederti di provare un po’ d’orgoglio, perché con il tuo nuovo dipinto ti sei proprio superata».

    Avverto un brivido sulla nuca e il mio cuore inizia ad accelerare i battiti.

    «Di quale nuovo dipinto stai parlando?» mormoro, con un fil di voce.

    «Hai forse battuto la testa e perso la memoria? Sto parlando del dipinto che mi hai fatto consegnare poco fa! Questi occhi faranno impazzire il pubblico!» starnazza Michelle, come un’oca giuliva.

    «Occhi…» annaspo, mentre il mondo mi crolla addosso con violenza inaudita.

    È stato lui. Ha visto che ho abbandonato il dipinto in strada, l’ha preso e infine l’ha fatto recapitare al mio capo. Questo sottintende molte cose.

    Primo, sa dove abito.

    Secondo, sa dove lavoro.

    Terzo, non si è mai allontanato da me, rimanendo nell’ombra a spiarmi.

    Quarto, sono in pericolo.

    E quinto…

    Il terrore mi stringe il cuore in una morsa.

    Se lui vuole me, anche Jason è in pericolo.

    *

    «Che cosa!? Non puoi staccare prima?».

    «Purtroppo no, amore».

    «E non c’è qualche collega che possa sostituirti?» insisto, posandomi una mano sul petto, nel vano tentativo di placare il mio cuore.

    «Ho chiesto a tutti, ma nessuno di loro è libero».

    «Questo non è giusto! Tu sei sempre disponibile quando ti chiedono di sostituire qualcuno, e per una volta che hai bisogno tu, fanno orecchi da mercante! Stronzi!» sbraito, fuori di me dalla collera.

    «Tesoro, calmati. Farò il possibile per raggiungerti quanto prima. Mi dispiace».

    Mi siedo sul letto, guardando il riflesso del mio viso nello specchio sopra il comò. Sono il ritratto della delusione. Stasera si terrà l’inaugurazione della mia mostra alla Fondation Phi e Jason non sarà al mio fianco, perché il suo orribile capo ha deciso di trattenerlo al lavoro ben oltre il consueto orario. Senza di lui, mi sentirò persa in mezzo ad un mare di estranei. Senza di lui, non mi godrò nulla. Senza di lui, andrà tutto a rotoli.

    «Lo so che ti dispiace e che non è colpa tua. Perdonami se sto scaricando su di te la mia rabbia e la mia frustrazione».

    «Jason!» grida qualcuno in sottofondo.

    È la voce insopportabile del suo orribile capo.

    «Devo andare, amore. Se mi sbrigo, forse riesco ad arrivare alla mostra a un’ora decente».

    «Va bene» sospiro, ma non nutro molte speranze in merito.

    «La mostra sarà un successo, lo sento».

    «Vedremo».

    «Adesso scappo. Ti amo, pel di carota».

    Sorrido.

    «Stai sorridendo finalmente».

    «Come fai a saperlo?» chiedo, sbalordita.

    «Io so tutto di te. Ti amo».

    «Ti amo anch’io».

    Riattacca, e senza la sua voce a cullarmi, mi sento terribilmente sola. Sin da quando ho memoria, ho sempre fatto affidamento su Jason e quando lui non è con me, sono una donna a metà. Metà corpo, metà anima, metà cuore. Quando siamo insieme, divento completa e sono in grado di vivere pienamente la mia vita. Mi stendo sul letto, rivolgendo lo sguardo al soffitto bianco. Per un attimo rivedo quegli occhi neri e il terrore mi inchioda al materasso. Stasera li vedranno tutti. Ho insistito con Michelle fino allo sfinimento affinché rinunciasse a esporre quel maledetto dipinto insieme agli altri, ma non c’è stato verso di farle cambiare idea. È innamorata di quegli occhi e il suo fiuto infallibile le dice che grazie a essi guadagneremo un bel po’ di soldi, quindi sarò costretta a sopportarne la vista per tutta la sera. Per quale diavolo di motivo ho deciso di dipingere quel

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