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La donna che attendeva il crepuscolo: e altri racconti
La donna che attendeva il crepuscolo: e altri racconti
La donna che attendeva il crepuscolo: e altri racconti
E-book347 pagine5 ore

La donna che attendeva il crepuscolo: e altri racconti

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Info su questo ebook

La donna che attendeva il crepuscolo rappresenta un viaggio nel lato oscuro dell’amore poiché spesso, sebbene in pochi lo ammettano, l’amore non è un dono scintillante ma una maledizione. Il confine tra amore e dramma, infatti, è molto difficile da tracciare nelle cinque storie che compongono questa raccolta di racconti. Non sempre, però, il risultato finale è ovvio come sembra a prima vista. Ecco, quindi, un percorso tra le forme di amore meno ovvie ma non per questo meno autentiche, narrate con stili, ambientazioni e sbocchi molto diversi tra loro.
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2020
ISBN9788868153748
La donna che attendeva il crepuscolo: e altri racconti

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    La donna che attendeva il crepuscolo - Gabriele Chiarolanza

    La donna che attendeva il crepuscolo

    e altri racconti

    Gabriele Chiarolanza

    Meligrana Editore

    Copyright Meligrana Editore, 2020

    Copyright Gabriele Chiarolanza, 2020

    Tutti i diritti riservati

    ISBN: 9788868153748

    Editing: Giulia Baldini

    Meligrana Editore

    Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)

    (+ 39) 338 6157041

    www.meligranaeditore.com

    info@meligranaeditore.com

    Foto in copertina: Auguste e Louis Lumière,

    Giovane donna con ombrello, 1906

    Fondation Nationale de la Photographie, Lyons, France

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    Indice

    Frontespizio

    Colophon

    Licenza d’uso

    Gabriele Chiarolanza

    Copertina

    Dedica

    NON OMNIS MORIAR

    MACERIE

    86

    BODAK E LA PROFEZIA NEL BOSCO

    LA DONNA CHE ATTENDEVA IL CREPUSCOLO

    Licenza d’uso

    Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale.

    Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone.

    Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, è necessario acquistare una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, siete pregati di acquistare la vostra copia.

    Grazie per il rispetto verso il duro lavoro di questo autore.

    Gabriele Chiarolanza

    Gabriele Chiarolanza è nato nel 1978 a Venezia. Attualmente vive nella provincia di Treviso con la moglie e la figlia piccola. Intrapresa la carriera universitaria a Trieste, presto si è scoperto grande appassionato di storia, in particolare della Prima Guerra mondiale. Con Meligrana ha già pubblicato La Morte attende tranquilla (2018) e La crepa (2019).

    Contattalo: rectoitinere@gmail.com

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    A chi si è perso,

    senza ritrovarsi.

    La donna che attendeva il crepuscolo

    NON OMNIS MORIAR

    Partenza

    Fu durante una delle mie crisi più oscure che finii a vagabondare, errando nella notte e senza una meta precisa, nei dintorni della mia abitazione. Ogni cosa mi rimbombava nel cervello, con una possanza inaudita. Non ero in grado di riprendere il controllo di me stesso. I pensieri parevano bombardarmi e mi trafiggevano ogni volta in modo diverso, ma sempre più efficace, man mano che i secondi ticchettavano inesorabilmente. La notte, oscura al punto da sembrare in procinto di inghiottire ogni cosa, rappresentava il perfetto controcanto al tumulto della mia mente in subbuglio. Mi era impossibile riportare su binari anche solo vagamente ordinari le mie elucubrazioni sovreccitate. Tutto, e intendo dire davvero ogni singolo elemento della mia vita, implodeva davanti ai miei occhi, risucchiato in un immenso buco nero dalle dimensioni stellari.

    L’unica cosa che riuscii a fare fu mettermi in cammino. Uscii dunque da casa, diretto non si sa dove. Non me ne importava. L’unica cosa che contava era muovermi, allontanarmi dalla mia abitazione e sperare, tramite quel movimento convulso ma privo di meta, di giungere in qualche posto migliore di quello attuale. Non era un programma altisonante, lo so, ma era l’unico che la mia mente fosse in grado di concepire, in quei momenti.

    Mi avviai lungo la strada che si dipartiva da casa mia, nel buio della notte. Non rammento l’ora, a dire il vero. So soltanto che il buio regnava sovrano, intorno a me. C’era solo la luna, ad illuminare parzialmente la via, ma la mia mente allucinata non se ne diede per inteso per lungo tempo. Essendo privo di una meta precisa, non feci altro se non vagabondare lungo le strade quasi deserte, lì in collina, pur di allontanarmi da casa e tornarci più tardi possibile.

    Dopo un tempo impossibile da quantificare, giunsi nei pressi di un punto panoramico, in corrispondenza di una curva verso sinistra. Da lì si poteva godere di una vista abbastanza ampia sulle colline intorno, costellate qua e là di piccoli puntini chiari, ad identificare le poche case illuminate nella notte. Lasciando scorrere lo sguardo mi resi conto della presenza, più in alto, sempre sulla sinistra, di una grande casa che non avevo mai notato in precedenza; aveva l’aspetto di un piccolo castello, almeno stando al profilo che si poteva intuire, nonostante l’oscurità e gli alberi che la circondavano come numerose sentinelle di guardia.

    Sebbene i pensieri seguitassero a ricordarmi la mia crisi irreversibile, sperimentata subito prima dell’uscita di casa, constatai con sorpresa come la visione della misteriosa dimora in mezzo al bosco, sopra di me, attirasse inesorabilmente la mia attenzione. Qualcosa mi richiamava in quella direzione, pur non sapendo esattamente cosa. Dopo qualche attimo d’incertezza, mi risolsi a procedere innanzi, nel tentativo di individuare una possibile via d’accesso al piccolo castello appena avvistato.

    Fu così che, dopo pochi minuti di cammino, vidi chiaramente, alla luce lunare, un sentiero che si discostava dalla strada, salendo lungo il medesimo versante della collina sul quale si trovava il castello. M’inerpicai senza indugio, notando con piacere che il percorso era ben segnato e riconoscibile, nel mezzo della boscaglia. Soltanto una volta ebbi un’incertezza, ma mi ripresi in fretta, individuando rapidamente la direzione corretta lungo la quale proseguire la salita.

    Ogni tanto alzavo gli occhi per verificare se la misteriosa casa si vedesse finalmente un po’ meglio ma, con mio grande nervosismo, dovetti riconoscere di non riuscire a scorgere più di qualche guglia o di qualche finestra, che inquadravo qua e là. Non mi restava altro da fare se non procedere innanzi, nella speranza che l’obiettivo della mia camminata non si trovasse troppo lontano.

    Procedetti lungo il sentiero nel bosco per molto tempo, tanto da domandarmi, a un certo punto, se mai sarei riuscito a giungere nei pressi del castello. Mi venne perfino il dubbio che, forse, il sentiero portasse in tutt’altra direzione. Fui preso da una grande meraviglia quando, d’improvviso, mi ritrovai fuori dal bosco e davanti a me osservai il possente muro di cinta, intorno al piccolo castello cercato con tanto zelo.

    La luna faceva capolino a tratti tra le nuvole, consentendomi di inquadrare qualche dettaglio in più. Potei così rilevare che il castello, all’esterno, era illuminato soltanto da un paio di luci fioche, poste subito sotto il tetto. Due torrette, una a ciascun angolo dell’edificio, chiudevano la facciata che avevo davanti. Esso era completamente immerso nell’oscurità, fatta eccezione per due finestre sulla sinistra, all’ultimo piano, vicino a una delle torrette.

    Mentre ancora il mio sguardo scorreva qua e là, lungo la facciata del castello, mi colpì l’assurdità di quella situazione. Mi trovavo dinanzi a quel piccolo edificio, nel bel mezzo della notte, senza la più vaga idea di chi vi abitasse; inoltre non sapevo nemmeno come avrei potuto giustificare il fatto di trovarmi lì, qualora avessi individuato un campanello o un batacchio da qualche parte, per segnalare la mia presenza ai suoi abitanti. Stavo ancora rimuginando su quei dubbi, mentre il cervello non smetteva di gettarmi addosso, alla rinfusa, scorci di me stesso immerso nella crisi di non molto tempo prima, quando adocchiai la vaga sagoma di una porta di legno, a qualche metro da me. Feci i pochi passi che mi separavano da essa con molta circospezione, quasi nel timore di disturbare qualcuno con un rumore di troppo, finché mi trovai finalmente davanti alla porta. Si trattava di una banale porta di legno, con una maniglia di scarso pregio. Nessuno stemma, nessuna targa con inciso sopra un nome. Allungai una mano per afferrare la maniglia, ma l’improvviso e inatteso nitrito di un paio di cavalli mi fece fare un balzo indietro, mentre il cuore batteva all’impazzata. Il nitrito sembrava provenire dall’interno del castello. Dopo qualche attimo i cavalli si acquietarono, mentre io non ero più così certo di voler saggiare nuovamente quella maniglia. Nonostante una forte indecisione mi attanagliasse il cervello, mi risolsi infine a tentare di aprire la porta. Allungai la mano, afferrai la maniglia e la spinsi verso il basso, trattenendo il respiro. La porta si aprì senza difficoltà. Strano che non fosse chiusa a chiave, annotai con rapidità, mentre sgusciavo all’interno del castello.

    A dispetto del buio, appurai, con l’aiuto della luna appena uscita da dietro una grande nuvola, di trovarmi in un cortile abbastanza spazioso, in un angolo del quale sostavano i due cavalli, il cui nitrito mi aveva tanto atterrito pochi attimi prima.

    Dove dirigermi, ora? Vidi un’altra porta, poco distante dai cavalli, così decisi di verificare se anche questa si sarebbe spalancata senza fatica, come la prima. Evitai di domandarmi se gli abitanti del castello avrebbero gradito una visita notturna non autorizzata nella loro abitazione. Una forza misteriosa, ma irresistibile, mi attirava ad entrare in quell’edificio. Mi parve un fatto ben strano, ma mi avvidi subito di non essere minimamente in grado di contrastarla.

    Mi feci avanti e con pochi rapidi passi, raggiunsi questa seconda porta, la quale si aprì anch’essa senza sforzo. Perché i proprietari di quell’abitazione lasciavano aperte le porte, in piena notte? Avvertendo che quella domanda avrebbe portato con sé dubbi pericolosi, mi risolsi ad avanzare prima che la tentazione di scappare istintivamente a gambe levate prendesse il sopravvento.

    Mi trovavo ora all’interno del castello, dentro un grande salone, immerso nella semioscurità. Soltanto una serie di candele poste ai suoi lati lo illuminavano, spandendo una luce tremolante tutto intorno. Notai di sfuggita che i miei passi facevano un rumore sinistro sul pavimento di pietra. Mi sforzai di scrutare con la massima attenzione davanti a me, in cerca di una presenza umana, ma non vidi nessuno. Seguitai ad avanzare, dunque, con grande circospezione mantenendo tutti i miei sensi all’erta.

    Mentre procedevo con enorme lentezza, lanciando occhiate furtive intorno a me, una voce baritonale mi trafisse.

    Buonasera, mio caro amico notturno. Sei il benvenuto qui.

    Mi bloccai, con lo sguardo terrorizzato. La voce proveniva dalla mia sinistra, così mi voltai di scatto in quella direzione. Sul fondo di una piccola cripta, quasi completamente al buio, sostava una figura umana con indosso un lungo mantello scuro. Mi era impossibile scorgere qualche dettaglio in più, ma del mantello ero abbastanza certo.

    Non sapendo come rispondere alla voce, tacqui, con la speranza che essa stessa pronunciasse qualche altra parola. Qualche attimo dopo fui accontentato.

    Vieni con me, mio caro amico. Andiamo a sederci laggiù, così potremo fare conoscenza disse la voce baritonale, mentre il suo proprietario mi faceva strada, dopo essere uscito dalla cripta.

    Il misterioso abitante del castello, avvolto nel suo nero mantello, passò a pochi passi da me mentre usciva dalla cripta, ma non fui capace di osservarne i lineamenti. Era come se, oltre all’oscurità che le candele non riuscivano a rischiarare, un velo fosse sceso sui miei occhi a rendere ogni cosa sfuocata, impedendomi di identificarne i dettagli. Tutto ciò mi provocava uno stato di tensione notevole, ma l’uomo dal lungo mantello possedeva una malia irresistibile, unita ad una voce suadente alla quale era impossibile sottrarsi. Lo seguii con trepidazione. Ad essere sincero, non vedevo l’ora di trovarmi faccia a faccia con lui per ascoltare cos’altro aveva da dirmi.

    Dopo una decina di passi, vidi l’uomo accomodarsi su una grande poltrona e sistemarsi meglio il mantello. Egli mi fece un gesto con la mano, bianca come il marmo, indicandomi un’altra poltrona posta di fronte a lui. Senza dire nulla, mi sedetti e rimasi in attesa. Notai, non senza stupore, nonostante due candele spandessero la loro luce direttamente su di lui, di non riuscire, in effetti, a distinguere i suoi lineamenti. Era un fatto veramente mirabile. Era come se, da qualunque angolazione lo si guardasse, non fosse possibile vederlo in volto. Meditai per lunghi attimi cosa dire ma, ancora una volta, fu lui ad anticiparmi.

    Dunque, mio caro amico, vorrai certo conoscere il mio nome. O sbaglio? mi interrogò, appoggiando le mani sui braccioli della poltrona.

    Tutto ciò era strano. Molto strano. Mi ero appena introdotto furtivamente in casa di quell’uomo, in piena notte, e lui non solo si dimostrava perfettamente a suo agio e padrone di sé, ma si preoccupava perché non conoscevo il suo nome.

    risposi, con tono incerto in effetti è così. Ti dispiacerebbe dirmi chi sei?

    Scorgere i lineamenti di quell’uomo continuava ad essermi impossibile, ma percepii una sorta di sorriso formarsi sul quel volto dai contorni sfuocati.

    Non mi dispiace affatto, caro amico replicò lui, tranquillo. Mi chiamo Ormen e questa è la mia dimora.

    Ormen. Uno strano nome, a dire il vero.

    Presi coraggio.

    Dissi: Posso farti una domanda, Ormen?

    Certamente.

    Ancora la sensazione di un sorriso.

    Come mai le porte del tuo castello sono aperte, in piena notte?

    Ti aspettavo, ecco tutto. Ho fatto in modo che, non trovando chiuso a chiave, ti fosse agevole giungere da me.

    Ormen non aveva manifestato alcuna incertezza. Era come se non solo mi aspettasse, ma avesse già previsto quali sarebbero state le mie parole.

    Mi aspettavi… dissi, quasi tra me e me.

    La cosa ti meraviglia?

    Beh sì, visto che non ci conosciamo.

    Ne sei certo? ribatté Ormen, stavolta manifestando un riso sincero.

    Ritieni veramente che avrei lasciato entrare in casa mia qualcuno, senza conoscerne l’identità?

    Quell’uomo riusciva a stupirmi con ogni singola parola. Chi era veramente Ormen e perché avevo sentito così irresistibilmente l’istinto di dirigermi a casa sua, quella sera? La mia crisi era passata o si trovava ancora in pieno svolgimento? E infine: quell’uomo misterioso era in qualche modo collegato ad essa?

    Troppe domande mi assillavano la mente. Troppe domande esigevano risposta. Capii che soltanto Ormen avrebbe potuto fornire riscontri adeguati ai dubbi che mi tormentavano, così stabilii di giocare a carte scoperte. Presi, dunque, la parola con maggiore decisione.

    Dissi: Tu mi conosci, allora. Se è così, non sarà necessario che ti spieghi cosa mi è accaduto stasera. Anzi, potrai forse spiegarmi tu stesso perché ho sentito l’impulso di raggiungere il tuo castello e per quale motivo tu mi stessi aspettando.

    Ormen rimase qualche attimo in silenzio, prima di replicare.

    Hai parlato bene, mio caro amico. In effetti, io possiedo alcune delle risposte che cerchi, ma ancora non ho sentito la domanda più importante uscire dalle tue labbra.

    La sua voce da baritono conferiva una sensazione di calma e pace, nonostante l’oscurità avvolgesse quell’uomo come se fosse un tutt’uno con lui. La domanda più importante, aveva detto. Scrutai dentro di me e dopo qualche attimo la trovai.

    Come fai a conoscermi, se io non conosco te? domandai, quasi stessi parlando a me stesso.

    Disvelamento?

    Dopo aver posto quella domanda, mentre ancora il mio cervello si poneva quesiti su quesiti, udii una sincera risata prorompere dalla voce grave di Ormen. Era la prima volta che rideva così sonoramente, da quando ero entrato in casa sua. La sua risata mi fece piacere, perché lo avvicinava alla mia umanità. Allo stesso tempo, però, mi fece rabbrividire. poiché conteneva il germe di una sottile minaccia lanciata con un sibilo mortifero.

    Mi arrovellai rapidamente nel tentativo di comprendere quale fosse la minaccia, ma Ormen si alzò in piedi e, dandomi l’impressione di torreggiare su di me, mosse una mano, ad indicare qualcosa alla sua sinistra e disse: Fai progressi, mio caro amico. Sembri pronto per affrontare qualcosa di più dei semplici convenevoli. Vuoi essere così gentile da seguirmi? Ti condurrò in un luogo più adatto, per proseguire la conversazione.

    Devo confessare di non essermi sentito tanto sicuro di voler procedere innanzi, ma qualcosa dentro di me mi spinse a seguire quell’uomo, per scoprire se davvero mi conoscesse così bene.

    Mi alzai, dunque, e replicai: Ma certo, andiamo pure.

    Ormen si voltò, incamminandosi verso il fondo della stanza, mentre io lo seguivo. Le candele seguitavano a spandere la loro luce tremolante nel salone, conferendo un aspetto ancora più ambiguo all’uomo misterioso davanti a me. Il suo lungo mantello nero pareva danzare nella luce incerta, proiettata da quegli scarni lumi ai lati della stanza, finché, giunti in prossimità del fondo del salone, egli parve scomparire letteralmente nell’oscurità, allorquando entrò in una zona d’ombra dove nessuna candela ardeva.

    Non appena mi resi conto di non riuscire più a scorgere davanti a me la nera sagoma di Ormen, mi bloccai e mi guardai convulsamente intorno. Come previsto, non c’era anima viva. Il silenzio avvolgeva totalmente il castello, tanto da farmi sembrare un maglio il cuore tachicardico che mi batteva impazzito nel petto.

    Perché ti agiti in questo modo, amico mio?

    La voce di Ormen, più possente che mai, mi fece sobbalzare.

    Risposi: Non ti vedo più. Dove sei?

    Devi affinare i tuoi sensi, se vuoi seguirmi. Presta attenzione, per favore. Rilassa i muscoli e guarda dritto davanti a te.

    Rilassarmi era l’ultima cosa che mi sentivo di fare, ma mi sforzai di seguire le indicazioni ricevute. Appena riuscii a distendere un poco i muscoli, tesi dal nervosismo, potei vederlo. In effetti, Ormen si trovava proprio davanti a me. Era fermo e mi osservava, quasi divertito. Ancora non riuscivo a distinguerne i lineamenti, ma mi parve chiara la sua condiscendenza di fronte alle mie incertezze.

    Non preoccuparti disse, come se presentisse i miei pensieri. La tua insicurezza è normale. Devi solo imparare a mantenere viva la concentrazione.

    Perché non riesco a vedere le tue sembianze? domandai, finalmente.

    Percepii un sorriso farsi largo in quella figura oscura, ferma davanti a me.

    È tutto a posto replicò, tranquillo. Tra poco, se lo vorrai, potrai distinguere tutti i dettagli dei miei lineamenti. Ora, però, seguimi e presta attenzione a non perdermi di vista.

    Lo seguii, dunque, attraverso una porta sul fondo del salone, e poi lungo una scala a chiocciola che ci condusse al terzo piano del castello. L’edificio sembrava del tutto disabitato. Si udiva soltanto il rumore dei nostri passi e delle nostre voci.

    Giunti al terzo piano, procedemmo lungo uno stretto corridoio, per poi entrare in una stanza abbastanza piccola, o così almeno mi parve. Ormen si recò subito verso due candelabri, per accenderli in modo da fare un po’ di luce.

    Quando tutte le candele furono accese, vidi con stupore che ci trovavamo in una camera da letto. Il mobilio era costituito solamente da un grande letto con baldacchino, un comodino al suo fianco e due poltrone di fronte. Le pareti erano dipinte con motivi astratti, molto sottili, di colore argenteo. Fu soltanto quando fissai gli occhi sulla finestra che mi avvidi di un dettaglio importante, stranamente sfuggitomi fino ad allora.

    L’unica finestra presente nella camera era coperta da pesanti tende di velluto, che Ormen stava scostando proprio in quel momento. Le tende erano nere e, in effetti, l’intera camera era dipinta di nero e conteneva mobilio dello stesso colore. Probabilmente non l’avevo notato subito poiché mi ero fatto trarre in inganno dalle sottili decorazioni argentee, dipinte sulle pareti. Una camera nera con mobili neri, dunque. Cos’era mai quella stanza?

    Ormen, voltatosi verso di me, parve leggermi nel pensiero ancora una volta.

    Si tratta di una camera del lutto disse, come se io stesso avessi pronunciato a voce alta i miei dubbi. "Più precisamente, si tratta della tua camera del lutto, mio caro amico."

    La mia camera del lutto? domandai, quasi trasformando l’interrogazione in un’esclamazione. Come sarebbe a dire? Cosa significa tutto ciò?

    Ormen non si lasciò sconvolgere dalla mia agitazione. Si accomodò su una delle nere poltrone, facendomi cenno con una mano di prendere posto nell’altra.

    Percepii la sua immensa calma e non potei fare a meno di sedermi accanto a lui, attendendo una parola di spiegazione.

    Dunque, caro amico, poco fa mi hai chiesto come mai io ti conosca già. Ancora non è il momento di rispondere a questa domanda, ma ormai manca poco, non temere.

    Ormen si sistemò meglio sulla poltrona e, per un attimo, vidi le sue mani bianchissime saettare nell’aria, a spostare leggermente il mantello sulle sue spalle.

    A questo punto proseguì dopo un momento è giunto il momento, per te, di compiere un deciso passo verso la conoscenza della mia identità e del mio ruolo.

    Non sapevo davvero cosa ribattere, perciò restai in silenzio, ansioso di conoscere il seguito di quel discorso.

    Prima di procedere, sono obbligato a porti una domanda. Vuoi davvero andare avanti? Hai un’ultima possibilità di tirarti indietro e tornare da dove sei venuto, mio caro amico. Se decidi di restare, sappi che nulla sarà più come prima nella tua vita. Nulla.

    Le parole di Ormen mi pietrificarono. Qualcosa di sinistro e minaccioso sembrava nascondersi dietro i suoi discorsi. Avvertii la tentazione molto forte di alzarmi immediatamente e tornare sui miei passi, verso casa.

    Poiché non mi decidevo a parlare, Ormen chiese: Allora, amico mio, cosa desideri fare? Devi darmi una risposta, qui ed ora. Non c’è più tempo, ormai.

    Sentii le mani artigliare convulsamente i braccioli della poltrona, facendo leva come nell’atto di alzarmi in piedi, ma udii la mia voce replicare: Voglio restare, Ormen. Parla pure, ti ascolto.

    Ormen fece nuovamente sfrecciare nell’aria le sue mani marmoree per una frazione di secondo, poi disse: Molto bene, molto bene. Rilassati, allora, e guarda attentamente davanti a te, verso la finestra, caro amico. Troverai la vista estremamente interessante.

    Con mia sorpresa, avvertii i muscoli rilassarsi, mentre il mio corpo si adagiava mollemente sulla poltrona. Dopodiché, iniziai ad osservare fuori dalla finestra.

    * * *

    All’inizio non accadde nulla. Dopo diversi secondi, nei quali vidi soltanto il buio della notte, lì fuori, cominciai a nutrire seri dubbi sulle parole di Ormen. Mi aveva preso in giro? In quella camera deserta non succedeva niente di niente. Dopo qualche altro istante, però, i miei sensi all’erta percepirono qualcosa. Un lievissimo rumore. Mi voltai e, aguzzando la vista, notai che, in effetti, sul grande letto di fronte a noi, ora giaceva qualcuno. Le coperte lasciavano intuire la forma di un corpo umano che dormiva, coricato sul lato sinistro. Sì, indubbiamente qualcuno stava dormendo sotto quelle nere coperte. Esse si alzavano ed abbassavano ritmicamente, alla cadenza del respiro pesante dell’uomo dormiente. Come facevo a sapere che si trattava di un uomo? Non lo so, in realtà. Non lo vedevo in faccia, ma sapevo trattarsi di un uomo.

    Dopo alcuni secondi la scena cambiò radicalmente. Davanti a me non c’era più l’oscuro letto a baldacchino, con il suo ospite addormentato. C’era, invece, un’anonima stanza con un tavolo e una panca, sulla quale mi trovavo seduto. Tutti gli altri dettagli di questo nuovo ambiente mi apparivano sfuocati. All’improvviso, mi avvidi di non essere solo. Proprio di fianco a me si trovava seduta una bellissima donna, la quale mi guardava sorridendo. Rimasi estasiato dalla bellezza luminosa trasmessa dal suo viso. Essa mi trafisse nel profondo dell’anima, e così mi protesi verso la donna radiosa, lì accanto a me. Ella seguitava a sorridermi, spandendo la sua bellezza dritta verso di me, così allungai la mano nel tentativo di accarezzarla dolcemente. Quando le mie dita stavano per assaporare la gioia di sfiorare la sua pelle, la scena mutò improvvisamente.

    La magnifica presenza femminile si trovava ancora lì, al mio fianco, ma non mi degnava più della minima attenzione. Ero certo che, fino a un attimo prima, rivolgesse i suoi dolci occhi verso di me. Mentre ora, non mi vedeva più. Sorrideva ancora e mi ammaliava, ma io per lei non esistevo più. Sorrideva a qualcun altro, o forse a nessuno in particolare, ma certo non più a me. I suoi occhi mi trapassavano, come se fossi stato invisibile.

    Un gigantesco ed inestinguibile dolore si impadronì di me. Mi parve quasi di stare per impazzire. Cominciai ad agitarmi, nel tentativo di abbandonare la stanza dove si trovava la donna, ma mi parve di non riuscirci.

    D’un colpo, aprii gli occhi. Il respiro si era fatto affannoso e il cuore pompava con la massima potenza nel mio petto. Con uno sforzo sovrumano, misi a fuoco gli oggetti intorno a me.

    La camera. La camera nera. La camera del lutto era lì, davanti a me. Nel letto c’era ancora la figura umana sconosciuta. Dormiva profondamente. Al mio fianco Ormen, una massa informe, più nera del nero di quella camera terrificante.

    Non temere, amico mio, non temere disse la sua voce sicura. È tutto a posto. Stai solo raggiungendo una maggiore conoscenza di alcuni fatti interessanti. Vogliamo proseguire, dunque?

    Fatti interessanti? farfugliai. Quali fatti interessanti? Cos’è questa storia? Chi è la donna che ho visto?

    Ormen non si scompose.

    L’agitazione obnubila i tuoi pensieri, amico mio. Te l’ho detto, devi prestare più attenzione a mantenere alta la concentrazione.

    Lascia perdere la concentrazione e spiegami chi è la donna! sibilai, con una rabbia che mi meravigliò.

    Davvero non lo sai? replicò Ormen. Vorresti farmi credere di non aver capito chi è lei? Suvvia, amico mio, non posso credere nemmeno per un momento che tu sia a tal punto ottuso.

    Il mio respiro rimase affannoso, di fronte a quelle parole. Poteva essermi davvero nota l’identità della donna radiosa? Era possibile? Un dubbio atroce cominciò ad insinuarsi nella mia mente.

    La donna. La donna radiosa. Il suo sguardo ammaliante. Gli occhi da cui era impossibile distaccarmi. Il suo sorriso luminoso. Possibile che fosse davvero lei? Era possibile una cosa del genere?

    Voglio una risposta, Ormen decretai. Rispondimi subito.

    Ma certo, mio caro amico, ti accontento immediatamente. Ecco, guarda tu stesso.

    * * *

    Un istante dopo, mi ritrovai nuovamente nella medesima stanza anonima di poco prima, seduto accanto alla donna. Ella sorrideva ancora, sempre più luminosa. Stavolta pareva di nuovo essersi avveduta della mia presenza. Ne fui lieto, non posso nasconderlo.

    Ciao, mio caro disse lei, con tono suadente.

    Non fui in grado di proferire parola.

    Non dirmi che non mi riconosci! Non è possibile! Di’ qualcosa, santo cielo! Mi riconosci?

    Sembrava davvero allarmata e, ad onor del vero, anche un po’ irritata, come se le stessi mancando di rispetto.

    Tu sai benissimo chi sono. Di’ il mio nome, coraggio! Sì, dillo! Riconoscimi!

    Ancora non riuscii a spiccicare una sola parola. Me ne stavo lì, pietrificato, davanti a lei.

    Forza, ce la puoi fare. Io voglio che tu ci riesca. Di’ il mio nome. Quello stesso nome che non riesci mai a pronunciare, se non a costo di enorme fatica. Dillo! Senti la mia voce? Sono proprio io!

    Non riuscivo a dirlo. Ormai sapevo. Si trattava proprio di lei, non c’erano più dubbi. Il sorriso era il suo. Gli occhi erano i suoi. La voce era la sua. Ma io non riuscivo a pronunciare il suo nome.

    Dillo! Voglio sentire il mio nome! tuonò lei, urlando.

    Anna… dissi flebilmente.

    Bene, mio caro, sei stato bravissimo. Ora dillo solo un’altra volta, un po’ più forte.

    No… obiettai sotto voce.

    Dillo! Sai che lo farai, perciò dillo di nuovo.

    Anna pronunciai, con maggiore convinzione.

    * * *

    Feci un salto sulla poltrona e mulinai in aria le braccia,

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