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NOCTURNE
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E-book104 pagine1 ora

NOCTURNE

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Info su questo ebook

Quando Patricia Walker varca la soglia di Palazzo Diamond, capisce che qualcosa di sinistro aleggia all'interno dell'orfanotrofio. Gli occhi dei bambini sembrano racchiudere una verità spietata.
Patricia intende andare fino in fondo e scoprire chi si cela dietro i membri dello staff...
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2017
ISBN9788826085210
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    Anteprima del libro

    NOCTURNE - Fabio Murgano

    Fabio Murgano

    NOCTURNE

    Tutti i diritti di riproduzione sono riservati.

    È vietata ogni riproduzione, anche parziale, non autorizzata.

    Email dell'autore, morganwriter7@gmail.com

    Quest'opera è di pura fantasia. Nomi, personaggi luoghi ed episodi sono invenzioni dell'autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi, eventi e persone, vive o scomparse, è da considerarsi puramente casuale.

    11 FEBBRAIO 1988

    Ore 12.30. Oggi sono successe così tante cose che quasi non so da dove cominciare. Meglio iniziare con ordine, dato che gli avvenimenti si sono susseguiti con tale velocità da confondere persino me che li ho vissuti in prima persona. Il mio viaggio verso la capitale è finito prima ancora di cominciare e tutto per colpa di questo tempaccio. Dovevo arrivare in città per un servizio entusiasmante. Il capo, col suo solito cipiglio, me l’aveva affidato dicendomi semplicemente: Ho un caso per te, Walker; in realtà il reportage che mi aveva affidato era parecchio interessante e a mio modo di vedere anche pericoloso. Dovevo recarmi nella capitale per sviluppare un’inchiesta sui lavoratori di una fabbrica di birra. Gli operai, non solo non percepiscono i loro salari da diversi mesi, ma il proprietario della fabbrica è un noto politico locale, già indagato in passato per corruzione, e ultimamente si vocifera di una sua candidatura alle elezioni nazionali di fine primavera. Altri politici locali e non solo potevano esserne coinvolti e, sai come vanno queste cose, quando si hanno tra le mani nomi di un certo livello è come se la penna scottasse mentre la tieni fra le dita. Come al solito, caro diario, ti confondo con la mia narrazione, ma prova a capirmi, sto cercando di nascondere la rabbia che si è accumulata in queste ore.  

    La mia inchiesta avrebbe potuto sollevare un polverone non indifferente e con esso si sarebbe innalzata la mia popolarità, magari sarei divenuta famosa e invitata in qualche programma televisivo. E invece la sorte si è accanita contro di me, facendo sballare completamente le mie aspettative. Dubito fortemente che riuscirò a portare a termine il mio obiettivo. Avevo deciso di partire due giorni prima dell’inizio dell’inchiesta, giusto per sondare il terreno. Quindi stamattina, alle sette in punto, la sveglia mi ha buttata giù dal letto. Ad essere sincera ero sveglia già da diversi minuti, troppo agitata per pensare ad altro se non al lavoro e al viaggio che mi aspettavano da lì a breve. Ho lasciato il mio paese per arrivare a destinazione in mattinata, un viaggio di circa quattro ore. Nonostante il cielo si presentasse alquanto cupo non mi sono affatto intimorita, d’altronde adoro la stagione fredda. Certo, quando si guida la nebbia diventa sempre la mia peggior nemica, ma l’idea di fare un viaggio in quel clima così triste non riusciva a dispiacermi. Ho percorso qualche chilometro e ha cominciato a piovere, dapprima lentamente, poi sono cadute giù autentiche cascate di acqua.

    Il periodo che stiamo attraversando è stato parecchio segnato da forti piogge, ma non ho mai visto piovere in questo modo. Come se da lassù qualcuno avesse voluto rovinarmi la giornata…Cosa dico?! Se mi sentisse mia zia tradurrebbe queste parole in autentiche bestemmie! Ho continuato il tragitto per una stradina che costeggia l’autostrada, meno trafficata, forse più lunga, ma sicuramente mi avrebbe fatto recuperare parecchio tempo. E invece è stata la mia rovina. Queste maledette stradine collinose sono stupende se ti fermi per ammirarle, ma hanno un’unica controindicazione: non frequentarle quando in cielo il diluvio sembra aver scelto lo stesso giorno per scatenarsi. La guida è stata così lenta che non mi sarei meravigliata se all'improvviso una persona mi avesse superato semplicemente camminando. Ma non c'era proprio nessuno. Nessun segnale, nessun essere vivente, solo pioggia, vento e nebbia.

    Giuro che non mi sono accorta di nulla, troppo intenta a fissare l’asfalto quasi invisibile in tutto quel putiferio. D’improvviso le mani, fino a qualche istante prima ben salde sul volante, me le sono ritrovate vicine al viso, l’auto travolta, contromano e ben nascosta sotto fango ed erba e la strada praticamente scomparsa. Una frana si è abbattuta dalle alte colline e, come una potenza che non conosce ostacoli, mi ha completamente catapultata fuori dalla corsia. Il tonfo è stato forte, tuttavia la pioggia che martellava sulla carrozzeria non mi ha dato modo di capire o sentire molto. Ho riaperto gli occhi e, oltre il parabrezza in frantumi, solo fango. L’acqua batteva sul mio viso e mi sono sentita quasi immobilizzata. Lì per lì non mi sono resa conto di quanto fossi stata fortunata nel rimanere viva, ma semplicemente ho considerato quella giornata la peggiore di tutta la mia vita. Mi sento orgogliosa del fatto di non aver gridato aiuto, né di essermi sentita sconfitta da quella circostanza. Subito ho cercato un modo per uscire dalla vettura e mettermi al riparo.

    Magicamente, cosa che ad essere sincera non mi sarei mai aspettata, la portiera di destra si è aperta al primo tentativo. Ho afferrato l’ombrello, che dal sedile posteriore era balzato vicino al volante, e sono uscita come se non fosse successo nulla. Ho scalato il ripido pendio che il fango aveva creato e sono arrivata su quella che un tempo era una bella strada di campagna. Solo allora, quando mi sono voltata per capire cosa fosse successo, ho capito che dovevo ringraziare il cielo se ero ancora in vita. La mia adorata auto era completamente ricoperta da una valanga di fanghiglia. Era meglio non guardarla. Quindi ho voltato i passi cercando di capire il da farsi, non potevo certo restare lì immobile. La pioggia violenta non aiutava e, come se non bastasse, l’ombrello durante il suo sobbalzo, si era perforato, quindi la sua utilità era praticamente ridotta al minimo. Andare avanti era impossibile, il fiume di fango non me lo permetteva, quindi sono tornata indietro per diversi metri, poiché ricordavo di aver visto un bivio.

    Avevo ormai perso le speranze quando ho ritrovato questa stradina sperduta nel verde. Un cartello mi indicava che a cinquecento metri avrei trovato un orfanotrofio chiamato Palazzo Diamond. Suonava bene quindi, quasi col sorriso sulle labbra, mi sono fatta forza e ho cominciato ad incamminarmi per quella via. Il sentiero era in salita e i passi affondavano nel fango rendendo il percorso faticoso. Tuttavia, la cosa che mi ha lasciata ancora più perplessa, era che quella salita mi proibiva di vedere alcun edificio. Ho sperato che quel cartello non risalisse a troppi decenni fa, altrimenti avrei trovato una casa distrutta, abitata da topi o da chissà cosa. La salita si è dimostrata più difficile del previsto dato che la forte pioggia non accennava a diminuire, e un dolore sempre più insistente si è fatto sentire all’altezza della caviglia destra. I vestiti, completamente inzuppati, di sicuro non mi hanno aiutata. Insomma, ero completamente fradicia e spossata, quando finalmente sono arrivata alla fine della salita: un grande edificio era lì, circondato dalle colline. Sì, Palazzo Diamond esisteva veramente e mai come allora sono stata felice di vedere forme di vita presenti su questa terra. Ho accelerato l'andatura nonostante la caviglia malconcia e, ad ogni passo che facevo verso quel palazzo, ho sentito una forte speranza crescermi dentro. Sono arrivata davanti il portone.

    Questa enorme casa, vista da vicino, mette i brividi. Saranno almeno tre piani e lo stile della struttura deve essere molto antico, almeno vecchio di duecento anni. Non il massimo dell’ospitalità ma, nelle circostanze in cui mi trovavo, non ho potuto fare altro se non bussare e cercare riparo. La grande porta non aveva campanelli, ma solo un grosso battiporta ormai privo di lucentezza. Guardandolo bene, l'effigie raffigurata era quella di un demone dagli aguzzi canini e dalle affilate corna. Lo so, non era di conforto, così come non lo erano le sagome fredde e aguzze di due torrioni posti oltre un possente cornicione ma, per me, in quel momento tragico, erano figure quasi angeliche.

    Ho bussato senza esitazione, facendo librare all’interno della casa un’eco tenebrosa. Fu solo allora che mi sono chiesta se non fosse stato il caso di ispezionare meglio l’intera zona. La pioggia incessante non me l’aveva permesso e a tuttora sono felice della mia scelta. Ho bussato una seconda volta, quando ho sentito dei lenti passi avvicinarsi. Ci siamo! mi sono detta cercando di mostrarmi sorridente e degna di ricevere eventuale ospitalità. Il mio sorriso si è tramutato repentinamente in espressione seria, forse impaurita. L’individuo che mi ha aperto la porta aveva un aspetto alquanto sinistro. L’età ormai era avanzata, la debole chioma grigiastra e il vecchio vestito impeccabili. Questo è un maggiordomo a tutti gli effetti ho pensato, ma il suo aspetto fisico non era granché piacevole. Era basso, con una vistosa gobba a piegargli la schiena in avanti. Il viso sembrava essere vittima di una

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