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Miei pensieri di varia umanità
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E-book329 pagine4 ore

Miei pensieri di varia umanità

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Info su questo ebook

"Libertà! Libertà! Questa è l’idea che pervade il libricciolo, che io v’offro: libertà da cima a fondo". Così si esprime Pascoli nella dedica all'editore.

Il testo raccoglie i seguenti scritti:

- IL FANCIULLINO

- IL SABATO

- LA GINESTRA

- L’ÈRA NUOVA

- UN POETA DI LINGUA MORTA

- ECO D’UNA NOTTE MITICA

- LA SCUOLA CLASSICA

- UNA SAGRA

- L’EROE ITALICO

- L’AVVENTO

Dal Fanciullino, articolo programmatico pubblicato per la prima volta nel 1897, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva. D'altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del "fanciullino" presente in ognuno: quest'idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di "poeta vate", e di ribadire allo stesso tempo l'utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2019
ISBN9788831628136
Miei pensieri di varia umanità

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    Miei pensieri di varia umanità - Giovanni Pascoli

    INDICE

    MIEI PENSIERI DI VARIA UMANITÀ

    Giovanni Pascoli

    l profilo letterario: la sua rivoluzione poetica

    La formazione letteraria

    La poesia come nido che protegge dal mondo

    Il poeta e il fanciullino

    La poesia cosmica

    La lingua pascoliana

    Pascoli e il mondo degli animali

    Opere

    Bibliografia

    MIEI PENSIERI DI VARIA UMANITÀ

    IL FANCIULLINO

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    VIII.

    IX.

    IL SABATO

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    VIII.

    IX.

    LA GINESTRA

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    VIII.

    IX.

    X.

    XI.

    XII.

    XIII.

    XIV.

    L’ÈRA NUOVA

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    VIII.

    IX.

    X.

    XI.

    XII.

    UN POETA DI LINGUA MORTA

    I.

    II.

    III.

    IV.

    ECO D’UNA NOTTE MITICA

    LA SCUOLA CLASSICA

    UNA SAGRA

    L’EROE ITALICO

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    VIII.

    IX.

    X.

    XI.

    XII.

    L’AVVENTO

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    Note

    GIOVANNI PASCOLI

    Miei Pensieri di varia Umanità

    Il presente ebook è composto di testi di pubblico dominio.

    L’ebook in sé, però, in quanto oggetto digitale specifico,

    dotato di una propria impaginazione, formattazione, copertina

    ed eventuali contenuti aggiuntivi peculiari (come note e testi introduttivi), 

    è soggetto a copyright. 

    Edizione di riferimento: Miei pensieri di varia umanità / Giovanni Pascoli - Vincenzo Muglia – Editore, 

    MESSINA 1903 

    Immagine di copertina: https://pixabay.com/it/photos/telaio-cornice-per-foto-2486543/

    https://pixabay.com/it/photos/telaio-cornice-per-foto-ritratto-2482384

    Elaborazione grafica: GDM, 2019. 

    Giovanni Pascoli

    Giovanni Agostino Placido Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) è stato un poeta e accademico italiano, figura emblematica della letteratura italiana di fine Ottocento. 

    Pascoli, nonostante la sua formazione eminentemente positivistica, è insieme a Gabriele D’Annunzio il maggior poeta decadente italiano.

    Dal Fanciullino, articolo programmatico pubblicato per la prima volta nel 1897, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva. D’altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del fanciullino presente in ognuno: quest’idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di poeta vate, e di ribadire allo stesso tempo l’utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia.

    Pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario dell’epoca, né mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea (al contrario di D’Annunzio), Pascoli manifesta nella propria produzione tendenze prevalentemente spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Complessivamente la sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione classicista ereditata dal maestro Giosuè Carducci, e le nuove tematiche decadenti. Risulta infatti difficile comprendere il vero significato delle sue opere più importanti, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e psicologici che egli stesso riorganizzò per tutta la vita, in modo ossessivo, come sistema semantico di base del proprio mondo poetico e artistico.

    l profilo letterario: la sua rivoluzione poetica

    L’esperienza poetica pascoliana si inserisce, con tratti originalissimi, nel panorama del decadentismo europeo e segna in maniera indelebile la poesia italiana: essa affonda le radici in una visione pessimistica della vita in cui si riflette la scomparsa della fiducia, propria del Positivismo, e in una conoscenza in grado di spiegare compiutamente la realtà. Il mondo appare all’autore come un insieme misterioso e indecifrabile tanto che il poeta tende a rappresentare la realtà con una pennellata impressionistica che colga solo un determinato particolare del reale, non essendo possibile per l’autore avere una concreta visione d’insieme. Coerentemente con la visione decadente, il poeta si configura come un veggente, mediatore di una conoscenza aurorale, in grado di spingere lo sguardo oltre il mondo sensibile: nel Fanciullino, Pascoli afferma quanto il poeta fanciullino sappia dare il nome alle cose, scoprendole nella loro freschezza originaria, in maniera immaginosa e alogica.

    La formazione letteraria

    La fase cruciale della formazione letteraria di Pascoli va fatta risalire ai nove anni trascorsi a Bologna come studente alla Facoltà di Lettere (1873-1882). Allievo di Carducci, che si accorse subito delle qualità del giovane Pascoli, nella cerchia ristretta dell’ambiente creatosi attorno al poeta, Pascoli visse gli anni più movimentati della sua vita. Qui, protetto comunque dalla naturale dipendenza tra maestro e allievo, Pascoli non ebbe bisogno di alzare barriere nei confronti della realtà, dovendo limitarsi a seguire gli indirizzi ed i modelli del suo corso di studi: i classici, la filologia, la letteratura italiana. Nel 1875 perse la borsa di studio e con essa l’unico mezzo di sostentamento su cui poteva contare. La frustrazione ed i disagi materiali lo spinsero verso il movimento socialista in quella che fu una delle poche, brevi parentesi politiche della sua vita. Nel 1879 venne arrestato e assolto dopo tre mesi di carcere; l’ulteriore senso di ingiustizia e la delusione lo riportarono nell’alveo d’ordine del maestro Carducci e al compimento degli studi con una tesi sul poeta greco Alceo.

    A margine degli studi veri e propri, egli, comunque, condusse una vasta esplorazione del mondo letterario ed anche scientifico straniero, attraverso le riviste francesi specializzate come la Revue des deux Mondes, che lo misero in contatto con l’avanguardia simbolista, e la lettura dei testi scientifico-naturalistici di Jules Michelet, Jean-Henri Fabre e Maurice Maeterlinck. Tali testi utilizzavano la descrizione naturalistica - la vita degli insetti soprattutto, per quell’attrazione per il microcosmo così caratteristica del Romanticismo decadente di fine Ottocento - in chiave poetica; l’osservazione era aggiornata sulle più recenti acquisizioni scientifiche dovute al perfezionamento del microscopio e della sperimentazione di laboratorio, ma poi veniva filtrata letterariamente attraverso uno stile lirico in cui dominava il senso della meraviglia e della fantasia. Era un atteggiamento positivista romanticheggiante che tendeva a vedere nella natura l’aspetto pre-cosciente del mondo umano.

    Coerentemente con questi interessi, vi fu anche quello per la cosiddetta filosofia dell’inconscio del tedesco Karl Robert Eduard von Hartmann, l’opera che aprì quella linea di interpretazione della psicologia in senso anti-meccanicistico che sfociò nella psicanalisi freudiana. È evidente in queste letture - come in quella successiva dell’opera dell’inglese James Sully sulla psicologia dei bambini - un’attrazione di Pascoli verso il mondo piccolo dei fenomeni naturali e psicologicamente elementari che tanto fortemente caratterizzò tutta la sua poesia. E non solo la sua. Per tutto l’Ottocento la cultura europea aveva coltivato un particolare culto per il mondo dell’infanzia, dapprima, in un senso pedagogico e culturale più generico, poi, verso la fine del secolo, con un più accentuato intendimento psicologico. I Romantici, sulla scia di Giambattista Vico e di Rousseau, avevano paragonato l’infanzia allo stato primordiale di natura dell’umanità, inteso come una sorta di età dell’oro.

    Verso gli anni Ottanta si cominciò, invece, ad analizzare in modo più realistico e scientifico la psicologia dell’infanzia, portando l’attenzione sul bambino come individuo in sé, caratterizzato da una propria realtà di riferimento. La letteratura per l’infanzia aveva prodotto in meno di un secolo una quantità considerevole di libri che costituirono la vera letteratura di massa fino alla fine dell’Ottocento. Parliamo dei libri per i bambini, come le innumerevoli raccolte di fiabe dei fratelli Grimm (1822), di H.C. Andersen (1872), di Ruskin (1851), Wilde (1888), Maurice Maeterlinck (1909); o come il capolavoro di Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie (1865). Oppure i libri di avventura adatti anche all’infanzia, come i romanzi di Jules Verne, Kipling, Twain, Salgari, London. O libri sull’infanzia, dall’intento moralistico ed educativo, come Senza famiglia di Malot (1878), Il piccolo Lord di F.H. Burnett (1886), Piccole donne di Alcott (1869) e i celeberrimi Cuore di De Amicis (1886) e Pinocchio di Collodi (1887).

    Tutto questo ci serve a ricondurre, naturalmente, la teoria pascoliana della poesia come intuizione pura e ingenua, espressa nella poetica del Fanciullino, ai riflessi di un vasto ambiente culturale europeo che era assolutamente maturo per accogliere la sua proposta. In questo senso non si può parlare di una vera novità, quanto piuttosto della sensibilità con cui egli seppe cogliere un gusto diffuso ed un interesse già educato, traducendoli in quella grande poesia che all’Italia mancava dall’epoca di Leopardi. Per quanto riguarda il linguaggio, Pascoli ricerca una sorta di musicalità evocativa, accentuando l’elemento sonoro del verso, secondo il modello dei poeti maledetti Paul Verlaine e Stéphane Mallarmé.

    La poesia come nido che protegge dal mondo

    Per Pascoli la poesia ha natura irrazionale e con essa si può giungere alla verità di ogni cosa; il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a questa verità mediante l’irrazionalità e l’intuizione.  Rifiuta quindi la ragione e, di conseguenza, rifiuta il Positivismo, che era l’esaltazione della ragione stessa e del progresso, approdando così al decadentismo. La poesia diventa così analogica, cioè senza apparente connessione tra due o più realtà che vengono rappresentate; ma in realtà una connessione, a volte anche un po’ forzata, è presente tra i concetti, e il poeta spesso e volentieri è costretto a voli vertiginosi per mettere in comunicazione questi concetti. La poesia irrazionale o analogica è una poesia di svelamento o di scoperta e non di invenzione. I motivi principali di questa poesia devono essere umili cose: cose della vita quotidiana, cose modeste o familiari. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, le cui presenze aleggiano continuamente nel nido, riproponendo il passato di lutti e di dolori e inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione, che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami oscuri, viscerali del nido.

    Nella vita dei letterati italiani degli ultimi due secoli ricorre pressoché costantemente la contrapposizione problematica tra mondo cittadino e mondo agreste, intesi come portatori di valori opposti: mentre la campagna appare sempre più come il paradiso perduto dei valori morali e culturali, la città diviene simbolo di una condizione umana maledetta e snaturata, vittima della degradazione morale causata da un ideale di progresso puramente materiale. Questa contrapposizione può essere interpretata sia alla luce dell’arretratezza economica e culturale di gran parte dell’Italia rispetto all’evoluzione industriale delle grandi nazioni europee, sia come conseguenza della divisione politica e della mancanza di una grande metropoli unificante come erano Parigi per la Francia e Londra per l’Inghilterra. I luoghi poetici della terra, del borgo, dell‘umile popolo che ricorrono fino agli anni del primo dopoguerra non fanno che ripetere il sogno di una piccola patria lontana, che l’ideale unitario vagheggiato o realizzato non spegne mai del tutto.

    Decisivo nella continuazione di questa tradizione fu proprio Pascoli, anche se i suoi motivi non furono quelli tipicamente ideologici degli altri scrittori, ma nacquero da radici più intimistiche e soggettive. Nel 1899 scrisse al pittore De Witt: «C’è del gran dolore e del gran mistero nel mondo; ma nella vita semplice e familiare e nella contemplazione della natura, specialmente in campagna, c’è gran consolazione, la quale pure non basta a liberarci dall’immutabile destino».

    In questa contrapposizione tra l’esteriorità della vita sociale (e cittadina) e l’interiorità dell’esistenza familiare (e agreste) si racchiude l’idea dominante - accanto a quella della morte - della poesia pascoliana. Dalla casa di Castelvecchio, dolcemente protetta dai boschi della Media Valle del Serchio, Pascoli non uscì più (psicologicamente parlando) fino alla morte. Pur continuando in un intenso lavoro di pubblicazioni poetiche e saggistiche, e accettando nel 1905 di succedere a Carducci sulla cattedra dell’Università di Bologna, egli ci ha lasciato del mondo una visione univocamente ristretta attorno ad un centro, rappresentato dal mistero della natura e dal rapporto tra amore e morte.

    Fu come se, sopraffatto da un’angoscia impossibile a dominarsi, il poeta avesse trovato nello strumento intellettuale del componimento poetico l’unico mezzo per costringere le paure ed i fantasmi dell’esistenza in un recinto ben delimitato, al di fuori del quale egli potesse continuare una vita di normali relazioni umane. A questo recinto poetico egli lavorò con straordinario impegno creativo, costruendo una raccolta di versi e di forme che la letteratura italiana non vedeva, per complessità e varietà, dai tempi di Chiabrera. La ricercatezza quasi sofisticata, e artificiosa nella sua eleganza, delle strutture metriche scelte da Pascoli - mescolanza di novenari, quinari e quaternari nello stesso componimento, e così via - è stata interpretata come un paziente e attento lavoro di organizzazione razionale della forma poetica attorno a contenuti psicologici informi e incontrollabili che premevano dall’inconscio. Insomma, esattamente il contrario di quanto i simbolisti francesi e le altre avanguardie artistiche del primo Novecento proclamavano nei confronti della spontaneità espressiva.

    Anche se l’ultima fase della produzione pascoliana è ricca di tematiche socio-politiche (Odi e inni del1906, comprendenti gli inni Ad Antonio Fratti, Al re Umberto, Al Duca degli Abruzzie ai suoi compagni nonché l’ode, aggiunta nella terza edizione, Chavez; Poemi italici del 1911; Poemi del Risorgimento, postumi; nonché il celebre discorso La grande Proletaria si è mossa, tenuto nel 1911 in occasione di una manifestazione a favore dei feriti dellaguerra di Libia), non c’è dubbio che la sua opera più significativa è rappresentata dai volumi poetici che comprendono le raccolte di Myricae e dei Canti di Castelvecchio (1903), nei quali il poeta trae spunto dall’ambiente a lui familiare come la Ferrovia Lucca-Aulla (In viaggio), nonché parte dei Poemetti. Il mondo di Pascoli è tutto lì: la natura come luogo dell’anima dal quale contemplare la morte come ricordo dei lutti privati.

    Il poeta e il fanciullino

    Uno dei tratti salienti per i quali Pascoli è passato alla storia della letteratura è la cosiddetta poetica del fanciullino, da lui stesso così bene esplicitata nello scritto omonimo apparso sulla rivista  Il Marzocco nel 1897. In tale scritto, Pascoli, influenzato dal manuale di psicologia infantile di James Sully e da La filosofia dell’inconscio di Eduard von Hartmann, dà una definizione assolutamente compiuta - almeno secondo il suo punto di vista - della poesia (dichiarazione poetica). Si tratta di un testo di 20 capitoli, in cui si svolge il dialogo fra il poeta e la sua anima di fanciullino, simbolo:

    dei margini di purezza e candore, che sopravvivono nell’uomo adulto;

    della poesia e delle potenzialità latenti di scrittura poetica nel fondo dell’animo umano.

    Caratteristiche del fanciullino:

     Rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce ed egli fa sentire il suo tinnulo squillo come di campanella.

    Piange e ride senza un perché di cose, che sfuggono ai nostri sensi ed alla nostra ragione.

    "Guarda tutte le cose con stupore e con meraviglia, non coglie i rapporti logici di causa - effetto, ma intuisce".

    Scopre nelle cose le relazioni più ingegnose.

    "Riempie ogni oggetto della propria immaginazione e dei propri ricordi (soggettivazione), trasformandolo in simbolo"

    Il poeta allora mantiene una razionalità di fondo, organizzatrice della metrica poetica, ma:

    Possiede una sensibilità speciale, che gli consente di caricare di significati ulteriori e misteriosi anche gli oggetti più comuni;

    Comunica verità latenti agli uomini: è Adamo, che mette nome a tutto ciò che vede e sente (secondo il proprio personale modo di sentire, che tuttavia ha portata universale).

    Deve saper combinare il talento della fanciullezza (saper vedere), con quello della vecchiaia (saper dire);

    Percepisce l’essenza delle cose e non la loro apparenza fenomenica.

    La poesia, quindi, è tale solo quando riesce a parlare con la voce del fanciullo ed è vista come la perenne capacità di stupirsi tipica del mondo infantile, in una disposizione irrazionale che permane nell’uomo anche quando questi si è ormai allontanato, almeno cronologicamente, dall’infanzia propriamente intesa. È una realtà ontologica. Ha scarso rilievo per Pascoli la dimensione storica (egli trova suoi interlocutori in Omero, Virgilio, come se non vi fossero secoli e secoli di mezzo): la poesia vive fuori dal tempo ed esiste in quanto tale. Nel fare poesia una realtà ontologica (il poeta-microcosmo) si interroga su un’altra realtà ontologica (il mondo-macrocosmo); ma per essere poeta è necessario confondersi con la realtà circostante senza che il proprio punto di vista personale e preciso interferisca: il poeta si impone la rinuncia a parlare di se stesso, tranne in poche poesie, in cui esplicitamente parla della sua vicenda personale. È vero che la vicenda autobiografica dell’autore caratterizza la sua poesia, ma con connotazioni di portata universale: ad esempio la morte del padre viene percepita come l’esempio principe della descrizione dell’universo, di conseguenza gli elementi autenticamente autobiografici sono scarsi, in quanto raffigura il male del mondo in generale. Tuttavia, nel passo XI de Il fanciullino, Pascoli dichiara che un vero poeta è, più che altro, il suo sentimento e la sua visione che cerca di trasmettere agli altri. Per cui il poeta Pascoli rifiuta:

    il Classicismo, che si qualifica per la centralità ed unicità del punto di vista del poeta, che narra la sua opera ed esprime le proprie sensazioni.

    il Romanticismo, dove il poeta fa di sé stesso, dei suoi sentimenti e della sua vita, poesia.

    La poesia, così definita, è naturalmente buona ed è occasione di consolazione per l’uomo ed il poeta. Pascoli fu anche commentatore e critico dell’opera di Dante e diresse inoltre la collana editoriale Biblioteca dei Popoli. Il limite della poesia del Pascoli è costituito dall’ostentata pateticità e dall’eccessiva ricerca dell’effetto commovente. D’altro canto, il merito maggiore attribuibile al Pascoli fu quello di essere riuscito nell’impresa di far uscire la poesia italiana dall’eccessiva aulicità e retoricità non solo del Carducci e del Leopardi, ma anche del suo contemporaneo D’Annunzio. In altre parole, fu in grado di creare finalmente un legame diretto con la poesia d’Oltralpe e di respiro europeo. La lingua pascoliana è profondamente innovativa: essa perde il proprio tradizionale supporto logico, procede per simboli ed immagini, con brevi frasi, musicali e suggestive.

    La poesia cosmica 

    Fanno parte di questa produzione pascoliana liriche come Il bolide (Canti di Castelvecchio) e La vertigine (Nuovi Poemetti). Il poeta scrive nei versi conclusivi de Il bolide: E la terra sentii nell’Universo. / Sentii, fremendo, ch’è del cielo anch’ella. / E mi vidi quaggiù piccolo e sperso / errare, tra le stelle, in una stella. Si tratta di componimenti permeati di spiritualismo e di panteismo ( La Vertigine). La Terra è errante nel vuoto, non più qualcosa di certo; lo spazio aperto è la vera dimora dell’uomo rapito come da un vento cosmico. Scrive il critico Giovanni Getto: È questo il modo nuovo, autenticamente pascoliano, di avvertire la realtà cosmica: al geocentrismo praticamente ancora operante nell’emozione fantastica, nonostante la chiara nozione copernicana sul piano intellettuale, del Leopardi, il Pascoli sostituisce una visione eliocentrica o addirittura galassiocentrica: o meglio ancora, una visione in cui non si dà più un centro di sorta, ma soltanto sussistono voragini misteriose di spazio, di buio e di fuoco. Di qui quel sentimento di smarrita solitudine che nessuno ancora prima del Pascoli aveva saputo consegnare alla poesia.

    La lingua pascoliana

    Pascoli disintegra la forma tradizionale del linguaggio poetico: con lui la poesia italiana perde il suo tradizionale supporto logico, procede per simboli ed immagini, con frasi brevi, musicali e suggestive. Il linguaggio è fonosimbolico con un frequente uso di onomatopee, metafore, sinestesie, allitterazioni, anafore, vocaboli delle lingue speciali (gerghi). La disintegrazione della forma tradizionale comporta il concepire per immagini isolate (il frammentismo), il periodo di frasi brevi e a sobbalzi (senza indicazione di passaggi intermedi, di modi di sutura), pacatamente musicali e suggestive; la parola circondata di silenzio. Pascoli ha rotto la frontiera tra grammaticalità e evocatività della lingua. E non solo ha infranto la frontiera tra pregrammaticalità e semanticità, ma ha anche annullato il confine tra melodicità ed icasticità, cioè tra fluido corrente, continuità del discorso, e immagini isolate autosufficienti. In una parola egli ha rotto la frontiera fra determinato e indeterminato.

    Pascoli e il

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