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Piccola imperfetta
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E-book232 pagine3 ore

Piccola imperfetta

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Info su questo ebook

Nel mistico borgo di Logora, la vita non è facile per la quindicenne Sarah: in paese sono tutti spaventati da lei, in famiglia nessuno vuole che usi gli strani poteri con cui è nata. Ma Sarah è una giovane decisa a essere padrona del proprio destino, per lei la fuga è l’unica strada verso la liberazione. Inizia così il viaggio della piccola Imperfetta, alla scoperta di se stessa e dell’origine della propria magia. L’incontro con i membri della Kleg e quello con il giovane Allen porteranno Sarah in un dedalo di intrighi, dove nessuno è quello che sembra davvero e ognuno ha una buona ragione per mentire.
LinguaItaliano
EditoreDialoghi
Data di uscita24 feb 2021
ISBN9788892790742
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    Anteprima del libro

    Piccola imperfetta - Murgia Daniele

    Piatto_MurgiaHD.jpg

    © Alter Ego s.r.l., Viterbo, 2020

    Marchio Editoriale: Dialoghi

    Collana: Sogni

    I edizione digitale: febbraio 2021

    ISBN 978-88-9279-074-2

    Progetto grafico: Stefano Frateiacci

    Questa è un’opera di fantasia, ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.

    www.edizionidialoghi.it

    A pietro

    Capitolo 1

    Una grande tavola di legno massiccio sorretta da piedi importanti e finemente intagliati, imbandita con pietanze per ogni palato, al centro esatto della sala enorme in cui la famiglia era solita consumare i pasti. Un candelabro proiettava leggere ombre dei bicchieri e dei piatti mentre il sole si apprestava a nascondersi oltre l’orizzonte. Il fuoco nel camino e altre candele, quattro per ogni parete, illuminavano come se fosse giorno. Gli inservienti controllavano che non mancasse nulla, sostituivano le posate e i piatti per ogni portata e poi tornavano al loro posto a ridosso del muro, in attesa di un altro compito da svolgere.

    Nessuno parlava e di rado ci si guardava negli occhi, si sentiva solo il rumore delle forchette che battevano sui piatti, alla ricerca di quell’ultimo pezzo di insalata che non ne voleva sapere di farsi infilzare.

    Una grossa goccia di cera calda colò lungo la candela, raffreddandosi e fermandosi prima di arrivare alla fine.

    Poggiò le posate vicino al piatto di ceramica, si pulì la bocca col tovagliolo e lo ripose con cura.

    Infilò le mani tra le cosce e il cuscino della sedia e fissò con attenzione la caraffa piena d’acqua.

    Solo un poco.

    Ma come?

    Il verde negli occhi della ragazza prese vivacità e la caraffa colma d’acqua traballò leggermente, rimanendo ferma al suo posto. Aveva sete e il boccone appena inghiottito proprio non voleva saperne, di andare giù. Provò una seconda volta ma il risultato fu identico a quello precedente. La cameriera la guardò con la coda dell’occhio, pronta a qualunque richiesta della signorina.

    Avrebbe anche potuto chiedere ai fratelli ma, alla richiesta di versarle dell’acqua o anche solo avvicinarle la caraffa, l’avrebbero ignorata come nell’ultimo paio di giorni.

    La giovane protese il busto e fissò nuovamente il suo obiettivo. Non sapeva esattamente come fare, nei giorni passati ci era riuscita quasi per caso, senza sapere esattamente cosa stesse facendo e in che modo.

    L’acqua all’interno si mosse, questa volta con più vigore.

    Ci sono quasi.

    Fissò ancora la caraffa, gli occhi s’illuminarono più intensamente rispetto a un attimo prima. L’acqua roteò senza controllo formando un piccolo vortice e il recipiente, inclinandosi su un lato, cadde rovinosamente sul tavolo. La tovaglia di broccato si bagnò all’istante, espandendo la chiazza fino ai fratelli. Anche i genitori smisero di mangiare, sollevando gli occhi dai rispettivi piatti.

    Lo sguardo severo della madre incrociò quello impaurito di Sarah.

    I fratelli si fermarono come fossero statue e il padre aspettò che fosse la moglie a parlare.

    «Sarah!» urlò lei poggiando violentemente la forchetta e il coltello sul tavolo. «Quante volte ancora devo dirtelo?».

    La ragazza tirò su inutilmente la caraffa ormai vuota.

    «Scusa, non lo faccio più» rispose con voce debole, quasi impossibile da sentire.

    «Vai in camera tua». La madre, col viso rosso per lo sfogo, non ebbe bisogno di aggiungere altre parole per farsi capire.

    «Ma io…» provò a ribadire Sarah, riprendendo in mano la forchetta per continuare a mangiare quello che era rimasto nel piatto. «Hai sentito quello che ha detto tua madre?» le disse il padre con tono autoritario. «Vai!».

    La ragazza non se lo fece ripetere un’altra volta. Spinse la sedia all’indietro e corse in camera sua salendo le scale a grandi balzi, gli occhi colmi di lacrime.

    I camerieri portarono le ultime pietanze appena sfornate e tutti i presenti alla tavola ripresero a mangiare.

    Nessuno commentò il fatto appena accaduto, non era la prima volta e di sicuro non sarebbe stata l’ultima.

    Capitolo 2

    Tutto era cambiato dal momento in cui Sarah, la ragazza con gli occhi verdi, aveva manifestato per la prima volta il suo potere. Le veniva severamente vietato di usarlo e ogni volta che capitava era costretta in camera sua fino al giorno seguente.

    Si svegliò in piena notte e la pioggia batteva forte sui vetri. Si mise a sedere sul letto con gli occhi ancora stanchi per il lungo pianto. Cercò di mettere il più possibile a fuoco la stanza, ma la luce scarsa non le permetteva di vedere bene. I piedi penzolavano sfiorando il pavimento in legno. Andò davanti alla finestra per dare uno sguardo sul viale, il vento era forte e l’altalena sulla quale trascorreva i pomeriggi di sole dondolava come se ci fosse qualcuno a spingerla con forza.

    Sarah guardava con attenzione nonostante la forte pioggia e il buio le rendessero tutto più difficile quando, all’improvviso, una goccia risalì il vetro, in direzione opposta a tutte le altre.

    Sono stata io?

    In quello stesso istante la goccia riprese la sua corsa verso il basso.

    Sì, sono di sicuro stata io.

    Provò a fissare un’altra goccia, ma senza risultati. Provò ancora e ancora, ogni volta con una goccia diversa fino a quando una di queste si fermò e iniziò a vibrare muovendosi in cerchio e attirando a sé altre piccole quantità d’acqua. Il vetro della finestra rifletteva il verde brillante negli occhi della ragazza che, ormai stanca per lo sforzo, chiuse le palpebre per riposare e lasciò la goccia al suo naturale percorso.

    «Saraaaah!» fu la voce severa della madre a svegliarla. «Alzati. E in fretta» aggiunse urlando, senza averle nemmeno dato il tempo di capire che momento della giornata fosse.

    Aveva appena smesso di piovere, le gocce scivolavano lungo le foglie fino a separarsi e cadere a terra. I primi raggi del mattino entravano dalle finestre, oltrepassando le tende sontuose così da illuminare debolmente tutte le stanze della casa.

    Sarah strofinò gli occhi e si alzò, consapevole della lunga giornata che l’aspettava non appena messo il primo passo fuori dalla sua camera.

    Prese dall’armadio i primi vestiti che trovò sottomano e li indossò un po’ a casaccio, presa dalla fretta di raggiungere la madre. Si guardò velocemente allo specchio poggiato al fianco dell’armadio, dei grandi bordi in materiale pregiato gli facevano da contorno. Un corpo esile e minuto, nascosto da un golfino indossato al contrario, sul quale ricadevano capelli castani ancora arruffati dal cuscino. Le maniche coprivano parte delle mani, fino alle dita affusolate e ben curate. I pantaloni seguivano la forma delle gambe, per finire con i piedi scalzi sulle assi di legno. Il viso, dai lineamenti delicati e tipici di una ragazzina, cedeva tutta l’attenzione agli occhi verdi.

    «Saraaaah». Ancora le urla della madre, accompagnate dal rumore dei passi frenetici su per le scale che scricchiolavano. «Arrivo». Sarah sistemò velocemente i capelli, girò il maglione nel verso giusto e aprì la porta. La madre, imponente e spaventosa, l’aspettava a braccia conserte.

    «Veloce, la colazione è già pronta e devi andare a scuola».

    La governante della famiglia, in quella casa da ancora prima che nascesse Sarah, la accolse con un grosso sorriso e una spremuta d’arance.

    «Buongiorno, signorina».

    «Buongiorno, signora Ernest».

    Sarah consumò velocemente la colazione e raccolse le briciole dalla tovaglia.

    «Oh, non si preoccupi, signorina, ci penso io» le disse la signora Ernest. «Vada a prepararsi, altrimenti farà tardi e prenderà un’altra strigliata da sua madre».

    Sarah la ringraziò con un abbraccio. Talvolta, la signora Ernest era quanto di più vicino a una madre, era stata tra le prime persone ad averla presa in braccio dopo esser venuta al mondo. Le aveva insegnato le filastrocche che tutti i bambini imparano e spiegato che i suoi giochi doveva condividerli col fratello più piccolo. Una figura presente tutti i giorni, che per qualunque bisogno era lì, pronta a servire al meglio la famiglia.

    Sarah, però, la considerava molto più che una semplice domestica.

    «Grazie». Le sorrise e corse in camera per prendere la cartella con dentro quaderni e libri per la lezione del giorno. Attraversò la casa e il viale alberato di tutta fretta, impolverando le scarpe lucide per ogni passo che faceva sulla ghiaia. Appena uscita dall’enorme cancello nero svoltò subito a destra e davanti a lei vedeva già l’edificio scolastico. Ragazzi della sua età, ma anche più grandi e più piccoli, affollavano la piazza e l’ingresso della scuola prima dell’inizio delle lezioni. Ogni volta che Sarah arrivava nel cortile davanti all’ingresso tutti smettevano di parlare e iniziavano a bisbigliare. Chi la indicava e chi distoglieva lo sguardo non appena incrociava il suo. Eric, il fratello più piccolo, faceva parte di questi.

    La ragazza continuò a camminare a testa bassa e, come ogni mattina, si sedette al suo posto in attesa della lezione.

    La porta bianca dell’aula si aprì ed entrò il maestro. Giacca marrone scuro, camicia bianca e cravatta rossa datate ma in perfetto stato quanto il suo aspetto. Poggiò la cartella sulla cattedra e salutò.

    «Buongiorno, ragazzi».

    «Buongiorno, maestro» risposero in coro tutti gli alunni, alzatisi dalla sedia in segno di rispetto.

    «Prego, prego, sedetevi pure». Anche lui allontanò la sedia e si sedette piano, con qualche smorfia di dolore sul volto.

    Prese il registro e lo aprì alla pagina con l’elenco dei nomi. «Alvar».

    «Presente».

    «Bennie».

    «Presente».

    Sistemò bene gli occhiali e continuò.

    «Caryl».

    «Presente».

    Proseguì fino ad arrivare a Sarah e la nominò come tutti gli altri.

    «Sarah».

    Nessuno rispose.

    «Sarah…» ripeté il maestro, questa volta sollevando lo sguardo dal registro per guardare la giovane.

    Gerard, il suo compagno di banco, le diede un colpo col gomito per riportarla alla realtà.

    «Ci sono! Ehm… presente» si corresse lei.

    Il maestro continuò a guardarla negli occhi. «Osservavi gli uccelli nel cortile?» le chiese.

    «Sì, esatto» rispose la ragazza.

    «Non ti distrarre, oggi iniziamo un nuovo argomento».

    Chiuse il registro, lo infilò nuovamente in borsa e prese il libro. Lo aprì più o meno a metà e iniziò a leggere.

    Sarah riprese a guardare fuori dalla finestra, senza ascoltare una singola parola di quello che veniva letto. Quando il maestro se ne rese conto la richiamò all’attenzione.

    «Ora, se voltate pagina, potete vedere…».

    Sarah, senza rendersene conto, girò la pagina col solo pensiero.

    «Lo ha fatto di nuovo!» urlò Gerald alzandosi di scatto dalla sedia e attirando l’attenzione degli altri ragazzi. «L’ho visto con i miei occhi».

    Sarah rimase immobile, con tutti gli sguardi increduli e spaventati puntati su di sé.

    «Continuate a leggere e rimanete in silenzio» ordinò il maestro con tono autorevole.

    «Maestro, è la seconda volta che lo fa» disse ancora Gerard.

    «Vi ho detto di continuare a leggere e stare in silenzio» lo ammonì il maestro, scandendo le parole una per una.

    Gli occhi dei suoi alunni ripresero a guardare le pagine senza la minima esitazione.

    «Tu, seguimi!».

    Non ci fu il bisogno di indicarla col dito. Uscì dall’aula seguito dalla ragazza ormai in procinto di piangere.

    «Sarah, ascoltami» disse il maestro parlando nel modo più calmo possibile. «Sai bene che è vietato comportarsi in modo scorretto in un luogo pubblico».

    «Ma io non…».

    «E per di più sei l’unica a saper fare certe cose, nessun altro tuo compagno ne è in grado. E loro ti vedono come una ragazza da tenere lontana, è per questo che ti evitano».

    «Ma io…» provò ancora a parlare.

    «Tu niente!» la interruppe l’uomo. «E devi seguire la lezione altrimenti non imparerai mai nulla, ci siamo capiti?».

    La ragazza fece un cenno con la testa, senza mai staccare gli occhi dal pavimento.

    «Ora entra in classe e chiedi scusa ai tuoi compagni».

    Aprì la porta e accompagnò Sarah all’interno. La guardò, incoraggiandola a fare quello che le aveva appena detto.

    «Scusatemi, non lo farò più».

    Tornò al suo banco e ripresero la lettura del libro.

    Impugnò il batacchio tondo, elegante e pesante e bussò due volte. Tolse il cappello dalla testa e aspettò che qualcuno aprisse.

    «Maestro Reginald, quale onore». La padrona di casa, sorpresa di quella visita, lo fece entrare. «Prego, mi segua».

    «Signora Rhonda, come sta?». L’uomo le prese con delicatezza la mano e fece un leggero inchino.

    «Non ci si può lamentare, caro maestro» gli rispose lei. «A parte qualche piccolo imprevisto, va tutto bene».

    «Non vorrei essere indiscreto, ma probabilmente immagina il motivo per il quale mi trovo qua».

    Sarah, nascosta dietro la colonna, ascoltava di nascosto quello che veniva detto. Respirava piano e non muoveva un muscolo per evitare di farsi scoprire, non voleva che la mettessero in punizione per l’ennesima volta.

    «Dice bene, posso immaginare» rispose la padrona di casa.

    Il maggiordomo Elwood aiutò l’uomo a sfilarsi il cappotto, riponendolo con cura sull’appendiabiti, insieme al cappello nero lucido e i guanti.

    «Maestro, mi segua, non mi sembra il caso di parlare qui, su due piedi». La donna aprì la porta che conduceva nell’ampio salone e si accomodarono attorno al tavolo.

    «Sarah, siediti con noi».

    La ragazza entrò a testa bassa, evitando di guardare la madre e il maestro. Si sedette sulla sedia più lontana da loro due, ma sapeva non sarebbe comunque servito per evitare la punizione che da lì a breve la madre le avrebbe inflitto.

    «Gradisce qualcosa da bere?».

    «Sì, grazie».

    La governante, ancora prima di ricevere l’ordine, andò nella cucina e tornò con una bottiglia e due bicchieri, poggiandoli sul tavolo e riempiendoli col miglior vino presente in casa.

    «Allora, a cosa devo questa sua visita?».

    Il maestro annusò e gustò l’odore proveniente dal bicchiere prima di rispondere. Un profumo deciso e fruttato gli invase le narici.

    «Sarah continua a comportarsi come non dovrebbe, non troverà mai degli amici con cui stare, se continua così».

    Sorseggiò il vino prima di continuare.

    «E può immaginare a cosa mi riferisco».

    La ragazza abbassò ancora di più lo sguardo, costringendosi a fissare il pavimento. Le gambe tremavano senza controllo e non riusciva a tenerle ferme.

    «Sarah, vuoi dire tu cosa hai fatto?».

    Sia la madre che il maestro si voltarono verso di lei. La ragazza non rispose e raccolse le braccia attorno al suo esile corpo.

    «Beh, se non lo vuole dire di sua volontà credo che allora spetti a me». Il maestro rivolse nuovamente la sua attenzione alla padrona di casa.

    «Questa volta ha sfogliato le pagine del libro…».

    «Ma era solo una» protestò Sarah, alzandosi dalla sedia con uno scatto.

    «Nessuno ha chiesto il tuo parere!» la zittì subito la madre.

    «…senza nemmeno toccarle, è stata vista dal compagno di banco e sicuramente anche dagli altri» continuò a spiegare il maestro, ignorando le reazioni della sua alunna.

    «Sapevamo bene che prima o poi questo momento sarebbe arrivato» confessò la madre. «Ma speravamo con tutto il cuore che fosse un errore, un errore della natura».

    «Signora» il maestro poggiò il bicchiere sul tavolo e si avvicinò alla donna. «La natura non commette mai errori, glielo posso assicurare!».

    La signora scosse la testa.

    «Quel colore… quel maledetto colore!» urlò con tutta la voce che aveva in gola.

    La domestica Ernest, sentite le grida, corse verso la sala e si affacciò alla porta.

    «Va tutto bene? Avete bisogno di aiuto?».

    «Er-Ernest…» singhiozzò Rhonda.

    Subito la donna si avvicinò e poggiò con delicatezza la mano sulla spalla della signora.

    «Mi dica, farò qualunque cosa per aiutarla».

    La signora Rhonda scoppiò in lacrime e la abbracciò. Anche Sarah, nello stesso momento, iniziò a piangere e corse verso camera sua.

    Il maestro la guardò andare via, chiedendosi perché fosse capitato proprio a quella ragazza di buon cuore e di ottima famiglia.

    «Non ne faccia una malattia, signora». Sorseggiò del vino

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