Perdersi per ritrovarsi
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È un momento importante, quello della scelta di non essere spettatrice della propria vita, di rassegnarsi alla mancanza di alternative con cui scontrarsi, confrontarsi e crescere.
Andare a vivere e lavorare all’estero “cambia gli occhi”, ossia il modo di guardare alla vita; è un viaggio reale, ma soprattutto metaforico, che permette di capire chi veramente si è e cosa si vuole.
E se poi si decide di tornare, si è arricchiti da una nuova e matura consapevolezza di sé.
La storia di Marta è anche quella di tanti altri ragazzi, appassionati e determinati, che vogliono scegliere la propria vita e non semplicemente lasciarsi vivere.
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Anteprima del libro
Perdersi per ritrovarsi - Maria Grandolfo
Maria Grandolfo
PERDERSI PER RITROVARSI
EEE - Edizioni Tripla E
Maria Grandolfo, Perdersi per ritrovarsi
© EEE - Edizioni Tripla E, 2021
ISBN: 9788855390972
Prima edizione
Collana Esperienze e testimonianze
, n. 12
EEE - Edizioni Tripla E
di Piera Rossotti
www.edizionitriplae.it
Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.
Cover: credits to Shutterstock.com.
PRIMA PARTE
LA RICERCA
1.
Marta non poteva restare ferma, spettatrice silenziosa della sua vita.
Non voleva accontentarsi di vedere il bicchiere mezzo vuoto per paura di quanto meraviglioso potesse essere anche solo intravedere l’intera bottiglia piena.
Si rifiutava di abbandonarsi in balìa di una vita che scorreva indisturbata, che sfuggiva dalle mani, che regalava l’effimera illusione di poter invertire la rotta, virare, gonfiare le vele al vento in qualsiasi momento senza però concedere mai davvero la guida esclusiva del timone.
Marta decise di non aspettare, di non temporeggiare, di non esitare.
Avanzò e barattò l’inquietudine della routine con l’eccitazione paralizzante dell’ignoto.
Accelerò e cancellò l’insignificante sapore di un’apparente stabilità per abbandonarsi all’ebrezza del precipizio, alle vertigini di un volo di sola andata verso l’incognito, all’adrenalina del cominciare e del costruire.
Il suo precipizio, la sua vertigine, la sua adrenalina si chiamarono Berlino
.
2.
Marta non aveva mai creduto nella banale interpretazione della felicità, quantificata in pochi istanti della propria vita. Piuttosto, era sempre stata certa della mutevole prospettiva da cui questa poteva essere perseguita o pigramente attesa. Lei decise di inseguirla affannosamente.
Il coraggio non è altro che la materializzazione delle proprie paure e uno schianto contro di esse. Il suo schianto si chiamò Berlino. Un volo di sola andata e una valigia piena di sogni perfettamente mescolati a un profondo senso di incertezza e inquietudine.
Ma andiamo con ordine.
Un pomeriggio tra amiche e la prima stella cadente della sua vita. Il peso della responsabilità del primo desiderio e la scelta di affidare a quel minuscolo e lontano punto luminoso l’ottenimento del massimo auspicabile in tutti gli step del suo percorso di studi. Aveva appena 8 anni.
Non fu solo merito di quella stella cadente, soprattutto considerando la totale inefficienza delle stelle successive, ma realizzò quel suo desiderio, alle elementari, così come alle medie e a seguire alle superiori. Infine, l’apice della felicità si manifestò inevitabilmente con il termine ultimo degli studi universitari, una laurea con lode e la sensazione di essere arrivata.
La voglia di imparare come costante. La crescente consapevolezza del potere della cultura di elevare l’anima e regalare gli strumenti necessari per interpretare il mondo. La coltivazione di curiosità, impegno e dedizione, intesi come mezzi ausiliari eppure determinanti per la realizzazione di quel percorso di arricchimento interiore.
E proprio quando finalmente pensava di essere arrivata, si rese conto di non trovarsi che all’inizio di un sentiero lungo e accidentato, irto di difficoltà. Capì di aver appena imboccato una strada in salita, sconnessa e scivolosa, che rendeva il viaggio incerto, ma il susseguirsi di paesaggi fuori dal finestrino splendente in un arcobaleno di emozioni.
Una realtà economica in declino a cui si sommarono due temibili e paralizzanti sentimenti: paura e confusione. Un’insensata e soffocante irrequietezza sopraggiunta come uno tsunami al termine dei suoi studi universitari.
Una vita fino ad allora trascorsa a inseguire il voto più alto, la qualifica più esclusiva, il titolo più prestigioso. E una volta raggiunti gli obiettivi prefissati, una volta completato quel capitolo, perse i suoi punti di riferimento e vennero meno tutte le certezze.
Dopo la laurea si tende infatti ad abbandonarsi al caso, al destino, senza aver bene in mente un disegno, una mappa, un tracciato da seguire. Può capitare di andare fuori strada, perdere il segnale, sbandare. Soltanto se si ha un progetto prima o poi si rientra in carreggiata, si rilascia la frizione e si accelera.
Marta aveva decisamente perso l’orientamento, non aveva più un progetto chiaro a cui ambire.
Si fermò così a osservare i suoi coetanei per confrontarsi, migliorarsi, affinare il suo approccio a quel momento particolare della vita in cui le scelte determinano chi sei.
Sempre più gente aveva deciso di partire con una laurea, un inglese scolastico, un peso sul cuore e una spinta motivazionale abbastanza forte per lasciare indietro un pezzo di sé. Giovani che non erano riusciti a trovare una degna collocazione nel mondo del lavoro con i propri mezzi e le proprie forze, ma non avevano smesso di crederci e sognare anche dopo una sequenza di speranze disilluse.
Giovani che erano partiti per il Nord Italia, per l’estero, per una qualsiasi destinazione che potesse rappresentare il compimento di un percorso inziato con la scuola e culminato con la laurea, nonché il desiderio di emergere e far sentire chiara la loro voce.
Più osservava e più si rese conto che a partire non erano solo quelli che non riuscivano a emergere nel proprio contesto ed erano perciò obbligati a ricominciare altrove, ma anche coloro che erano semplicemente mossi dall’audacia di mettersi in gioco e dalla curiosità di scoprire se stessi in infinite e inaspettate varianti del loro presente.
Infine, volse uno sguardo a tutti quei coetanei che avevano deciso di andare controcorrente e restare là dove erano nati e cresciuti, con o senza un impiego sicuro, ma certi di quell’attaccamento viscerale alle proprie radici.
Più osservava e si confrontava con gli altri e più si rendeva conto che tutte le lezioni del mondo non valevano però la propria esperienza.
Vedere la realtà con occhi esterni e peccatori di presunzione non l’avrebbe condotta verso la retta via né tanto meno verso la verità assoluta. Ogni percorso è a sé, ogni vissuto ha meandri a volte sconosciuti persino a chi ne è stato protagonista e figuriamoci a una saccente e superficiale platea esterna.
Marta non si accontentò di essere spettatrice della sua vita ma nemmeno di quella degli