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Sguardi
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E-book271 pagine3 ore

Sguardi

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Non c’è miglior materiale, per un romanzo tutto da scrivere, della realtà che si sta vivendo, soprattutto se questa include un incontro inatteso in un parco, uno scienziato che scompare alle soglie di un’importante scoperta e qualcuno che ha già ucciso in passato, e potrebbe farlo ancora…
Ecco perché Marlene, una giovane studentessa dalla vita noiosa e prevedibile, non esita un secondo a buttarsi a capofitto in un rompicapo tutto da risolvere: la ricerca genetica, l’infinitamente piccolo che è dentro di noi, la numerologia, la gelosia, l’odio, il rancore, il commercio di formule, gli agenti e gli osservatori segreti, un vero e proprio mondo parallelo ora sta sconvolgendo la sua ordinaria esistenza… Per la ragazza è giunto il momento di agire, di diventare artefice del proprio destino dopo essersi fatta ingenuamente ingannare da qualcuno di cui si fidava. Il finale non è già scritto, è in corso una partita molto pericolosa, in cui l’identità dei protagonisti è continuamente messa in dubbio e non è detto che tutto quello che appare sia vero; in gioco c’è la sua stessa vita.

Enzo Rossi è nato a Roma nel 1948 e attualmente vive a Feltre, dove ha esercitato la professione di notaio, scrivendo testi giuridici per avvocati, commercialisti, notai e studenti. Appassionato e conoscitore d’arte, ha ideato e organizzato per il Comune di Feltre una mostra antologica su Tancredi, che ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico. Ha scritto articoli per «Il Sole 24 Ore» e ha tenuto per dieci anni una rubrica fissa sul mensile «Espansione» della Mondadori dal titolo I conti in tasca. Una volta in pensione si è dedicato alla scrittura di alcuni romanzi: con Albatros ha già pubblicato Maritozzi con panna e Artista di strada.
 
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2018
ISBN9788856794816
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    Sguardi - Enzo Rossi

    Sguardi

    Capitolo 1

    SGUARDI SORRIDENTI

    CHE RIESCONO A DARE PIÙ LUCE ALLA VITA

    «Sguardi. Sguardi lanciati di nascosto quando l’altro non guarda. Sguardi che s’incrociano per un istante o per qualche interesse. Sguardi meravigliati, attenti o sbadati, spesso alla ricerca di una risposta o di una conferma che non ci sarà. Perché quell’attimo è breve, l’attesa finisce, il tempo dell’incontro dura a volte solo un istante… e poi… rimane solo la fantasia che riscalda quell’attimo o si fa avanti l’impegno per qualcosa da fare che brucia rapidamente il ricordo. Eppure, in quegli sguardi c’è a volte il nostro futuro, un incontro, un affare, una bella amicizia, o, chissà… la possibilità di capire chi si è veramente. Sguardi che fanno sorridere per qualche curiosa combinazione. Sguardi indiscreti verso persone diverse che meriterebbero maggiore attenzione. Sguardi sorpresi verso qualcosa del tutto inattesa. Sguardi sorridenti che riescono a dare più luce alla vita».

    Così aveva cominciato Marlene in quel teatro di prosa fuori Stoccarda davanti al suo professore e ad alcuni compagni che seguivano il corso.

    Ma era solo la prova generale prima di affrontare l’esame.

    Stava arrivando l’inverno e il solito acquazzone serale questa volta si sentiva di più. Raffiche violente di vento e stecche improvvise che precedevano l’illuminarsi del cielo, di tanto in tanto lasciavano spazio a brevi silenzi che facevano nascere solo illusioni.

    Tutti sapevano bene che un temporale non finisce mai con un lampo o un tuono. Per questo, non si illudevano troppo e aspettavano calmi un altro urlo dall’alto.

    Ma, in quel teatro di prosa, Marlene non si accorgeva di niente.

    Solo qualche lampo qua e là si intravedeva dalle finestre e tanta concentrazione per ricordare quello che aveva scritto nei mesi passati.

    Un saggio di recitazione su un tema specifico, dopo tanta preparazione, per affrontare l’esame finale.

    Guardava il suo professore, autore di tanti saggi teatrali, un po’ trasandato, con il solito maglione e con la solita sciarpa girata sul collo, anche se là dentro non ce n’era per niente bisogno, cercando attenzione, o almeno un lieve sorriso o un cenno di assenso… e questo, dopo le prime battute, un po’ preteso, un po’ meritato, arrivò.

    E lei riprese, più caricata e fiduciosa di prima.

    Anche i compagni di corso, sempre numerosi quando lei recitava, ascoltavano attenti.

    Nessuna occhiatina maliziosa o indiscreta.

    Si sentivano presi dalla strana atmosfera che quel genietto ogni volta sapeva creare, in attesa e curiosi di capire dove andasse a parare.

    E quella volta lo erano ancora di più per tutto quello che era capitato negli ultimi mesi.

    E lei, con quel visetto innocente che tentava un po’ tutti e che sapeva di fragole e mare, quella sera riusciva a ingannare ancora di più.

    Il leggero strato di trucco, che pur contrastava con il rosso deciso delle sue labbra, dandole un aspetto ancor più delicato e quasi impalpabile, a prima vista sembrava impossibile per quella ragazza così forte e decisa quando recitava il suo saggio. Ma poi, osservandola bene nella penombra del palco, illuminata solo da un occhio di luce che la seguiva, rendendola ancora più eterea, quel pallore, così contrastante con la forza che esprimeva e che le esplodeva da dentro, sembrava appositamente studiato per conquistare e stupire di più.

    Capitolo 2

    NESSUNO POTEVA SAPERE CHE IL FINALE

    NON ERA GIÀ SCRITTO

    «Sguardi», riprese in quel momento Marlene. «Sguardi che incuriosiscono o che lasciano muti, che a volte sorprendono, sospesi nell’aria o diretti a qualcosa, l’orario ferroviario di un treno che deve arrivare, la pubblicità di un nuovo prodotto, le ultime notizie lanciate da un bar sotto casa, alla stazione, in metro, in un luogo affollato… al cinema, al ristorante… ovunque vi sia un’occasione d’incontro, di curiosità, d’interesse…».

    «Brava, continua!», le lanciò in un istante di pausa il suo professore che già da tempo era rimasto catturato da quel visetto gentile, anche se non conosceva niente di quello che stava ascoltando.

    E lei continuò, più decisa e più sicura di sé, sperando che la sua storia potesse piacere.

    Nessuno poteva sapere che il finale non era già scritto e che anche lei lo attendeva con ansia.

    Quello che Marlene stava leggendo era solo l’inizio e questo, di sicuro, se l’avesse saputo, al suo professore non sarebbe piaciuto.

    Certo, non che in quel momento dovesse avere in testa tutta la trama; gli bastava solo una parte per verificare l’impegno dei ragazzi nell’esame finale; però, prima di presentare la prova alla commissione ufficiale, era consuetudine per il relatore conoscere almeno l’intero racconto.

    Il tempo stringeva e ancora non era chiaro come sarebbe andata a finire l’intera vicenda, mancavano solo due mesi e anche i giornali a giorni alterni sembravano brancolare nel buio.

    Per il momento, al professore era sufficiente verificare la capacità di raccontare e di trasmettere agli altri curiosità e voglia di ascoltare quello che la studentessa stava dicendo.

    Tutto il resto sarebbe arrivato da solo, le domande, i dubbi, le correzioni, le sorprese, il finale… e, poi, il giudizio della Commissione, che avrebbe aperto la strada a nuove speranze o fatto nascere tutti i dubbi del mondo.

    Capitolo 3

    SCARTAVA PARECCHIO

    PER NON CREARE ILLUSIONI

    La Demostene, la scuola di recitazione e di prosa di quel paese nascosto tra le colline, era fatta così.

    Due anni di corso, venti esami che comprendevano anche filologia, mimica e recitazione, tanto lavoro assieme ai professori e ai compagni e, infine, il saggio letterario che ciascuno doveva scrivere e recitare per presentarsi alla Commissione, che, si sapeva bene, scartava parecchio per non creare illusioni.

    Capitolo 4

    SEMBRAVA PRESA SOLO DALLA SUA STORIA

    Marlene era bella, era bella davvero, ma di una bellezza scostante, tanto da sembrare quasi antipatica, mentre invece si dava sempre da fare per tutti, anzi, si dava da fare ancora di più per superare il timore che incuteva la sua particolare bellezza.

    Era concreta e diretta, e questo non a tutti piaceva, e poi era vaga, distante, lontana, come se pensasse sempre a qualcosa di diverso da quello che stava facendo, quasi non interessata alle cose di cui stava parlando.

    E questo soprattutto negli ultimi tempi, praticamente da quando aveva cominciato a occuparsi del saggio finale.

    Sembrava sempre alla ricerca di un’idea, di qualcosa che potesse aiutarla, ma non era così. Osservava e scrutava con grande attenzione, rifletteva, ma teneva tutto per sé; evitava di dare giudizi e non ne voleva, cercava soluzioni che sembrava dovessero coinvolgere il mondo, mentre, invece, tutti credevano riguardassero solo la storia che stava scrivendo.

    Anche quando studiava o stava a stretto contatto con i suoi amici e i suoi professori, si capiva che non era presente e che era distratta da qualche altra cosa, anche se, al momento, non c’era nessuno che facesse meglio di lei.

    Si stava isolando, ma non voleva darlo a vedere.

    Sembrava presa solo dalla sua storia, non accettava correzioni e non chiedeva consigli, nemmeno al suo professore, che stava lì solo per farle superare quel brutto momento.

    Non voleva svelare la trama, che doveva restare totalmente segreta e che, ancora, lo era anche per lei; andava diritta per la sua strada, come se ci fosse qualcosa che nessuno, al momento, dovesse sapere.

    Un atteggiamento molto diverso dal solito, che non poteva dipendere solo da quello che stava scrivendo.

    «Meglio così», concludeva ogni volta il suo relatore, il professor Giovanni De Cerci, quello che avrebbe dovuto aiutarla nella stesura, «vuol dire che sai bene quello che vuoi… io sono qui per aiutarti se vuoi…».

    Anche le sue amiche più care, Matilde e Giuditta, che fino a poco prima avevano condiviso con lei ogni segreto, da un po’ di tempo, da quando cioè aveva cominciato a preparare la prova finale, avevano notato che era cambiata parecchio.

    Si era staccata da loro, sembrava non avere niente da dire, meno che mai intendeva condividere quello che stava facendo; era diventata guardinga e passiva e anche loro, dopo qualche tentativo iniziale, attendevano fiduciose che quello strano momento passasse.

    Non parlava più neanche di Thomas, il tenebroso, come lo chiamavano tutte, il ragazzo intrigante che aveva conosciuto all’inizio del corso.

    Capitolo 5

    UNA FEDELE CONFESSIONE

    DI QUELLO CHE LE STAVA ACCADENDO

    «Sguardi. Sguardi insistenti per una curiosità o un’inaspettata attrazione che potrebbero cambiare la vita».

    Questo era l’altro versetto che Marlene aveva preparato e poi cancellato, non solo per paura di quello che stava accadendo, ma anche affinché nessuno capisse che il suo romanzo, in realtà, non era un vero e proprio romanzo inventato da lei, ma una fedele confessione di quello che le stava accadendo e che, con passione e timore, cercava di nascondere anche a se stessa.

    Un diario, ecco, forse un diario, raccontato in modo impersonale e generico per non destare sospetti, di cui aveva però un disperato bisogno. Una richiesta di aiuto, inconsapevole e attesa, che però riusciva a nascondere in modo così spigliato e deciso che nessuno riusciva a capire.

    Negli ultimi tempi aveva spiazzato un po’ tutti, professori ed amici; per questo anche i meno curiosi, quel giorno di novembre, erano accorsi a sentire.

    «Stamattina vediamo se è arrivato il momento…!».

    «Forse riusciranno a farle dire qualcosa…».

    «Vedrai, ci farà una sorpresa! Per questo ha fatto finta di non aver mai niente da dire…!», mormoravano tutti aspettando il momento cruciale.

    Che non arrivava.

    Prima di lei, altri due del suo corso avevano già affrontato le prove del lavoro finale; Giulio Ragnetti con alcune poesie composte da lui e Silvio Loffredi con una favola molto simpatica sugli animali.

    Adesso toccava a Marlene e tutti, per un motivo o per l’altro, l’aspettavano al varco.

    A quel punto, normalmente, il relatore presentava brevemente il lavoro svolto dallo studente, dopodiché si sedeva con gli altri in platea.

    Questa volta, però, il suo professore Giovanni De Cerci, non avendo la minima idea di quello che avrebbe ascoltato, non disse nulla e, nel silenzio di tutti, attese con curiosità e sufficienza la prova di quella strana ragazza.

    Sin dalle prime battute, tutti capirono che non si trattava di una prova qualunque.

    Marlene era intensa nel raccontare e nel recitare, riempiva da sola in ogni istante la scena, attirava e inchiodava gli spettatori alle sedie, coinvolgeva un po’ tutti con la sua storia, con la recitazione e i suoi gesti, che non erano studiati, ma forti e spontanei, come possono essere solo quelli di chi sta raccontando una storia vissuta.

    Si capiva sin dalle prime battute che c’era qualcosa di personale e di vero in quello che stava dicendo, di inaspettato, di strano, che però nessuno, in quel momento, riuscì a trasformare in concreta offerta d’aiuto.

    C’era solo coinvolgimento, curiosità, qualche dubbio, forse la voglia di saperne di più, ma nessuno poteva immaginare quello che realmente stava accadendo, ed era solo una prova…

    «Sguardi…», andava avanti Marlene.

    Capitolo 6

    TUTTO IN ATTESA DELLA SCOPERTA VINCENTE

    Tutto aveva avuto origine all’inizio dell’estate appena passata.

    Marlene aveva cominciato da poco a scrivere il suo racconto per sostenere l’esame finale; aveva già definito la trama e immaginava come sarebbe andata a finire.

    Quando, una mattina, lo incontrò nuovamente, per caso.

    C’era un odore di pulito e di buono nel piccolo parco vicino al paese. L’erba appena tagliata faceva sentire che si stava avvicinando l’estate. Le peonie e le rose, soprattutto le rose, di tutti i colori, sistemate con cura a delimitare i grandi spazi di verde, invitavano a tendere le mani verso di loro, non per strapparle per la gioia di qualche giorno soltanto, ma per sfiorarle, accarezzarle, e conservarne il ricordo per sempre.

    Qualche panchina, sistemata qua e là, invitava a riflettere e a godere di quella pace che alleggeriva il cuore e la mente.

    A quell’ora non c’era quasi nessuno, solo pochi passanti per approfittare delle prime ore di quella bella giornata o per raggiungere a piedi la Demostene, che distava solo cinquecento metri da lì o l’istituto di ricerche vicino che rappresentava l’eccellenza di quella regione.

    Costruito negli anni Settanta con il contributo fondamentale dei fondi europei per le ricerche nel campo genetico, sovvenzionato ogni anno dagli enti pubblici e da importanti case farmaceutiche, riusciva quasi sempre a dotarsi della strumentazione più all’avanguardia per affrontare le sfide che quel settore chiedeva.

    Erano i tempi in cui quasi ogni anno la genetica raggiungeva nuovi traguardi.

    Era come un nuovo pianeta intuito e scoperto da poco, che richiedeva, naturalmente, un’esplorazione approfondita e accurata, per capire e diffondere a tutti i vari meccanismi che regolano e comandano la salute dell’uomo.

    Si trattava di penetrare all’interno dei mattoni che danno la vita, di esplorare, manipolare, sostituire, ove possibile, le parti difettose o mancanti, di agire direttamente sul DNA per ricostruire il motore, non di prescrivere farmaci per tentare la guarigione della parte non funzionante.

    Prevenire, insomma, scrutando e intervenendo sul nucleo centrale, invece di curarlo una volta malato.

    Cercare di individuare, praticamente, le malattie che avrebbero potuto colpirci nel tempo, anche se tale tipo di ricerca non aveva fornito ancora elementi del tutto sicuri.

    A conoscenza di questo, molte persone che avevano forte familiarità per malattie particolarmente importanti, in mancanza, al momento, della possibilità di sostituire o di riparare il gene mancante, si sottoponevano per precauzione a dolorosi e menomanti interventi per eliminare in modo definitivo ogni possibile e futuro problema.

    Il fatto era che queste intuizioni e i relativi progressi, come accade per ogni scoperta, se finiti in mani sbagliate, potevano essere utilizzati anche per scopi diversi, per selezionare, uccidere, menomare, creare nuove identità, o ancora peggio.

    Letto ormai l’intero genoma umano attraverso la decodificazione di tre miliardi di elementi fondamentali per la vita di ogni essere umano, i colossi farmaceutici finanziavano abbondantemente i progetti più importanti nella speranza di nuove scoperte che potessero portare a grossi guadagni.

    La medesima cosa, pur se con diversi sistemi, veniva attuata dalle industrie belliche di molti Paesi, che, evidentemente, non si ponevano troppi problemi.

    Capitolo 7

    GERARD STOCK

    Marlene, in quel momento, era mille miglia lontana da questi pensieri; attraversando lentamente quel parco, rifletteva sulla trama del suo bel romanzo, quando in lontananza lo vide di nuovo.

    Gerard Stock era un famoso ricercatore, aveva molta esperienza e poteva vantare importanti conoscenze e amicizie con i massimi esponenti mondiali di quel settore.

    Le occasioni di incontro non erano rare; congressi, richieste, pareri, anche se ognuno manteneva sempre per sé ogni piccola intuizione o scoperta fino alla sua diffusione nelle riviste scientifiche.

    Da qualche anno aveva deciso di trasferirsi in quel paesino vicino a Stoccarda, perché i finanziamenti erano molti, il posto non era sotto l’occhio costante dei riflettori, le protezioni, pur se discrete, erano state approntate e lui, ben conosciuto da tutti, non rischiava l’arrivo di altri scienziati troppo agguerriti, anzi, col tempo era riuscito a prendere il posto del suo professore dopo la sua improvvisa scomparsa.

    Solo lui aveva la possibilità di far partecipare altri colleghi ai suoi progetti e, per questo, aveva chiamato medici, ingegneri, bioinformatici, analisti ed esperti in scienze forensi, ma non genetisti, oltre a quelli che c’erano.

    Anche in questo campo si sa bene come vanno le cose…

    Tutto, naturalmente, veniva tenuto in gran parte segreto, sia per poter fornire, solo al momento opportuno, le necessarie certezze, che richiedevano, però, lunghi tempi di sperimentazioni e di analisi, sia per evitare l’uso improprio di queste scoperte in campi nocivi per il genere umano, soprattutto da quando era stata resa nota la creazione in laboratorio della prima forma di vita sintetica.

    D’accordo, era solo un batterio, però il principio sotto alcuni aspetti era sempre lo stesso: sintetizzare in laboratorio l’intera sequenza del DNA, che nel batterio è molto semplice, inserendola poi in un embrione.

    Anche il professore sembrava che volesse quell’incontro nel parco, perché, arrivato a un piccolo bivio, quella volta diversamente dal solito scelse la strada che lo portava diritto a Marlene.

    Si erano incontrati più volte in tutti quei mesi, di sfuggita, per un istante e senza la possibilità di fermarsi o di scambiarsi un saluto.

    Sguardi soltanto.

    Solo che, pian piano, quegli istanti cominciavano a diventare minuti, accompagnati, negli ultimi tempi, da un impercettibile cenno del capo e da uno sguardo sempre più attento, quasi che ciascuno volesse dimostrare di essersi accorto dell’altro, e, lasciando da parte ogni altro pensiero, volesse totalmente dedicarsi a quello che stava vivendo.

    E quella volta fu ancora più intenso.

    Marlene si era accorta benissimo di chi stava arrivando, un uomo più avanti negli anni, che aveva sicuramente passato i cinquanta, un po’ misterioso, e appena lo vide sentì un tuffo al cuore.

    Aveva appena lasciato la casa di Thomas, stava bene con lui, però, ogni volta che vedeva quell’uomo, pur non avendolo mai conosciuto, provava sensazioni nuove e intriganti. Fascino, attrazione, curiosità, desiderio di conoscere un mondo diverso di cui aveva sentito qualche volta parlare… e poi… quegli occhi e quello sguardo così penetranti…

    Lo sguardo, soprattutto lo sguardo, che ogni volta le entrava diritto nell’anima, pur se per un istante soltanto, attendeva un suo cenno, una risposta, attendeva che in quell’istante accadesse qualcosa, una qualunque motivazione che autorizzasse la sua conoscenza, perché, di sicuro, era impensabile che un tipo come lui potesse fermarla per strada senza un motivo.

    E quella volta andò oltre.

    Capitolo 8

    APRÌ L’OMBRELLINO DA BORSA

    Anche se il cielo per quella giornata sembrava promettere bene, all’improvviso nuvole nere sospinte dai venti del Nord, ingrossate per mille chilometri dall’acqua del mare, cominciarono a scaricare la loro potenza intorno a Stoccarda.

    Lui avanzava a passi svelti verso di lei, infastidito dalle prime gocce di pioggia che gli bagnavano il volto.

    Aveva uno sguardo deciso, quasi chiassoso, che, per qualche motivo, questa volta pretendeva l’incontro.

    Occorreva, però, un piccolo appiglio perché quello sguardo potesse parlarle, e lei glielo diede.

    Aprì l’ombrellino da borsa che teneva spesso con sé, piccolo ma fondamentale in quell’occasione, e lo avvicinò con un gesto spontaneo verso di lui che stava arrivando.

    Un sorriso e uno sguardo di attesa ruppero il silenzio di tutti quegli incontri senza finale.

    «Va bene così?», gli fece Marlene senza saperne il perché e senza capire neppure il significato di quello che stava dicendo.

    «Per me va benissimo», rispose Gerard senza starci troppo a pensare.

    «Forse è un po’ piccolo…».

    «No, no, lo dia a

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