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Autocrisi: Autocrisi 1
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E-book175 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo (135 pagine) - Nel cinquantesimo anniversario della sua uscita ritorna uno storico romanzo italiano, vincitore della prima edizione del Premio Italia e del Premio Europa.


È passato mezzo secolo da quando è uscito per la prima volta questo romanzo, eppure riesce ancora a essere attuale. Nel mondo futuro, nonostante la conquista del viaggio interstellare, sono ancora i grandi monopoli automobilistici a fare il bello e il cattivo tempo nell'economia terrestre. E non solo terrestre, quando il contatto con una specie intelligente extraterrestre apre un nuovo, enorme mercato.

A questo romanzo sono seguiti Autocrisi 2020 (uscito nel 1997) e Autocrisi 3, ancora inedito, che usciranno nei prossimi mesi in questa collana a completare un'incredibile saga auto-spaziale.


Pier Francesco Prosperi (Arezzo 1945) è uno dei più affermati scrittori italiani di fantascienza, ucronia e fumetti. Dopo aver esordito nel 1960 su Oltre il cielo ha pubblicato oltre 140 racconti, usciti su tutte le principali testate e in varie antologie (tra le ultime anche Rapporti dal domani e Il ritorno dei grandi antichi, Delos Digital) e una quarantina di romanzi. Nel fumetto ha scritto per Intripido, Il monello, Lancio Story, Topolino, Martin Mystère, Diabolik. Ha vinto il Premio Italia e il Premio Europa nel 1972, nella prima edizione dell'Italcon e Eurocon a Trieste, e ha rivinto il Premio Italia nel 1994 col romanzo Garibaldi a Gettysburg. Ha vinto inoltre Il premio Città di Montepulciano, il Premio Cosmo, il Premio Ungaretti, il Premio San Marco (tre volte) e il Premio Giallocarta.

LinguaItaliano
Data di uscita19 gen 2021
ISBN9788825414387
Autocrisi: Autocrisi 1

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    Anteprima del libro

    Autocrisi - Pierfrancesco Prosperi

    Giallocarta.

    Ad Alessandra

    Ma come sono brutte, queste macchine, e quanto puzzano!

    — Felix Faure, Presidente della Repubblica francese, al primo Salone Europeo dell’Automobile, Parigi giugno 1898

    Prologo

    – Automobili?

    – Sì – disse Kleenack. – Automobili.

    Antonelli si grattò il mento con le unghie. Di straforo lanciò un’occhiata al foglio che Kleenack stava scorrendo,

    – Curioso – disse infine. – Non mi era venuto in mente.

    – Eppure – ribatté Kleenack, intrecciando le dita – è logico. Nessuno può negare che le auto rappresentino uno degli aspetti più caratteristici di questa nostra civiltà… E uno dei settori più importanti dell’industria nazionale.

    La telescrivente taceva, e Antonelli fece scorrere il dito lungo le connessioni del metallo bruno e polito. Fuori faceva freddo, ma nel piccolo, moderno ufficio il condizionatore manteneva la temperatura dell’aria a un livello gradevole. Respirò profondamente.

    Le ultime notizie sugli sviluppi delle trattative, a quell’ora avevano già raggiunto, attraverso i reporters e le agenzie di stampa, le sedi dei giornali. Tra meno di due ore in città sarebbero comparse le prime edizioni della sera, e Antonelli, abbandonato contro lo schienale imbottito della poltroncina, provò ad immaginarne i titoli. Non era difficile… Avevano così poca fantasia, in fondo, i cronisti.

    RAGGIUNTO IL PRIMO ACCODO COMMERCIALE INTERPLANETARIO

    avrebbe potuto essere il titolo del New York Times, con quel tanto di solennità che l’avvenimento richiedeva. E il Chicago Watch avrebbe potuto scrivere austeramente:

    LA DELEGAZIONE DAKOPIANA HA FIRMATO A WASHINGTON IL TRATTATO ECONOMICO CON LA TERRA

    e

    DAKOPI: OKAY, TERRA!

    sarebbe stato, più conciso e frivolo, il titolo dell’Oriental Coast Tribune.

    – La delegazione ripartirà per Dakopi stasera stessa – riprese Kleenack osservandosi le punte delle dita. – Le nostre merci di scambio prenderanno il volo fra questa settimana e la prossima.

    Kleenack aveva in mano un lungo elenco, estratto dalla telescrivente pochi minuti prima. Antonelli non aveva ancora potuto leggerlo, ma poteva immaginarne buona parte, tanto i giornali nelle settimane precedenti avevano parlato delle differenze e delle analogie fra la la civiltà dakopiana e quella terrestre. Era facile immaginare quali materie prime la Terra avrebbe potuto inviare sul lontano pianeta, l’unico mondo abitato con cui si fosse finora venuti in contatto… esisteva tutta una serie di metalli abbastanza comuni nelle viscere del nostro pianeta, che risultavano pressoché irreperibili nei fondi oceanici di Dakopi. I Dakopiani da parte loro avevano molto da offrire alla Terra; un intero gruppo di minerali di uso industriale, la cui rarità sulla Terra ne aveva portato il prezzo alle stelle, e soprattutto il denilio, l’elemento transuranico scoperto pochi anni prima, che costituiva la base del funzionamento dei motori Denil-Karlson, i propulsori iperspaziali che annullavano virtualmente le distanze fra stella e stella. Gli stessi motori che avrebbero reso possibile lo sviluppo del commercio interstellare, data la infinitesima quantità di propellente necessaria rispetto alla massa da trasportare, in un rapporto carburante-carico al quale i vecchi motori atomici e sub-atomici non avrebbero mai potuto sperare di avvicinarsi.

    Per la verità però, nonostante il vertiginoso sviluppo dei voli spaziali in seguito alla scoperta della propulsione Denil-Karlson, non erano stati i Terrestri a scoprire Dakopi. Si era verificato esattamente l’inverso. Anzi, se i Dakopiani non avessero anch’essi iniziato a esplorare la Galassia con le loro astronavi (basate su un mezzo di propulsione non molto diverso dal Denil) avrebbero potuto passare dei secoli prima che le spazionavi della Terra, impegnate nella sistematica quanto inutile esplorazione di ogni sistema stellare alla ricerca di forme di vita intelligenti, scoprissero il piccolo pianeta distante quasi trecento anni-luce dal Sole.

    I Dakopiani, invece, erano stati maggiormente fortunati. Per caso, o per intuito, avevano iniziato le loro esplorazioni in direzione del gruppo del Centauro, e dopo appena pochi mesi (terrestri) di voli fra stella e stella alcune delle loro astronavi erano giunte nelle vicinanze del terzo pianeta del Sole, Una di esse aveva preso terra in una valle dell’Argentina. Il resto, con i frenetici contatti fra i capi di Stato, la reazione dapprima incredula poi spasmodicamente curiosa dell’opinione pubblica, e il solenne incontro ufficiale nella Sede delle Nazioni Unite, apparteneva alla Storia, come il nome del dakopiano che comandava l’astronave, il nome del contadino mezzosangue che per primo l’aveva avvistata, la data e il luogo preciso dell’atterraggio.

    Kleenack sembrava aver letto nei pensieri di Antonelli.

    – E checché se ne possa pensare – disse – questo è il giorno che segna l’inizio di una nuova epoca per la Terra, ben più del giorno in cui i Dakopiani atterrarono.

    – Non è un atteggiamento un po’ materialista? – chiese Antonelli, quasi di riflesso, senza pensarci.

    – Non credo – disse Kleenack, che quella sera si sentiva in vena di riflessioni. – Non so più chi disse tempo fa che ’l’economia è la molla della Storia’, E da quel che ho potuto conoscere della Storia, passata e recente, sono venti anni che vivo in mezzo al mondo della stampa, Gian, ciò è perfettamente vero. Adesso che siamo entrati in epoca di commercio interplanetario, il futuro della Terra dipenderà, più che dalla sua potenza militare o dal suo progresso scientifico, da quello che riuscirà a vendere.

    Antonelli corrugò la fronte, senza rispondere. Il ragionamento non gli piaceva per niente, ma sentiva, in fondo alla propria mente, che era esatto. Anche se non avrebbe dato a Kleenack la soddisfazione di sentirglielo ammettere. Ripensò a tutte le volte che il suo vecchio datore di lavoro lo aveva accusato, tra il bonario e il burbero, di tendere eccessivamente verso l’ottimismo.

    Dopotutto, forse era proprio così. E sarebbe stato interessante, nelle prossime settimane, vedere quale impressione le industrie terrestri avevano saputo suscitare nei nativi di Dakopi. Perché naturalmente, oltre ai campioni di materia prima, le astronavi della prima missione commerciale terrestre su Dakopi avrebbero trasportato con sé un certo numero di manufatti.

    – E le automobili? – chiese.

    A Kleenack piaceva parlare. Ad Antonelli piaceva assai meno ascoltarlo, così il vecchio non potè fare a meno di sbattere le palpebre, stupito del fatto che il suo giovane dipendente si ricordasse di un argomento da lui trattato pochi minuti prima, e gli chiedesse di riprenderlo.

    – Già, le automobili, dicevo. – Si assestò meglio sulla poltrona. Il telefono, la macchina da scrivere, la telescrivente, il citofono erano silenziosi, in uno di quei momenti di tranquillità, rari in una agenzia di stampa, che invitano alla riflessione e alla conversazione. – Quella di inserire le automobili, e un forte numero di automobili, poi, tra le merci dei primi scambi coi Dakopiani è stata una brillante idea di un giovane delegato al Congresso… amico personale, sembra, del Presidente. Un ragazzo che farà strada. Era uno dei pochi, nella Commissione economica che ha trattato coi Dakopiani, ad essere bene informato sulle caratteristiche di quel pianeta. Aveva notato, nelle statistiche che i Dakopiani ci hanno fornito, la scarsità di mezzi di trasporto stradali su Dakopi. Scarsità non tanto dovuta alla rarità dei metalli – questo non ha impedito ai Dakopiani di costruirsi, per esempio, le astronavi – quanto al carattere prevalentemente oceanico del pianeta. Gli indigeni, penso che lo saprai, vivono assiepati in lunghi continenti-isola, di forma sottile e sfilacciata, generalmente montuosi… Assenza quasi completa di pianure, quindi, e mare dappertutto. Tutte le grandi città sono sulle coste. Si comprende facilmente come le forme di trasporto e comunicazione più sviluppate siano quelle marittime. Con il passar dei secoli, i Dakopiani sono dunque diventati abilissimi nella costruzione di natanti di ogni tipo. Mentre i veicoli su ruote sono prodotti in numero ridottissimo e solo per usi locali, quindi scarsamente perfezionati.

    – Man mano che vai avanti – interloquì Antonelli – l’idea di quel giovane delegato al Congresso continua ad apparirmi sempre meno brillante.

    – Un momento – a Kleenack piaceva tirare per le lunghe. Antonelli sapeva gran parte delle cose che egli aveva spiegato, e Kleenack lo immaginava. Ma non riusciva a rinunciare al piacere di avere un uditorio, per quanto ridotto potesse essere. – A quel giovane è venuto in mente che su Dakopi l’automobile e i prodotti ad essa consimili potevano trovare vasta applicazione… parlo di automobili veloci, in grado di tenere alte medie su percorsi autostradali… non dei trabiccoli che finora i Dakopiani hanno realizzato. È un’idea semplice, a cui probabilmente i Dakopiani non avevano ancora pensato… secondo il principio per cui chi è completamente al di fuori di una faccenda può vedervi molto più chiaro di chi vi è immerso, In poche parole, a nessun Dakopiano era ancora venuta l’idea di una grande rete stradale di comunicazione, che seguisse all’incirca la linea delle coste, per collegare le grandi città di ogni continente a una velocità che le navi, per quanto perfezionate, non potranno mai avere. Un’idea semplice e grandiosa, forse più una visione che una idea. La visione di un liscio, fulmine o nastro di asfalto che corra lungo l’orlo del mare, un’autostrada su scala continentale. Il rilievo del pianeta si presta sorprendentemente bene a un simile genere di comunicazioni: tutte le grandi città sono allineate, e tutte allo stesso livello. Non c’è dubbio che per le grandi distanze la nave e l’aereo resteranno i mezzi di trasporto principi, ma all’interno di ogni singola isola i trasporti automobilistici potranno avere uno sviluppo tutt’altro che disprezzabile.

    – Cos’hanno detto di tutto questo i Dakopiani? – interruppe Antonelli.

    – La delegazione? Beh, dapprima hanno faticato ad afferrare il concetto di questa rete di trasporti veloci. Forse stavano pensando alla velocità e alla robustezza delle loro automobili… Ma quando hanno conosciuto le caratteristiche delle nostre automobili, soprattutto quando le hanno VISTE… dev’esserci una forte componente emotiva nell’indole di quella gente… l’idea ha cominciato ad entusiasmarli. È per questo che ci saranno tante automobili fra i prodotti che invieremo su Dakopi nei prossimi giorni.

    – Di che automobili si tratta? – chiese Antonelli accendendo una sigaretta. – Voglio dire, di quali ditte? Di quali nazioni?

    Kleenack sogghignò, scoprendo i denti gialli di nicotina – Bé – disse – naturalmente il trattato è stato stipulato su base mondiale. Così, tutte le nazioni principali hanno ottenuto di mandare qualcuno dei loro modelli. Gli Stati Uniti, l’Europa, le Repubbliche Asiatiche. Poi – e sembrava quasi che pregustasse ciò che doveva avvenire – quando il commercio si sarà avviato, su basi di assoluta parità per tutte le nazioni, assisteremo a una delle più spietate lotte commerciali che l’Universo ricordi.

    Capitolo I

    Il sole c’era, per quanto pallido e smorto, simile a un melanconico tuorlo d’uovo spiaccicato su un cielo opaco e infelice. Gli uomini che si muovevano sul cemento scabro della pista esalavano nubi biancastre ad ogni respiro e di frequente si soffiavano sulle mani.

    Il collegamento televisivo era già iniziato, e attraverso i campi diffondenti extra-atmosferici lo spettacolo avrebbe potuto essere seguito anche dalle Colonie lunari, come tutti gli avvenimenti di grande importanza. Adesso l’occhio della telecamera indugiava sulla mole massiccia e rotondeggiante dell’astronave posata sulla pista di decollo come un uccello grasso e sgraziato, troppo tozzo per volare. Nulla, in quella pesante sagoma, poteva far pensare alle enormi accelerazioni e alle velocità permesse dal motore Denil-Karlson. Ma era evidente che per le astronavi da trasporto l’estetica non avrebbe mai potuto fare grandi progressi.

    Mentre lo speaker continuava nel suo discorsetto di circostanza ad esaltare l’importanza del momento, dopo un primo piano molto ravvicinato della prua della nave il campo della ripresa si spostò sugli uomini in tuta che si affaccendavano attorno al nastro mobile di carico, posto alla base della nave, nel punto. di contatto fra il tozzo organismo e il suolo, Le ultime cassette di prodotti della scienza elettronica giapponese stavano sparendo in quel momento all’interno della stiva.

    Le telecamere si spostarono, girando sui loro carrelli mobili, inquadrarono attraverso la piatta distesa delle piste le automobili allineate davanti ai capannoni del deposito merci. Gli inservienti dell’astroporto stavano liberandole in quel momento dai teloni che le avevano protette fino allora.

    Come aveva detto Kleenack ad Antonelli pochi giorni prima, l’accordo commerciale era stato stipulato dalla Commissione economica dell’ONU per conto dell’intero pianeta; per questo, in quel primo campionario erano presenti prodotti di tutte le principali nazioni. Le americane, comunque, primeggiavano per dimensioni. Enormi, larghe, basse vetture dai colori metallizzati o di un profondo scuro, immobili sui loro pneumatici a larga sezione, pronte a sviluppare, in qualsiasi momento e in tutta la sua estensione, l’immane potenza delle loro turbine a gas,

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