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Rachel: Amori di tre ragazze impresentabili
Rachel: Amori di tre ragazze impresentabili
Rachel: Amori di tre ragazze impresentabili
E-book368 pagine4 ore

Rachel: Amori di tre ragazze impresentabili

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Info su questo ebook

«Sto per fingere di svenire» disse Rachel.
«La ringrazio per questo barlume di buonsenso».

Le sorelle Vassemer sono cresciute in una grande, antica casa nel Lincolnshire con il padre, Sir Henry. In paese i Vassemer hanno una solida fama di eccentricità e non si può negare che sia ben meritata: Sir Henry è un astronomo e la figlia maggiore, Rachel, a trentatré anni è convinta di essere a sua volta un’astronoma – come se una donna potesse capire le complessità del cosmo. Ovviamente è destinata a restare zitella. Le figlie minori, invece di preoccuparsi di debuttare in società come qualunque signorina assennata, intendono dedicarsi una alla scrittura e una al suffragio femminile – come se ci fosse un singolo motivo per cui alle donne dovrebbe essere permesso di votare. Per fortuna la loro casa crolla, Sir Henry muore e le ragazze vengono smistate tra tre diversi tutori. Rachel finisce nella grande tenuta di Lord Julian Acton, Marchese di Northdall e parecchi altri titoli, un vedovo con due figli appena usciti dall’adolescenza, un imperscrutabile domestico indiano e un’unica passione nella vita: i cavalli. Ma Lord Northdall non è un aguzzino e con miss Rachel raggiunge subito un accordo basato sul buonsenso. Miss Rachel può continuare a essere impresentabile finché vuole, ma in pubblico si comporterà da perfetta gentildonna. Miss Rachel accetta. No, sul serio, accetta.
Purtroppo essere normali non è così semplice, quando sei una Vassemer, e Lord Northdall se ne accorgerà presto a sue spese.

Unfit è una trilogia sulle disavventure di alcuni rispettabilissimi gentiluomini, che alla vita non chiederebbero altro che pace, tranquillità e le sacrosante gioie del patriarcato, vessati dalla mancanza di tatto di tre ragazze con il cervello pieno di sciocchezze, ambientata in un tempo migliore in cui gli uomini erano uomini e le donne erano piante da interno.
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2021
ISBN9791220262453
Rachel: Amori di tre ragazze impresentabili

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    Anteprima del libro

    Rachel - Miss Black

    immagine 1

    LUOGHI & PERSONAGGI

    House VASSEMER

    Residenza: Cranwell House, Kesteven, Lincolnshire

    Sir Henry Vassemer †: 60 anni, baronetto, astronomo della Royal Astronomical Society.

    Lady Clara Vassemer, née Harrington †: prima moglie di Sir Henry, morta a 27 anni

    Lady Marianne Vassemer, née Nemme †: seconda moglie di Sir Henry, morta a 52 anni

    Rachel Vassemer: 33 anni, primogenita di Sir Henry e Lady Clara

    Vera Vassemer: 22 anni, figlia di Sir Henry e Lady Marianne

    Fortune Vassemer: 19 anni, figlia di Sir Henry e Lady Marianne

    House NORTHDALL

    Residenza principale: Aylsham Hall, Broadland, Norfolk

    Residenza londinese: Arlington Street

    Lord Julian Acton, settimo Marchese di Northdall, Barone Maltravers etc.: 41 anni, Pari del Regno

    Lady Ann Acton, Marchesa di Northdall †: moglie di Lord Northdall, morta sei anni fa a 32 anni

    Lord Brian Acton, Barone Maltravers: 20 anni, primogenito di Lord Northdall

    Lord Charles Acton: 17 anni, secondogenito di Lord Northdall

    Mr. Dharya Kayal: 41 anni, maggiordomo, ex-compagno d’armi di Lord Northdall.

    Mrs. Millie Cropp: 61 anni, governante

    Mr. Christopher Mellors: 34 anni, stalliere e trainer

    Mrs. Kendall: 50 anni, cameriera personale

    Mrs. Stone: cuoca

    House MURSTON

    Residenza principale: The Lodge, Brixworth, Daventry, Northamptonshire

    Residenza londinese: Grosvenor Square

    Lord Hugh Nemme, terzo Barone di Murston: 48 anni, fratello di Marianne Vassemer

    Lady Eloise Nemme, Baronessa di Murston: 42 anni, sua moglie

    On. miss Thomasine Nemme: 22 anni, primogenita del barone

    On. miss Cicely Nemme:18 anni, secondogenita del barone

    On. mr. Mark Nemme:15 anni, erede del barone

    Mr. Rees Argall: 32 anni, istitutore di Mark

    Mr. Thrall: maggiordomo

    Mrs. Pinnick: governante

    House NEMME

    Residenza principale: St. George Street, Hanover Square, Londra

    On. mr. Richard Nemme: 45 anni, fratello di Marianne

    Lady Mary Nemme, Viscontessa di Hadley: 40 anni, moglie di Richard Nemme

    On. mr. Stannard Nemme: 22 anni, figlio di Richard e Mary, futuro visconte

    On. miss Laura Nemme:18 anni, figlia di Richard e Mary

    ALTRI PERSONAGGI:

    Mr. Guy Haddock: 30 anni, industriale

    Lord Francis Landon, decimo Duca di Grey, Conte di Russy, Visconte di Notterhill: 24 anni, Pari del Regno

    Conte di Foster: 25 anni, eterno pretendente di Thomasine

    1

    Il crollo di Cranwell House

    Quando un’intera ala della cara, vecchia Cranwell House crollò sotto il peso degli anni e dell’incuria, Rachel Vassemer si trovava nell’osservatorio. Fu una fortuna, perché se si fosse già ritirata per la notte, come ogni brava gentildonna avrebbe dovuto fare per quell’ora, sarebbe certamente rimasta uccisa.

    Tuttavia, quando una delle travi portanti cedette all’altezza del primo piano, Rachel era nella torretta, intenta a osservare il cielo stellato di settembre attraverso il grande telescopio riflettore da trentasei pollici che suo padre, Sir Henry Vassemer, aveva fatto installare solo pochi anni prima, in sostituzione di un vecchio modello da ventotto pollici.

    Era così assorta che in un primo momento non si rese neppure conto del pericolo.

    Sentì uno schiocco lontano, un piano più in basso, seguito da scricchiolii sempre più preoccupanti. Aveva appena scostato la faccia dall’oculare quando si udì un forte boato e il suo mondo finì sottosopra. Il telescopio cadde su un fianco, una trave si staccò come fosse un fiammifero in una di quelle curiose costruzioni assemblate dai bambini.

    Rachel cadde sul pavimento e fu colpita da diversi detriti provenienti dal tetto.

    Il dolore fu tale che perse conoscenza per diversi minuti.

    A trovarla ancora viva fu il signor Richards, l’anziano maggiordomo, che riuscì ad arrampicarsi fin lassù nel disastro della casa in rovina.

    Più tardi dichiarò che avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare la padroncina, come ancora la chiamava.

    Rachel aveva una gamba rotta e diverse contusioni, ma si era salvata.

    La prima cosa che fece, una volta riacquistata conoscenza, fu chiedere di suo padre. In quel momento nessuno ebbe il coraggio di dirle che era morto.

    Allora chiese del telescopio e le dissero che era volato di sotto.

    Rachel si disperò al punto che Richards si convinse che sarebbe stato meglio fare il contrario: dirle del padre, ma tacerle il fato dello strumento.

    Fu portata in quel che restava del salone del piano terra e si mandò a chiamare un medico.

    Cranwell House era un vecchio edificio di origine normanna di pietra grigia, squadrato e con le facciate coperte di edera. Al centro, tra le due ali, svettava una torretta aggiunta nel tardo ‘700, che si elevava al di sopra dei due piani originari.

    Era una vecchia, scomoda casa, ma apparteneva ai Vassemer da generazioni e i Vassemer la amavano. Pur amandola come ogni altro membro della famiglia, tuttavia, Sir Henry non se n’era preso cura come avrebbe dovuto. Quando gli facevano notare che avrebbe avuto bisogno di qualche lavoro di consolidamento, si limitava a rispondere che Cranwell era in piedi da ottocento anni e che non sarebbe crollata proprio ora.

    Cranwell House l’aveva smentito alla grande.

    E, al contrario di quanto sospettava qualcuno, non era per avarizia che Sir Henry non voleva intervenire sulla casa di famiglia. Semplicemente, non aveva nessuna intenzione di spostare il suo telescopio e di perdere preziosi mesi di lavoro. A sessant’anni, Sir Henry viveva ormai solo per le stelle ed era un membro rispettato della Royal Astronomical Society.

    Cranwell, nella sua posizione isolata e leggermente soprelevata nei pressi di Kesteven, Lincolnshire, rappresentava un punto ideale per l’osservazione dei fenomeni celesti.

    La maggiore delle sue figlie, Rachel, condivideva la sua passione.

    Nicholas Mills, il proprietario della costruzione nota come Mills Cottage, due miglia lungo la strada, aveva notato più volte che la condivideva fin troppo. Fin da ragazza Rachel aveva deciso di non sposarsi, perché un marito avrebbe senza dubbio ostacolato il suo lavoro, che consisteva per lo più nel passare le notti attaccata al telescopio, buttare giù annotazioni ed eseguire astrusi calcoli a lume di candela.

    Era un vero peccato – aveva osservato il solito Mills – perché Rachel era un giovane donna deliziosa, con il naso forte del padre ingentilito dai tratti delicati della madre. A trentatré anni, comunque, era troppo vecchia per il matrimonio, quindi tutti avevano accettato l’idea che sarebbe rimasta zitella.

    Come primogenita del baronetto, si aspettava di ereditare la casa e una rendita sufficiente a trascorrere a Cranwell il resto della sua vita.

    La sera in cui Cranwell crollò, nell’autunno del 1888, le due Vassemer più giovani, Vera e Fortune Vassemer, erano andate in visita al Mills Cottage e si erano fermate per cena. La figlia più grande di Mills, Amaryllis, aveva più o meno la loro età ed era quasi una sorella.

    In zona, d’altronde, non c’erano molti altri ragazzini con cui giocare, per cui erano state inseparabili fin da piccole.

    Erano figlie della seconda moglie di Sir Henry, Marianne, che era morta di febbre solo pochi anni prima, ed erano diversi anni più giovani di Rachel.

    Anche loro, quella notte, si trovarono all’improvviso senza padre e senza casa.

    Tutta la famiglia, compresa la servitù, fu ospitata al Mills Cottage per la notte. Oltre al baronetto erano morte anche una cameriera e la cuoca.

    Il mattino seguente arrivò un notaio da Kesteven e si fermò a parlare con Nicholas.

    «Ho portato con me le disposizioni testamentarie di Sir Henry» disse, in tono molto sobrio.

    «Che disgrazia terribile» commentò Nicholas, perché che altro avrebbe potuto dire?

    Ancora non riusciva a credere che quell’uomo gioviale e strano, dagli improvvisi lampi di malinconia, non ci fosse più. Per lui era stato un buon amico e gli sarebbe mancato ogni giorno di lì al momento della sua morte.

    E non riusciva neppure a immaginare come si sarebbero sentite le sue figlie.

    «Prego, le metterò a disposizione il mio studio. La maggiore, Rachel, è rimasta ferita e il medico le ha prescritto del laudano per il dolore...»

    «Leggerò il testamento davanti alle due figlie minori e a lei, se non è un problema. Sono atteso nel primo pomeriggio per una successione».

    «Ma certo» sospirò Nicholas, facendogli strada.

    «Solo un istante. Sarebbe così gentile da chiarirmi... la situazione familiare di Sir Henry, per così dire? Il testamento è abbastanza vecchio e l’ho ricevuto dal mio predecessore».

    «Non ha mai conosciuto Sir Henry?» fece Nicholas, stupito.

    «Purtroppo no».

    Anche se non l’aveva detto in un tono particolare, Nicholas lesse nelle sue parole un certo sospetto. I Vassemer avevano una solida fama di eccentricità, in paese, e non si poteva negare che fosse ben meritata.

    Nicholas si accarezzò il mento e raccolse le idee. Come riassumere la vita del suo vecchio amico in poche frasi? Sir Henry era uno di quegli individui che quando entrano in una stanza la riempiono... poteva dir questo, a quel giovanotto dall’aria solenne?

    «Be’, come saprà il suo era un titolo ereditario, nella famiglia da generazioni. Da giovane aveva viaggiato parecchio, ma era tornato a Cranwell House da più di trent’anni, portando con sé la prima moglie, Clara».

    Nicholas la ricordava come fosse ieri. Volitiva, prepotente, molto bella, cocciuta all’impossibile. Proveniva da una famiglia nobilissima, Pari del Regno, ma era sempre pronta a rimboccarsi le maniche, se ce n’era bisogno. Era stata la prima persona al mondo ad aver fatto pensare a Nicholas che non tutti i nobili fossero inutili parassiti. Lei e Sir Henry, ovviamente. Suo padre no, il vecchio Vassemer era un bastardo.

    «La figlia maggiore, miss Rachel, è il frutto di questo primo matrimonio».

    «È nubile, credo?»

    Se quel giovanotto esangue voleva sentire dei pettegolezzi, si era rivolto all’uomo sbagliato.

    «Nubile» confermò. «La povera Lady Clara Vassemer morì pochi anni più tardi cadendo da cavallo e Sir Henry...» Sir Henry era distrutto, con una bambina ancora piccola da consolare e il suo stesso cuore in pezzi. Doveva spiegarlo a quel giovanotto pomposo? Decise di no. Diede un colpo di tosse e proseguì con la storia. «Vera e Fortune sono il frutto del successivo matrimonio, con la seconda Lady Vassemer, Marianne. Morta anche lei, purtroppo, pochi anni fa».

    Dopo quella seconda disgrazia Sir Henry si era chiuso nel suo osservatorio per mesi. L’unica con cui parlava era Rachel, che ormai era a sua volta un’astronoma. Solo da qualche anno Sir Henry aveva ricominciato a ricevere visite, ma con molta parsimonia. Gli bastava osservare il cielo infinito e dividere l’affetto delle sue figlie.

    In quanto alla povera Marianne, era così simile a Clara: forte, coraggiosa, con la testa piena di idee sorprendenti. Non c’era da stupirsi che anche tutte e tre le ragazze Vassemer fossero così. Meravigliose, ma indomabili.

    Non che Nicholas approvasse l’educazione – o piuttosto la mancanza di essa – che era stata impartita alle ragazze. Sir Henry ne aveva fatto tre eccentriche, l’esatto contrario di quel che avrebbero dovuto essere delle giovani signore come loro. Ma che fosse dannato se l’avrebbe detto a quel beccamorto del notaio.

    Peraltro era convinto che loro padre fosse compiaciuto del carattere impossibile delle figlie.

    «Non c’è molto altro da dire, credo. Non mi risulta che Sir Henry avesse debiti né pendenze, ma questo probabilmente lo sa meglio lei di me».

    «Certo» abbozzò un assenso il notaio. «La ringrazio per l’introduzione... ora possiamo andare».

    Vera e Fortune si lanciarono sul letto dove giaceva Rachel in tarda mattinata. Rachel era intontita dal laudano, perché all’inizio aveva rifiutato con sdegno di farsi drogare, ma poi aveva dovuto ammettere che la gamba le faceva un male dannato e si era attaccata alla boccetta.

    «Non crederai mai che cosa che ha osato fare papà!» esclamò Fortune, ignorando il suo lamento di dolore per il sobbalzo che aveva impresso al materasso. «Ci sarebbe da ucciderlo!»

    «Ma purtroppo è già morto, quindi dovremo rinunciare» aggiunse Vera. Si faceva un punto d’onore nel dire sempre la cosa più sconvolgente e macabra possibile.

    «Ci ha affidate a tre tutori! A tre diversi tutori! Come se fossimo bambine!»

    «Be’, in realtà per la legge inglese...» iniziò a obiettare Vera.

    «Ti sbagli! Per la legge inglese una donna sola può ereditare il patrimonio paterno, un tutore non è necessario!»

    «Bene, scrivilo alle tue amiche della National Society for Women’s Suffrage» tagliò corto Vera.

    Rachel alzò stancamente una mano. Capiva fin troppo bene come si sentissero le sue sorelle, ma in quel momento non riusciva a sopportare anche loro che battibeccavano.

    Papà era morto, la loro casa era crollata, era esausta e ferita. Dentro aveva un dolore come un baratro, un dolore che riconosceva nelle esternazioni smargiasse delle sorelle, ma che la stancava ancora di più.

    «Quali tutori?» chiese.

    Fu Rachel a risponderle, leggendo da un foglio. «A quanto pare ha preso accordi tempo fa. Ho controllato i nomi sul Burke’s [1] dell’anno scorso. Tu sei affidata a un certo Marchese di Northdall, Barone Maltravers e altri titoli, di Aylsham Hall, Broadland, Norfolk».

    Rachel le lanciò un’occhiata confusa. «E chi è?»

    «A quanto pare è il fratellastro di un parente di tua madre Clara».

    «Uno zio?»

    «Non è neppure un lontano cugino, non avete parentela diretta. Ma sembra nostro padre abbia deciso – senza consultarci – che dopo la sua morte, se fossimo state ancora nubili, saremmo state affidate a tre diversi tutori, in modo da non pesare in modo eccessivo su nessuno di essi. Il testamento, per inciso, è del ‘78».

    «Oh, cielo» sospirò Rachel «come minimo da allora si è dimenticato di averlo redatto».

    E per qualche motivo, l’idea che suo padre avesse potuto dimenticarsi di una cosa tanto importante le fece salire le lacrime agli occhi, perché era così tipico di papà non prestare la minima attenzione alle faccende fondamentali e profondere il massimo impegno in ogni passione passeggera.

    Fortune si soffiò rumorosamente il naso, segno che anche a lei quel commento aveva fatto lo stesso effetto, mentre Vera mantenne un’espressione irritata. La mantenne con tanta forza che il collo le diventò rosso.

    Il momento passò.

    Nella loro famiglia esternavano tutto, tranne il dolore. Ne avevano avuto troppo.

    «Nostra sorella Vera, invece, finirà in un posto – una dimora di qualche tipo, presumo – noto come The Lodge, a Brixworth nel Daventry, Northamptonshire, affidata a uno zio, lei sì».

    «Il barone di Murston, fratello minore di nostra madre» confermò Vera. Emise un sospiro irritato. «Ne ho una vaga memoria da una visita di anni fa. Uomo fatuo, ma inoffensivo».

    «Mentre io andrò a Londra, dal terzo fratello, l'onorevole Richard Nemme».

    «La solita fortunata» borbottò Vera, che aveva iniziato ad accusarla di essersi presa tutta la buona sorte della famiglia da quando era stata abbastanza grande da capire il significato del suo nome. Doveva essere successo quando era tra i quattro e i cinque anni.

    «Ma loro lo sanno?» chiese Rachel. «Non arriveremo davanti al loro portone per trovarci in un romanzo di Dickens in cui ci fanno pulire i pavimenti e lavare il bucato?»

    «A quanto pare lo sanno e si sono dichiarati d’accordo. Be’, immagino che in questo modo potranno anche disporre del nostro patrimonio».

    «Sempre meglio» borbottò Vera.

    Rachel socchiuse gli occhi e fece la classica domanda che può cambiare la vita delle persone: «Ma lo abbiamo, un patrimonio?»

    Lo avevano. Avevano una proprietà, per quanto in parte crollata, e una rendita più che sufficiente. Avevano un po’ di terra, dei diritti minerari acquisiti da Sir Henry decenni prima, un certo numero di abiti e una quantità francamente eccessiva di libri.

    O almeno era quello che Nicholas Mills pensava dei libri. Personalmente, non aveva mai incoraggiato sua figlia Amaryllis a farsi una cultura, anche se le sorelle Vassemer avevano in parte vanificato i suoi sforzi.

    Fosse come fosse, vennero spediti telegrammi e le due Vassemer più giovani si diedero da fare nel riempire bauli con la massima solerzia. Non sembrava che la morte del padre le avesse scalfite, ma Mills riconosceva la scorza dura di chi nella vita ha già subito troppi lutti.

    Semplicemente, non davano a vedere il proprio dolore.

    In quanto a Rachel, restò in camera, provò a leggere articoli di astronomia senza riuscirci, bevve forse fin troppo laudano e pianse quando era assolutamente certa che non ci fosse nessuno attorno.

    Amaryllis le teneva compagnia il pomeriggio e il garzone le preparò un paio di stampelle di legno, sulle quali, però Rachel non riusciva a saltellare. Era ancora troppo debole e drogata.

    Nel dormiveglia, la tormentavano scricchiolii e cigolii sinistri.

    Non si fece troppe domande sul Marchese di Northdall, il suo nuovo tutore, perché era più che decisa a liberarsi di lui al più presto, a ricostruire Cranwell, comprare un nuovo telescopio e passare il resto della vita a osservare le stelle.

    Le stelle, quando morivano, continuavano a brillare il cielo ancora per migliaia di anni.

    Non poteva immaginare che assolutamente nessuno dei suoi piani si sarebbe realizzato.


    [1] Il Burke's Peerage, Baronetage & Knightage è un libro dell’editore specializzato in genealogia Burke in cui sono elencati tutti gli appartenenti alle casate nobili del Regno Unito, aggiornato annualmente a partire dal 1847.

    2

    Miss Rachel va alla guerra

    Due giorni precisi dopo il crollo di Cranwell House, lungo la strada sterrata che portava al Mills Cottage si sentì il rumore inconfondibile di una carrozza in arrivo.

    Nell’arco di qualche minuto nel cortile si fermava un moderno tiro a quattro di un modello denominato saloon nel Regno Unito e berlina oltremanica: un ampio abitacolo nero montato su uno chassis a quattro ruote, con sportelli e finestrini provvisti di vetri chiusi su ambo i lati e coperto da un mantice in stoffa impermeabilizzata. Sui fianchi, uno scudo con una coronetta e altri elementi; a cassetta un individuo che a tutti, al Mills Cottage, parve subito eccezionale.

    Per prima cosa era indiano, un autentico indiano dell’India. E se a Londra i sudditi delle colonie erano uno spettacolo comune, a Kesteven se n’erano visti molto pochi. Ma la cosa davvero eccezionale era che l’indiano, un uomo alto e angoloso di mezza età, indossava una livrea nera e grigio scuro da maggiordomo, con un pesante cappotto nero gettato sulle spalle e un turbante grigio in testa.

    Il postiglione scivolò a terra con un balzo atletico e a quel punto tutti videro che con lui viaggiava una signora in carne, pure di mezza età, con una bombetta da donna in testa e un ampio cappotto grigio. Il postiglione la aiutò a scendere.

    Nicholas Mills, a quel punto, era stato chiamato ed era accorso sulla porta con metà del personale di servizio. Amaryllis, Fortune e Vera spiavano la scena da dietro le tendine del salotto, mentre la signora Mills si era fermata nell’atrio con le mani sui fianchi.

    Il domestico indiano andò a colpo sicuro verso il padrone di casa, chinò il capo in un saluto secco e formale e gli porse un biglietto.

    «Mi dispiace aver creato scompiglio» disse, con un lievissimo accento straniero. «Il mio padrone mi ha mandato a prendere miss Vassemer. Viste le sue condizioni di salute, ha pensato che un viaggio in carrozza sarebbe stato più comodo di uno in treno».

    «Quale miss Vassemer?» chiese Nicholas, troppo sopraffatto per ragionare in modo lucido. «Ne abbiamo qua tre».

    Il domestico indiano chinò di nuovo la testa e Nicholas ebbe la sgradevole impressione che stesse celando un sorriso. Ammise con se stesso di essersela andata a cercare – solo una Vassemer era ferita – ma si scocciò ugualmente.

    «Miss Rachel Vassemer, signore. Il mio padrone ha appreso che è ora sotto la sua custodia e intende assolvere ai suoi obblighi con la massima celerità».

    Nicholas tornò a guardare il cartoncino.

    La situazione stava diventando ridicola, con lui che prendeva ordini da un servitore indiano, per cui annuì con tutta l’indifferenza possibile e disse ai quei curiosi ospiti di passare pure in cucina per una tazza di tè.

    In realtà l’errore era stato suo, ora se ne rendeva conto. Avrebbe dovuto restarsene dentro, signorilmente, e mandare un servitore ad accogliere la carrozza. Se fosse stato abbastanza saggio da farlo, avrebbe potuto continuare a ignorare che la livrea da maggiordomo dell’indiano era di taglio e materiali superiori al proprio completo.

    Con l’aiuto di un paio dei ragazzi delle stalle, i bauli di miss Vassemer furono assicurati sul retro della carrozza. Era davvero un bestione spaventoso, tutto laccato di nero e un po’ impolverato dal viaggio per le strade sconnesse. Ogni ruota ti arrivava alle spalle.

    Una volta che i bagagli furono a bordo, Rachel fu aiutata a scendere a piano terra. Le sue sorelle sembravano divise tra la necessità di mantenere un minimo contegno e una curiosità folle. Non erano per niente intimidite né dal tiro a quattro, né dal servitore indiano – che invece, a parere di Nicholas, aveva una faccia da tagliagole.

    Rachel saltellò coraggiosamente fino alla carrozza. Le sue sorelle, con la scusa di aiutarla, andarono con lei.

    «Miss Vassemer» disse il servitore indiano, con un inchino parecchio più deferente di quello che aveva rivolto a mr. Mills. «Sono felice di vedere che le sue condizioni sono migliori di quanto pensassimo».

    «No, guardi, sto malissimo» lo contraddisse Rachel. «Ma mi hanno dato della droga molto buona. Quindi lei sarebbe un dipendente del Marchese di Northdall?»

    «Mr. Kayal, al suo servizio. Sono il maggiordomo di Aylsham Hall».

    Anche la signora che aveva viaggiato con lui fece una piccola riverenza. «Mrs. Kendall. Per assisterla durante il viaggio».

    Rachel guardò verso la carrozza, sconfortata. «Sarà un lungo viaggio?»

    Mentre lei parlava, sua sorella Fortune pensò che fosse il momento opportuno per chiedere: «Viene dall’India, è vero? Da dove?»

    Rachel la guardò male.

    «Se partiamo ora, arriveremo in tempo per la cena, miss Vassemer. O almeno per uno spuntino notturno». Poi rivolse la sua attenzione su Fortune. «Provincia di Bombay, signora. Io e sua signoria ci siamo conosciuti molti anni fa, quando entrambi servivamo nell’esercito».

    «Oh, dev’essere una storia affascinante» disse Vera. «Avventurosa e a tratti terribile, di sicuro?»

    «Vera» sospirò sua sorella maggiore. «La scusi, ha avuto un’ottima educazione, ma fa di tutto per non lasciarsi condizionare dagli insegnamenti ricevuti».

    «Ce ne scriverà Rachel» si rassegnò lei. «Sorellona... scrivimi anche tutto il resto, mi raccomando».

    «E anche a me!» intervenne Fortune.

    Dopo di che, la issarono personalmente sulla carrozza, una tirandola dal davanti, l’altra spingendola da dietro.

    A vantaggio di mr. Kayal, il maggiordomo finse di non aver notato nulla di quella manovra poco dignitosa.

    Il viaggio in carrozza fu relativamente confortevole, anche se gli scossoni dovuti alle strade di campagna non aiutarono Rachel a rilassarsi. Reclinata sul divanetto interno, con la gamba ferita posata su uno sgabello imbottito, provò a leggere.

    Aveva ricevuto da Amaryllis una copia di I ragazzi di Jo, l’ultimo uscito della saga familiare di Louisa May Alcott. Era stato pubblicato due anni prima e, come c’era da aspettarsi, era stato un grandissimo successo. Rachel non era mai stata una grande estimatrice delle avventure delle sorelle March, ma apprezzava l’ambientazione esotica e la scorrevolezza della lettura.

    Era anche pressoché l’unica cosa che riuscisse a leggere nelle sue attuali condizioni. La gamba le faceva piuttosto male, rabbrividiva e sudava insieme, il laudano le rendeva la testa leggera e la lingua slegata.

    «L’ha letto, mrs. Kendall?» chiese alla servitrice che era salita a bordo con lei.

    Sembrava una brava donna premurosa, le aggiustava i cuscino sotto la gamba ogni volta in cui uno scossone della carrozza li spostava.

    Il quanto a Rachel, si limitava a bere di quando in quando un sorso dalla sua boccetta. Aiutava.

    Fuori dai finestrini scorreva la campagna verdeggiante del Lincolnshire.

    «Non sono una grande lettrice, miss Rachel».

    Rachel sospirò. «Di solito neanch’io, non di romanzi come questo. Ma non riesco a concentrarmi. Spero che sia colpa del laudano e non una forma precoce di demenza».

    Mrs. Kendall la fissò allarmata e Rachel fu costretta a spiegarle che scherzava: era piuttosto sicura che fosse colpa del laudano.

    Poi, visto che lamentarsi non era educato e che non voleva sembrare una barbara, le chiese di parlarle di Aylsham Hall.

    «Oh, è un grandissimo palazzo, signorina. Le piacerà. Il padrone non conduce una gran vita sociale da quando la signora è morta» spiegò, segnandosi devotamente, «ma non deve pensare che sia una casa triste, oh no. Il padrone non frequenta molte persone del suo rango, ma si tiene occupato con i cavalli».

    Sembrava irresistibile. «Capisco. Mi perdoni, non so proprio nulla dei Northdall. Neanch’io conduco una gran vita sociale».

    «È un peccato, signorina. È ancora così giovane».

    Rachel non trattenne un sorriso. «Ho trentatré anni».

    «Santi numi, non l’avrei

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