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Ritorno a Roslyn Manor
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E-book233 pagine4 ore

Ritorno a Roslyn Manor

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Info su questo ebook

Cornovaglia, 1792Laura Mawgan e il suo promesso sposo Edward Carlyle stanno viaggiando alla volta di Roslyn Manor quando la loro carrozza viene fermata da due banditi mascherati. Uno di loro, che Laura trova suo malgrado stranamente affascinante, dopo averli derubati la trascina nel bosco. Certa di dover subire un destino che considera peggiore della morte, lei lo guarda terrorizzata togliersi benda e tricorno ed esporre il viso ai raggi della luna che filtra tra i rami degli alberi, e all'improvviso lo riconosce: quell'uomo è Lucas, il marito che lei era convinta fosse stato ucciso dai pirati due anni prima. Ma entrambi sono molto cambiati da allora, e forse anche i loro sentimenti non sono più quelli di un tempo.
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2020
ISBN9788830519664
Ritorno a Roslyn Manor
Autore

Helen Dickson

Helen Dickson lives in South Yorkshire with her retired farm manager husband. On leaving school she entered the nursing profession, which she left to bring up a young family. Having moved out of the chaotic farmhouse, she has more time to indulge in her favourite pastimes. She enjoys being outdoors, travelling, reading and music. An incurable romantic, she writes for pleasure. It was a love of history that drove her to writing historical romantic fiction.

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    Anteprima del libro

    Ritorno a Roslyn Manor - Helen Dickson

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Highwayman Husband

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2003 Helen Dickson

    Traduzione di Graziella Reggio

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-966-4

    Prologo

    1792

    L’uomo stava sulla prora del piccolo vascello che fendeva le acque scure e increspate del Canale della Manica. Teneva le gambe un po’ divaricate, la testa alta e le mani unite dietro la schiena. La Francia era alle sue spalle e già si profilava la costa inglese.

    Stava silenzioso e assorto e la sua alta figura esprimeva la determinazione che gli colmava il cuore. Un’aura di autorità lo circondava e un altezzoso riserbo creava una distanza tra lui e gli altri passeggeri.

    Dopo la condanna del tribunale di Parigi, quando nulla e nessuno avrebbe potuto salvarlo dall’oscuro carcere di La Force, e mentre subiva torture e privazioni indicibili, aveva lottato con tutte le sue forze per non cadere nel baratro della follia. Per due lunghi anni aveva elaborato articolati piani di fuga, aggrappandosi alla speranza di tornare a casa dalla giovane e dolce moglie, coltivando, allo stesso tempo, un odio implacabile verso colui che lo aveva ridotto in quelle condizioni. Aveva infine accolto l’inattesa libertà con un sollievo e una gioia indescrivibili e, senza perdere altro tempo, era partito alla volta dell’Inghilterra.

    Mai, nei suoi tormenti, aveva ceduto alla rassegnazione e ora era impaziente di mettere di nuovo piede sul suolo inglese. Come per dar pace al suo cuore, il vento scelse quel momento per gonfiare le vele e condurre con brio il vascello verso la meta. Rabbrividì; aveva scordato come potesse essere fredda la brezza marina. Alzò il colletto per ripararsi, ma non distolse lo sguardo dalla riva lontana: era l’Inghilterra, la sua patria.

    Immaginò l’arrivo a casa e la sorpresa che avrebbe suscitato in tutti, soprattutto in sua moglie. Come aveva reagito alla sua scomparsa? Si era disperata? Probabilmente le avevano raccontato che era morto e forse, dopo un periodo di lutto, aveva provato il desiderio di risposarsi. L’idea gli faceva orrore e si affrettò a scacciarla dalla mente; preferì pensare che, con l’infantile devozione che gli aveva sempre dimostrato, gli fosse rimasta fedele, in attesa del suo ritorno.

    I due anni di prigionia lo avevano trasformato. Ora desiderava soltanto ripulirsi dal lerciume di La Force e vivere con amore insieme alla sua sposa. Aveva anche un altro scopo, meno nobile: spedire all’inferno chi aveva tentato di ammazzarlo, vendicarsi a tutti i costi.

    1

    Un’inquietudine profonda coglieva il viaggiatore quando l’oscurità calava sulla brughiera e si giungeva al crocevia del patibolo. Nello stridio delle catene arrugginite che dondolavano al vento, pendeva il corpo in decomposizione di un disgraziato che aveva infranto la legge. Un assassino, un bandito, un contrabbandiere... cosa importava, ora che era morto? Era soltanto una carogna in pasto agli uccelli e un macabro monito per chi sceglieva di seguire il suo esempio. I nervi di chiunque passasse erano messi a dura prova.

    Il buio scese in fretta su quel paesaggio desolato la sera in cui Laura Mawgan e il suo promesso sposo, sir Edward Carlyle, viaggiavano verso Roslyn Manor, sulla costa meridionale della Cornovaglia. Avevano festeggiato il fidanzamento nella villa di lui, Burfield Hall, insieme ad amici e conoscenti. Edward aveva cercato di convincere Laura a trattenersi per la notte, ma lei, pur essendo molto giovane, era abituata a decidere da sola e aveva preferito ripartire per casa sua.

    Le forme nere delle rocce si stagliavano minacciose contro il cielo scuro, la luna era nascosta dalle nuvole e l’unica luce era data dai fanali della carrozza. In cima a un’altura calò una fitta nebbia che tolse ogni visibilità.

    Amos, il cocchiere, aveva fretta di procedere e continuò a correre a sobbalzi sulla strada dissestata. Odiava la brughiera e non intendeva trattenersi più dello stretto necessario, posseduto com’era da un’arcaica paura.

    Al riparo nella carrozza, Laura guardava fuori dal finestrino. Quando oltrepassarono il banco di nebbia, ebbe l’impressione di trovarsi in un mare pietrificato. Tutto attorno sorgevano templi druidici e allineamenti megalitici, che si elevavano al cielo come lame affilate. Edward le prese la mano, distogliendola dalle sue riflessioni.

    «Sposatemi presto, Laura» le sussurrò con voce pacata, «e rendetemi felice.»

    Lei si voltò a guardarlo nella penombra. Era tanto elegante, pensò, e aveva lineamenti quasi perfetti. Spesso i suoi occhi azzurri erano freddi e distaccati, ma il suo raro sorriso era pieno di fascino.

    Le sarebbe piaciuto amarlo, eppure non era così. Apprezzava la sua abilità nel gestire i terreni e la miniera di Wheal Rose e, sebbene la irritassero i suoi modi autoritari, gli era affezionata e, soprattutto, grata per averla aiutata dopo la scomparsa del marito. Ma l’affetto e la gratitudine rappresentavano un fondamento sufficiente per il matrimonio?

    «Siete troppo impaziente, Edward. Siamo fidanzati da poco. Vorrei avere un po’ più di tempo per abituarmi all’idea» gli rispose.

    «Eppure ci frequentiamo da quasi due anni» replicò seccato. «Mi pare abbastanza per conoscersi. C’è forse un altro uomo, Laura?»

    «Sapete bene che non è così. Ma voi... mi volete bene, vero?» domandò in tono esitante.

    «Ma certo. E non sono innamorato di nessun’altra. Sono convinto che saremo felici insieme. Inoltre, è ora che pensiate al futuro e lasciate quella vecchia dimora scomoda e male in arnese.»

    Laura si irrigidì. «Edward, vi ricordo che state parlando di casa mia!»

    «Non lo sarà ancora per molto. Avete svolto un ottimo lavoro nel gestirla in questi due anni, ma quando saremo sposati la affiderete a me. Anche se non so ancora cosa ne farò.»

    «Roslyn Manor è splendida e mi mancherà.» Laura aveva imparato ad amarla nei due anni in cui vi aveva abitato ed era molto preoccupata per il destino che Edward intendeva riservare all’antico edificio e ai domestici che vi lavoravano. Ne dovevano ancora discutere tra loro e con gli avvocati.

    «Sono sicuro che, quando verrà il momento, sarete lieta di liberarvi di quel peso e di dedicarvi, invece, a Burfield Hall

    Lei distolse lo sguardo e non rispose. Suo fratello Philip, che viveva a Londra con la moglie Jane e due bambini, aveva espresso il desiderio di vederla sistemata e aveva favorito l’incontro con quello stimato gentiluomo. Quando, in tempi recenti, si era recato a farle visita insieme alla famiglia, aveva insistito perché accettasse la sua proposta di matrimonio. Laura era sempre disposta ad accettare i consigli del fratello e aveva acconsentito, ma già cominciava a coltivare dubbi profondi.

    Solo negli ultimi tempi si era resa conto dell’antipatia che il suo defunto sposo provava per Edward, le cui terre confinavano con quelle dei Mawgan, e il fidanzamento con lui le creava un profondo disagio. Di colpo aveva cominciato a considerarlo come un’offesa alla memoria del marito.

    Aveva quasi sempre abitato a Londra e ritrovandosi sola in un luogo estraneo, senza amici né parenti nelle vicinanze, aveva accolto volentieri le discrete attenzioni del galantuomo; ma soltanto dopo un adeguato periodo di lutto aveva iniziato a riceverlo in casa.

    Non era il tipo che prestava orecchio ai pettegolezzi, eppure quando, poco tempo prima, era andata a Saint Austell a fare spese e aveva sentito per caso due estranei che pronunciavano il nome di Edward Carlyle, si era attardata ad ascoltare. Da allora le era capitato di carpire altri dettagli inquietanti e aveva capito di non conoscere affatto il suo promesso sposo.

    Era proprietario di due piccole miniere di stagno del distretto, di cui una, Wheal Rose, era ancora attiva, mentre l’altra era chiusa da anni. Per pagare i debiti, il suo defunto padre aveva venduto ampi terreni ai Mawgan ed Edward se ne voleva riappropriare, dimostrando un particolare interesse per quelli che digradavano verso la baia di Roslyn. Questa era ideale per il contrabbando dalla Francia e dalle isole del Canale, lucrosa attività piuttosto diffusa nella regione.

    Le sue sostanze erano misteriosamente aumentate negli ultimi due anni. Ogni volta che si era recato a Londra si era dato ai lussi più sfrenati, puntando alto sui tavoli da gioco e acquistando una splendida casa a Kensington, dove si prodigava in feste e ricevimenti. Le sue scuderie, come Laura aveva verificato di persona, vantavano i migliori purosangue.

    Non c’erano spiegazioni per questa improvvisa ricchezza, che non aveva nulla a che fare con la miniera, poco produttiva, a differenza di quello che si credeva a Londra. Di recente, Laura aveva sentito qualcuno sussurrare che Edward Carlyle era il capo di una ben organizzata banda di contrabbandieri.

    All’inizio, si era rifiutata di dare ascolto a simili chiacchiere. Tuttavia, dopo avere preso in considerazione tutti gli elementi, tra cui i frequenti viaggi di Edward in Francia, nonostante i violenti tumulti in corso in quel paese, era giunta alla conclusione che doveva esserci qualcosa di vero.

    Aveva inoltre notato dalle finestre di casa sua un sospetto andirivieni nel cuore della notte: forme scure di imbarcazioni, persone sulla spiaggia, carri e cavalli da soma carichi di merci che scomparivano nella brughiera prima dell’alba. Avrebbe potuto vietare loro di attraversare i terreni dei Mawgan, ma, temendo ritorsioni, aveva preferito fare come tutti gli altri in Cornovaglia e chiudere con prudenza gli occhi. Chi denunciava i contrabbandieri spesso pagava con la vita.

    Poiché aveva ereditato la tenuta del marito, era naturale che Edward mirasse a sposarla, ma i gravi dubbi che covava nei suoi confronti la spingevano a rimandare il passo decisivo.

    «Domattina devo partire» annunciò all’improvviso lui. «Starò via per una settimana. Avrete, così, il tempo per riflettere. Spero di trovarvi più determinata al mio rientro.»

    «Certamente» rispose Laura, distogliendo ancora una volta lo sguardo.

    Edward fissò il suo profilo classico, le sue lunghe ciglia, la massa di riccioli corvini raccolti sulla nuca. Ma non era per la sua eccezionale bellezza che la voleva sposare: aveva interessi molto più materiali.

    Il senso innato degli affari gli aveva suggerito di presentarsi a Roslyn Manor poco dopo la scomparsa del padrone di casa. A quei tempi, Laura era tanto addolorata da non accorgersi delle sue manovre.

    «Sarete mia tra non molto, Laura, e lo sappiamo entrambi» mormorò prendendole una mano.

    Lei si voltò a guardarlo, ma non lesse nulla nei suoi occhi chiari. Si sentiva opprimere dal buio della desolata brughiera e dalla vicinanza di quell’uomo.

    La carrozza entrò in una zona boscosa, dove il vento ululava e agitava le fronde. Laura rabbrividì: era una di quelle notti in cui si avverte distintamente la presenza di spiriti maligni. Oscuri presagi le gravavano l’anima.

    Tuttavia, non furono fantasmi quelli che apparvero, come dal nulla, sul ciglio della strada, ma due uomini a cavallo. Indossavano entrambi una redingote e portavano il cappello a tricorno calato sugli occhi, mentre la metà inferiore del volto era coperta da un fazzoletto. Amos si spaventò a morte e la sua paura si trasmise ai cavalli, che si imbizzarrirono. La carrozza sobbalzò con violenza sui sassi, rischiando di ribaltarsi.

    I due passeggeri si aggrapparono a qualunque appiglio trovassero. Edward imprecò, tastandosi la cintura in cerca della pistola. Dopo qualche minuto che parve durare un’eternità, i due sconosciuti riuscirono a calmare gli animali impazziti.

    «Buoni, su, buoni!»

    Laura udì il suono smorzato di queste parole e spiò fuori dal finestrino. Uno degli uomini si stava avviando verso di lei. Rimase come paralizzata a fissarlo e poi, con terrore indescrivibile, vide una pistola a canna lunga puntata nella sua direzione.

    Erano briganti! Di notte le rapine a mano armata erano frequenti e viaggiare era considerato imprudente. Si pentì, in quel momento, di avere rifiutato l’offerta di Edward di pernottare da lui.

    La lanterna da quel lato della vettura si era spenta e, nel buio, la minacciosa figura non aveva volto. Laura provò l’immediato istinto di rannicchiarsi come una bambina impaurita, ma riuscì a trovare la forza di restare calma e reagire con coraggio.

    «Chi siete?» gridò. «Che cosa volete? Come osate spaventare così i cavalli? Avete rischiato di ammazzarci tutti.»

    «Vi porgo le mie umili scuse» rispose l’uomo con voce profonda e priva di pentimento. «Provo un grande rispetto per i cavalli e non avevo intenzione di far loro del male.» Con un colpo di tacchi, si portò parallelo alla vettura e si chinò a guardare dentro. «A terra, per favore» li invitò con ironica cortesia.

    Edward, che in genere era sempre controllato, andò su tutte le furie. «Andate al diavolo, canaglie!» ringhiò, scostando Laura dal finestrino con un gesto brusco e maledicendo se stesso per avere lasciato cadere la pistola; se si fosse chinato a raccoglierla, gli avrebbero sparato. «È una vergogna! Sono sir Edward Carlyle e sono molto influente da queste parti. Lasciateci proseguire, altrimenti pagherete questo affronto con la vita.»

    «So benissimo chi siete e vi sarei grato se ascoltaste la mia richiesta» rispose lo sconosciuto. «Non vi ucciderò: non uso mai violenza contro chi mi asseconda.»

    «Ciò non vi eviterà l’impiccagione quando vi prenderanno» lo mise in guardia Laura.

    Lui rise piano. «Avete ragione: i criminali sono destinati al patibolo. Comunque dovete biasimare soltanto voi stessi per le circostanze in cui vi trovate. Non è una buona idea attraversare la brughiera di notte, con tutti i malfattori che si aggirano da queste parti. Muovetevi adesso: non fatemi perdere altro tempo.»

    Non c’era altro da fare che obbedire. Seppur con riluttanza, i due passeggeri uscirono. Il secondo bandito teneva a bada Amos, che era già sceso a terra.

    «Siete un fuorilegge senza coscienza e vi condanneranno a morte» insistette Edward con un’espressione stravolta.

    «Prima, però, mi dovranno arrestare.»

    Il bandito smontò di sella. Era molto alto e i suoi movimenti avevano la grazia letale di un felino. Dimostrava un’inquietante sicurezza di sé e dominava la scena con la sua presenza. Si sfiorò la falda del cappello per rendere omaggio a Laura e, con l’altra mano, estrasse un pugnale dal fodero, fissato al cinturone.

    Edward impallidì. «Quindi... intendete ucciderci.»

    L’altro annuì con aria pensosa. «Forse» rispose osservando affascinato un riflesso azzurro sulla lama. Fece un passo avanti e gli puntò il coltello alla gola.

    «No!» gridò terrorizzata Laura.

    Senza neppure guardarla, lui disse in tono gelido: «Questo non vi riguarda, signora».

    «Restate dove siete» le intimò Edward, notando che stava per scagliarsi avanti. «Cosa volete da me? Non porto nulla di valore» aggiunse rivolto al brigante.

    «Suvvia! Vi considerate un gentiluomo, sebbene non tutti siano d’accordo con voi» scherzò l’altro. «Avrete pure un portafogli, un orologio o un fermacravatta. Buttateli a terra, altrimenti ve ne pentirete.»

    Edward lanciò un’occhiata alla pistola e, lentamente, si tolse il fermacravatta e l’orologio e li gettò da un lato. Li seguirono un prezioso anello e una tabacchiera d’argento che Laura gli aveva donato in occasione del fidanzamento.

    L’altro guardò gli oggetti e li mosse con la punta dello stivale. «È vero, non avete nulla che mi interessi, a parte questo.» Senza distogliere lo sguardo dal volto di Edward, si chinò a raccogliere la tabacchiera e se la infilò in tasca.

    «Sporco ladro» sibilò lui stringendo i pugni. «Non so a che gioco stiate giocando: l’orologio vale molto di più. Comunque, non ho altro.»

    «Può darsi, ma forse la signora sì.» In un lampo si parò di fronte a Laura e recise con magistrale precisione i nastri del mantello, facendoglielo cadere ai piedi. A lei mancò il fiato per lo spavento. Poi l’uomo ripose il pugnale nel fodero e fissò lo sguardo sulla collana di zaffiri e perle, sopra il morbido rigonfiamento dei seni che spuntava dal corpetto dell’abito di velluto blu.

    D’istinto, lei strinse le dita sul gioiello. «No, vi prego! Prendete qualunque cosa, ma non questo, per l’amore del cielo!»

    «È un gingillo di valore.»

    «Me lo regalò mio marito il giorno delle nozze... prima di morire. Vi supplico, non me lo portate via!» Ebbe l’impressione che lui esitasse, ma fu soltanto per un istante.

    «Non è il momento per i sentimentalismi. Inoltre» aggiunse guardandola meglio, «siete splendida. Non avete bisogno di ornamenti per sembrare più bella. Levatevi la collana.»

    «Dategliela» sbottò Edward. «E che vada all’inferno!»

    Ma lei, con ostinazione, rifiutò di arrendersi. «No!»

    «Porgetemela, prima che la prenda con la forza.»

    «Non oserete.»

    «Mettetemi alla prova.»

    Convinta dall’arma puntata al cuore e dal tono minaccioso, inghiottì l’offesa, sganciò il fermaglio con dita tremanti e gli consegnò il prezioso gioiello. Lui lo prese, lo lanciò in aria, lo riafferrò e lo ficcò nella tasca interna della giacca.

    Laura arrossì quando la squadrò da capo a piedi con un fischio di ammirazione. Incapace di sostenere il suo sguardo lascivo, si chinò per raccogliere il mantello, ma lui, con una risatina, lo bloccò a terra con un piede e le alzò il mento con due dita.

    «Chi siete?» gli chiese Laura ed ebbe l’impressione di scorgere un sorriso.

    «Un bandito» le rispose con gentilezza.

    «Giù le mani dalla signora»

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