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Laura: Un amore di inizio secolo
Laura: Un amore di inizio secolo
Laura: Un amore di inizio secolo
E-book274 pagine3 ore

Laura: Un amore di inizio secolo

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Info su questo ebook

«Ha letto Karl Marx? Io non ci ho capito un accidenti».
«No, ma me l’hanno spiegato. Tra noi proletari ha un certo successo».
«Mi piacerebbe afferrarne i fondamentali».
«Non dica così, miss Nemme. Per essere una padrona, è già pericolosamente vicina al socialismo».

Il 1900 è iniziato da pochi mesi e l’onorevole miss Laura Nemme, ventinove anni nubile, non prevede cambiamenti nella propria vita. A sposarsi ha rinunciato, proprio lei che voleva essere la prima tra cugine e amiche, e ormai si occupa a tempo pieno dell’azienda di famiglia, una grande tessitoria nell’East End di Londra.
È qua che conosce Thomas Walken, il nuovo macchinista arrivato da poco da Manchester. Walken ha dovuto lasciare la sua città d’origine dopo aver partecipato agli scioperi indetti dai sindacati. Nessun padrone era più disposto a dargli lavoro e lui ha una figlia quattordicenne da mantenere. Ma con la lotta di classe e il socialismo ormai ha chiuso, così assicura a Laura. Sarà un dipendente modello.
Tra i due nasce presto una simpatia sconveniente, un’attrazione senza possibili sbocchi. Troppa è la differenza di ceto, vengono da due mondi diversi.
Se solo l’amore fosse ragionevole...

Unfit è una serie sulle disavventure di alcuni rispettabilissimi gentiluomini, che alla vita non chiederebbero altro che pace, tranquillità e le sacrosante gioie del patriarcato, ma ormai è il 1900, queste maledette donne emancipate sono dappertutto, come un’invasione di locuste, e sono tramontati i tempi migliori in cui gli uomini erano uomini e le mogli piante da interno. Non c’è più pace per nessuno.

#profondorosa
#interclass
#latevictorian
#amoreimpossibile
LinguaItaliano
Data di uscita21 feb 2024
ISBN9791223010006
Laura: Un amore di inizio secolo

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    Anteprima del libro

    Laura - Miss Black

    LUOGHI & PERSONAGGI

    House NEMME-HADLEY

    Residenza principale: St. George Street, Hanover Square, Londra

    Stabilimento: Strafford Mill, tra Bethnal Green e Bow

    On. mr. Richard Nemme: 56 anni, secondogenito del Barone di Murston, fratello di Lord Hugh

    Lady Mary Nemme, Viscontessa di Hadley: †1899 (51 anni), moglie di Richard Nemme

    Lord Stannard Nemme, Visconte di Hadley: 33 anni, figlio di Richard e Mary

    Lady Violet Nemme, née Groove: 35 anni, ex-contralto, moglie di Stannard e attuale Viscontessa di Hadley

    On. miss Laura Nemme: 29 anni, sorella di Stannard e imprenditrice

    Lord Alexander Nemme: 8 mesi, figlio di Stannard e Violet

    David St John: 6 anni, tecnicamente figlio adottivo di Stannard e Violet

    Eunice, 20 anni: cameriera personale di Laura

    House MURSTON

    Residenza principale: The Lodge, Brixworth, Daventry, Northamptonshire

    Residenza londinese: Grosvenor Square

    Lord Hugh Nemme, terzo Barone di Murston: 60 anni

    Lady Eloise Nemme, Baronessa di Murston: 54 anni, sua moglie

    Lady Thomasine Prescott Astley, née Nemme: 34 anni, primogenita del barone

    Mrs. Cicely Argall, née Nemme: 30 anni, secondogenita del barone

    On. mr. Mark Nemme: 27 anni, designer, erede del barone

    House FORSTER

    Lord Prescott Astley, Conte di Foster: 37 anni, marito di Thomasine

    Lady Thomasine Prescott Astley, née Nemme: 34 anni, sua moglie e primogenita del Barone di Murston, cugina di Laura

    Lord James Prescott Astley: 8 anni, loro figlio

    Lady Emma Prescott Astley: 5 anni, loro figlia

    House GREY

    Residenza principale: Piccadilly, Londra

    Principale tenuta di famiglia: Lees Castle, Ashford, Kent

    Lord Francis Landon, decimo Duca di Grey, Conte di Russy, Visconte di Notterhill: 36 anni, Pari del Regno e amico di Stannard

    Lady Fortune Landon, née Vassemer: 31 anni, attuale Duchessa di Grey e cugina di Laura

    Lord Jupiter Landon, Conte di Russy: 10 anni, primogenito della coppia

    Lady Olave Landon: 8 anni, seconda nata della coppia

    Lady Grace Landon: 6 anni, ultima nata

    Famiglia ARGALL

    Residenza: St Andrews Boarding School, Gower Street, Londra

    Mrs. Cicely Argall, née Nemme: 30 anni, secondogenita del Barone di Murston, cugina di Laura

    Mr. Rees Argall: 44 anni, marito di Cicely

    Anne Argall: 12 anni, loro foglia

    Theresa Argall: 10 anni, loro figlia

    Michael Argall: 8 anni, loro figlio

    House HADDOCK

    Residenza principale: Brook Street, Londra

    Sir Guy Haddock: 42 anni, industriale

    Lady Vera Haddock, née Vassemer: 34 anni, sua moglie e cugina di Laura

    Virgil Haddock: 10 anni, primogenito della coppia

    Peter Haddock: 8 anni, secondo nato

    ALTRI PERSONAGGI

    Lord Brian Acton, Barone Maltravers: 31 anni, primogenito del Marchese di Northdall e amico di Stannard

    Mr. Thomas Walken: 34 anni, macchinista di Manchester addetto alle macchine tessili

    Sarah Walken: 14 anni, figlia di Thomas

    Mr. Edward Sullen: 39 anni, direttore della tessitoria

    Mr. Brett Carlyle: 28 anni, addetto alle vendite

    Lord Gerald Smith-Marmont, Conte di Montague: 70 anni, amico di famiglia di Laura che vive a Partington, vicino Manchester

    Lady Fleur Smith-Marmont, Contessa di Montague: 56 anni, sua moglie

    Mr. Martin Cartwright: 45 anni, socio di maggioranza della tessitoria di famiglia, il Victoria Bank Mill di Lymm, Manchester

    Mrs. Theresa Cartwright: 45 anni, sua moglie

    Madame Foxglove: modista di Laura

    Prologo: 1880

    Il ragazzo aveva quattordici anni. Il cardigan grigio della divisa era liso sui gomiti, i pantaloncini gli pendevano dai fianchi, ma nel complesso non aveva un brutto aspetto. I capelli scuri, tagliati con una scodella in modo da essere un pochino più lunghi sulla sommità della testa e rasati tutto attorno, erano senza pidocchi. Gli occhi grigi e incassati avevano una scintilla di intelligenza.

    Era accompagnato da Padre Quick, il direttore del St Joseph's Orphanage for Boys, un prete grosso e rubicondo, di chiare origini irlandesi.

    «Eccolo qua. Spero che da voi si troverà meglio che da noi. Ma ne dubito». L’ultima frase era chiaramente rivolta al ragazzo, che però fece finta di non averlo sentito.

    «Vedremo. Se ha voglia di lavorare qua si troverà benissimo» ribatté il preside, mr. Keating. «Vieni, ti accompagno al dormitorio».

    Mr. Keating era stato nominato preside della St Joseph's Industrial School for Roman Catholic Boys da soli due anni ed era ancora ansioso di dimostrare l’efficacia del suo istituto.

    Accettavano apprendisti tra i quattordici e i sedici anni e li indirizzavano verso varie professioni: sartoria, falegnameria, calzoleria, panificazione e meccanica.

    Mr. Keating accompagnò il ragazzo fino uno dei tre dormitori comuni, ognuno da venti letti. «Ecco qua. Questo è il tuo. Lascia le tue cose e presentati al piano terra da mrs. Keaton. Fammi vedere le mani».

    Il ragazzo gliele mostrò senza esitazioni.

    Erano morbide, con le unghie pulite. Insolito, in un ragazzo di quell’età e di quell’estrazione.

    Mr. Keaton non represse un sogghigno. «Di’ un po’, volevano mandarti in seminario?»

    «Sissignore» confermò il ragazzo.

    «Ma non se n’è fatto niente, eh? Cosa hai combinato?»

    Il ragazzo distolse lo sguardo e non rispose.

    «Hai rubato?»

    «No!» reagì lui, con uno sguardo di sfida.

    «Hai fatto a botte?»

    «No. Cioè, a volte, ma lo fanno tutti».

    «Suppongo di sì. Quindi?»

    Il ragazzo esitò ancora. Il suo sguardo vagò sulle piccole finestre munite di grate. «Mi hanno pizzicato nel dormitorio femminile» ammise, alla fine. «Ma non...»

    Mr. Keaton ridacchiò. «Ma non?»

    «Stavamo solo parlando».

    Mr. Keaton rise ancora. «Certo, ne sono sicuro. Be’, posa qua le tue cose e presentati al piano terra, va bene?»

    Il ragazzo annuì. «Sissignore».

    Mr. Keaton lo lasciò da solo. Bisognava dimostrare fiducia, così pensava. Quelli erano giovanotti già segnati dalla vita. Sospettosi, difficili.

    Il ragazzo nuovo aveva l’aspetto di uno scozzese bruno, con i capelli molto scuri e la pelle con una sfumatura olivastra, ma gli occhi chiari. Non sapeva da dove venisse, ma se era al St Joseph's Orphanage significava che aveva perso i genitori.

    O non li aveva mai avuti.

    1.Una terra di speranza e gloria

    «Viva la regina! Viva l’Inghilterra! Viva Baden-Powell!»

    Fin dalle prime luci del 18 maggio 1900 gli strilloni avevano annunciato la fine dell’assedio di Mafeking, nell’Africa del sud, dove un manipolo di soldati britannici resisteva da mesi all’esercito boero.

    Per saperlo sarebbe bastato ascoltare le grida di giubilo che provenivano dalla vicina Hanover Square, ma l’onorevole miss Laura Nemme aveva letto un resoconto alquanto infiorettato delle vicende al tavolo della prima colazione. Scorreva sempre il giornale mentre mangiava, era un’abitudine che risaliva agli anni del debutto, quando scorreva avidamente gli annunci dei fidanzamenti.

    Adesso, più di dieci anni dopo, dei fidanzamenti non le importava nulla. Piuttosto, esaminava con attenzione i resoconti finanziari e la politica nazionale e internazionale. Tutto quello che avrebbe potuto avere un impatto sugli affari.

    Ma ignorare la vittoria di Mafeking era impossibile. Mafeking non era altro che una cittadina di coloni inglesi al remoto confine nord-orientale fra la Colonia del Capo e la repubblica boera del Transvaal. Era stata messa sotto assedio il 13 ottobre dell’anno precedente, il giorno dopo lo scoppio della seconda guerra boera. L'assedio era durato sette mesi, fino alla liberazione da parte delle forze inglesi, avvenuta il giorno prima.

    Ancora una volta Laura si stupì di quanto il telegrafo avesse reso piccolo il mondo. In India un’alluvione poteva spazzare via i magazzini di cotone con il tuo ordinativo in attesa di essere spedito e tu l’avresti saputo poche ore più tardi. E anche i tuoi concorrenti.

    Comunque.

    Stavolta il giornale del mattino non riportava disastri, solo una vittoria dell’esercito britannico. L’opinione pubblica aveva seguito l’assedio di Mafeking con bramosia e il comandante della piazzaforte, il colonnello Robert Baden-Powell, era assurto al ruolo di eroe. Ancora di più adesso che la corona aveva vinto.

    Laura mise da parte il giornale e andò a prepararsi per la giornata.

    Suo fratello Stannard, il Visconte di Hadley, ovviamente dormiva ancora, così come sua moglie Violet. Il piccolo Alexander era affidato alla bambinaia, mentre il giovane David St John, il trovatello di sei anni adottato dai visconti, chissà quale malefatta stava già combinando. Ma, qualunque fosse, la stava combinando lontano dagli occhi di Laura.

    Era un peccato. Era un bambino spassoso, un implume agente del caos sempre pronto a vivacizzare le giornate. Che fosse un trovatello, peraltro, era dubbio. Aveva l’infelice naso da tucano di Stannard e i riccioli scuri di Violet. Ma essendo nato ben cinque anni prima del matrimonio di quei due, da genitori sconosciuti, non poteva essere imparentato con loro, giusto?

    Laura convocò Eunice, la sua cameriera personale. Era una ragazza di vent’anni dal viso tondo e dai capelli rossicci come quelli della padrona, con l’attenuate che almeno i suoi erano lisci.

    I capelli di Laura no. Non c’era ferro rovente che potesse domarli. Erano un cespuglio color ruggine che andava imbrigliato ogni mattina, di solito in una solida treccia alla francese.

    Era un maggio tiepido, quindi Laura indossò un pratico soprabito grigio sopra la camicia bianca dal collo alto, guanti grigi intonati, una lunga gonna di gabardine misto lana color fumo di Londra e stivaletti di scamosciato nero. Sulla testa, un cappellino molto semplice.

    «Signora, è sicura di voler andare in fabbrica stamattina? Per le strade ci sarà confusione».

    Lo pensava anche Laura, ma non intendeva cambiare la propria giornata solo per questo. Così borbottò un ma no nei confronti di Eunice e le chiese di far preparare la carrozza.

    Un quarto d’ora più tardi la profezia della cameriera si rivelò veritiera.

    Cittadini festanti di tutte le estrazioni erano scesi per le strade e stavano celebrando la vittoria. Da vari capannelli si alzavano le parole, e le melodie stonate, di God Save the Queen e altri inni patriottici.

    Un gruppo di irlandesi ubriachi si parò davanti alla carrozza cantando una Land of Hope and Glory particolarmente sguaiata.

    « Land of Hope and Glory, Mother of the Free, How shall we extol thee, who are born of thee? Wider still and wider shall thy bounds be set; God, who made thee mighty, make thee mightier yet, God, who made thee mighty, make thee mightier yet !»

    Proprio gli irlandesi avevano un ruolo centrale nella guerra in corso, Laura non ricordava quale con precisione, quindi non si stupì della loro provenienza. I cavalli, meno ferrati in politica internazionale, retrocessero spaventati, scalciarono e nitrirono.

    «Signora, dovremo fare il giro lungo!» la informò il conducente.

    Laura ammise che non c’erano alternative.

    Fino allo Stratford Mill, la tessitoria dei Nemme, in carrozza già normalmente ci voleva quasi un’ora. La fabbrica sorgeva tra Bethnal Green e il Bow, subito a nord di Whitechapel, nell’East End, e il percorso più veloce attraversava Regent Street e proseguiva su Oxford Street, fino a Old Street e oltre. Di norma, al mattino, i marciapiedi erano affollati dei commessi dei negozi e dei grandi magazzini che erano sorti negli ultimi decenni nel centro di Londra. Ma quel giorno la via abituale non era percorribile e Laura si rassegnò a passare più a nord, su arterie più strette e dalla pavimentazione peggiore.

    Sperava solo che i festeggiamenti non avessero coinvolto anche gli operai, ma era quasi sicura che il direttore, mr. Sullen, fosse riuscito a evitarlo.

    Ad arrivare ci misero un’eternità.

    Le piogge degli ultimi giorni avevano lasciato sul selciato uno strato di fango e ridotto la via a un pantano nel tratto finale. E Laura era abituata ad andare in fabbrica estate e inverno, con ogni clima, ma quel giorno persino la sua pazienza ne risentì. Quando avvistarono la costruzione di pietra e assi dello Stratford Mill era nervosa, sudaticcia, irritata.

    Smontò accanto alle scale per il camminamento superiore e si diresse verso l’officina con i filatoi. Come sempre, non appena aprì la porta fu investita dal calore e dal rumore. Soffocante il primo, assordante il secondo. Le alte finestre erano chiuse per mantenere l’umidità e la temperatura necessaria alle fibre di cotone per non spezzarsi, mentre i meccanismi automatici creavano una cacofonia terribile. L’aria era satura di fibre di cotone. Gli operai e le operaie, chini sui macchinari, avevano la fronte lucida di sudore.

    Laura avanzò lungo il camminamento guardando giù e ignorando i cenni di saluto dei supervisori. Ormai era in grado di percepire i problemi ancor prima di vederli, come se avvertisse una nota sbagliata nel ritmo delle macchine.

    E quella mattina una nota sbagliata c’era.

    Per individuare il mulo fermo (così venivano chiamati quei telai) le servì qualche minuto. Erano quindici in tutto - c’erano stabilimenti, su a nord, che superavano i cento – ma l’aria dello stanzone, carica di vapore e fibre, rendeva la visuale poco nitida.

    Comunque, eccolo là. Un mulo fermo, nella seconda fila.

    Non era facile rendersi conto di dove fosse il problema, dato che ogni mulo aveva più di mille fusi ed era lungo circa quaranta metri.

    Lì accanto, le operaie che avrebbe dovuto manovrarlo e mr. Sullen.

    Laura socchiuse gli occhi. No, nessuno stava lavorando alla riparazione, com’era possibile? Era quindi distrutto oltre ogni speranza?

    Sollevando il bordo della gonna con le mani, trottò giù per una delle scale di ferro.

    «Miss Nemme! Temevo che da Mayfair non riuscisse ad arrivare!»

    Sullen era un uomo sui quaranta in un completo immacolato. Unica concessione al calore, aveva rinunciato al cappello, rivelando un taglio ritoccato da poco con una scriminatura laterale. Il viso paffuto era sormontato da un paio di baffi biondicci e gli occhi azzurri erano messi in ombra da sopracciglia cespugliose. Il viso era l’unica parte paffuta della sua figura, che per il resto era alta e ossuta.

    «Che cosa succede?» gridò Laura, cercando di sovrastare il rumore delle macchine.

    «Si è bloccato!»

    Laura si avvicinò. Che il mulo fosse bloccato era un dato di fatto. Perché era chiaramente superiore alle nozioni di meccanica di mr. Sullen.

    «Dov’è il macchinista?»

    A Sullen sfuggì un gesto estenuato. «Sembrava così affidabile! Oggi era il suo primo giorno, ma non è ancora arrivato!»

    Per Laura era una novità. «Che fine ha fatto quello vecchio?»

    «Se n’è andato!»

    Laura si chiedeva se, per apprendere tutti i dettagli, avrebbe dovuto fermare le macchine nell’intera fabbrica e offrire al suo direttore una bella tazza di tè. Sullen continuava a enunciare ovvietà e a non fornire le informazioni essenziali.

    «E quello nuovo?»

    «Sembrava un ragazzo per bene! Viene da nord, da un grosso stabilimento a Manchester! Ma se non fa vedere il suo bel faccino, lo licenzio prima che possa iniziare!»

    Laura sospirò. Era inutile, Sullen non sapeva proprio riassumere in modo efficace. Era pur vero che parlare, con quel frastuono e con quel pulviscolo nell’aria, non era il massimo della vita.

    Laura tornò ad avvicinarsi al macchinario e lo esaminò con la fronte aggrottata.

    «Si è allentato un mandrino!» gridò.

    «Dove?»

    «Qua!»

    Il mandrino era in buona sostanza un fuso. La velocità del mandrino era controllata da un tamburo e da funi appesantite. Mentre la paletta si muoveva le funi ruotavano il tamburo, che utilizzando una ruota dentata faceva girare i mandrini. Molto semplicemente, una doveva essersi allentata. Il filato era danneggiato.

    «Permesso!»

    Attorno alla macchina si era creato un assembramento, composto dalle operaie senza lavoro da fare, il direttore, un sorvegliante e un paio di apprendisti a stento quattordicenni. E Laura, ovviamente.

    Il nuovo arrivato era un uomo sulla trentina in panciotto e maniche di camicia. Gli mancavano sia la cravatta, sia il cappello, ma aveva con sé un vecchio borsone di pelle macchiata e screpolata. Ben piazzato, bruno, viso sbarbato, mascella muscolosa dotata di una fossetta sul mento, naso rotto almeno una volta in passato, un sopracciglio interrotto da una vecchia cicatrice bianca e avambracci che rivelavano la sua professione, guizzanti di muscoli e con vene grosse come corde.

    «Walken!» strillò subito Sullen. «Il suo ritardo è ingiustificabile!»

    «Mi dispiace, mi sono perso» rispose lui, e ora l’accento duro del nord Inghilterra si percepì con chiarezza. «Signora, lei si allontani, se non vuole farsi male».

    La signora, chiaramente, era Laura. E di norma nessuno le si rivolgeva così.

    Indispettita, ribatté: «Peggio per lei, credo di aver individuato il guasto».

    Lui la spostò con un gesto brusco, avvicinandosi alla macchina. «Sì? L’ho individuato anch’io. Sa qual è la differenza tra me e lei? Che io so anche aggiustarlo. Ora mi lasci lavorare».

    Laura vide Sullen che cambiava colore. «Come si permette di—

    «Lo lasci stare, abbiamo già perso fin troppo tempo. Lo mandi nel mio ufficio a metà turno».

    A quel punto il nuovo arrivato le lanciò uno sguardo incerto, forse capendo di aver parlato troppo. Subito dopo, dovette arrivare alla conclusione che ormai era inutile piangere sul latte versato, perché diede una scrollata di spalle e si accucciò per prendere gli strumenti dalla borsa.

    Laura se ne andò, lasciandosi alle spalle sia il nuovo macchinista, sia l’atmosfera insalubre dello stanzone.

    Lo Strafford Mill era appartenuto per generazioni agli Strafford, aristocrazia terriera che possedeva tutte le terre lì attorno quando Bethnal Green era ancora campagna e quando lo Strafford Mill era ancora un frantoio. I tempi erano cambiati, il mulino era stato acquistato da Richard Nemme, il padre di Laura e Stannard, che aveva sostituito la forza motrice del torrente con quella delle macchine a vapore. Neppure il torrente era più un torrente e ora le pale si immergevano nel Regent Canal, anche se solo per alimentare la mondanatura del cotone. In quanto alle caldaie, erano state collocate in ambienti separati da quelli destinati alle macchine operatrici, ma in posizione contigua e centrale agli alberi motore, che in questa maniera occupavano meno spazio.

    La distribuzione degli ambienti dello stabilimento era stata pensata tenendo in considerazione la possibilità di un futuro ampliamento: due vasti saloni, quello della filatura e quello della tessitura, erano posti alle due estremità del corpo di fabbrica, dove c’erano i motori e l’officina meccanica, ed erano chiusi su tre lati, mentre un lato era stato lasciato libero per un futuro ampliamento.

    Sarebbe stata un’ottima idea, se nel frattempo il quartiere non si fosse espanso in tutte le direzioni, soffocando la fabbrica.

    Laura entrò nel suo ufficio, che, come tutti gli uffici, occupava un’ala del primo piano, riparata dal frastuono e dal calore. Una doppia vetrata le assicurava una buona visuale sia sulla filatura, sia sulla tessitoria.

    Aveva appena iniziato a controllare gli ordini dell’ultima settimana, in

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