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Scepsi e veritá. La critica Hegeliana al Soggettivismo (1793-1802)
Scepsi e veritá. La critica Hegeliana al Soggettivismo (1793-1802)
Scepsi e veritá. La critica Hegeliana al Soggettivismo (1793-1802)
E-book230 pagine3 ore

Scepsi e veritá. La critica Hegeliana al Soggettivismo (1793-1802)

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Il pensiero hegeliano è caratterizzato dalla convinzione che l'erompere

della soggettività sia il segno che contraddistingue la modernità. Il

punto di partenza della riflessione filosofica moderna non è più

l'oggetto, concepito come Essere, Uno, Dio, ma il soggetto stesso. Il

pensiero pone ad oggetto di indagine non più qualcosa di estraneo a sé,

ma se stesso e in questa autoriflessione si trasforma nel fondamento

della realtà. Il pensiero pone ad oggetto di indagine non più qualcosa

di estraneo a sé, ma se stesso e in questa autoriflessione si trasforma

nel fondamento della realtà. Allo sviluppo del soggettivismo è

strettamente connessa l'altra grande categoria della modernità e cioè la

scissione. La filosofia moderna elevando un solo principio della realtà

all'incondizionato, in questo caso la soggettività, sancisce

definitivamente la scissione, l'opposizione tra il pensiero e l'essere.

Analizzando gli scritti giovanili fino a Fede e Sapere, si è voluto

mostrare come il pensiero hegeliano, pur essendo influenzato da Kant, è

mosso sin dall'inizio, dall'intento di superare la scissione e le

filosofie della soggettività. Per Hegel la filosofia è chiamata a

togliere, a superare la scissione, anzi come dirà nella Differenza;

quando la potenza dell'unificazione scompare dalla vita degli uomini,

allora sorge il bisogno della filosofia.
LinguaItaliano
Data di uscita15 feb 2021
ISBN9791220320689
Scepsi e veritá. La critica Hegeliana al Soggettivismo (1793-1802)

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    Scepsi e veritá. La critica Hegeliana al Soggettivismo (1793-1802) - Silvio Valerio Schirinzi

    Marina

    CAPITOLO I

    Il soggettivismo come chiave di lettura del mondo moderno

    1. Soggettivismo e scissione

    La produzione hegeliana è segnata dalla convinzione che l’erompere della soggettività sia il segno che contraddistingue la modernità. Per soggettività si deve intendere l’inizio di una nuova epoca, nel senso che il pensare e quindi l’autocoscienza sono il fondamento del conoscere e delle determinazioni morali, e questo è il segno della profondità della filosofia moderna, che si è lasciata alle spalle il ‘dogmatismo dell’essere’. Ora il principio è il pensiero come tale, ed è da esso che si deve prendere le mosse. Che la soggettività sia il punto di partenza, il fondamento inconcusso da cui deve iniziare il filosofare, possiamo considerarlo come l’esito di un lungo processo che ha i suoi iniziatori nella riforma protestante e in Descartes e che ha avuto il suo perfezionamento nelle filosofie di Kant e Fichte, passando per il pensiero illuministico. Quest’impostazione viene confermata dallo stesso Hegel nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia dove si legge: Si giunge così alla filosofia moderna in senso stretto, che inizia con Cartesius. Qui possiamo dire di essere a casa e, come il marinaio dopo un lungo errare, possiamo infine gridare Terra! Cartesius segna un nuovo inizio in tutti i campi. Il pensare, il filosofare, il pensiero e la cultura moderna della ragione cominciano con lui. In questa nuova epoca il principio è il pensare, il pensare che prende le mosse da se medesimo: l’interiorità che s’è mostrata con riferimento al cristianesimo e che si trova soprattutto nel principio protestante. Ora il principio universale consiste nell’attenersi all’interiorità come tale, scartando la morta esteriorità e la nuda autorità, da riguardarsi come inammissibili. […] ciò che deve valere è il pensare libero per sé. […] Quel che deve essere regolato, quel che nel mondo deve avere valore, è necessario che l’uomo riconosca e ammetta per mezzo del suo pensiero ciò che deve valere come qualcosa di saldo, è giocoforza che trovi conferma attraverso il pensare¹. In questo passo è constatabile l’affinità, per non dire addirittura la corrispondenza di contenuti con le parole kantiane: Illuminismo è l’uscita dell’uomo dalla minorità di cui è egli stesso colpevole. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Colpevole è questa minorità, quando la sua causa non stia nella mancanza di intelletto, bensì nella mancanza di decisione e di coraggio nel servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di usare il tuo proprio intelletto². Malgrado le divergenze di fondo, Hegel è d’accordo con Kant, nel riconoscere la grande funzione che l’illuminismo ha svolto nella storia e cioè quella di porre il pensiero come fondamento della realtà in modo da rendere gli uomini più consapevoli e liberi.

    Abbiamo visto che la soggettività è il frutto della filosofia moderna e questo pensiero rimarrà invariato in tutta l’opera hegeliana. Nel mondo antico, il periodo della bella eticità, l’intero non era minimamente scalfito dalla singolarità in quanto tale. Quest’idea, formulata per la prima volta negli Scritti teologici giovanili, viene ripresa ed espressa nella Filosofia dello spirito jenese del 1805-1806: Questo è il principio superiore dell’età moderna, che gli antichi non conoscevano, che Platone non conosceva. Nell’età antica la bella vita pubblica era l’ethos di tutti, bellezza, unità immediata dell’universale e del singolo, un’opera d’arte, in cui nessuna parte si separa dall’intero. […] Ma il sapere assolutamente se stessa della singolarità, questo assoluto essere-concentrato-in-sé (Insichseyn) non era presente. [...] Con questo principio moderno è perduta la libertà esteriore, reale, degli individui nel loro esserci immediato, ma è conquistata la loro libertà interiore, la libertà del pensiero³.

    Il giudizio che Hegel dà riguardo al principio della soggettività, com’è noto, è duplice: innanzitutto è un prodotto della filosofia moderna che gli antichi non conoscevano; inoltre, se da una parte risulta essere un passaggio obbligato, un momento fondamentale per il sapere, dall’altra questo principio si è reso assoluto, producendo una serie di dualismi insanabili che si fondano tutti sulla convinzione che da una parte ci sia l’Assoluto e dall’altra parte la conoscenza, la quale, pur essendo per sé e separata dall’Assoluto, sarebbe tuttavia qualcosa di reale. In altre parole, si presuppone la veridicità della conoscenza, la quale tuttavia, trovandosi fuori dell’Assoluto, sarebbe fuori anche dalla verità: e con quest’assunzione, la cosiddetta paura dell’errore si rivela piuttosto paura della verità⁴.

    La filosofia da Descartes in poi, ha avuto il grande merito di rivitalizzare e trasformare il mondo della sostanza nel mondo del soggetto, ma questa trasformazione a sua volta ha soltanto spostato il fondamento, dalla dimensione dell’essere, alla dimensione del pensiero. In entrambe le posizioni si mantiene saldo il principio della scissione, dell’opposizione, tra soggetto e oggetto, unità e molteplicità e nulla importa che l’assoluto sia posto una volta come oggetto e un’altra come soggetto; tutte queste filosofie non rappresentano altro che il principio della non-identità pervenuto a sistema. Come abbiamo visto il mondo classico non era turbato dalla forza dirompente della soggettività, che ha la capacità di isolarsi dall’intero e porsi come qualcosa di autonomo, sussistente. Questo sapere del singolo come in un’unità immediata e per questo naturale con l’universale è il tratto distintivo del mondo antico; è la sua bellezza ma anche la sua povertà spirituale. Questo mondo risulta essere qualcosa di imperfetto, di non pienamente sviluppato e compiuto, perché quest’unità non porta al suo interno il travaglio del negativo, non procede da un’antitesi radicale, non ha sperimentato le forme più acute di scissione tramite la cultura, non ha sofferto il dolore infinito della morte di Dio. Quest’immediatezza è destinata a essere negata perché il lato dell’individualità, della libertà del singolo non è saputo. Hegel ce lo dice chiaramente in un passo della Filosofia dello spirito jenese, che anticipa le tematiche sviluppate all’interno della Fenomenologia, nella sezione lo Spirito: Questa è la bella e felice libertà dei greci, che è stata ed è tanto invidiata. [...] L’alienazione della singolarità della volontà è immediata conservazione di essa stessa. Ma è necessaria un’astrazione più alta, una più grande opposizione e cultura, uno spirito più profondo. È il regno dell’eticità, ognuno è costume (ethos Sitte), immediatamente uno con l’universale; qui non ha luogo alcun protestare; ognuno si sa immediatamente come universale; cioè ognuno rinuncia alla sua particolarità, senza sapere questa come tale, come questo Sé, come l’essenza. La scissione più alta è dunque che ognuno ritorna completamente in sé, sa il suo Sé come tale, come l’essenza, perviene a quest’ostinatezza di essere separato dall’universale esistente e tuttavia di essere assoluto – di possedere immediatamente il suo assoluto nel suo sapere; – egli in quanto singolo lascia libero l’universale; ha piena indipendenza in sé, rinuncia alla sua realtà, vale per sé solo nel suo sapere⁵. Tutto ciò non deve farci concludere che la filosofia hegeliana si riduca a una sorta di esaltazione del soggetto, perché il tema dell’individualità e del rapporto con l’universale è sempre mediato dal riferimento alla tradizione classica, soprattutto al principio aristotelico che il tutto è per natura prima delle parti. Infatti, Hegel precisa che: la volontà dei singoli deve costituirsi come volontà universale, così che la volontà dei singoli sembra il principio e l’elemento, mentre all’opposto è essa [volontà universale] il primo e l’essenza, e le volontà singole devono trasformarsi nella volontà universale attraverso la negazione di sé, l’alienazione e la cultura; la volontà universale è prima delle volontà singole, esiste assolutamente per esse, e le volontà singole non sono affatto immediatamente la volontà universale⁶. Già in queste pagine possiamo vedere l’esigenza teoretica che è alla base del pensiero hegeliano, della compenetrazione di particolare e universale; il momento dell’assoluto esser-per-sé della coscienza è necessario, ma non può prescindere da un principio unitario capace di includerlo al proprio interno come sua manifestazione. Il soggettivismo si è potuto affermare perché l’epoca moderna è segnata dalla categoria fondamentale della scissione (Entzweiung), ossia dalla consapevolezza da parte del singolo di essere qualcosa di totalmente altro dall’universale che di volta in volta assume le forme di Dio, dello stato, dell’eticità. Questa situazione di scissione, di dissoluzione dell’unità ha costituito il terreno per il sorgere e lo sviluppo del soggettivismo. Nel mondo classico il singolo si sentiva parte del tutto in modo naturale e immediato, viveva questa fusione come sentimento. Con il tramonto della civiltà greca è venuta meno quest’unità poiché il singolo non si riconosce più nell’universale in quanto lo considera o come fonte di oppressione (dispotismo) o inadeguato al grado di sviluppo della sua libertà interiore (positivismo dell’eticità) o peggio ancora lo considera irraggiungibile (trascendenza assoluta). In questa situazione si prospettano due posizioni filosofiche; il primo atteggiamento è quello che rinuncia all’assoluto (Kant), il secondo è quello che considera assoluto il soggetto (Fichte). In entrambe le posizioni la ragione è ‘depotenziata a intelletto’, poiché l’autentico universale non viene mai raggiunto e si prospetta la necessità di un progresso all’infinito per tale raggiungimento.

    Nel frammento Libertà e Destino, probabilmente risalente al 1799-1800, Hegel descrive in poche pagine lo stato alienante in cui l’uomo si trova e nello stesso tempo prospetta la necessità di un suo superamento: Lo stato dell’uomo che il tempo ha cacciato in un mondo interiore, può essere o soltanto una morte perpetua se egli in esso si vuol mantenere o, se la natura lo spinge alla vita, non può essere che un anelito a superare il negativo del mondo sussistente per potersi trovare e godere in esso, per poter vivere⁷. Il rimanere confitti nell’interiorità rappresenta la risposta, tipica dello spirito protestante, allo scadimento della vita sociale. Perduta ogni fiducia verso la realtà, ci s’illude di soddisfare il bisogno di libertà e incondizionatezza all’interno della soggettività. In realtà questa prospettiva radicalizza in maniera più forte, quello stato di disunione del singolo con l’universale. In questo modo l’universale è sentito ancora più lontano da sé e la vita dell’uomo può essere solo ‘una morte perpetua’. L’esaltazione dell’interiorità come il luogo per eccellenza dove poter appagare il desiderio di libertà, è uno degli aspetti tipici della cultura protestante tedesca. Marcuse, nella sua analisi più matura del pensiero hegeliano, nota che dalla Riforma in poi, le masse si erano abituate all’idea che per loro la libertà era un valore interiore del tutto compatibile con ogni forma di vincolo esterno, […] Una lunga disciplina aveva reso interiori le esigenze di libertà e razionalità dei tedeschi. Una tra le più importanti funzioni del Protestantesimo consiste nell’aver indotto individui emancipati ad accettare il nuovo ordine sociale allora sorto, trasferendo le loro aspettative ed esigenze dal mondo esterno a quello della loro vita interiore. Lutero sostenne che la libertà cristiana era un valore interiore che andava realizzato indipendentemente da qualsiasi condizione esterna. La realtà sociale divenne indifferente nei confronti di quanto riguardava l’essenza dell’uomo. L’uomo doveva apprendere a trovare in se stesso la soddisfazione delle sue esigenze e cercare di realizzare le sue possibilità non nel mondo esterno, ma nell’ambito della sua vita interiore⁸. Questo tipo di libertà per Hegel è solo l’idea della libertà che non ha presa sulla realtà ed è quindi destinata a rimanere qualcosa di astratto, di ineffettuale. Al contrario, l’atteggiamento del filosofo è quello di impegnarsi nella vita politica e sociale, affinché venga superato ‘il negativo del mondo sussistente’ cioè lo stato di scissione che caratterizza la vita degli uomini. Il fatto che la libertà debba configurarsi nel mondo e non in una vuota interiorità o peggio ancora in un lontano al di là, è una costante del pensiero hegeliano. Non si dà autentica libertà se non all’interno dell’eticità: L’eticità è l’idea della libertà, idea intesa come il bene vivente, il quale ha nell’autocoscienza il suo sapere, volere, e ha la sua realtà grazie all’agire dell’autocoscienza, così come questa ha nell’essere etico la sua base essente in sé e per sé e il suo fine motore, – il concetto della libertà divenuto mondo sussistente e natura dell’autocoscienza⁹. L’esigenza di soddisfare l’idea di libertà, deve trovare una giusta realizzazione nel mondo e non in un lontano dover-essser di cui si avverte sì il bisogno, ma mai una completa attuazione. Il compito del filosofo cioè superare lo stato di scissione nei vari ambiti in cui si manifesta, per ripristinare l’unità infranta, è allo stesso tempo teoretico ed etico¹⁰; teoretico perché obbedisce all’esigenza logica-ontologica di emendare quel tipo di filosofia che si accontenta di un abisso incolmabile tra l’uomo e Dio, tra particolare e universale, tra i molti e l’uno. In questo modo Dio o l’Assoluto che dovrebbe essere infinito, diviene qualcosa di limitato e finito a cui si contrappone l’uomo. Questa contraddizione va superata perché un universale di questo tipo fa astrazione dalla particolarità e quindi diviene anch’esso un particolare accanto agli altri. In altri termini una universalità meramente contrapposta all’individualità non sarebbe una vera universalità, ma al contrario e sotto altra forma la semplice individualità. [...] Bisogna oltrepassare quella che si può chiamare semplice riflessione opponente finito e infinito, così che il finito sia duplicato e ci si trovi al cospetto di due finiti, anziché giungere a quell’unione di finito e infinito che Hegel vuol conseguire¹¹. Allo stesso tempo lo sforzo del filosofo è anche etico perché una società in cui si radicalizza la scissione, non è razionale, non riesce a integrare e armonizzare gli interessi dei singoli con l’interesse generale, produce infelicità poiché il singolo nello stato non vede un suo prodotto ma una forza estranea sotto cui è costretto a vivere. Questo tipo di società può dar vita soltanto a un sistema degli egoismi, ma non realizzerà mai la libertà, ossia una condizione del mondo in cui l’individuale rimane in inseparabile armonia con l’intero, e in cui le condizioni e i rapporti del suo mondo non posseggono alcuna oggettività indipendente dall’individuale¹².

    Ciò che fa scaturire il superamento della disgregazione è la contraddizione tra quello che gli uomini provano, vivendo in un sistema sociale divenuto a essi ormai estraneo e la loro interiorità: Il sentimento della contraddizione della natura con la sussistente vita è il bisogno che la contraddizione venga tolta, quando la sussistente vita ha perduta la propria potenza e ogni sua dignità, quando essa è divenuta un puro negativo¹³. Queste parole anticipano quello che Hegel sosterrà nello scritto sulla Differenza del 1801: Quando la potenza dell’unificazione scompare dalla vita degli uomini e le opposizioni hanno perduto il loro rapporto vivente e la loro azione reciproca e guadagnano l’indipendenza, allora sorge il bisogno della filosofia¹⁴. La necessità di ristabilire la potenza dell’unificazione equivale al bisogno di togliere la contraddizione. La vita in una società scissa sotto tutti i punti di vista, è un puro negativo perché l’autocoscienza non vi si riconosce e avverte l’oggettivo come totalmente altro da sé, come un qualcosa di contrapposto. La scissione è vissuta e sperimentata da Hegel prima ancora che in ambito filosofico, di cui il soggettivismo rappresenta il culmine, da un punto di vista etico-politico. Come ha giustamente notato Lugarini, con un quarantennio di anticipo su Feuerbach, la filosofia è vista nascere dalla non-filosofia¹⁵. La filosofia ha il compito di comprendere la realtà, ma non si limita soltanto a tale comprensione, è allo stesso tempo una trasformazione, un superamento dell’oggettività affinché questa corrisponda alla soggettività poiché il pensiero ha la potenza di trasformare la realtà. In una lettera a Niethammer dell’ottobre del 1808 Hegel scrive che: il lavoro teoretico, me ne vado convincendo ogni giorno di più, produce nel mondo più che non il pratico; una volta rivoluzionato il regno della rappresentazione, la realtà effettuale non tiene più¹⁶. Quando la vita perde la ‘propria potenza e dignità’, cioè la capacità di tenere unito un popolo o uno stato e diviene un ‘puro negativo’, allora è necessario togliere la contraddizione e realizzare la ‘potenza dell’unificazione’.

    Detto questo, possiamo individuare tre punti decisivi del pensiero hegeliano:

    1) Il rifiuto della filosofia che fa astrazione dalla realtà¹⁷.

    2) La critica al concetto interiorizzante di libertà che mette tra parentesi il mondo.

    3) La negazione di un atteggiamento di tipo giustificazionista del reale¹⁸.

    La celebre affermazione ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale¹⁹ che ha suscitato tanto scalpore ed è stata criticata da quasi tutta la cultura filosofica posteriore, se assunta nel suo autentico significato, esprime l’idea che l’oggettivo, inteso sia come mondo naturale sia come mondo storico, non è abbandonato a se stesso, all’irrazionale, al disordine, ma al contrario è intriso di razionalità e nello stesso tempo il pensiero non è qualcosa di altro dal mondo ma rappresenta la struttura essenziale di ogni realtà. La razionalità di cui parla Hegel non deve essere confusa con il pensiero soggettivo, poiché essa è la ratio, la ragione universale che permea ogni aspetto sia della vita naturale sia di quella umana. Dunque se si ammette che v’è ragione nel mondo naturale, tanto più ve ne sarà nel mondo storico poiché in quanto si dice che nel mondo oggettivo v’è intelletto, che v’è ragione, in quanto si dice che lo spirito e la natura abbiano leggi universali, cui si conformano la loro vita e i loro mutamenti, con ciò si concede che le determinazioni del pensiero abbiano insieme anche un valore e una esistenza oggettivi²⁰. Che il reale sia razionale non vuol dire che sia anche giusto da un punto di vista etico, ma significa che tutto ciò che accade è determinato da una razionalità intrinseca. Nella natura vediamo all’opera il Logos o meglio per Hegel la natura è alienazione del Logos. Quest’affermazione può sembrare azzardata ma è implicita in ogni tentativo umano di comprensione del mondo. Cosa fa lo scienziato se non svelare questa ragione interna alla natura? Il suo fine è quello di spiegare il perché dei processi naturali, ma nel far ciò caratterizza la natura come intrinsecamente razionale. Consapevole o no, lo scienziato, nel trovare le leggi che spiegano la realtà, non fa altro che mettere in luce l’identità dell’essere col pensiero: "l’empiria non è la mera recettività dei sensi ma è essenzialmente rivolta alla ricerca dell’universale, delle leggi, dei generi, e producendo

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