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Ci abbiamo messo la faccia
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E-book161 pagine2 ore

Ci abbiamo messo la faccia

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Info su questo ebook

Questo libro racconta il vissuto personale, la vicenda umana di chi ha dovuto compiere delle scelte difficili in questi mesi di guerra contro il Covid. 
Di chi era al posto di comando quando è comparso il “nemico invisibile” e ha dovuto scegliere se aprire o chiudere, se impedire o consentire senza spegnere l’interruttore dell’Italia. 
È la voce di tutti i 20 presidenti di regione dalla a di Acquaroli (Marche) alla zeta di Zingaretti (Lazio)che hanno “messo la faccia” in questi mesi di dura battaglia. 
Ricordando le parole pronunciate dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nella sua visita al cimitero monumentale di Bergamo: «Fare memoria per non dimenticare, per riflettere su ciò che non ha funzionato e sugli errori da non ripetere».
Prefazione di Stefano Ceccanti, capogruppo Pd in commissione Affari costituzionali e presidente del Comitato per la Legislazione
LinguaItaliano
Data di uscita16 feb 2021
ISBN9791280184610
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    Anteprima del libro

    Ci abbiamo messo la faccia - Giovanni Lamberti

    V

    Colophon

    Ci abbiamo messo la faccia

    di Giovanni Lamberti

    ISBN 9791280184610

    @All Around 2021

    redazione@edizioniallaround.it

    www.edizioniallaround.it

    Introduzione

    Questo libro non vuole essere la difesa di nessuno. Sarà la storia a giudicare l’operato di chi si è trovato ad avere la responsabilità di tirare fuori il Paese dalla malattia respiratoria acuta da Sars-CoV-2, meglio nota come Covid-19. A valutare se sono stati compiuti errori o quali sono stati i meriti nella gestione di un anno di pandemia. Altre sono le testimonianze più importanti del 2020. Quelle dei medici e degli infermieri in trincea negli ospedali. Quelle degli anziani soli nelle Rsa, dei malati, degli abbandonati, degli esclusi. Quelle di chi si è messo in fila alla Caritas per un pasto caldo, perché le vittime sono anche loro, i padri di famiglia, chi ha perso il lavoro, chi è diventato povero per colpa dei periodi di lockdown e di una crisi economica che rischia di essere senza precedenti. Tutti hanno dovuto affrontare il Covid-19. Gli eroi sono quelli che hanno combattuto, chi è morto lottando, magari nella solitudine. Gli eroi sono quelli in corsia osannati soprattutto nella prima ondata da un popolo che ha cantato sui balconi e dispiegato striscioni per poi, a dire il vero, rinchiudersi nell’insofferenza e in una più che giustificata rabbia. E la politica? I presidenti di Regione? I ministri? Anche loro ovviamente hanno fatto la propria parte. Facendo bene o male sarà il tempo a giudicarlo. Non tocca a me stilare classifiche oppure dare dei voti. Ho cercato solo di raccontare un pezzo di questa tragedia. Ho acceso il microfono, dando la parola ai governatori, raccontando la loro personale guerra. Senza esprimere il benché minimo giudizio, ma con la consapevolezza che lo schiaffo è arrivato per chiunque, anche se ovviamente non allo stesso modo.

    Ho lavorato a questo libro nel mese di dicembre 2020 e a inizio gennaio 2021, quando la pandemia ci ha costretto di fatto a un nuovo lockdown. Per realizzarlo ho sentito al telefono quasi tutti i governatori (tranne il presidente della Sardegna Christian Solinas e quello della Campania Vincenzo De Luca), per farmi raccontare la loro esperienza di un anno di guerra al Covid-19. Il presidente del Veneto Luca Zaia una domenica mattina di dicembre: mentre passeggiava difendeva a spada tratta il suo operato e io percepivo il silenzio, forse anche la nebbia, che lo circondava, un silenzio interrotto solo dall’abbaiare dei cani. Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, la mattina del 27 dicembre, il giorno del Vaccine-day: dal timbro della sua voce era evidente che la gioia per l’alba di un nuovo sogno si mischiava alla tristezza per le tante vittime nella regione. Il presidente delle Marche Francesco Acquaroli mentre era in isolamento, sua moglie aveva contratto il virus. Hanno affrontato la prova della malattia i presidenti di Piemonte e Lazio, Alberto Cirio e Nicola Zingaretti, e sentendoli comprendi subito che per loro non è stato facile. Un filo comune lega i racconti dei presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano, Maurizio Fugatti e Arno Kompatscher e del presidente della Valle D’Aosta Erik Lavevaz: dei veri e propri sfoghi dopo lunghi mesi di trincea. Nei ricordi di Nino Spirlì c’è la compianta presidente della Calabria, Jole Santelli; in quelli di Giovanni Toti il parallelo con la tragedia del ponte Morandi a Genova, «ma qui siamo alla fantascienza». Nei toni della governatrice dell’Umbria Donatella Tesei e del governatore della Toscana, Eugenio Giani, l’amarezza per la chiusura natalizia che ha spento le luci di luoghi pieni d’arte e di turisti. Mentre il presidente della Sicilia Nello Musumeci mi ha subito invitato a considerare anche le altre vittime, quei padri di famiglia che per la crisi economica sono stati costretti a rivolgersi ai cravattari per mettere un piatto caldo alla tavola della famiglia.

    La durezza della prima fase dell’emergenza sanitaria emerge in tutto il suo dolore nei resoconti del presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, del governatore della Puglia, Michele Emiliano, e del presidente del Friuli, Massimiliano Fedriga. Sofferenza che traspare anche nei racconti dei presidenti di regioni più piccole, come la Basilicata (Vito Bardi) e il Molise (Donato Toma). Alcuni governatori li ho incontrati personalmente, come il presidente dell’Abruzzo, Marco Marsilio: nei suoi occhi la determinazione a combattere fino in fondo ma anche l’amarezza per il rapporto con il governo che non è stato affatto facile, come evidenzia anche il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, che nel libro ripercorre tutte le tappe di come l’esecutivo ha cercato di contrastare il diffondersi del contagio. Da lontano, da Bruxelles, il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, era impegnato a cercare di portare avanti gli interessi dell’Italia con il Recovery plan; nella sua mente impressa l’immagine del Papa in una Piazza San Pietro vuota sotto la pioggia.

    Prefazione di Stefano Ceccanti

    Questo libro ha il pregio di mostrare la crisi pandemica attraverso tutti i livelli di governo: dall’Unione Europea, allo stato nazionale alle Regioni. Ognuno può così farsi un’idea del ruolo giocato in ciascuno di essi dai principali attori coinvolti, facendo le dovute comparazioni.

    Quello che ha agito in modo particolarmente attivo, al di là di ogni più rosea aspettativa, specie se lo compariamo al periodo della crisi economica degli anni precedenti, è senz’altro, per giudizio unanime, quello dell’Unione europea: lo si coglie nella parte relativa al commissario Ue per l’Economia, Paolo Gentiloni.

    Più controversi invece i giudizi sugli altri livelli di governo e sul loro intreccio, anche se non si tratta di una questione solo italiana. Tutti gli esecutivi nazionali sono stati variamente criticati e così anche gli assetti centro-periferia, sia dove essi sono ancora fortemente accentrati (Francia) sia dove sono più decentrati (Spagna).

    Leggendo il testo, però, si capiscono alcune specificità innegabili del contesto italiano, descritte con equilibrio, senza i toni apocalittici che spesso vengono utilizzati da molti analisti e commentatori.

    Il quadro lasciato in eredità dal Titolo V è obiettivamente incompiuto, come l’Autore fa notare in più punti: la principale sede di cooperazione, la Conferenza Stato-regioni, non ha ancora una dignità costituzionale ed è assente un’esplicita clausola di supremazia statale che non deve servire ad accentrare, come spesso polemicamente si sostiene, ma a flessibilizzare le sfere di competenza e a garantire un decisore di ultima istanza. Ovviamente ciò non significa che, in assenza di soluzioni di sistema, tutto sia rimasto inerte: il testo rende conto, com’è giusto, che prestazioni di unità sono state comunque garantite dal Capo dello Stato con puntuali richiami alla leale cooperazione e dalla Corte costituzionale con l’ordinanza che ha sospeso gli effetti della legge anti-Dpcm della Val d’Aosta, riconoscendo una supremazia di fatto al livello centrale. Le soluzioni stabili e di sistema sono senz’altro preferibili, ma è bene che chi può, come in questi casi, agisca, perché alle emergenze va data comunque risposta. Quello che obiettivamente si nota, tra le righe, è però anche l’asimmetria tra la forma di governo regionale, come rinnovata nel doppio passaggio 1995 (riforma elettorale) e 1999 (riforma costituzionale con elezione diretta del Presidente e meccanismo del simul stabunt, simul cadent) e quella nazionale. La prima, rinnovata e che garantisce una stabilità di mandato, la seconda invariata e ritornata a un’evidente deriva assembleare in seguito alla frammentazione di poli e partiti.

    Sul livello statale, nei rapporti Parlamento-Governo, il testo richiama l’introduzione del controllo flessibile del Parlamento sui Dpcm con l’illustrazione preventiva alle Camere (ove possibile) con voto parlamentare. Uno dei modi con cui il Parlamento ha cercato di evitare i rischi di marginalizzazione che sono sempre evidenti nei periodi di emergenza, per loro natura terreno più agevole alla centralizzazione intorno ai governi, organismi strutturalmente più ristretti e più agili nel decidere.

    In questo tentativo di evitare squilibri credo sia stato meritorio il ruolo del Comitato per la legislazione, un organismo parlamentare di garanzia, che decide all’unanimità e che era quasi sconosciuto prima dell’emergenza. Il Comitato è intervenuto più volte, in particolare per definire la cornice entro cui i Dpcm potevano muoversi al momento della prima proroga dello stato d'emergenza, per delimitare i poteri del ministro dell’Economia in materia di bilancio rispetto al ruolo del Parlamento, per evitare che i termini di durata dei Dpcm si avvicinassero a quelli dei decreti (i Dpcm che saltano la conversione si giustificano se sono di breve durata, di massimo trenta giorni, altrimenti bisogna scegliere i decreti, in cui la conversione dà un ruolo maggiore alle Camere) e per invitare a limitare i cosiddetti decreti-minotauro (decreti che nel percorso ne assorbono altri). Quest’ultimo fenomeno è una delle cause principali anche della regola, diventata nell’emergenza senza eccezioni, del cosiddetto monocameralismo di fatto che esclude dal potere di emendamento i parlamentari della seconda Camera in cui arriva un decreto. Dovendo assorbire decreti precedenti a rischio decadenza e/o attendere quelli successivi diventa inevitabile esaminare i testi solo nella prima Camera, ma per questo occorre ritornare a una conversione specifica per ognuno di essi. Il Comitato è anche pronto a intervenire sulle modalità di attuazione del Next Generation Ue, per spingere in direzione dello strumento più rispettoso del Parlamento, leggi delega organiche e con pareri parlamentari nel percorso, invece dei decreti legge.

    Da notare anche le modalità innovative adottate dal Comitato sin dall’inizio della legislatura: non solo i pareri formali previsti, ma la loro puntuale traduzione in ordini del giorno e in emendamenti a opera dei singoli componenti, con una pressione bipartisan non facilmente ignorabile, come nel caso degli ordini del giorno su durata dei Dpcm e contro i decreti Minotauro, a cui il governo ha dato in Aula prima parere negativo e poi lo ha dovuto trasformare in positivo.

    Non tutto è andato bene, quindi, nell’emergenza, anche nei rapporti tra istituzioni, come il libro evidenzia. Però vi sono stati comunque dei meccanismi di paracadute, dei soggetti che hanno operato per ridurre i danni, con esiti in ogni caso apprezzabili.

    A questo punto non resta che leggere il testo.

    Il fronte dei governatori

    È il 16 maggio 2020, il giorno dell’addio all’autocertificazione. Finalmente si può uscire, il premier Giuseppe Conte illustra le misure agli italiani ma prima di firmare il nuovo provvedimento viene fermato dalla protesta delle Regioni. Nonostante un’intesa raggiunta dopo una lunga riunione nel pomeriggio, il ministero della Salute non ha inserito le indicazioni dei governatori nel Dpcm. È braccio di ferro sui protocolli per tornare al lavoro in sicurezza, ci sono quelli dell’Inail ma i governatori li considerano inapplicabili, minacciano di far saltare il banco, chiedono una copertura legale. È appena finita una conferenza stampa del presidente del Consiglio che ha dato il via libera alla fase 2, l’appendice è una riunione con le Regioni nel pieno della notte.

    La mediazione è stata portata avanti dal presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini che si sente in qualche modo sconfessato dall’operato del governo, minaccia il passo indietro. Il ministro Francesco Boccia è tornato a casa alle 22, molto prima del solito. Ordina una pizza, sta stappando una birra quando arriva la telefonata del premier: «Devi rientrare, c’è un problema». Un suo amico per un breve tratto lo accompagna con il motorino, poi l’auto di servizio lo porta nella sede del governo. Nel frattempo i governatori sono in attesa. Ci sono tutti. «Mi hanno chiamato Fedriga, Zaia e Bonaccini per riferirmi che avevano avvertito il premier che l’intesa stava per saltare. Sono subito tornato in Regione», ricorda il presidente della Liguria, Giovanni Toti. Il clima è comunque positivo, si spera nella ripartenza, c’è da riavviare il motore del Paese. «È in quel momento che – racconta Alberto Cirio – è nata la squadra, si è cimentato il gruppo. Nessuna differenza tra Nord e Sud o tra destra e sinistra ma un unico fronte». Il governatore del Piemonte è in un angolo della cucina, appoggiato al tavolo, «fate piano, ho i ragazzi che stanno dormendo».

    Anche il presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti si chiude in cucina per non disturbare la famiglia, alcuni presidenti di Regione sono in pigiama. Un attimo di respiro dopo mesi duri e difficili, in attesa dell’arrivo di Conte: il presidente dell’Abruzzo Marco Marsilio tira fuori una bottiglia di filu 'e ferru, l’acquavite tipica della Sardegna e la mostra al governatore sardo Christian Solinas.

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