Come pietra sotto la neve. Vol. 1: (volume 1)
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Recensioni su Come pietra sotto la neve. Vol. 1
1 valutazione1 recensione
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Poesia pura in una storia di una ragazza che intraprende un profondo viaggio spirituale, davvero molto bello.
Anteprima del libro
Come pietra sotto la neve. Vol. 1 - Riccardo Innocenti
Spirito
CAPITOLO 1
Per molto tempo ho creduto che prestare servizio in Polizia esaurisse le mie ambizioni. L’equazione può sembrare oltremodo semplicistica. Non dico mi limitassi a pensare la mia vita in termini meramente lavorativi; ma le domande più importanti, a cui seguivano spesso risposte altrettanto impegnative, le rinvenivo all’interno del mio piccolo mondo, composto essenzialmente dal lavoro. Per il resto, nel cosiddetto tempo libero, sovente quelle stesse domande restavano circoscritte in ambiti spazio-temporali modesti, che non richiedevano indagini attraverso cui procedere ad una conoscenza vera, approfondita di quello che davvero mi stava a cuore. Ciò di cui realmente si nutre ed ha bisogno lo spirito di ogni essere umano richiede spesso sforzi conoscitivi che durano svariati anni. Un tempo di gestazione e metabolizzazione lungo e complesso. Il riferimento è, non solo e non tanto, a ciò che ci circonda, ma soprattutto a quello che dentro di noi può, all’apparenza, sembrare lapalissiano e che, ad una più attenta analisi, si rivela disancorato da certezze comode, compresse in piccole scatole private, che spesso rendono la vita più semplice e lineare.
Quello stesso servizio alle dipendenze, economiche e contrattuali, per lo Stato, mi aveva dato molto, forse più di quanto avessi pronosticato. L’errore è stato credere che potesse nutrire aspirazioni e ambizioni a tempo indeterminato; rispondere a molte di quelle domande che, progressivamente, si stavano affacciando sul mio percorso, sempre meno lineare, intento invece con l’iniziare a correre su binari ignoti, che mi avrebbero portato lontano dalle convinzioni che confortavano le mie illusioni. Mi chiedevo di frequente, anche allora, come sarebbero andate le cose se fra me e i dubbi che si affacciavano (sia pure con fare cauto e paziente) non si fosse frapposto quell’evento traumatico.
Magari non avrei avuto lo stesso bisogno di cercare di capire, o anche solo di provare a farlo, chi fossi davvero.
Eppure quella ricerca autentica ha smascherato i perimetri all’interno dei quali mi ero collocata, quasi in una stasi impalpabile, la quale, evidentemente, mi stava facendo del male. La risposta può apparire scontata: avrei continuato a percorrere quegli stessi binari, tracciati tanti anni prima in modo pressoché autoreferenziale. Invece mi sono ripetuta più volte che a quella stessa domanda può seguire una risposta complessa, non unidirezionale. Forse qualcosa si stava muovendo, e non avrebbe smesso di farlo, portandomi inevitabilmente dove sono ora. Ma col senno del poi si è più bravi con le risposte, e, spesso, ci si serve delle stesse per aggiustare retroattivamente qualcosa che non sappiamo collocare, che non riusciamo a spiegare con esattezza.
Molti anni fa, prima di cominciare a seguire innumerevoli corsi di formazione, teorica e pratica, al fine di accingermi, quanto più preparata possibile, al concorso in Polizia, già iniziato col pormi domande scomode, a cui non potevano che seguire risposte altrettanto complesse e polivalenti.
A dire il vero non sono mai stata particolarmente propensa verso l’astrazione concettuale. Riservavo piuttosto alla mia vita un ordine di priorità di intensità crescente, cercando di concentrarmi sugli obiettivi che mi ero predeterminata, quasi in una sorta di scala gerarchica piramidale. In un’ottica prettamente individualistica, tutto avrebbe dovuto ricondurmi verso un ordine da me stessa prestabilito, applicando criteri valoriali che oserei definire occidentali.
Non credo ciò possa essere dipeso unicamente da fattori endogeni. Certamente, spesso e volentieri, ho lasciato parlare per primo il mio carattere determinato, ostile alle sorprese, ai colpi di scena, ai cambiamenti repentini.
Un’analisi che può sembrare autoreferenziale, ma che credo si sia rivelata vicina al vero. Sentivo che, sfuggendo al controllo, soprattutto al mio giudizio, quei colpi di scena mi avrebbero condotta su un terreno selvaggio, incolto, privo di confini certi e palpabili. Il tutto avrebbe rischiato di intaccare le sicurezze, decantate e costruite a fatica; altre volte determinate dalla superficialità con cui si è soliti accontentarsi di ciò che, all’apparenza, sembra l’ovvia risposta a tutte le domande scomode, ma che, inevitabilmente, la vita ci riserva su una strada tracciata anni prima, dove la linearità non manca di essere interrotta da (spesso anche brevi) momenti di messa in discussione, di perturbazioni dell’animo. Per quanto mi sforzassi di reprimere certi istinti, evidentemente, la complessità della realtà fenomenica necessita di analisi più dettagliate, meno semplicistiche, le quali sfuggono alle paure; quelle che, per quanto spesso riposte nei meandri dell’inconscio, represse quasi come qualcosa di cui vergognarsi, riescono a riemergere, a discapito di qualsiasi volontà contraria.
Oltre che a dati caratteriali, non ho mai dubitato che certi atteggiamenti rispecchiassero le usanze, le consuetudini, le abitudini sedimentate e stratificate negli anni di storia della civiltà occidentale. Il riferimento è a quei fattori esogeni che in un primo momento sembrano scissi dalla nostra personalità, per poi collocarsi, invece, su un piano di stretta correlazione, penetrando attraverso le barriere frapposte dai caratteri di ognuno, anche quelli più duri, impenetrabili.
Ebbene, mi sentivo addosso il peso della commistione di quegli elementi, intrinseci ed estrinseci, senza avere la possibilità di pensarmi fuori dagli schemi che avevano pilotato le scelte più importanti della mia vita. Non solo le scelte; anche le modalità di pormi davanti alle stesse erano influenzate da quegli stessi fattori, portandomi verso una sorta automatismo materiale e spirituale, nei gesti e nei pensieri più reconditi.
Le domande si presentavano con