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Armonia e Disastro
Armonia e Disastro
Armonia e Disastro
E-book167 pagine2 ore

Armonia e Disastro

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Info su questo ebook

Fortuna
Accumulo
coagulo
addenso
goccia
L’equidistanza
dal centro
traccia un perimetro
cerchio
e la molle
mutevole essenza
trova nelle frequenze
l’universo forma
Così il circo
si nutre della sua Terra
e ne risponde
e mira alla luna
come altro da sé
in sé
fortuna
LinguaItaliano
Data di uscita7 gen 2021
ISBN9791220246453
Armonia e Disastro

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    Anteprima del libro

    Armonia e Disastro - Giampaolo Ravani

    fuori"

    Prologo

    A volte accade.

    Accade che inizino ad arrivare, senza preavviso alcuno, in una delle possibili città di questo mondo.

    Prima in pochi, poi sempre in maggior numero, fino a che le piazze e le vie si ritrovano piene zeppe di improbabili musicisti, con le loro bande, a suonare, ciascuno, il proprio moto. E questo per i successivi giorni, dalla mattina fino a notte inoltrata, in un continuo, inarrestabile, crescendo.

    Nessuna regola e nessun limite.

    Ed il bello è che funziona.

    Questa, se volete, è la nota bizzarra di echi lontani nati dal nulla, con senz’altro motivo che quello di trovare un degno riflesso. Stranezze capaci di aggregare gli esseri che abitano questa Terra in un modo naturale, così come fanno gli scoppiettanti fuochi nelle sere autunnali nelle campagne, o in estate in riva al mare. E proprio come fa ogni singolarità nell’universo quando si rivela essere tale a chi l’osserva.

    Già! La singolarità.

    A tal proposito ne esiste una che forse più di ogni altra ha determinato l’evoluzione dell’intuito umano, e che molto ha a che fare con i raduni estemporanei in quelle vie e in quelle piazze.

    Questa singolarità è emersa grazie all’osservazione, via via sempre più approfondita, del moto relativo dei corpi celesti compiuta dall’uomo fin dalla notte dei tempi. In effetti rivolgersi alla volta stellata è una di quelle cose che a molti viene naturale fare, forse perché in essa si ritrova istintivamente una particolare specie di bellezza, o forse perché, attraverso essa, è più facile trovare eco ad un certo tipo di domande. Fin da subito, probabilmente, i movimenti del sole e dei pianeti han fatto da sponda ai racconti fantastici e alle leggende attraverso i quali i nostri avi sono riusciti a far più o meno luce nelle pieghe misteriose della vita nelle sue forme; contemporaneamente però, in quello stesso immenso disegno celeste, hanno potuto ritrovare uno sfondo immutabile e profondo, che ha molto a che fare con il concetto di eternità che ogni uomo si porta dentro.

    La differenza però deve essere scattata quando, attraverso lo studio sempre più preciso ed attento, è emerso che la supposta invarianza temporale della volta celeste era nei fatti solo apparente.

    Così attraverso i Sette Sapienti, che legano il cielo con un fazzoletto infinito di stelle, gli antichi devono essere arrivati a coniugare il singolare grado di inclinazione dell’eclittica rispetto all’equatore celeste, con il fenomeno millenario della precessione degli equinozi. Questo particolare connubio deve aver acceso ancor più la loro fantasia, al punto che hanno creduto di ritrovare, in quella dimensione Celeste, una nuova Terra ed un nuovo Mare.

    Replicare lassù quel che il ciclo del Tempo e delle Stagioni ha sempre rappresentato nell’esperienza di ciascun uomo sul nostro pianeta, nella sua alternanza continua tra la vita e la morte, deve essere stato facile e per certi versi inevitabile. Così come deve essere stato facile ritrovare nella Via Lattea il magico arco confine tra quei due nuovi e sospesi mondi, e, nei Gemelli e nel Sagittario, al tempo zero, i primi due cardini equinoziali.

    Da allora, e nei secoli a venire, si è venuta formando, in ogni luogo sul pianeta e per ciascuna civiltà, una narrazione fatta di Costellazioni e Simboli sempre più articolata e complessa che riferiva dei molteplici moti come mai aveva fatto prima.

    Ma così facendo, senza nemmeno accorgersene, sono stati messi filtri, recinti e paletti di ogni sorta, per tendere il limite al massimo grado e ricondurre tutto quel mistero sconfinato, ricco delle sue mitiche sponde, nel solco del Tempo, unico ritmo terreno concesso, con la puerile convinzione che dare tale siffatta risposta comportasse davvero il venir meno della Domanda.

    In realtà quell’urgenza di infinito nell’uomo non è mai scemato, non poteva. Ma a differenza di prima è venuta a mancare quell’originaria e simbolica immutabilità celeste, nella quale ciascuno, per proprio conto, poteva lasciar correre libero l’intuito, riponendo quel senso effimero di appartenenza a qualcosa di più grande.

    Così, a spiegazione di quest’insanabile urgenza, a tutte le latitudini e longitudini terrestri, nelle innumerevoli varianti concesse, si è iniziato a narrare di quel preciso momento quando accadde che Armonia si infranse, ponendo fine alla tanto agognata Età dell’Oro nell’Universo, e che altre età erano destinate, da quel momento, a succedersi secondo precise regole astrali, condannando così l’essere umano a quel senso di incompiutezza e di mancanza che da allora lo accompagna, inchiodandolo definitivamente nella sua forma terrestre.

    E tutto da allora sembra voler confermare quel che è stato predetto; quasi che il destino scritto dall’uomo con quell’alfabeto di stelle, debba risuonare, all’infinito, come divina condanna.

    Ecco!

    A perenne memoria di quel tempo lontano, ormai dai più dimenticato, - quando i pesi e le misure della Terra e del Cielo erano uguali, quando le singolarità non erano chiamate tali, e quando ci si permetteva di trovare risposte almeno tanto quanto ci si rivelava nelle domande -, ecco dunque che arriva nella città prescelta questa pacifica invasione, durevole il tempo necessario affinché chiunque, purché sia pronto, possa trovare il giusto appiglio, e che è destinata senza preavviso, così com’è iniziata, a finire.

    Sì!

    A finire.

    All’improvviso questa specie di dionisiaca ubriacatura ad un certo punto s’interrompe, dopo un’ultima gravida notte, ed ognuno riparte in silenzio, così come vi è giunto, con il proprio strumento in spalla.

    Perché ancora accade!

    Accade che l’uomo possa esplodere in urlo. E che qualcuno dal di fuori risponda. E che la poesia tracci la via, travalicando gli umani confini. E che il dubbio squarci il velo sulle mille, infinite, possibili vite. E che il Tempo, incarnatosi Uomo, si trasformi nel Mito. E che si assista all’inquieto muoversi della propria Ombra. E che si approdi in un luogo dove sentire ripulsa e compassione assieme, dopo essersi scoperti in catene. E che il controllo si riveli essere un chimerico inganno. E che la festa lasci il suo strascico vitale nell’aria. E che l’Ombra, ancora, come disperato ed ultimo atto, indossi le gigantesche sembianze. E che finalmente ci si accorga che il destino della scissione, alla fine, è il ricomporsi.

    Ma dove sono dunque i folli?

    Perché Esiste!

    Esiste un luogo dove il Tempo non esiste.

    Esiste un Uomo che vive in questo luogo.

    Esiste un Mito che nel Tempo non è mai esistito.

    Esiste un luogo dove vive questo Mito.

    Esiste un Uomo su una mappa che non esiste.

    Ed esiste una mappa che porta in questo luogo.

    Ebbene!

    Sia dunque questo il fedele racconto di quando tutto ciò è toccato a Venezia, affinché Regolo, il Leone, possa inseguire degnamente Spica, la Vergine, fin nelle profondità del Mare, dopo averlo già fatto per tutte le Terre Emerse del Cielo; e quel che è stato o che sarà non appaia solo in sogno, ma di fatto, per sempre, accada.

    Ma ora è Tempo che in città giungano le bande da tutti i possibili mondi attraverso i loro sentieri di stelle.

    Capitolo 1

    A Venezia, sul finire della notte.

    A quell’ora le calli erano pressoché deserte, e le ultime anime che si trovavano ancora in giro erano di quelle che non disponevano di alcun corpo dove poter trovare posto. Anime vaganti e solitarie dunque, che quando si incrociavano tra di loro, nelle calli strette tra i palazzi, sembrava non si toccassero neanche. Strusciavano i muri, salivano e scendevano i ponti, scansavano le sedie ed i tavoli abbandonati alla rinfusa davanti agli innumerevoli palchi disseminati per la città, dove, in quei giorni, le bande di musicisti si alternavano a suonare. Erano anime che continuavano ad andare avanti, da qualche parte, coi gatti che banchettavano lì con gli avanzi e che si fermavano al loro passaggio, come se le vedessero davvero muoversi nelle oscurità illuminate a sprazzi. Il ritmo del loro incedere sembrava seguire un diverso Tempo, quasi un eco, uno strascico regale che portava con sé le sospese armonie dei concerti, a quell’ora ormai spenti, e una specie di anticamera di invisibili porte.

    Per Venezia erano quelli i giorni della musica coi suoi riti e le sue melodie. Millenari passaggi degli alfieri provenienti da tutto il mondo, in un unico flusso ininterrotto, per incontrarsi ed ancora suonare insieme. E chiunque fosse riuscito, tra di loro, a ritrovare anche uno solo dei propri fili di aquilone era in automatico il ben accetto.

    Così tutte le camere disponibili di case ed alberghi traboccavano di ospiti e di strumenti; così le calli ed i rii, dalla mattina inoltrata fino a notte fonda, spandevano nell’aria una comprensione diversa; così infine l’incrocio casuale in quei giorni era sicuro preludio a qualcosa che poteva portare ognuno oltre il proprio umano anfratto.

    Dopo quel terminare la notte il suo racconto, e prima che l’aurora stendesse sulla laguna i suoi colori, c’era infine quell’attimo di sospensione in cui si poteva provare a stare in bilico per qualche secondo a ragionar sopra l’ignoto.

    E proprio in quell’attimo Desmo stava camminando nei pressi di Rialto in condizione solitaria e con lo spirito affranto. Ed era strano. Perché Desmo non era abituato a frequentare quel tipo di sensazioni.

    Anzi! A conoscerlo si poteva ben dire che non lo fosse affatto.

    Cartografo di professione, con specializzazione in mappe antiche, si era trasferito in città da qualche mese per la decifrazione di una speciale carta presso l’Istituto Del Mare di Venezia.

    La sua vita, a scorrerla velocemente, si era svolta sin lì a realizzare quella che era stata da sempre la sua più grande passione, e che si era trasformata con il tempo nel lavoro cha amava.

    Uomo fortunato!

    Desmo lo sapeva e se lo ripeteva spesso.

    Con il passare degli anni aveva capito benissimo come non fosse così scontato, per le persone, intercettare la strada in grado di accenderli all’istante e di tracciar loro, come era capitato a lui, la via da seguire in modo chiaro e netto.

    A riguardo i primi vividi ricordi di lui da bambino lo riportavano nel salotto della sua casa, con gli occhi sgranati davanti alla grande mappa appesa alla parete, tra il camino e la portafinestra, che suo padre aveva riportato da uno dei suoi innumerevoli viaggi. Ricordava bene di come aveva passato pomeriggi interi ad osservarla, cercando di riprodurla su carta nelle diverse sfumature che non smetteva mai di scoprire. Completamente rapito ne aveva seguito le linee ed i contorni, soffermandosi su quelle strane incisioni a margine, che solo dopo molti anni di studio era riuscito a decifrare. Aveva immaginato di percorrere quelle vie, attraversando luoghi e mondi sconosciuti, grazie a qualcuno che già l’aveva fatto. Senza accorgersene il suo cuore si era riempito così di gratitudine per chi quella mappa l’aveva tracciata, ripromettendosi ogni volta, nel suo petto di bambino, che anche lui un giorno ne avrebbe fatte di altrettanto belle. E se all’inizio aveva sognato di diventare l’eroe di quei luoghi, con avventure e scoperte sempre nuove, via via che il tempo passava e lui cresceva, quel che più l’aveva attirato era il poter decifrare ogni centimetro di tutte le carte geografiche che nel frattempo aveva scoperto esistere nel mondo.

    Così dopo aver frequentato il liceo nella sua città natale, si era iscritto all’Istituto Cartografico di Firenze, dove aveva potuto trovare e studiare le mappe antiche tra le più belle mai tracciate nella storia dell’umanità. Si era così trasferito armi e bagagli in Toscana per inseguire il suo sogno. Quel corso di studi gli aveva dato molto di più di quello che in cuor suo aveva sperato, confermando e rafforzandogli a suo modo la fiamma. Dopo la laurea Dimitri Stolkovic, suo professore di cartiglio medioevale, lo aveva voluto a lavorare con sé a Ferrara. Da lì la sua carriera si era svolta in un susseguirsi di soddisfazioni e successi. Nessuna mappa sembrava potergli resistere; riusciva a venirne a capo sempre, anche con le più difficili ed oscure.

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