«Fare» progettazione sociale: Azioni possibili per l'intervento sociale
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La progettazione in campo sociale sembra però mancare di quelle indicazioni teoriche e metodologiche, che ne fanno un ambito di azioni praticabili soprattutto dalle istituzioni preposte alla organizzazione e gestione delle strutture e delle risorse per il benessere delle persone e delle comunità.
Perciò attraverso gli esempi di progettazione sociale elaborati da “lavoratori del sociale” (sociologi, psicologi, manager di istituzioni e servizi di Welfare) si presentano casi, da cui si possono trarre indicazioni metodologiche e pratiche per costruire progetti finalizzati, di cui controllare e valutare gli esiti e gli effetti di cambiamento sociale effettivamente prodotti.
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Anteprima del libro
«Fare» progettazione sociale - Everardo Minardi
Minardi265
Presentazione
di Everardo Minardi
Presentiamo di seguito alcuni testi che si presentano come fogli di lavoro connessi con l’attività in fieri di progettazione sociale; essi si sono sviluppati a partire da un corso universitario di perfezionamento, centrato proprio sugli approcci teorici, metodologici e pratici del fare progettazione sociale.
Un percorso formativo, abbastanza insolito nell’area universitaria, che ha adottato una strategia di riflessione non tanto sui fondamenti teorici dei sistemi di Welfare, all’interno di un contesto di crisi sociale non epidemica, quanto piuttosto sulle modalità di riconfigurazione dell’agire professionale dei Social Workers per esplicitare e rafforzare le capacità di realizzare interventi sociali, all’interno dei processi di crisi sociale.
In questo quadro di riferimento, può essere allora rilevante, evidenziare almeno due temi di riferimento che possono meglio evidenziare il contesto dove si è collocato il fare
progettazione sociale.
In primo luogo, il cambio di paradigma: il passaggio dalla logica della programmazione a quella della progettazione sociale
Il cambio di prospettiva non è irrilevante, se si considera la differenza significativa tra i due approcci. Se ci si chiede come si faceva programmazione e si costruiva un piano, occorre mettere in evidenza il percorso che si adottava: dall’alto verso il basso. All’interno di un contesto meramente istituzionale (con procedimenti di valutazione e di decisione di carattere essenzialmente verticali), la programmazione si definitiva prioritariamente per il ricorso a modelli istituzionalizzati di acquisizione di conoscenze, dati essenzialmente formali e giustificati; per l’adozione di modelli applicativi già definiti e riconosciuti e quindi ripetitivi di azioni precedentemente validate tali da legittimare i comportamenti, comunque definiti e riconoscibili per la valenza metodologica e tecnica dell’azione. Il risultato della programmazione doveva quindi manifestarsi nella riduzione dell’incertezza e della variabilità delle soluzioni.
Numerosi e significativi sono i contributi che, a partire dal diritto amministrativo, hanno inteso dare un assetto definito alla programmazione ed ai suoi criteri di riconoscimento e di validazione; sono da evidenziare anche i cambiamenti intervenuti nelle sue procedure in relazione alla diversa articolazione delle competenze delle istituzioni (da quelle regionali a quelle locali) proprio nell’ambito della regolamentazione degli interventi in campo medico sanitario, dei servizi sociali e delle strutture a carattere socio-sanitario.
Se ciò non ha rallentato o cambiato l’assetto dei provvedimenti di programmazione sociale, non ha impedito, anzi ha incentivato per diversi aspetti, il processo di innovazione nelle risposte che si sono rese sempre più necessarie per cambiare, non solo registrare e classificare, la genesi dei bisogni e la manifestazione delle domande sociali.
Da ciò il cambio di prospettiva nell’azione di riconoscimento e di registrazione dei problemi sociali: dal basso verso l’alto, con un approccio di definizione e di circoscrizione dei bisogni sociali, a partire dai loro portatori, dal significato da essi dato, con i linguaggi propri degli individui e dei gruppi sociali di riferimento.
Tale approccio si rende necessario per la conoscenza limitata di modelli di riferimento che rendono riconoscibili le differenze dei problemi sociali propri di segmenti di popolazione, non sempre riconducibili a modelli forzatamente riduttivi della loro complessità.
Da ciò la necessità di adottare risposte in un certo senso flessibili, idonee a mettere in atto una relazione specifica tra il portatore del bisogno e colui che può condividerlo per individuare e sperimentare la soluzione applicativa, al fine del soddisfacimento del bisogno iniziale.
Ciò mette in rilievo un altro aspetto del tutto assente nelle procedure della programmazione sociale; in mancanza di norme specifiche si può certamente fare riferimento alle norme generali di indirizzo delle azioni risolutive dei bisogni, ma soprattutto occorre affrontare il terreno della innovazione nelle sperimentazione di soluzioni praticabili.
Di conseguenza si può mettere in evidenza un effetto inatteso della progettazione sociale: da un lato l’apprendimento di nuovi approcci, anche di inattese relazioni sociali, di nuovi linguaggi e rappresentazione dei bisogni sociali, non riducibili alle tipologie formali definite dalla prassi amministrativa; dall’altro, il rilievo che assumono quell’insieme di metodologie in un certo senso leggere
che diventano sempre più distintive nel lavoro sociale.
Perciò, si potrebbe affermare che fare progettazione sociale, proprio per la sua capacità di innovazione nella vision riflessiva e nella pratica sociale attribuisce centralità e protagonismo ai soggetti sociali nel rapporto con le istituzioni, rafforza il terzo settore (non profit, economia civile) nel rapporto tra economia di capitale e istituzioni pubbliche; in definitiva, rimette in significativa relazione la dimensione del micro con la dimensione del macro della organizzazione delle diverse articolazioni della vita sociale (dalla comunità alle organizzazioni ed alle istituzioni sociali).
Diventano di conseguenze rilevanti e significativi quegli aspetti che potremmo indicare come i punti forti del fare progettazione sociale:
Forte interazione con i contesti relazionali e comunicativi di destinazione degli interventi
Azione partecipata per la conoscenza e il cambiamento (Action Research) come approccio volto al cambiamento dei fattori genetici dei problemi e quindi delle domande sociali.
Nel corso di alta formazione destinato ai Social Wokers, diventa di conseguenza possibile ridefinire il know how della progettazione sociale, in termini tali da distinguerla in via definitiva, sotto il profilo concettuale e pratico, dalla programmazione sociale:
Si mette in atto una vera e propria transizione dall’analisi alla diagnosi sociale; si fa certamente ancora e con una maggiore intensità ricerca sociale, ma non solo quantitativa, ma ancor più qualitativa, audiovisuale, mediata da una intensa e mirata osservazione partecipante,
Si adotta la prospettiva e la pratica della ricerca azione per il cambiamento: la conoscenza si traduce certamente nel rafforzamento del ruolo di mediazione del Social Worker (dal sociologo, all’assistente sociale, al counselor, allo psicologo sociale, al manager sociale), ma acquista una sua centralità l’insieme degli skills di chi fa lavoro sociale, di chi operando all’interno delle situazioni problematiche della vita sociale è in grado di mettere in atto il controllo cognitivo del processo ed al tempo stesso è in grado di mobilitare le risorse interne ed esterne alla situazione problematica i fattori di supporto e di rafforzamento della azione risolutrice del problema, con il coinvolgimento diretto dei portatori del bisogno sociale.
Agire dall’interno del problema che genera bisogni e domanda sociale richiede un più forte intreccio tra micro-macro, tra informale-formale, tra la dimensione relazionale e quella istituzionale; non sono realtà separabili, come non sono separabili conoscenze, competenze e abilità professionali di chi lavorando nel sociale, non può estraniarsi da esso per limitare la propria azione risolutiva o solo nella clinica individuale o riduttivamente in quella della regolazione formale della vita sociale.
Da ciò si generano, peraltro, effetti significativi da vanno a rafforzare le competenze, e non a configurare anche formalmente nuove professioni per la progettazione sociale.
Anche nel corso di alta formazione, finalizzato ai lavoratori del sociale che vanno ad operare nel sociale
, si è inteso perseguire alcuni obiettivi da ritenersi del tutto rilevanti e per alcuni aspetti anche innovativi.
Diviene rilevante, a nostro avviso, il rinnovamento dei processi di formazione alla ricerca-azione e al lavoro sociale; un dimensione che non si realizza con un unico traguardo formalmente definito, ma nella continuità dei processi di interazione e di tensione che si sviluppano dentro e per effetto del lavoro sociale in contesti sempre diversi tra loro, nel tempo e nello spazio.
Da ciò l’esigenza, sempre più impellente, della ridefinizione delle conoscenze, delle abilità e competenze per gli operatori di un lavoro che si trova nella necessità di sviluppare, oggi anche attraverso le nuove tecnologie della informazione e della comunicazione, una rinnovata capacità di diagnosi sociale (problem setting), una più articolata competenze di gestione dell’intervento, anche attraverso il ricorso a risorse ed organizzazioni non profit della comunità (problem solving) e della valutazione sociale (una evaluation research che si manifesta non solo nella risoluzione del problema, ma anche e soprattutto nella costruzione condivisa (social sharing) della risposta che le persone o i gruppi sociali danno nel tempo e nello spazio in cui si muovono.
Un ultimo aspetto non irrilevante, da considerare con attenzione, proprio come indicatore dei risultati del percorso formativo effettuato sia dai destinatari dello stesso che dai docenti-esperti che hanno condiviso il percorso formativo, è da individuarsi nella riconfigurazione del profilo multidimensionale dell’operatore capace di gestire processi di processi di progettazione, e al tempo stesso di mettersi in relazione con enti, istituzioni ed organizzazioni che fanno programmazione sociale.
Un esito quest’ultimo da non sottovalutare, perché può mettere in evidenza l’appropriatezza del percorso formativo realizzato e la rilevanza dei suoi risultati: centralità o marginalità nel lavoro quotidiano di un Social Worker che deve ogni giorno dare risposte diverse a portatori di bisogni diversi, sempre più complessi e pesanti.
In tutto ciò può trovare una risposta la domanda sulla adeguatezza del percorso formativo attuato; anche i casi di seguito presentati possono dare una qualche risposta in proposito.
Progettazione sociale e web, immigrazione e sindacati
di Martina Cocco
Introduzione
Il presente elaborato vuol costituire una proposta di studio ed analisi che mira a porre in relazione le nuove tendenze della progettazione sociale con le caratteristiche proprie della web society, nonché coi fenomeni paradigmatici della coeva crisi sicuritaria. L’obiettivo è quello di approfondire le implicazioni del web 2.0 e le dinamiche della progettazione partecipativa, ponendo in luce non solo l’aspetto meramente tecnico-logistico ma anche la prospettiva comunicazionale, relazionale e sociale.
Dopo aver affrontato, nel precedente capitolo, un‘iniziale analisi sociologica, teorica e di contesto, necessaria per focalizzare le tematiche ed i principi cardine della trattazione, si passerà ad una descrizione più concreta ed esperienziale che, con esplicito riferimento alla mia esperienza di stage presso l’Ufficio Immigrazione Cisl, completerà la relazione conferendo un taglio più marcatamente critico e progettuale.
Fil rouge del presente capitolo, nonché dell’intero elaborato, è un doppio parallelismo.
Da una parte possiamo situare la configurazione tecnico-sociale del Web 1.0, caratterizzata da una rigida impostazione main-stream top-down, one to many, paragonabile alla struttura della programmazione sociale, burocratico-razionale di prima generazione.
Dall’altra poniamo, in netta antitesi, la realtà dell’attuale Web 2.0, interattivo, integrato, che si arricchisce dei flussi comunicativi dei fruitori finali (bottom-up, many to many) e che, pertanto, può ergersi ad efficace metafora e perfetto paradigma della progettazione sociale da noi presa in esame. Il Web è specchio del cambiamento sociale che stiamo vivendo, ed in esso possiamo cogliere le medesime variazioni che evinciamo dalla realtà concreta circostante. Virtuale e reale risultano quanto mai inscindibili.
Il mio sforzo in origine voleva consistere, inoltre, nel dipingere il Sindacato come una organizzazione dalle mille sfaccettature e potenzialità da dover necessariamente valorizzare ed ottimizzare.
È, infatti, proprio nell’attività degli sportelli di quartiere - che ho potuto affiancare con interesse, in fase di tirocinio - che risulta possibile cogliere quella che è la veritiera essenza della rivoluzione copernicana in atto nelle dinamiche della progettazione sociale, partecipativa e concertativa. L’utenza bisognosa di servizi, che si rivolge al sindacato, non costituisce una componente meramente passiva e ricettiva, ma è in grado di catalizzare l’attenzione, sottolineando proattivamente nuove problematiche, suggerendo preventivamente iniziative, proponendo soluzioni, ponendo la attenzione su domande sociali e disagi inediti.
Questo scambio virtuoso permette di raccogliere sul campo informazioni e adattare l’offerta alle situazioni di disagio in via di sviluppo, prima che le problematiche si trasformino in allarmi sociali diffusi e conclamati: l’accogliere i flussi informativi bottom-up dell’utenza è il succo della progettazione sociale ed è l’unica strada che consente ai disegni programmatori istituzionali top-down - mediante una costruttiva compenetrazione - di non diventare inutili e datati prima del tempo. La realtà sociale cambia e si sviluppa più velocemente di qualsiasi programmazione imposta dall’alto e delineata a tavolino.
Come in tutte le realtà di studio e ricerca sul campo, però, spesso i progetti iniziali vengono scombinati dalle contingenze che si vengono a creare. Nella mia trattazione porrò, nello specifico, in antitesi quella che potrebbe essere un’idea virtuosa e fruttuosa di comunic-azione, ricerc-azione di approccio innovativo, concertativo ed euristico (da me ipotizzata), con ciò che rappresentano nel concreto le organizzazioni sindacali, al di là di qualsiasi esercizio utopistico di mera ed ottimistica oratoria. I sindacati si possono ergere a lapalissiana incarnazione paradigmatica delle vecchie amministrazioni burocratiche tradizionali le quali, per quanti tentativi innovativi possano pubblicizzare, si andranno perennemente ed inesorabilmente a scontrare col pesante fardello di meccanismi, criteri e strutture anacronistiche ed incoerenti in chiara dicotomia con le logiche flessibili ed interattive della progettazione concertata nonché della web society. Se il sindacato, se le vecchie amministrazioni non abbandoneranno o, per lo meno, integreranno la logica sinottico-pragmatico-burocratico-razionale-quantitativa, non potranno mai approdare nella e-society, panottica-partecipativa-interattiva-flessibile-qualitativa.
La progettazione sociale nella web society:
un cambio di prospettiva¹
Considerata la crisi sociale ed economica che le nostre società stanno attualmente affrontando, come argomentato in precedenza, risulta necessario, all’interno della pianificazione sociale, un approccio nuovo, flessibile, pratico, in grado di rispondere alle istanze contingenti: un approccio eclettico², capace di valorizzare il potenziale e di sviluppare la quotidianità partendo dalla sussidiarietà, da un atteggiamento propositivo e promozionale, dalla imprenditorialità sociale, non solo dai bisogni ma anche dalle risorse; si tratta di una prospettiva poliedrica, ricompositiva, pluralista, integrativa, inclusiva, sinergica.
Tale nuova metodologia appena richiamata si concretizza nel Welfare Community o Welfare partecipato, ovvero in una integrazione fruttuosa che, per la prima volta, dovrebbe mobilitare le risorse informali, incanalare l’effervescenza collettiva, affiancare l’azione pubblica formale con la cooperazione del terzo settore: data la destrutturazione e l’indebolimento del Welfare istituzionale, si ricorre al self-help comunitario.
Si abbandona l’autoreferenzialità e la settorialità, per privilegiare un approccio olistico, globale, interdisciplinare, unitario, di reciprocità dialogica ed interattiva: una inedita forma mentis³.
Assistiamo ad uno svuotamento progressivo di senso della programmazione statale centrale, che col suo tecnicismo ha incentivato ed incrementato l’abilità di problem setting, di analisi e diagnosi, ma non quella di problem solving, ovvero la capacità di produrre un cambiamento dei fattori che generano il disagio. Inoltre, la dimensione a cui ci riferiamo nella società odierna, non riguarda più solamente il mero Well-fare ma l’orizzonte ben più articolato del Well-being, ovvero il benessere e la realizzazione dell’individuo, prerogative del contesto egualitario, sostanziale e positivo, proprio dello Stato Sociale contemporaneo.
Più nello specifico, per indicare il benessere, possiamo utilizzare il neologismo "wellthiness, che riunisce in un concetto onnicomprensivo due termini più specifici: la parola
wellness, che indica l‘essere in salute in senso lato, ed il vocabolo
healthiness", ovvero lo stare bene in senso più stretto e medico/fisiologico. In questa rinnovata ottica olistica ed interdisciplinare, la valutazione dei nuovi progetti non si riferirà esclusivamente ai meri output, ovvero alla constatazione del rispetto degli standard prefissati, al monitoraggio dei risultati prodotti in senso stretto e matematico, ma riguarderà necessariamente gli outcomes: si tratta della verifica dell’effettivo impatto sociale, diretto ed indiretto, che l’intervento ha avuto in riferimento allo stile di vita dei beneficiari; si esaminano le migliorie da poter apportare e si analizzano le cause di eventuali fallimenti o di indesiderati effetti perversi non previsti in sede di ideazione.
Dovendo fornire una definizione, la progettazione sociale è da intendersi come la costruzione partecipata e condivisa di significati ed azioni, un cambio di prospettiva sostanziale che procede con l’attivazione di attori e fattori in precedenza considerati variabili meramente dipendenti, ricettive, passive. Si evidenzia per la prima volta il ruolo degli attori che introducono un’azione nonché dei beneficiari della stessa, ruolo mai valorizzato in precedenza dalla programmazione one to many. Il cittadino è considerato come un esperto ed un imprenditore della qualità di vita, non più un come utente/cliente/paziente passivo: un portatore non solo di bisogni ma anche di risorse.
L’obiettivo della progettazione many to many, consiste nel cambiamento della situazione di disagio da cui si è generata la domanda di bisogno. A tal proposito vengono spesso impiegate le utili tecniche del marketing sociale e sanitario che, adeguandosi al target dei destinatari e facendo tesoro delle metodologie del marketing pubblicitario ed economico, sponsorizzano campagne per prevenzione e promozione socio-sanitaria, in un’ottica di superamento delle barriere ambientali, socio-economiche e personali che rendono più difficoltoso, per il soggetto destinatario, mettere in atto sani stili di vita: al beneficiario si deve mostrare quanto i costi del protrarre le condotte per lui dannose, superino i benefici dell’abbracciare le nuove buone prassi proposte.
Secondo la prospettiva costruttivista, che guida la rivoluzione copernicana della pianificazione sociale, è esclusivamente dalla virtuosa interazione tra stakeholders (portatori di bisogni) e shareholders (condivisori di risorse, buone pratiche) che si potrà avviare la fruttuosa costruzione dell’azione