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Conoscere per riconoscere: La criminalità organizzata nelle Marche
Conoscere per riconoscere: La criminalità organizzata nelle Marche
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E-book151 pagine1 ora

Conoscere per riconoscere: La criminalità organizzata nelle Marche

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Queste pagine sono concepite per diffondere e approfondire la conoscenza delle mafie e la loro espansione in aree non tradizionali del Centro-Nord Italia. Un’analisi dettagliata e stimolante, quella condotta da Sara Malaspina, che getta per la prima volta lo sguardo sull’esistenza della cosiddetta «mafia silente», in specie la ’ndrangheta, nel tessuto socio-economico delle Marche. Un territorio che, per contro, continua a connotarsi per il malcostume della politica locale e per atteggiamenti di indubbia sottovalutazione del fenomeno criminoso. Droga, traffico di esseri umani, riciclaggio, usura, sono inequivoci segnali della presenza di organizzazioni criminali sul territorio marchigiano e dei rischi ai quali lo stesso tessuto socio-economico è attualmente esposto. «Conoscere per riconoscere» significa
allora abbandonare - una volta per tutte - la distorta convinzione culturale delle mafie come problema esclusivo del Sud Italia e impegnarsi collettivamente nella sensibilizzazione della popolazione in difesa della legalità.
LinguaItaliano
Data di uscita24 lug 2019
ISBN9788832760163
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    Anteprima del libro

    Conoscere per riconoscere - Sara Malaspina

    vinta.

    1. La ricerca

    1.1. Gli obiettivi

    L’elaborato si propone di tracciare un quadro preliminare il più possibile esplicito circa la presenza della criminalità organizzata nella regione Marche, offrendo una panoramica degli aggregati associativi, alcuni dei quali di natura mafiosa, in quanto operanti sul territorio regionale. Un’analisi di natura socio-politica, basata sulla osservazione del territorio, che dagli anni duemila fino ai giorni nostri ha subito un lento, ma progressivo deterioramento delle condizioni di legalità.

    In tal senso, questa ricerca costituisce il primo passo di un lavoro più ampio e in divenire che s’intende portare avanti, per il monitoraggio e l’analisi dei fenomeni di illegalità collegati alla criminalità organizzata nelle sue diverse articolazioni. Ha, quindi, una natura introduttiva alla conoscenza della fisionomia del crimine organizzato così come si manifesta nel territorio marchigiano, al fine di comprendere come i sodalizi criminali di diversa estrazione geografica abbiano trovato un territorio favorevole a tali insediamenti: dalla legge che stabilì il «soggiorno obbligato» alle opportunità offerte dai grandi appalti passando per il business della droga.

    Uno sguardo, infine, alla ricostruzione post-terremoto nelle zone delle Marche colpite dal sisma, dove le indagini confermano gli interessamenti della criminalità mafiosa¹. Nella disamina sociologica della realtà marchigiana, delle congiunture e delle cause che hanno favorito l’attecchimento della presenza mafiosa, si farà riferimento a sodalizi mafiosi che, pur in assenza di un riscontro sul piano giudiziario come afferenti al 416bis del codice penale², presentano dal punto di vista sociologico modalità riconducibili al modello mafioso; questo, «valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo», perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso, di estremo pericolo per il sistema sociale, economico e istituzionale³.

    Possono, infatti, essere riportate al modello di stampo mafioso anche organizzazioni di minori dimensioni e capacità criminali, perché, utilizzando la forza di intimidazione, provocano assoggettamento ed omertà su un pur limitato territorio, o su un determinato contesto, sociale o imprenditoriale, con cui l’organizzazione viene in contatto⁴. Non può ignorarsi, infatti, una questione culturale molto più ampia che riguarda la cittadinanza nel suo complesso, nel riconoscere le nuove forme di criminalità in contesti non caratterizzati da presenza mafiosa⁵.

    Sempre in questa prospettiva, intendiamo presentare un’analisi del preoccupante processo di espansione delle organizzazioni criminali nel tessuto sociale, politico ed economico nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale; in aree «non tradizionali», ossia prive di forme criminali di matrice mafiosa autoctone, cercando di capire il modus operandi del crimine organizzato in contesti territoriali differenti da quelli di origine⁶.

    Resta da ricordare che il fenomeno del crimine organizzato nelle regioni diverse da quelle ove tradizionalmente le associazioni mafiose sono nate, si manifesta in forme differenti da quelle tradizionali, ma non per questo meno pericolose.

    Ancora, gli orientamenti descrittivi e interpretativi di fondo che vengono qui proposti sono il risultato di un lavoro di analisi e di studio, condotto con fonti investigative e giudiziarie, accademiche e giornalistiche. Fondamentale è stato il confronto con gli operatori del settore, per approntare una lettura critica e in certa misura predittiva delle principali dinamiche in atto, aggiornando le fonti e i dati rilevati, a fronte di una percezione diffusa di avanzamento criminale che si sta rapidamente allineando a quella delle regioni limitrofe, cui ha corrisposto, di converso, un intreccio tra omertà, riduzionismo e sottovalutazione sociale, forse partendo da una presunzione di immunità, che rischia oggettivamente di favorire la crescita della criminalità organizzata nella regione.

    La ricerca conferma la delicatezza del momento che la regione Marche sta attraversando, quella di una terra appetibile per le organizzazioni criminali. Né, peraltro, si vuole paventare un pericolo, senza indicarne con esattezza i contorni. Si tratta di un altro genere di riflessione, che è proprio quello di porre le basi concettuali della conoscenza del fenomeno mafioso. La condizione primaria per prevenire e contrastare la mafia è quella di conoscere la mafia per saperla riconoscere, non sempre di facile intelligibilità, a causa di quel male chiamato invisibilità⁷. Il giudice Giovanni Falcone ha dato il contributo fondamentale alla definizione del concetto di «mafia», pervenendo alla conclusione che:

    «la mafia (…) costituisce distorsione e strumentalizzazione dei valori tradizionali, mentre la cosiddetta mediazione esercitata dal potere mafioso altro non è che intermediazione parassitaria, ispirata a tornaconto personale. Le organizzazioni mafiose si presentano come vere e proprie strutture economiche e di potere (operanti tra l’altro in connessione con ambienti del potere ufficiale) che si alimentano attraverso il perpetuarsi delle rendite parassitarie, e l’instaurarsi di sistemi extraistituzionali di controllo sociale che si sovrappongono o tendono a sovrapporsi di fatto all’autorità costituita. Ma esse vengono altresì ad assumere sempre più nettamente la caratteristica di associazioni di tipo gangsteristico, nella cui attività rientrano l’eliminazione fisica degli avversari (…) stanti le incompatibilità esistenti fra l’ordinamento giuridico ufficiale e il parallelo ordinamento giuridico mafioso»⁸.

    Le mafie si somigliano tutte nei loro tratti essenziali: società criminali che hanno l’arricchimento come fine e la sopraffazione del potere legittimo nei territori e negli ambiti economici in cui si insediano come connotato tipico, ma al tempo stesso cambiano ed evolvono; non solo nascono nuove mafie, ma quelle tradizionali subiscono trasformazioni. Lo stesso uso della violenza e della intimidazione assume connotati nuovi e perde di essenzialità, come la stessa giurisprudenza sta, con inevitabili moti di assestamento, riconoscendo⁹.

    A riguardo, occorre saper guardare con attenzione alle attività criminose sul territorio, approfondire i cosiddetti «reati spia»¹⁰, ma anche i «fenomeni spia», indicatori sintomatici di attività criminali, ritenuti maggiormente indicativi di dinamiche riconducibili alla immanenza delle organizzazioni sul territorio, degli ovvi rischi di espansione criminale, infiltrazione mafiosa nell’economia locale e conseguente suo radicamento. Su questo aspetto, è utile osservare che c’è differenza tra la microcriminalità, dedita alle tipiche attività delinquenziali della cosiddetta criminalità diffusa, e la criminalità organizzata: non è una tipologia di reati che distingue la criminalità organizzata da quella non organizzata, ma una certa specificità organizzativa dotata di alcune caratteristiche¹¹.

    Questa non corretta valutazione comporterebbe poi che il fenomeno mafioso venga contrastato con strumenti inadeguati. C’è differenza tra la banda di ladri che si forma per commettere una rapina e l’organizzazione criminale dedita con continuità ad affari illeciti: nel primo caso siamo di fronte a un’organizzazione temporanea, nel secondo a un’organizzazione permanente o di lunga durata. La durata è, quindi, un elemento caratterizzante, insieme a quello della reputazione. Quest’ultima è una caratteristica che le organizzazioni criminali ricevono nel tempo e che deriva dalla percezione che mass media, organi di polizia e di giustizia diffondono sulla base delle conoscenze maturate.

    Questa reputazione, che porta ad associare certi comportamenti criminali a una data organizzazione, fa sì che proprio questa organizzazione venga definita come appartenente alla categoria criminalità organizzata. È superfluo sottolineare come tali atti, per essere debitamente valorizzati, debbono essere in qualche modo compresi, cioè capiti, evitando sia banalizzazioni che indebite suggestioni; e ciò può essere fatto solo dotando i settori più avanti del tessuto sociale di positiva pre-comprensione culturale, qualora si ritenga davvero che il contrasto dell’organizzazione mafiosa non debba essere delegato solo alla magistratura e alle forze dell’ordine. Da questo punto di vista, la scuola e l’università rivestono un ruolo preminente per la crescita dell’economia della conoscenza.

    Occorre, infine, tener presente la modernità con cui la criminalità organizzata cambia metodi e modi¹², l’evoluzione dei sistemi criminali, anche di quelli tradizionali, la loro adattabilità e il mimetismo con cui sanno stare nel nostro tempo. Continuare a concentrarsi sulle rappresentazioni stereotipate significa non perseguire le modernizzate mafie storiche e anche fare crescere, silenziosamente, accanto ad esse, le nuove mafie. Bisogna saper riconoscere le nuove forme criminali non appena e dovunque essere nascono.

    1.2. Le fonti e il metodo

    Sembra opportuno, a questo punto, per precisare meglio le finalità dell’argomento, chiarire l’approccio metodologico seguito nell’affrontare il tema vasto e complesso del fenomeno criminoso.

    In tale senso, il presente lavoro costituisce un’analisi specifica sulla criminalità organizzata sul territorio marchigiano. Una questione che si inserisce in quella più generale e straordinariamente complessa della criminalità organizzata di stampo mafioso e del relativo metodo di infiltrazione nelle regioni del Centro e del Nord Italia, delineando in questo modo uno schema interpretativo.

    In questa prospettiva, si sono prese le mosse da un’analisi preliminare del contesto storico di riferimento, necessario per la comprensione delle dinamiche criminali e dei fattori che favoriscono processi di infiltrazione criminale all’interno del contesto regionale marchigiano. Ispirato ad analoga finalità, è stato poi l’approfondimento del contesto spaziale e temporale dei gruppi criminali che operano nella regione. Così facendo si è proceduto ad una mappatura delle presenze e delle attività criminali. E, al contempo, ad un’attenta analisi della evoluzione del fenomeno criminale. Nel contesto delle attuali difficoltà economiche per il mancato sviluppo regionale e il grande business della ricostruzione territoriale dopo il terremoto del 2016, le Marche sono un territorio reso ancora più favorevole e vantaggioso per gli investimenti criminali. E questo è possibile anche per la vicinanza a regioni in cui vari sodalizi di stampo mafioso – specie di ‘ndrangheta – hanno ormai realizzato una presenza stabile.

    A conclusione, una serie di considerazioni sul grave quadro economico e sociale della regione. In tale situazione di crisi, è auspicabile che si realizzi un rinnovato impegno in difesa della legalità, della democrazia, della Carta Costituzionale da parte delle pubbliche istituzioni e della società civile.

    In riferimento al presente elaborato, sono state utilizzate precise fonti:

    Relazioni annuali della Direzione Nazionale Antimafia;

    Relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia;

    Relazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni

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