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Cose umane
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Cose umane
E-book130 pagine1 ora

Cose umane

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Info su questo ebook

Chiara e Aurora, Fabio e Casimiro: le loro quotidianità e le loro paure. I loschi affari dell’immobiliarista bergamasco Amos Bellotti e gli intrallazzi politico-mafiosi di padre Laganà parroco di una chiesa del sud, i fallimenti pilotati e le soluzioni criminali per salvare il salvabile, il traffico di opere d’arte e le truffe alle Regioni e alla Comunità Europea.
Tra le difficoltà che comporta la scelta di collocarsi dalla parte giusta degli eventi – scelta comune nella vita di ciascuno di noi – Cose umane è un elogio alla coerenza, quella tra l’essere e l’apparire, tra il volere e il sentire, tra l’immaginario e la realtà, tra l’orientamento sessuale effettivo e il partner di vita. La coerenza, vittoriosa e liberatoria, regala a mani piene benessere, autostima, coraggio e qualità di vita. Sensazioni che i nostri personaggi, dopo la loro traversata nel fiume del male, potranno indossare a ogni occasione, come un abito su misura.
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2021
ISBN9791280184641
Cose umane

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    Anteprima del libro

    Cose umane - Rosi Polimeni

    Rosi Polimeni

    Cose umane

    ISBN: 9791280184641

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    colophon

    Esergo

    Brescia 18 giugno 2014

    TRE ANNI PRIMA…

    Casirate d’Adda 25 giugno 2011

    Brescia 18 giugno 2014

    Dall’altro lato della città

    Milano 18 giugno 2014

    Catania - aeroporto Fontanarossa

    NEL FRATTEMPO…

    Brescia 18 giugno 2014

    UN GIORNO PRIMA

    Corte d’Assise di Bergamo

    Aeroporto di Orio al Serio

    notte tra il 18 e il 19 giugno 2014 fra Bergamo e Brescia

    Bedizzole parco Airone

    Note

    colophon

    Cose umane

    di Rosi Polimeni

    ISBN 9791280184641

    @All Around 2021

    redazione@edizioniallaround.it

    www.edizioniallaround.it

    Esergo

    Le cose umane non sono mai semplici,

    ma complicate, e si complicano ogni giorno

    per l’uomo e per le nazioni.

    Sono come un sasso che precipiti dalla sommità di un monte,

    che rotolando si riveste

    di tutto quello che trova nella sua via.

    Giovan Battista Niccolini

    Sono umane situazioni

    Quei momenti fra di noi

    I distacchi e i ritorni

    Da capirci niente poi

    Già come vedi

    Sto pensando a te, oh yeah, sì, da un po’

    Cose della vita, Eros Ramazzotti

    Devi mostrarti invincibile

    Collezionare trofei

    Ma quando piangi in silenzio

    Scopri davvero chi sei

    Esseri umani, Marco Mengoni

    Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto della fantasia dell’autrice.

    Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o defunte, con fatti o luoghi è assolutamente casuale

    Brescia 18 giugno 2014

    sabato ore 14,45

    Chiara, sulla sua Chevrolet Kalos ibrido azzurrina, affronta la rotonda prima del Crystal Palace ringraziando il destino che l’aveva catapultata da Messina a Brescia e che le aveva permesso, in questo gioco di sliding doors della propria sorte, di ingozzarsi, come ogni santo sabato, di nigiri e sushi a un prezzo abbordabile per una che deve sopravvivere con uno striminzito stipendio di insegnante della scuola dell’infanzia.

    Ringrazia la fortuna per il suo lavoro a tempo indeterminato e pensa almeno quello, perché tutto il resto, prima o poi, svanisce. Lo aveva imparato e se ne faceva una ragione. Aveva imparato anche a sopravvivere nelle ristrettezze e si sentiva, potendo contare su uno stipendio sicuro, una che aveva già vinto il primo premio della Lotteria Italia. Chiara non comprava mai i biglietti né tanto meno i gratta e vinci eppure si lamentava di non vincere mai sapendo però di avere già vinto.

    Se non avesse aperto la porta scorrevole giusta, nel momento della scelta più importante della sua vita, e cioè la Lombardia come sede dell’ultimo concorso magistrale indetto in Italia, avrebbe rischiato di dover rimpinzarsi, quel sabato, al massimo di appena tre arancine, che le sarebbero costate come quell’abbondante pranzo appena consumato al ristorante giapponese Sakura di via Corsica.

    La distanza che intercorre dal Sakura al Crystal Palace è così breve da impedirle di avvertire gli effetti che tutto quel cibo avrà sul suo reflusso gastroesofageo. Effetti che, una volta su due, e lei lo sa bene, le fanno dimenticare la sensazione di benessere che l’accompagna in questo tratto di strada.

    Quando tutto è ancora in divenire.

    Ma questo sabato c’è stata una novità: Chiara ha rinunciato, con fatica e grande spirito di sacrificio, al pollo in agrodolce compreso nel prezzo fisso all you can eat ed è per questo che si accende in lei la speranza di riuscire, almeno questa volta, a evitare il solito fastidioso bruciore all’altezza dello sterno.

    Quella merda.

    Mentre percorre i primi trecento metri di strada si ripete fiduciosa che sì, questa volta sì, il lurido reflusso non sarebbe arrivato. Era fermamente convinta che fossero i peperoni la principale, se non l’unica, causa del rigurgito amaro in cui si trasformava tutto quel cibo delizioso e di quella risalita anomala dei succhi gastrici all’interno del suo povero esofago, ormai bruciacchiato come un bosco dopo un incendio.

    Aveva le sue convinzioni, Chiara, e cercava di tirare avanti nella vita facendo di esse il proprio Vangelo.

    Ogni volta, quando i primi sintomi si trasformavano in amara realtà, dava sempre colpa a qualche cibo al quale doveva essere intollerante o a qualche abbinamento infelice ma mai a tutto quello che i medici le consigliavano di evitare e che lei, puntualmente, trasgrediva.

    Chiara era una gran testa di cazzo e, per giunta, Toro ascendente Ariete.

    A ogni primo accenno di rigurgito al quale cercava in tutti i modi di impedire la risalita, avvisaglia dei momenti peggiori che ben conosceva, si metteva in guardia, cercando di prepararsi a una battaglia che sapeva già persa in partenza. Assumeva le medicine che avrebbe dovuto prendere prima che l’incendio divampasse, aggiungeva le altre prescritte per dopo i pasti e che aveva puntualmente dimenticato di prendere, si alzava di colpo dal divano sul quale non avrebbe mai dovuto distendersi dopo il pasto e si accendeva una sigaretta.

    La cantilena la conosceva bene: prendere l’esomeprazolo al mattino a stomaco vuoto, evitare gli alimenti e i condimenti piccanti, magnesio alginato, simeticone e ossido di zinco dopo i pasti ricordando di non coricarsi mai dopo aver mangiato e, principalmente, smettere di fumare.

    Parola di luminari. Pagati carissimo e senza rilascio di ricevuta.

    Mentre si accende una sigaretta e soffia il fumo dal finestrino, Chiara pensa che sia meglio rinunciare ai peperoni del pollo in agrodolce che alle sigarette e che non avrebbe dovuto maledire, come ogni sabato spaparanzata sul divano, tutti i motivi che contribuiscono a farle preferire il ristorante giapponese Sakura di via Corsica a qualsiasi altra possibile scelta: l’ottimo rapporto qualità/prezzo, la possibilità di ordinare per ben cinque volte tutte le pietanze del menù, e, principalmente, quel delizioso pollo in agrodolce introvabile in altri posti.

    Il Sakura le era stato raccomandato dal suo amico Fabio, appassionato di cultura orientale e conoscitore di tutti i ristoranti giapponesi di Brescia e provincia nelle loro varie declinazioni, compresa quella del cinogiapponese con cucina italiana.

    Imbocca la rotonda serena e fiduciosa riguardo tutta la sua vita, quella che è e quella che sarà, reflusso compreso. Sa benissimo di trovarsi in un posto che, solo qualche anno prima, era per lei impensabile e irraggiungibile: il cuore del centro direzionale di Brescia, il quartiere così detto Brescia Due. Motore in folle, fuma, sorride e pensa, mentre cerca di sintonizzarsi su Radio Italia solo musica italiana, che ai bresciani una sola città funzionale non bastava che hanno sentito il bisogno di una seconda Brescia, per l’appunto Brescia Due.

    Per lei, che arrivava da una città dove perfino sulle rotonde c’erano macchine posteggiate, quella del Crystal Palace, diciannovesimo grattacielo fra i più alti d’Italia, le offre la sensazione di vivere dentro il miracolo della civiltà.

    E lo era.

    Attende con nordico rispetto stradale, acquisito dopo tanti ecco il solito terrone, che passino i veicoli con precedenza, non come capitava a Messina, dove gli automobilisti decidono arbitrariamente che è arrivato il proprio momento.

    Terrona austroungarica, la chiamava amorevolmente Aurora.

    Chiara sa che su quel cavalcavia c’è scritto, a lettere cubitali caso mai qualcuno non l’avesse capito, che La fibra ottica è finalmente arrivata a Brescia, frase che, immediatamente, assume per lei la garanzia di un sogno e la certezza di trovarsi, per un gioco fortunato del destino, nel posto giusto per un futuro migliore.

    Abbattere il digital device e camminare verso la libertà grazie alla velocità delle comunicazioni.

    Nemmeno il tempo di immaginarsi – lei arrivata dal sud – nella città del futuro che Brescia stava per diventare, che inizia a provare quella strana sensazione che sente ogni volta che passa davanti all’edificio malefico di Equitalia.

    Non ha niente a che fare col reflusso. È una sensazione diversa.

    Come se stesse in pericolo, come se in qualche maniere avesse fatto un torto all’universo intero, come se non avesse diritto a tutto questo: un contratto a tempo indeterminato, uno stipendio garantito, la Chevrolet Kalos azzurrina, Aurora, il Sakura di via Corsica, l’amico Fabio… Si sente, insomma, come quando il suo era un lavoro a tempo determinato.

    Accade proprio a metà della rotonda, nel punto in cui si cominciano a intravedere i lucernai della modernissima metropolitana che aveva permesso alla Lombardia, che vantava già la metro a Milano, di diventare una delle pochissime regioni al mondo con ben due reti di metropolitana.

    Eh Lombardia, braghe ònte palanche prònte… [¹]

    Come con i primi rigurgiti che annunciano l’incattivimento del reflusso, Chiara cerca qualche rimedio per questo inspiegabile malessere. Si convince di essere sempre stata capace di superare i momenti di ansia e, mentre la radio testardamente sintonizza solo Radio Maria – minchia però – ricorda che è stata proprio questa la raccomandazione della terapeuta: pensare positivo e smettere di sentirsi sempre come l’ultimo monello sorpreso a rubare i cioccolatini dal vaso proibito dalla mamma, oh!

    Dietro di lei strombazza un clacson: «Andiamo!».

    «Cafone meridionale di merda, vergogna della razza», mormora fra i denti, mentre si avvicina al tetro palazzo di Equitalia. Deve superare questo senso di oppressione che l’attanaglia ogni volta che ci passa davanti, rischia di diventare un’altra delle sue ossessioni. Ingrana la prima e prosegue tranquillamente lungo quella strada che divide il quartiere con le principali strutture del

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