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EGO ALTER - Nella vita di un altro
EGO ALTER - Nella vita di un altro
EGO ALTER - Nella vita di un altro
E-book283 pagine3 ore

EGO ALTER - Nella vita di un altro

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Info su questo ebook

A chi non è mai capitato di sognare di vivere la vita di un altro? Magari di una persona importante, una persona di successo? Entrare in una realtà diversa in cui tutto è splendido e perfetto?
Riccardo Antelli, uomo mediocre e complessato, grazie a una fortissima somiglianza a Francesco De Angeli, un brillante professionista del mondo della finanza,  si accosta alla vita di questo e ne diventa amico.
Il loro strano rapporto, a causa della complessità interiore di Antelli, si evolverà in modo imprevedibile. Anche il noto consulente finanziario però ha dei segreti che possono sconvolgere la propria o l'altrui vita.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mar 2021
ISBN9791220278607
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    Anteprima del libro

    EGO ALTER - Nella vita di un altro - Giampaolo Creazza

    http://write.streetlib.com

    CAPITOLO 1

    Ero di fronte allo specchio e mi guardavo con poco interesse, ormai il mio aspetto fisico mi era indifferente. Per troppo tempo era stato una gabbia che mi aveva condizionato, che mi aveva costretto a vivere una vita non mia.

    Anche se ormai non aveva molta importanza, ora che questa maledetta storia stava per finire, mi venne spontaneo domandarmi quando e come in realtà fosse iniziata. Era cominciato tutto quindici mesi due settimane e tre giorni fa o dovevo spingermi molto più indietro nel tempo? Magari una decina di anni prima? Mi appariva tutto così nebuloso e confuso. Decisi di provare a capire…

    ***

    Scesi dal treno di cattivo umore. In una specie di processione, come centinaia di altri pendolari, lentamente uscii dalla Stazione Cadorna delle Ferrovie Nord. Milano mi accolse con una giornata triste e grigia di metà novembre. Una leggerissima nebbia velava la città e le conferiva un aspetto impalpabile ed evanescente.

    Non c’era un motivo preciso che giustificasse il mio stato d’animo, eppure un senso di malessere e una inspiegabile frustrazione, quel giorno, mi stavano attanagliando l’animo e nulla sembrava in grado di mitigare tali sensazioni. Avevo sempre pensato che il mese di Novembre fosse il peggior mese dell’anno. Privo di qualsiasi pregio, non aveva le ultime giornate di sole di Ottobre e nemmeno le luci sfavillanti di Natale. Lo giudicavo un mese insulso, di transizione, un periodo incolore che doveva passare in fretta. Non mi ritenevo particolarmente meteoropatico ma questo clima mi disturbava e non facevo nulla per nasconderlo. Se a ciò aggiungiamo che era lunedì mattina il quadro era completo.

    Avevo alzato il bavero del cappotto, quasi a proteggermi dal mondo ostile che mi circondava. Camminavo silenzioso a fianco dei miei due amici. Anna e Andrea sembravano non accorgersi del mio cattivo umore o, forse, c’erano abituati e non apparivano turbati dal mio comportamento. Li vedevo conversare piacevolmente. Scrollai le spalle quasi infastidito da tanta loquacità ma non dissi nulla. Non capivo come potessero affrontare la giornata in modo così tranquillo e rilassato. Questo mi irritava. Possibile che in quella pessima mattina fossi l’unico a non accettare passivamente la situazione? Non riuscivo a darmi una risposta soddisfacente. Meglio non farla tanto lunga, gli altri non avrebbero mai capito.

    Sapevo che, per fortuna, il tragitto dalla stazione all’ Università era abbastanza breve e che questa seccatura sarebbe finita presto. In aula, finalmente, avrei potuto rientrare negli schemi quotidiani e ritrovare una certa normalità. Avrei, finalmente, potuto ricomporre il mio equilibrio. Non ero certo che avrei ascoltato con attenzione la lezione di Diritto Privato, la voce monotona e leggermente cantilenante del professore sarebbe stato un ottimo sottofondo per i miei pensieri. Certo, pensare con tranquillità alle mie cose, astraendomi dal contesto circostante, mi avrebbe fatto bene. Con questa determinazione seguii docilmente i miei amici verso l’aula che ci attendeva per la lezione.

    Entrammo, un leggero brusio ci accolse. Diedi una rapida occhiata ai presenti, i soliti visi noti. Scegliemmo un posto, più o meno a metà della fila. Una sistemazione strategica, non troppo in evidenza ma non troppo lontana dal docente. Mi sistemai e preparai un quaderno per prendere degli eventuali appunti. Scambiai un paio di frasi con Anna, per lo più di circostanza.

    Dalle finestre vidi che la nebbiolina lentamente si stava diradando. Volsi uno sguardo distratto ai ragazzi che stavano seduti più o meno alla nostra altezza nell’aula. C’era un gruppetto di tre studenti.

    Colsi, quasi per caso, lo guardo intenso di uno di questi; sembrava guardare verso di noi. Non ci volli dar peso, quasi nemmeno lo conoscevo.

    Ebbi nuovamente l’impressione di essere osservato. Guardai da quella parte e vidi chiaramente che uno dei tre ragazzi salutava con la mano. Aveva un modo strano di farlo. Mi guardai attorno per capire a chi fosse rivolto quel gesto. In quella zona c’eravamo solo noi. Anna e Andrea stavano parlottando tra loro. Sembrava ce l’avesse proprio con me. Mi guardai di nuovo attorno, nessuno gli stava rispondendo. Sempre più perplesso pensai stesse proprio salutando me. Scrollai la testa per esprimere il mio dubbio. Quello insisteva appoggiato, ora, anche da un suo vicino. L ’altro imperturbabile mi fissava. Nella indifferenza generale, mi persuasi che i loro gesti erano rivolti unicamente a me. Non capivo che diavolo volessero. Non potevo restare tutto il giorno lì a guardare quei tre strani tipi ma non mi era chiaro che cosa fare. Dopo un attimo di riflessione:

    «Scusate, avete bisogno di qualcosa?»

    «Ma come, non ci saluti nemmeno?»

    «Perché?»

    «Beh, insomma… Adesso fai anche finta di non conoscerci?»

    «Scusate ragazzi, continuo a non capire. Sono mesi che ci incrociamo a lezione ma non abbiamo mai avuto occasione di parlarci. Oggi, è cambiato qualcosa?»

    I ragazzi, a loro volta, si guardarono e apparvero perplessi. Un altro intervenne :

    «Sabato sera, ci sembra che qualcosa sia successo. Preferisci far finta di non ricordare?»

    «Ragazzi, non capisco di che cosa stiate parlando. Non so nemmeno chi siete…»

    Nel frattempo Anna, incuriosita dal dialogo si era girata verso di me e mi guardava interrogativa. Le risposi allargando le braccia in un gesto di perplessa impotenza.

    Il primo dei ragazzi, con un sorriso beffardo, riprese:

    «Ah, allora… Se la mettiamo su questo piano! Prima fai il furbo e poi non ci riconosci. Bravo!»

    «Senti spiegati meglio perché io proprio non capisco!»

    «Certo che sei un fenomeno! Prima fai lo splendido, freghi la ragazza al nostro amico e poi ti comporti come se non fosse successo nulla. Fai addirittura finta di non conoscerci nemmeno. Hai un bel coraggio!»

    Non sapevo che cosa rispondere. Quello che stava dicendo, per me, era assolutamente assurdo. Sabato sera ero stato con i miei soliti amici a Varese, quindi non potevo certo essere stato anche in loro compagnia.

    «Vi state sbagliando di grosso.»

    «Dai, dai… Falla corta, non hai il coraggio di guardare in faccia il nostro amico, dopo quello che gli hai fatto. Ammettilo.»

    «Ma voi siete matti! Completamente matti! Se è uno scherzo, è di pessimo gusto.»

    «Vorresti farci credere che sabato sera, a casa della Betty Dordoni, non eri tu? Ti abbiamo visto e bene alla festa. Ti sei anche molto divertito, la sua ex ragazza ne sa qualcosa.»

    Sembrava non stessero scherzando, erano convinti di quello che stavano affermando. Per contro io, realmente, a quella festa non c'ero stato. Non riuscivo a immaginare in che modo avrei potuto convincerli della mia estraneità. Stavo per aprire bocca e ribattere in qualche modo le loro accuse quando si intromise Anna:

    «Scusate, avete finito di rompere? Questa storia sta diventando stucchevole. Volete lasciare in pace il mio ragazzo? Sabato sera era con me! Quindi non poteva essere dove dite voi! Vi sarete sbagliati. Questione chiusa. Ora lasciateci seguire la lezione che sta per cominciare. Grazie.»

    Restammo tutti allibiti, io per primo. Non era vero niente ma in quel momento le sue parole, forse, avrebbero chiuso la questione. Io mandai ad Anna un silenzioso sguardo di sincero ringraziamento.

    I tre ragazzi persero la loro baldanza. Questo alibi imprevisto li costrinse a riconsiderare la questione. Per qualche interminabile istante tacquero. Poi, quello che più si era esposto:

    «Non so più che cosa dire… Mi spiace. Deve esserci stato un malinteso.»

    «E' quello che avevo detto fin dall’inizio. Io, in questa storia, non c’entro nulla. Vi siete sbagliati. Magari era uno che mi somiglia.»

    «Evidentemente è così, scusaci. Ci spiace anche per la tua ragazza. Non volevamo crearti problemi ma eravamo convinti che fossi proprio tu.»

    «Già, per fortuna c’era lei a chiarire. Vabbè, è andata così.»

    Feci un cenno della mano a definitiva chiusura della vicenda. Ricambiarono anche se un certo dubbio sembrava ancora presente nei loro occhi. Si alzarono e andarono a posizionarsi nella parte finale dell’aula. Con la coda dell’occhio li vidi ancora discutere animatamente, probabilmente avevano ancora qualche perplessità. Per fortuna era una faccenda che non mi riguardava.

    Mi avvicinai di più ad Anna e bisbigliai:

    «Grazie. Il tuo intervento è stato geniale. Ha chiuso una storia assurda, senza di te non so come ne sarei uscito.»

    «Tranquillo, solo una donna poteva farla finire, voi uomini siete incasinati per natura.»

    «Beh, forse hai ragione, comunque sei stata credibile. Ma come hai fatto a decidere che non avevano ragione?»

    «Ti conosco da troppo tempo, quello che raccontavano non potevi essere tu. Sei un bravo ragazzo, un po’ imbranato, mai saresti andato a una festa a Milano a fregare la ragazza di uno sconosciuto.»

    In quattro parole mi aveva massacrato, un quadro desolante ma concreto.

    «Hai ragione, io non ce la faccio a fare cose così; forse è anche per questo che in questo periodo sono single. Quando hai detto che sei la mia ragazza, mi sono sentito lusingato e mi ha fatto piacere vedere la loro faccia. Beh, potremmo sempre pensarci…»

    «Beh, adesso, perché una ti da una mano a venir fuori da un pasticcio non è che ti devi sentire in diritto di fare il cascamorto. Siamo sempre stati amici, ecco…»

    «Certo, scusa. Non volevo farti innervosire.»

    Lei sorrise amabilmente ponendo fine al discorso. Nel frattempo, era entrato il professore. La lezione stava per cominciare, non c’era ulteriore spazio per le chiacchiere, in un certo senso era meglio così.

    Mi ritrovai finalmente solo con me stesso per tirare le somme di una mattina cominciata male. Guardavo la figura sfuocata del professore, probabilmente aveva cominciato a parlare. Le parole si perdevano nel vuoto tra me e il resto del mondo.

    La situazione appariva assurda. Mi ero trovato in un imbarazzo che non avrei saputo superare se non fosse intervenuta Anna. Mi aveva aiutato ma con le sue parole aveva inferto un forte colpo alla mia labile autostima. Mi chiesi se, effettivamente, fossi così impacciato e sempre a disagio come ero apparso in quella circostanza. Cercai di essere imparziale nella valutazione ma non ero sicuro di esserci riuscito. Il verdetto non era totalmente catastrofico, era prevalsa la mia solita indulgenza nel minimizzare i miei difetti. Che ci potevo fare? Ero fatto così. Non che ne fossi particolarmente soddisfatto ma mi accettavo per quello che ero, magari col tempo sarei potuto migliorare. Che cosa potevo diventare? Un vincente? Uhm… Difficile, mai porre, comunque, limiti alla provvidenza.

    Travolto e impastoiato in pensieri contorti non mi resi nemmeno conto di come qualcosa di nuovo e di imprevisto si fosse insinuato nel mio animo. Un’idea impertinente sbocciò nella mia testa, l’approccio di quei compagni, quasi sconosciuti, mi aveva lasciato una sensazione strana, una specie di orgoglio. Mi avevano fatto capire che uno come me poteva essere uno che poteva dar fastidio, che poteva partecipare alle loro feste, che poteva farsi notare e che poteva permettersi di andare a caccia delle ragazze degli altri. Esatto! Io! O per lo meno, una persona che aveva le mie sembianze. Avevo sempre pensato che il mio aspetto fosse molto banale e privo di particolari pregi o attrattiva ma la persona di cui loro stavano parlando non era considerata proprio così. Loro erano convinti che quella persona fossi io. Facendo due ragionamenti, avrei dovuto cominciare a ricredermi e ad approcciare il mondo in modo diverso. Forse avrei dovuto avere più fiducia in me stesso e comportarmi in modo più disinvolto, come quell’altro che affrontava tutto tranquillamente con la mia faccia!

    Un simile pensiero mi fece sorridere, ero quasi divertito da quanto la mia mente aveva elaborato in quei minuti.

    Mi accorsi che Anna mi stava osservando curiosa, evidentemente non comprendeva il motivo di quel mio cambiamento di umore. Le feci cenno di stare tranquilla, tutto era a posto. Sì, veramente a posto!

    ***

    Chiusi con un gesto deciso il giornale e cercai di chiudere anche quella parentesi di ricordi ma non mi fu possibile. Come un fiume in piena, il passato mi riportò alla mente tutta una serie di situazioni analoghe. La seconda volta, fui aggredito, al bar dell’università, da una bella ragazza che mi accusava di non averla chiamata nonostante lo avessi promesso. Purtroppo, in quella occasione non c’era Anna a tirarmi fuori dai guai. Mi beccai una serie di ingiurie e non riuscii a convincere la ragazza che io non ero la persona con cui pensava di parlare.

    Un’altra volta, un ragazzo mi confermò l’appuntamento per il tennis. In quell’occasione, preferii non perdere tempo in spiegazioni inutili. Poi mi fecero i complimenti per il voto ottenuto in un esame... Mi ringraziarono per un mazzo di fiori... Lo stillicidio andò avanti per quasi sei mesi fino a quando lo stage in una azienda e la discussione della tesi posero fine alla mia permanenza in università. Durante quei mesi, avevo cercato di avere notizie sul mio sosia. Scoprii solo che il duca, come veniva frequentemente chiamato, era stato espulso da una prestigiosa università inglese e che apparteneva a una facoltosa famiglia milanese. Mi ero ripromesso più volte di cercarlo e di incontrarlo. Ogni volta che avrei avuto la possibilità di farlo trovavo una scusa per rimandare. Di rinvio in rinvio il tempo passava. Inconsciamente temevo quell’incontro, non ne conoscevo il motivo ma l’idea mi spaventava. Temevo le sue reazioni, temevo si burlasse di me, temevo capisse che non ero come lui. Mi sentivo inadeguato, questo era il mio vero problema.

    Da lontano invidiavo la sua vita ma non avevo il coraggio di avvicinarmi. A volte fantasticavo e cercavo di immaginare come sarebbe stata la mia vita al suo posto. La mia vita non mi piaceva, la mia famiglia non mi piaceva, la situazione ideale era quella del mio alter ego. Come era stato malvagio il destino a non avermi messo al suo posto!

    Se eravamo uguali perchè non potevo essere io al suo posto? Perchè? Il mio interrogativo non ebbe mai una risposta.

    Dopo la laurea ripresi a frequentare solo Varese e Milano scivolò fuori dai miei pensieri. La mia famiglia, poi, nonostante la mia contrarietà, mi obbligò ad accettare un anonimo impiego in banca. Con la mia famiglia non c’era mai stato uno splendido rapporto e questa ingerenza lo incrinò ulteriormente. Non mi sentivo uno di loro, non condividevo il loro modo di vivere e di ragionare. Avevo l’impressione di essere capitato lì per sbaglio, forse una sostituzione nella culla. La mia vita non poteva essere quella; ero certo di aver diritto a qualcosa di diverso. Dentro di me nutrivo ben altre ambizioni. Sembrava che tutto il mondo complottasse contro di me per impedirmi di emergere e di esprimere il mio potenziale nascosto. Era il mondo esterno o ero io con le mie frustrazioni? La rassegnazione è il peggior nemico delle nostre aspirazioni. Con il tempo mi rassegnai.

    Quanto tempo era passato da allora? Dieci, dodici anni? Probabilmente sì. In quel lasso di tempo erano successe molte cose. Avevo lavorato per alcuni anni in provincia, acquisendo una buona professionalità poi ero riuscito a tornare a Milano. Qui, con una certa sorpresa, una decina di volte, mi scambiarono per quel mio sosia. Non ne fui turbato. Non avevo più i timori di una volta ma non ritenni di dover approfondire la circostanza. Non pensai mai di cercarlo. Mi sembrava che la questione mi interessasse poco.

    Ora il giornale, che mi aveva portato un collega, stava facendo piena luce su tutte le mie curiosità. Non potevo più fuggire, ero inchiodato dalla realtà.

    Ancora una volta ero di fronte alla sua immagine o meglio era ancora la mia immagine che appariva ma non ero io. Quando il collega mi aveva messo il giornale sotto il naso mi aveva apostrofato dicendo:

    «Hai le foto nella pagina finanziaria e non ci dici nulla?»

    Lo avevo mandato bonariamente all’inferno, poi avevo guardato con estrema attenzione l’articolo e le foto.

    La prima cosa che andai a verificare, furono le fotografie. Mi ero sempre domandato se mi somigliasse davvero. Guardai le foto, le riguardai e poi, non contento, le guardai di nuovo. Scossi la testa, una ridda di sentimenti contrastanti mi sovrastò. Avevo quasi timore di confessare il mio stato d’animo. Non c’erano dubbi, un estraneo avrebbe detto che si trattava della stessa persona.

    Nonostante la mia contrarietà, la somiglianza era forte, potevamo sembrare gemelli. Provai per la prima volta un senso di sgomento. Avevo sempre voluto credere che ci fosse una leggera somiglianza e che, chi non ci conosceva bene, potesse anche essere tratto in inganno. Quelle fotografie però documentavano in modo inequivocabile qualcosa di molto diverso. Scherzi del destino e della natura! Avrei voluto trovare qualcosa che potesse renderci diversi, unici e riconoscibili. Mi sforzai di trovare dei dettagli differenti. Dovetti accontentarmi di aspetti del tutto marginali come un’espressione più dura e determinata dello sguardo, un sorriso meno spontaneo e una pettinatura diversa. E se fosse solo dovuto alla staticità delle foto? No, a me non potevo mentire. Ora mi rendevo conto perché mi avevano scambiato per lui. Chissà se era mai successo il contrario. Mi risposi di no, non ero certo un tipo che si faceva notare molto, non ero come lui.

    Tornai al giornale, era il momento di dargli un nome. Lo trovai, FRANCESCO DE ANGELI. Non male, non era nemmeno un nome banale, uno di quelli che passano inosservati come il mio, Riccardo Antelli.

    Osservai che anche l’abbigliamento, quello formale a uso professionale, non era poi così dissimile dal mio, una eleganza classica, canonica, consolidata. Per essere pignolo, notai che i capi che lui indossava erano più ricercati e più costosi. Non ritenni, comunque, di criticare più di tanto il mio modo di vestire; sembrava avessimo gli stessi gusti in fatto di abiti.

    Non sapevo se essere lieto o imbarazzato, era meglio che me ne fregassi.

    Era la conclusione più saggia. Non riuscivo, però, a staccarmi dal giornale e cominciai a rileggere l’articolo.

    Con una punta di invidia, vidi descrivere con toni entusiastici la sua professionalità e la sua intraprendenza. Era stato proclamato, per il terzo anno consecutivo, consulente dell’anno nella finanziaria in cui lavorava. Si era classificato, come il migliore, tra alcune migliaia di professionisti operanti in tutta Italia. Anch’io mi occupavo di consulenza finanziaria e avevo fatto una discreta carriera. Anche la mia era una banca di primo piano a livello nazionale. Dicevano anche che ero bravo ma nessuno si era mai preso la briga di vedere quanto e nessuno ne aveva mai fatto parlare i giornali. D’altra parte, si sa, le banche sono più discrete e preferiscono mantenere alto il livello della privacy. Tutto si concludeva nel mese di aprile, di ogni anno, con la discussione della valutazione che i tuoi superiori hanno fatto di te. Una specie di pagellina sintetica che ti sbattono sotto il naso e che ti invitano a firmare, a prescindere dal tuo punto di vista. Se sei particolarmente fortunato, ti comunicano la concessione di un premio ad personam in denaro da sottoporre a ritenute fiscali di legge. Quando, invece, la politica aziendale lo permetteva, e ti trovavi al posto giusto al momento giusto, ci poteva scappare anche una piccola promozione. Tutto preconfezionato, tutto entro schemi precostituiti e nel rispetto delle tradizioni della banca. Questo mi sembrava corretto, magari non proprio adatto a motivare al meglio le persone, ma questa è un’altra storia.

    Quella pagina non mi lasciava, proseguii ancora la lettura. L’articolo proseguiva con una lunga intervista al consulente.

    Notai che, a fronte di domande banali, le risposte apparivano brillanti, ironiche e, a volte, destabilizzanti. Era sempre padrone della situazione, era lui a dirigere l’intervista. Riusciva sempre a esprimere il proprio punto di vista e ad avviare nuove tematiche di conversazione. Sicuro di sé non temeva il giudizio degli altri. Aveva esposto numerosi progetti i cui punti fondamentali erano lo sviluppo, la crescita e l’innovazione. Per realizzare tutto ciò aveva espresso la necessità di trovare nuovi consulenti. Avrebbe partecipato personalmente alla loro

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