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La Donna del Gioco
La Donna del Gioco
La Donna del Gioco
E-book449 pagine6 ore

La Donna del Gioco

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Info su questo ebook

Alcuni strani fenomeni atmosferici turbano una gioiosa festa popolare in Alta Valle Camonica.
Dalla gente del posto questo evento viene percepito come un segnale negativo, un funesto messaggio della Dòna del Züc, un oscuro e mitico personaggio della valle.
Alcuni giorni dopo Marco Perillo, un poliziotto in vacanza, e un suo amico bancario rinvengono sul greto di un torrente il cadavere di una donna.
Causalità o esiste una connessione con le dicerie locali?
La ferrea razionalità del poliziotto viene però messa a dura prova perdendosi tra leggende ancestrali, tesori e segreti da custodire anche a costo della vita. Ma chi è La Donna del Gioco? E’
un fantasma che viene dal passato o una creatura dei nostri giorni? E’ lei che si muove oggi sospinta da una brezza improvvisa e fredda, della quale è meglio non parlare, che manda loro a rubar anime alla valle? O è ancora qualcosa di diverso?
La vicenda si sviluppa in un costante equilibrio tra realtà, storia e leggenda e che mescola, senza soluzione di continuità, il mondo materiale e quello immateriale, storico e antropologico dell’antico popolo della Valle Camonica.
LinguaItaliano
Data di uscita7 dic 2017
ISBN9788827529379
La Donna del Gioco

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    Anteprima del libro

    La Donna del Gioco - Giampaolo Creazza

    http://write.streetlib.com

    Capitolo I

    Una cosa che gli dava maledettamente fastidio era dover cercare un parcheggio anche in vacanza. Lo faceva tutto l’anno quando doveva rincorrere mille impegni. Aveva già provato in un paio di punti, ma non era riuscito nell’impresa. Sembrava che quel giorno tutta la Valle Camonica si fosse data appuntamento a Vezza d’Oglio.

    In preda allo sconforto, dette retta alla moglie e si diresse lentamente verso il Centro Eventi Adamello, ultima possibilità.

    Anche questa volta, Piera aveva avuto ragione. La fortuna aveva assunto le sembianze di una famigliare di color grigio chiaro. L’auto stava uscendo e lasciava un parcheggio di dimensioni adeguate. Giancarlo Piazza attese pazientemente che l’auto finisse le manovre e finalmente poté parcheggiare la propria autovettura. Scese e con un sospiro di sollievo si liberò dell’ingombrante fardello. Ora erano finalmente liberi di godersi la giornata di festa.

    Si diressero verso l’ampia struttura turistica. Un flusso consistente di persone stava seguendo lo stesso percorso. Una leggera brezza proveniente dalla valle aveva spazzato via ogni nuvola dal cielo. Un sole brillante di inizio pomeriggio d’estate stava dando ai colori una brillantezza particolare. Lo scenario alpino, anche se ormai lo conoscevano da anni, riusciva a stupirli con la sua smagliante bellezza.

    L’aria di festa, il brulicare di persone e l’imminente inizio della manifestazione stavano creando in loro una certa euforia. Procedettero di buon passo, ormai erano in prossimità della struttura; personaggi vestiti con abiti variopinti e di fogge particolari stavano concentrandosi proprio lì. La Banda di Vezza, con le caratteristiche casacche rosse e lo stendardo, aveva già preso posizione in testa al corteo che stava per formarsi. La IX Rassegna Folkloristica Internazionale di canti e balli popolari denominata La Dòna del Züc stava per dare il via alla sua giornata conclusiva. Piazza ebbe l’impressione che qualcosa non quadrasse con il programma che avevano visto durante la mattinata sui manifesti. Chiese a un passante dove si sarebbe svolto lo spettacolo. L’uomo, non molto convinto, gli rispose che, visti i preparativi, era logico pensare che si sarebbe svolto su in piazza, nel centro storico. Ringraziò.

    La moglie di Giancarlo avrebbe gradito seguire da vicino il corteo, queste cose la emozionavano sempre. Lui, invece, la convinse che, se volevano trovare un posto abbastanza comodo per vedere lo spettacolo, era meglio avviarsi subito e utilizzare una via alternativa. Presero una strada ripida che portava direttamente sul luogo dell’esibizione. Si resero presto conto che la via era veramente diretta, forse troppo! In effetti, in poche centinaia di metri, inerpicandosi tra le case di recente costruzione, superava un dislivello non trascurabile. Una forte accelerazione del battito cardiaco e una leggera mancanza di fiato fecero capire loro che avevano affrontato la salita con troppo impeto. Ormai era fatta… Giunti in centro, in una zona pianeggiante, rallentarono per normalizzare cuore e respiro. Percorsero ancora qualche stradina stretta piuttosto ombreggiata, finché una luce accecante li accolse all’ingresso della piazza davanti alla chiesa. Sbucarono proprio di fianco all’edificio. Anche lì ferveva un’intensa attività organizzativa. Le costruzioni circostanti, con la loro mole incombente e austera, parvero accoglierli in un ampio abbraccio affettuoso. Un bellissimo colpo d’occhio, emozionante e coinvolgente. In fondo, la piazza finiva con il ponte sul fiume e i suoi parapetti di pietra chiara.

    Sul sagrato, alcuni ragazzi dell’organizzazione stavano finendo di disporre in modo regolare, messe sui lati lunghi, alcune file di sedie di plastica bianca. La macchia chiara spiccava nettissima contro le facciate color pastello degli edifici e creava un piacevole contrasto. I due coniugi, con una certa gratitudine guardarono le sedie e non disdegnarono la possibilità di utilizzarle. Si sistemarono davanti a un negozio di frutta e verdura, aperto per l’occasione, sul lato destro rispetto alla facciata della chiesa. Avevano scelto quella parte per non avere il sole negli occhi durante le esibizioni dei gruppi. Non avevano seguito la banda nel corteo e questo a Piera dispiaceva, ma aver trovato un posto a sedere poteva considerarsi una positiva consolazione. Si sedettero. In lontananza, portate dalla leggera brezza, giungevano le note gioiose dei brani musicali suonati dalla banda di Vezza. Una folla multicolore e vociante aveva invaso la piazza.

    Dalla strada che costeggia la chiesa, arrivarono tre uomini vestiti in modo formale, salirono i gradini e parlottarono con i tecnici del suono. Probabilmente, si trattava di qualche autorità. Sorridenti, padroni della situazione, si muovevano con disinvoltura tra la strumentazione sul palco, che era il sagrato della chiesa. Confabularono ancora un attimo, poi uno dei tre si avvicinò al microfono. Due leggeri colpetti per saggiare il livello del suono. Parve soddisfatto del risultato. Il pubblico, richiamato dal rumore, si zittì. L’uomo sul palco, con uno sguardo ai suoi vicini, chiese conferma sulla possibilità di iniziare. Un misurato cenno del capo gli diede il via libera.

    «Signore e signori buongiorno.» La sua voce esplose nel silenzio sospeso.

    «A nome della Pro-loco di Vezza d’Oglio e del consiglio comunale, sono lieto di dare a tutti i presenti un cordiale benvenuto. È con estremo orgoglio e soddisfazione che sto per dare inizio alla giornata conclusiva della nona edizione della rassegna folkloristica internazionale denominata La Dòna del Züc.»

    L’uomo continuò con una litania di ringraziamenti a vari soggetti e ripercorse per sommi capi la storia della manifestazione. Una sorta di autocelebrazione che evidentemente riteneva doverosa, anche se interessava a pochi. Terminata l’introduzione e cambiato il tono, animò il pubblico anticipando cosa avrebbe contenuto quell’ultima giornata di festa.

    «Prima di cominciare» aggiunse, «abbiamo ancora qualche minuto. Il corteo, mi dicono, si è leggermente attardato. Vorrei ricordare da dove prende il nome la nostra manifestazione. Per chi è della zona, ovviamente non ci sono problemi, per gli altri forse potrà apparire una denominazione curiosa. La Dòna del Züc è un personaggio che affonda le radici nella nostra storia e nella cultura della nostra valle. La scelta del nome coincide col desiderio di ribadire e ricordare le nostre origini, di affermare nel tempo la nostra identità di popolo di ieri, di oggi ma soprattutto di domani… A questo punto, prima dell’arrivo del corteo dei gruppi folkloristici, i nostri giovani ricreeranno il clima di festosa baraonda, di rumore, che una volta nella nostra valle si faceva, una specie di Halloween nel periodo più cupo dell’anno… Verso novembre, per intenderci. Questi rumori, queste grida avrebbero dovuto tenere lontane le streghe che in quel periodo passavano dirette verso il Passo del Tonale, per i loro riti. La gente temeva che nel passaggio potessero rapire i bambini, quindi più rumore si faceva tanto più ci si sentiva tranquilli. Ecco i nostri ragazzi… Accogliamoli con grande applauso.»

    Mentre il pubblico tributava il doveroso applauso, dalla viuzza laterale si percepirono rumori di tromba, campanacci e strani oggetti di legno. Sbucarono due ragazzi, abbigliati con indumenti arcaici, che trascinavano un carretto su cui era steso un loro compagno vestito da donna. Dietro di loro seguivano altri ragazzi e ragazze che facevano un gran baccano.

    Il pubblico applaudiva e rideva coinvolto da questa buffa apparizione. Anche Piazza e la moglie seguivano divertiti quanto stava succedendo. All’improvviso una folata di vento gelido, imprevedibile in una giornata come quella, fermò tutto come in un’istantanea. Gli sguardi si mescolarono l’uno all’altro, incerti, sorpresi, smarriti. Come spuntati dal nulla, due corvi gracchiarono spezzando il silenzio surreale. Si percepì un’ancestrale paura nel respiro delle persone ammutolite. I corvi attraversarono velocemente l’aria e andarono ad appollaiarsi sui due bracci del lampione di foggia classica. Restarono in attesa.

    Il vento si intensificò e delle nuvole scure accorsero veloci. In pochi secondi, il cielo si tinse di buio minaccioso. La pioggia sembrava volersi abbattere con la forza di una tempesta. Un certo nervosismo aleggiava tra il pubblico. Gli organizzatori temettero il peggio, la pioggia imminente era un pericolo per tutta la strumentazione e la festa.

    La banda aveva proseguito il suo cammino e ora preannunciava il corteo riempiendo di suoni l’aria. Le camicie rosse formarono una macchia vivida nel clima grigio che si era impadronito di tutto.

    Erano trascorsi pochi minuti quando apparve un altro corvo. Si posizionò qualche metro sopra il lampione e rimase completamente immobile nel vento per alcuni interminabili secondi. Giancarlo lo osservò con curiosità, era la prima volta che vedeva una cosa del genere. Il volatile immobile sembrava sospeso nel vuoto. Poi, come colpito da una fucilata, precipitò su una composizione di fiori che stava sotto i bracci del lampione. Si raddrizzò e lì rimase immoto.

    Grosse gocce di pioggia cominciarono a cadere. I gruppi folkloristici, uno dopo l’altro, si riversarono nello spazio lasciato libero tra le due file di sedie per il pubblico. Accompagnata da folate di vento freddo, la pioggia crebbe di intensità. Un trambusto scomposto accompagnò lo spostamento della gente verso ripari improvvisati.

    Alcuni spettatori se ne andarono, gli altri sembravano aver trovato una sistemazione soddisfacente. Il presentatore, nonostante la pioggia, continuò a parlare, descrivendo i gruppi e annunciando un sostanziale rispetto del programma. Tra gli spettatori serpeggiava una leggera delusione, ma molti restarono sperando in un miglioramento del tempo. Anche Giancarlo Piazza e sua moglie non erano disposti ad andarsene così in fretta. Le prime gocce di pioggia le avevano subite con una certa disinvoltura, quando poi si erano fatte più fitte, si alzarono per trovare un riparo. Si accostarono al muro vicino all’ingresso del negozio alle loro spalle. Per evitare un bambino che stava correndo verso la madre, Giancarlo si spostò sulla destra colpendo leggermente un vicino con il gomito. Si girò e si rivolse all’uomo:

    «Mi scusi, spero di non averle fatto male…» si bloccò sorpreso, «ma, ma noi… Tenente Perillo? Anzi, Vice Commissario Perillo. Si ricorda di me?»

    Lo aveva riconosciuto subito nonostante fosse passato un po’ di tempo da quando si erano incontrati per una brutta storia riguardante una truffa alla sua banca e la tragica scomparsa di un collaboratore.

    «Dottor Piazza, ma certo che mi ricordo di lei, come potrei averla dimenticata! Mi fa veramente piacere vederla. Come sta? Che cosa fa da queste parti?»

    Il Vice Commissario Perillo, della Polizia di Stato, era esattamente come il bancario se lo ricordava: giovane, fisico atletico, lineamenti regolari e capigliatura leggermente scomposta. Anche l’abbigliamento era più o meno sempre lo stesso, un casual elegante, ma senza ostentazione. Gli venne da sorridere domandandosi se il poliziotto usava abiti da vacanza al lavoro o abiti da lavoro in vacanza. Preferì non approfondire un pensiero stupido.

    «Se non piovesse, direi che va bene… Sono qui in vacanza con mia moglie, tra parentesi, penso che lei non la conosca, le presento Piera.» poi indicando l’uomo: «il Vice Commissario Perillo. Te ne ho parlato molte volte, è la persona con cui ha collaborato Stefano, l’amico di Alessandro… Per quella brutta storia della banca.»

    Si scambiarono una calorosa stretta di mano e buttarono lì le solite frasi di circostanza.

    «E lei che ci fa qui?» riprese Piazza, rivolto al poliziotto.

    «Vacanza, pure io. Senza una dolce metà, però, ma con qualche buon amico. Alloggiamo, a Ponte di Legno. Gli altri hanno preferito restare in albergo, allora sono venuto da solo a vedere la manifestazione, ho fatto una bella passeggiata a piedi.»

    «Speriamo che il tempo migliori, altrimenti sarà un problema rientrare.»

    «Guardi, visto che sono in ferie, proprio non mi preoccupo, in qualche modo farò.»

    «Se vuole, le possiamo dare un passaggio. Abbiamo parcheggiato l’auto vicino al Centro Eventi Adamello, è qui a due passi.»

    «Beh, se il tempo non si ristabilirà, vorrà dire che approfitterò della vostra gentilezza. Pur amando le passeggiate, specie in questi luoghi suggestivi, la pioggia me le fa apprezzare meno. Speriamo smetta, anche per poter vedere lo spettacolo.» Sempre con le spalle al muro nel disperato tentativo di ripararsi, parlarono del più e del meno. Le esibizioni dei gruppi folkloristici presero avvio nonostante il maltempo. Gli abiti multicolori cercavano di attenuare il grigiore della giornata, ma il risultato era abbastanza deludente. Il primo gruppo, sardo, finì e già se ne stava preparando un altro. Forse croato o sloveno.

    Come era venuto, altrettanto velocemente il vento si placò. Un primo squarcio tra le nuvole permise a un timido raggio di sole, sottile come una lama, di filtrare tra le case e di andare a colpire il lampione su cui prima si erano appollaiati i corvi. Lo sguardo di Piazza fu attirato dalla luce improvvisa e notò che gli uccelli non c’erano più. Non ricordava di averli visti andar via. La pioggia era cessata. La gente lentamente tornò a prender posto sulle sedie. Anche i coniugi Piazza ritornarono a sedersi, accompagnati da Perillo. Sopra le loro teste, il cielo si aprì completamente permettendo al sole di tornare a risplendere sulle cime dei monti. L’aria restò fresca.

    Lo spettacolo riprese a pieno regime e poté svilupparsi regolarmente fino alla fine con la soddisfazione degli organizzatori. Sfilarono di nuovo tutti i gruppi partecipanti, questa volta più sorridenti e rilassati. La persona che aveva aperto la manifestazione ringraziò tutti, chiamò sul sagrato i rappresentati delle varie delegazioni e offrì loro delle targhe ricordo. I discorsi di ringraziamento si sprecavano. Parlarono in tanti e la maggior parte degli interventi si perse nel vociare del pubblico.

    Perillo pensò che fosse comunque opportuno accettare il passaggio di Piazza per tornare a Ponte. Rifare tutti quei chilometri non era poi così allettante. Giancarlo e la moglie furono lieti di poterlo accompagnare. Si diressero verso l’auto parcheggiata. Piazza pensò che era piacevole conversare con il poliziotto. Quando lo aveva conosciuto, in passato, non si era mai reso conto di ciò, probabilmente i contatti professionali non potevano che essere asettici. Strada facendo, lo invitarono a fermarsi da loro a prendere un caffè prima di tornare a Ponte di Legno. L’ufficiale non aveva fretta di rientrare e accettò la proposta.

    * * *

    In breve tempo erano giunti a Pontagna, dove si trovava l’abitazione dei Piazza. Il tempo si era rimesso, approfittarono per sedersi all’aperto nel piccolo giardino antistante all’appartamento, posto al pianterreno. Sul tavolino di metallo bianco, erano stati messi alcune bibite e un vassoio con le tazzine per il caffè. Accomodati sulle poltroncine, dai cuscini a righe bianche e verdi, ripresero a conversare commentando lo spettacolo a cui avevano appena assistito. Si meravigliarono del repentino cambiamento di tempo ed espressero le preferenze sulle esibizioni.

    Come sbucata dal nulla, una donna apparve al cancello d’ingresso del condominio. Lo aprì e, fatti due passi, lo spinse con energia per chiuderlo. Un rumore metallico confermò la chiusura. Alta, magra con il viso segnato da profondi solchi, vista la non giovane età, la donna si avvicinò alla recinzione che delimitava il piccolo giardino. Si fermò, quasi si volesse riposare, e salutò. Una voce forte, decisa, con uno spiccato accento della zona, stupì Perillo, che la vedeva per la prima volta. Piera ricambiò il saluto e come frequentemente succedeva, innescò una conversazione:

    «Buona sera, Giuditta. Tutto bene? Sta tornando dalla sua solita passeggiata pomeridiana?»

    L’anziana scrollò leggermente la testa accompagnando la risposta:

    «Eh, sì… Sono stata al cimitero a portare i fiori ai miei. Bisogna starci dietro, altrimenti questo caldo me li rovina tutti.»

    Parlarono ancora un po’ del caldo e dei fiori, non sembrava intenzionata ad andarsene molto in fretta. Aveva tempo, era domenica e per il momento evidentemente non aveva nulla di particolare da fare. «Sa, Giuditta, oggi siamo stati giù a Vezza d’Oglio a vedere uno spettacolo» cambiò argomento Piera. «Molto bello, c’erano parecchi gruppi folkloristici e un sacco di gente. Peccato che il tempo abbia rovinato in parte la manifestazione, prima il vento, poi la pioggia… Comunque a noi è piaciuta lo stesso.»

    «Sì, sì, lo so… È una bella cosa, però…» non disse altro, lasciò in sospeso il resto della frase. Una nota stonata nella voce sembrava sottolineare che c’era qualcosa che non andava. Il discorso languì. Era una donna particolare, non era sempre chiaro cosa volesse dire. Questa frase sospesa ne era un tipico esempio. Piazza colse al volo il momento di stallo per buttare lì la domanda che gli girava nel cervello per tutto il pomeriggio:

    «Ma, mi scusi, Giuditta, forse lei è la persona più adatta per darmi una spiegazione. La manifestazione di oggi si chiama La Dòna del Züc. Il presentatore ha fatto qualche accenno a questo personaggio, ma in realtà non ha spiegato niente di preciso. Che cosa significa veramente? Un pezzo lo capisco… Dòna, mi sembra anche troppo facile… Ma il resto? Züc… Vuol dire la donna della zucca? Oppure questo Züc è un posto? Oppure ha un altro significato?»

    Giuditta parve divertita dalla domanda, sorrise e si sistemò gli occhiali prima di rispondere.

    «Questa è una storia vecchia, molto vecchia, forse l’hanno detto... È nelle nostre tradizioni che si perdono negli anni. Prima di tutto, la pronuncia è sbagliata… La dòna va bene, ma züc non è un suono duro. È più morbido, si pronuncia ssoc.» La colse mezzo ghigno come di compatimento per l’ignoranza dei suoi interlocutori, poi continuò:

    «E vuol dire gioco. La Dòna del Züc è la donna del gioco o la Signora del Gioco, dipende un po’ da come si vuole intendere, o come si vuol dare importanza.»

    «Ma che cosa vuol rappresentare questa figura, questa donna del gioco? Che cosa significa, che cosa vuol dire?» intervenne Piera.

    «La Dòna del Züc è La Dòna del Züc. Non è che ci sono tante spiegazioni. I nostri vecchi ce l’hanno sempre ricordata e la nominavano… A volte, quando eravamo piccoli, anche per farci star buoni. Non era proprio come l’uomo nero che ci doveva spaventare. Ma, un po’ di paura ce la faceva lo stesso. Per esempio, anche su in montagna…» e indicò un punto imprecisato della pineta di fronte, oltre il fiume. «Su dalle parti di Santa Giulia, quando noi bambini facevamo qualche capriccio, la mamma ci indicava un grande sasso quasi nero, rotondo e piatto e ci diceva di fare i bravi, perché La Dòna del Züc poteva arrabbiarsi. La minaccia finiva lì. Nominarla doveva bastare. Tutto lì… E noi, per forza ci mettevamo buoni e tranquilli. Era come un segnale in codice… Noi capivamo.»

    «Giuditta, mi faccia capire… Ma quel masso, che senso aveva, che relazione aveva con la famosa donna?» riprese Piera.

    «Sinceramente, non lo so di preciso… Allora non avevamo il coraggio di chiedere di più per capire che cosa poteva succedere, dopo, quando siamo diventati più grandi, io e i miei fratelli non ci abbiamo più pensato. Comunque… Era meglio non parlarne molto. Anche oggi, i pochi vecchi rimasti e anche noi, che siamo quasi vecchi, non ci piace parlarne molto. Non porta bene parlarne troppo.»

    Per Piazza quel non parlarne troppo fu come un invito a nozze. La sua curiosità non conosceva limiti, anzi, diventava ancor più accentuata nel caso in cui si fosse imbattuto nelle leggende. Non era uno studioso di antropologia o storia, ma subiva il fascino dei racconti ancestrali.

    «In fin dei conti, questa donna che cosa era effettivamente, una maga, una fata, una strega? Era sempre cattiva o aveva anche dei momenti di bontà?»

    «È difficile dirlo… Probabilmente era l’insieme di tutto quello che ha detto. Bisognava portarle rispetto, questo sì. Ma per il resto… Anche fare quella pagliacciata giù a Vezza e intitolarla con il suo nome, non è poi una cosa così bella. Qualche volta, in questi ultimi anni, durante questi stupidi festeggiamenti, succede qualcosa di non bello. È questo il modo con cui lei dimostra che non è contenta.»

    «Mi scusi, Giuditta, ma se queste storie le sanno tutti, perché continuano a comportarsi così?»

    «Sono i giovani che non hanno rispetto, che non capiscono… Che non ci credono. Con la loro stupidità deridono la nostra cultura. Che cosa crede… Il temporale di oggi… Crede che sia un caso? No, ha fatto vedere che non andava bene, che non era contenta. A saperli leggere… A volte manda anche dei segni… Bisogna capirli. Non è facile, pochi li capiscono. Comunque non fa niente… Adesso devo andare.»

    Aver parlato di questa storia le aveva fatto mutare l’umore. Come aveva detto, non era bello parlare di queste cose e lei quindi preferiva lasciar perdere. L’avevano coinvolta e lei non era stata capace di tacere, era irritata con se stessa, ma ora basta.

    L’argomento si faceva intrigante e Piera non era disposta a troncarlo. Anche se non avevano detto niente, i suoi due compagni apparivano particolarmente interessati. Per Piazza era la prima volta che sentiva Giuditta raccontare di tradizioni e storie della valle. Parlare di cose riferite al passato, dove aleggia una certa aura di mistero, diventa sempre coinvolgente. «Giuditta, ma questi segni, questi messaggi, queste premonizioni come si possono capire? Ci sono delle forme o degli strumenti particolari con cui questa entità, questa donna, si esprime?» domandò Piera.

    L’anziana donna sembrò agitarsi un po’, era dibattuta tra la voglia di rispondere ancora e il dubbio sull’opportunità di dare spiegazioni. Prevalse la prima, sebbene con una certa riluttanza.

    «Ci sono molti modi… Ma quelli che si conoscono meglio sono le forze della natura, gli animali e in particolare gli uccelli. Se si sanno leggere… Possono dirci molte cose.»

    «Se ho ben capito, allora oggi durante la manifestazione, gli elementi ci sono stati tutti…»

    «Che cosa vuol dire?» riprese Giuditta. «Ci sono stati veramente dei segnali? Dei fatti particolari?»

    «Beh… sì. È stata una giornata strana. Prima il vento, poi la pioggia e poi ancora il sole. Ma ci sono stati anche gli uccelli… Non so se voi li avete visti, ma c’erano dei corvi su un lampione…»

    I due uomini confermarono convinti. Piera continuò:

    «Vede, Giuditta, quando stava per cominciare il temporale sono arrivati due corvi e si sono fermati su un lampione, poi ne è arrivato un altro che, dopo un volo controvento, si è quasi buttato sul lampione… Quando il temporale stava per finire erano spariti. Mi era sembrata una cosa strana, direi che sono successi fenomeni insoliti… Tutta la situazione mi è rimasta impressa, mi sembra di essere ancora lì… Comunque, ho l’impressione proprio che ci siano un po’ tutti gli elementi di cui ha parlato prima. A questo punto, pensa che io abbia visto giusto?»

    Sul volto della donna le rughe sembravano improvvisamente aumentate, un velo di tristezza e di sgomento passò nei suoi occhi. Sembrava che realmente le fosse passata definitivamente la voglia di parlare. Si sforzò e con voce cupa:

    «Sì, purtroppo penso abbiate visto bene… Non si preannuncia nulla di buono. Io non sono brava a capire queste cose… Ma i nostri vecchi hanno sempre detto che l’arrivo dei corvi con l’arrivo di un temporale improvviso, porta solo brutte notizie e lutti. Dobbiamo aspettarci qualche brutta notizia nei prossimi giorni… Potrebbe essere anche l’annuncio della morte violenta di qualcuno. Brutti segni in un giorno di festa portano solo brutte cose. Peccato… Adesso mi si è fatto tardi e devo proprio andare. Arrivederci a tutti.»

    La donna, scuotendo la testa visibilmente rattristata, si avviò lentamente verso il portone d’ingresso del condomino lasciando gli altri perplessi e ammutoliti.

    Rimasti soli si guardarono in faccia. Perillo, con un sorriso più di circostanza che di convinzione, ruppe il silenzio imbarazzato:

    «Simpatica la vostra vicina… Ma abbastanza catastrofica. Penso che tutto il discorso dei segni, delle premonizioni sia solo una questione legata a leggende e a superstizioni piuttosto che a tradizioni. Penso che le persone anziane siano più sensibili su questi argomenti, i giovani, al contrario, credo si siano liberati da questi pregiudizi. Tant’è, come avete potuto notare, la signora è stata molto critica nei confronti delle nuove generazioni, colpevoli di non rispettare il passato. Probabilmente certe posizioni sono legate a credenze arcaiche radicate in questa vallata chiusa… Se ben ci pensate la civiltà della Valle Camonica, per millenni, è rimasta isolata. Non guardatemi così… Non sono un erudito. In realtà mi è capitato tra le mani proprio ieri un dépliant sui siti archeologici e sugli antichi abitanti. Al di là di tutto, vi confermo che è accattivante la storia di questo luogo.»

    Risero, per stemperare l’atmosfera o, forse, per colpa della genuina sincerità con la quale Perillo aveva dichiarato le fonti del suo sapere.

    Nel frattempo, il sole calava lentamente dietro le cime dei monti. Questo non li turbava più di tanto. Non avevano certo la preoccupazione di incontrare gli spettri o i fantasmi evocati da Giuditta. Lentamente l’argomento scivolò fuori dai loro discorsi. Parlarono di molte altre cose, mentre il tramonto si avvicinava. Non avevano fretta e non avevano impegni urgenti, avevano tempo. Il rosso di sera stava annunciando tempo stabile, domani sarebbe stata una bella giornata. Meglio non pensare alle funeste previsioni e godersi quello che restava di una bella giornata estiva.

    Capitolo II

    Chiacchierando del più e del meno la sera prima, Perillo aveva ammesso di non conoscere la zona, oltre ai dati appresi sui volantini per i turisti. Piazza, da ottimo fungaiolo, avrebbe potuto redigere, con una certa sicurezza, una mappa di ogni angolo. Perillo, dal suo canto, distingueva i funghi, non tra loro, ma al confronto con la flora del bosco, in generale. Era, tuttavia, inammissibile andare in montagna, conoscere un esperto in materia e non approfittarne. Giancarlo diede la sua disponibilità, con un certo orgoglio.

    In uno slancio di attivismo, Piazza e Perillo si erano dati appuntamento per dedicare una mattina alla raccolta dei funghi. La moglie di Piazza aveva rifiutato, aveva preferito stare nelle vicinanze senza impegnarsi in missioni particolari.

    Come tutti i cercatori che si rispettino, avevano deciso che le ricerche dovevano essere avviate prestissimo il mattino. Prestissimo… Sì, ma senza esagerare, si erano quindi accordati per le sette. Piazza aveva promesso che sarebbe andato a recuperarlo in albergo. Avevano deciso di affrontare, nella loro spedizione, difficoltà medie, giusto per saggiare le loro prestanze atletiche. Tra le varie possibilità avevano optato per la Val d’Avio, zona che avrebbe permesso loro di scegliere, al momento opportuno, tra zone più pianeggianti e altre più impervie.

    Alle sette precise Piazza era davanti all’albergo del poliziotto. Dopo pochi attimi Perillo uscì e si diresse deciso verso l’auto. Sembrava ben attrezzato per la missione: felpa leggera, pantaloni e scarpe da trekking, bastone e un fiducioso cestino di vimini che si era fatto prestare lì in albergo.

    Buttò nel bagagliaio la sua attrezzatura e salì sull’auto. Partirono decisi, uscirono dal centro di Ponte di Legno, percorsero qualche chilometro e quando furono in centro a Temù, presero la strada che a sinistra scendeva verso la valletta sottostante. Pochi minuti di tragitto e poi cominciarono a salire verso la Val d’Avio. Le vette incombenti sembravano stringere i prati verde smeraldo in un forte abbraccio. Il sole, nonostante gli sforzi, non riusciva a illuminare la valle, che per il momento era ancora immersa in un’umida ombra. La percorsero fino all’ultima casa prima dell’inizio del bosco. Si fermarono e parcheggiarono. Da lì partiva un ampio sentiero pianeggiante che attraversava il bosco. Poco lontano, sulla destra, si intravedeva a tratti il letto del torrente in cui scorreva una scarsa quantità di acqua. Concordarono su come procedere, l’idea era di percorrere a piedi il bosco costeggiando il sentiero, in tal modo avrebbero avuto l’opportunità, con un po’ di fortuna, di trovare già qualcosa, più avanti si sarebbero inoltrati direttamente nel bosco.

    Si avviarono con passo tranquillo, la fretta non avrebbe consentito loro di ispezionare bene il sottobosco, dove si nascondono i funghi. Si divisero, restando comunque a contatto di vista, per perlustrare una zona più ampia. Procedevano in silenzio. Piazza era abituato a cercare e quindi andava a sondare i punti che verosimilmente avrebbero potuto celare dei funghi interessanti. Perillo sembrava essere meno a suo agio, guardava, riguardava senza dar l’impressione di trovare nulla d’importante.

    Onestamente in quella zona c’era poco. Giancarlo vide qualche mazza di tamburo, qualche russula virescens dal colore verdastro, qualche russula aurata dalle tinte più calde, ma non ritenne di doverle raccogliere. Sapeva che erano commestibili ma di scarsa qualità… Non erano certo quelli i funghi che stavano cercando. Si erano dati come obiettivo: porcini e in subordine finferli. Piazza li aveva descritti sommariamente a Marco, riservandosi di verificarli bene, nel caso ne avesse trovati. Gli aveva anche raccomandato di raccoglierli con delicatezza, senza romperli e soprattutto di pulirli sul posto con un coltello. Il poliziotto ne prese buona nota anche se, per il momento, non gli sembrava di averne visti.

    Il sole lentamente sorgeva e cominciava a indorare le cime delle montagne circostanti, un po’ di luce li avrebbe favoriti nella ricerca. Non era una mattina entusiasmante, Piazza aveva trovato solo alcuni striminziti finferli e il giallo intenso spiccava all’interno del suo cestino. Perillo procedeva demoralizzato. All’improvviso si abbassò incredulo… Non era possibile… Una capocchia marrone opaco sovrastava un gambo chiaro tondeggiante. Anche i meno esperti lo avrebbero riconosciuto, era la forma classica che anche i bambini disegnano. Forse era… Un porcino. Lo raccolse, lo pulì e si avvicinò in fretta al compagno.

    «Giancarlo, guarda…» Da compagni per i funghi, avevano deciso di darsi del tu. «Questo mi sembra proprio un porcino, cosa ne dici?»

    Piazza lo guardò: accidenti, la solita fortuna dei principianti!

    «Caspita, Marco, ma è proprio un bel fungo, complimenti!»

    Una leggera invidia aveva colpito Piazza. Per fortuna il fungo era abbastanza piccolo, probabilmente non più di sei o sette centimetri, la circostanza gli evitò un travaso di bile. Si sforzò di fare ancora qualche complimento per gratificare l’iniziato. Essendo la gloria effimera, ripresero la ricerca.

    Proseguirono armati dei più buoni propositi, ma la fortuna latitava… Perillo, per il momento non trovò altro, Piazza ancora pochissimi finferli. La giornata era bella, si stava bene… Meglio godersela senza troppi problemi.

    Continuarono nel loro cammino, a un certo punto dovettero uscire dal bosco, sulla destra il fiume e sulla sinistra il sentiero. Poche decine di metri, dopo una curva, apparve il piccolo ponte di legno che congiungeva le due sponde del fiume. Mentre lo attraversavano, il rumore dei loro passi si perdeva nel silenzio della vallata. Si fermarono al centro. Piazza indicò al compagno, sulla sinistra, la cima dell’Adamello coperta in parte dai ghiacci perenni, sulla destra si apriva la vallata e sulla montagna di fronte, di cui non ricordava il nome, il paese di Canè. Perillo commentò con entusiasmo quanto stava vedendo. Solo qualche minuto di contemplazione e ripresero il cammino. L’idea era di seguire il sentiero fino all’area attrezzata per i picnic, poi avrebbero affrontato il bosco più scosceso. Fatti i primi dieci passi, il poliziotto pensò che sarebbe stato bello seguire il torrente che in quel momento cominciava a ricevere i primi raggi di sole. Piazza non aveva obiezioni di sorta. L’erba era un po’ alta, ma le scarpe da trekking apparivano sufficientemente protettive anche per eventuali incontri di insetti o di piccoli rettili.

    La sponda era piuttosto alta, costruita apposta per contenere eventuali onde di piena nel caso in cui la centrale dell’Enel, più a monte, avesse avuto la necessità di scaricare quantità massicce d’acqua. Camminavano sul bordo seguendo l’andamento sinuoso del fiume Chiacchieravano, uno a fianco all’altro. Valutarono che in non più di dieci minuti sarebbero rientrati nel bosco fitto. Erano soddisfatti della gita, nonostante i cestini desolatamente quasi vuoti. Se avessero voluto mangiare dei funghi, però, non sarebbe stato difficile trovare un buon ristorante, c’era solo l’imbarazzo della scelta.

    Piazza procedeva e si guardava attorno, nella speranza di trovare l’ispirazione giusta per scegliere la direzione verso cui dirigersi. Perillo, al contrario, prestava una certa attenzione a dove metteva i piedi, d’altra parte l’argine scosceso su cui camminavano non lo lasciava del tutto tranquillo.

    A un certo punto si bloccò. Non sapeva cosa pensare. Tra i sassi, lungo il corso d’acqua, un centinaio di metri più avanti, qualcosa stava attirando la sua attenzione. Possibile che la sua deformazione professionale gli stesse giocando un brutto tiro? Più guardava, più sembrava che i suoi dubbi ricevessero nuove conferme. Non poté non cercare di condividere le sue perplessità.

    «Scusa, Giancarlo, non prendermi per visionario… Ma guarda là, sul greto del torrente, che cosa vedi?»

    Il bancario puntò lo sguardo nel luogo che gli era indicato. Da vicino ci vedeva poco ma da lontano, anche al rinnovo della patente gli avevano confermato dieci decimi. Mise a fuoco ed ebbe la stessa reazione di Perillo: restò basito. Non era possibile! Gli sembrava di vedere una figura umana stesa tra i sassi, in posizione innaturale. Deglutì, perplesso, prima di replicare.

    «Non so che cosa risponderti di preciso. Può sembrare… Un corpo… Una donna forse?»

    «Senti, ho anch’io la stessa impressione. È da un po’ che la osservo, è immobile. Non vorrei fosse successo qualcosa...»

    «E adesso, che cosa dobbiamo fare?»

    «Che cosa vuoi che facciamo, smettiamo di cercare funghi e andiamo a vedere! Non vedo altra soluzione.»

    Piazza avvertì un crampo allo stomaco. Gli piacevano i gialli, i film polizieschi… Ma un conto era vedere il mondo attraverso lo schermo televisivo che rendeva tutto asettico, un altro era avvicinarsi. A che cosa?

    A una persona che non stava bene? O forse doveva dire un cadavere? Stava male solo a pensarci. Ebbe la sensazione che non ci sarebbe stato margine di trattativa, Perillo era troppo deciso sul da farsi. Cominciò a pensare che sarebbe stato costretto a seguirlo.

    Cercarono tra l’erba un punto che consentisse loro di scendere verso il greto. Fecero ancora qualche passo, lì l’argine mostrava l’abbozzo di un sentiero. C’era poco da scegliere, decisero di utilizzarlo. Il poliziotto cominciò a percorrerlo con una certa cautela, Piazza, contro voglia, lo seguì. Il terreno non era compatto e sotto i loro passi tendeva a franare leggermente, ma non era certo questo che preoccupava i due uomini! In breve giunsero al livello del torrente, percorso pianeggiante anche se un po’ sconnesso. Passo dopo passo, la figura verso cui erano diretti prendeva sempre più forma.

    Ormai erano certi si trattasse di una donna. Perillo procedeva tranquillo nella sua consolidata professionalità; Piazza, al contrario, a ogni passo stava peggio. Avrebbe pagato oro per potersene andare. Come si faceva? In certe situazioni non si può certo scegliere. Era in ballo e avrebbe dovuto ballare, pur senza sapere i passi di quella danza. Sperò che l’ultima decina di metri si espandesse all’infinto. Che qualcosa all’ultimo momento gli consentisse di andarsene. Le sue speranze restarono tristemente deluse. Passo dopo passo, si stava avvicinando il momento del contatto. Ormai il quadro era preciso, i piedi lambiti da un leggero rivolo d’acqua, il resto del corpo adagiato in modo strano sui sassi, vicino un cestino probabilmente per la raccolta dei funghi. L’immobilità, i lineamenti tirati e il pallore estremo del viso fecero subito pensare al peggio. Piazza restò qualche passo indietro, lui già andava in crisi quando vedeva

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