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Natale nei dialetti e nelle tradizioni tra sacro e profano
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E-book227 pagine2 ore

Natale nei dialetti e nelle tradizioni tra sacro e profano

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Info su questo ebook

Nel linguaggio della romanità Avvento significava l’attesa. Per i cristiani Avvento è relazione con Dio attraverso l’attesa della nascita del Suo figlio. Il sentimento dell’attesa presente in tutte le culture ha sempre posseduto un contenuto positivo ed in tal senso si rinnova puntualmente.
Questo libro viene concepito nell’intento di condurre i lettori attraverso le Regioni italiane nel momento dell’anno da sempre vissuto con sacralità condivisa dalle collettività. Un viaggio attraverso le Regioni, dunque, andando a ritroso nella nostra storia per raccontare gioie, paure, speranze, in una trapunta di particolari, di curiosità e immagini purtroppo oscurate dalle febbri consumistiche inoculate dai media negli ultimi decenni. Nel flusso di ricordi centrali sono i testi poetici in vernacolo, frutto di attenta ricerca nelle culture locali a testimonianza della comune appartenenza al medesimo ceppo glottologico latino.
Natale tra sacro e profano vuol essere un’occasione valoriale per aggiornare la lista dell’attesa secondo una diversa scala di priorità riscoprendo nella storia del Paese il meraviglioso unico filo che le sue Regioni le unisce tutte come membri di una sola famiglia.
LinguaItaliano
Data di uscita8 apr 2021
ISBN9788833468198
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    Anteprima del libro

    Natale nei dialetti e nelle tradizioni tra sacro e profano - Antonella Giordano

    Nota dell’autore

    Dicembre è il mese dell’anno più straordinario.

    Si annuncia fin dai primi giorni come tempo di attesa e si chiude con il bilancio dell’anno che con esso si conclude.

    Attesa nel significato più ampio dell’accezione, quello che mette d’accordo tutte le anime, laiche e religiose, dalle antiche civiltà fino all’attuale. Quale, dunque? Il sentimento dell’attesa presente in tutte le culture ha sempre posseduto un contenuto positivo ed in tal senso si rinnova puntualmente.

    Nel linguaggio della romanità era avvento il termine per indicare l’attesa: fosse essa laicamente l’arrivo di un funzionario, la visita del re, del governatore in una provincia ovvero, religiosamente parlando, la venuta in terra della divinità uscita dal suo regno per rivelarsi in tutta la sua grandezza. Per i cristiani Avvento è relazione con Dio attraverso l’attesa della nascita del Suo figlio.

    Fin qui il contenuto positivo racchiuso nella parola è evidente e ogni tentativo di ulteriore spiegazione potrebbe apparire inerziale.

    Un’attenta riflessione, tuttavia, impone che si vada oltre i limiti della fattualità. Rivolgendo lo sguardo alla sfera dei sentimenti, la positività trova definizioni più intense a seconda della specificazione dell’oggetto dell’attesa stessa e della sua attitudine a radicarsi. L’attesa di una persona, che sia l’amore, una persona cara (genitori, figli, parenti, amici), un gesto o una risposta che indirizzerà l’intera esistenza, amplifica il desiderio e, parimenti, la speranza che si realizzi.

    Dicembre 2020 verrà ricordato soprattutto per il desiderio diffuso che si esca dalla precarietà determinata dalla pandemia da Covid-19 che continua a devastare il pianeta, con tutto il suo carico di morte e miseria, per la speranza che l’umanità dimostri di essere veramente tale nei valori che ispirano la bellezza dei rapporti interpersonali, nel rispetto per la natura e di tutto ciò che della natura è espressione (flora e fauna) nonché postrema autem non minimus nei valori di solidarietà, sobrietà e inclusione.

    Questo libro viene dato alle stampe nel periodo in cui è particolarmente sentito il desiderio che esso partorisca cominciamenti nelle coscienze dove i disvalori hanno immesso la morte.

    È con questo spirito di attesa positiva che è stato concepito questo libro che si prefigge di condurre i lettori attraverso le regioni italiane nel momento dell’anno da sempre vissuto con sacralità condivisa dalle collettività. Un viaggio attraverso le regioni, dunque, andando a ritroso nella nostra storia per raccontare gioie, paure, speranze, in una trapunta di particolari, di curiosità e immagini purtroppo oscurate dalle febbri consumistiche inoculate dai media negli ultimi decenni. Nel flusso di ricordi, centrali sono i testi poetici in vernacolo, frutto di attenta ricerca nelle culture locali a testimonianza della comune appartenenza al medesimo ceppo glottologico latino.

    Il Natale tra sacro e profano vuol essere, dunque, un’occasione valoriale per aggiornare la lista dell’attesa secondo una diversa scala di priorità, riscoprendo nella storia del Paese il meraviglioso unico filo che le sue regioni le unisce tutte come membri di una sola famiglia.

    Antonella Giordano

    Sommario

    Natale in… Valle d’Aosta

    Natale in… Piemonte

    Natale in… Lombardia

    Natale in… Veneto

    Natale in… Trentino-Alto Adige

    Natale in… Friuli-Venezia Giulia

    Natale in… Liguria

    Natale in… Emilia-Romagna

    Natale… nelle Marche

    Natale in… Abruzzo

    Natale in … Toscana

    Natale in… Umbria

    Natale nel… Lazio

    Natale in…Molise

    Natale in… Campania

    Natale in…Puglia

    Natale in… Basilicata

    Natale in… Calabria

    Natale in… Sicilia

    Natale in… Sardegna

    Natale in… Valle d’Aosta

    L’Avvento del Natale in Valle d’Aosta¹ possiede ancora oggi un alto contenuto di spiritualità incentrato nel rito di costruzione del presepe. Sin dal XV secolo il presepe ha rappresentato il fulcro delle attività condotte alacremente dalle comunità presenti nelle valli attraverso i propri artisti e artigiani, sapientemente coordinati dai parroci. Il risultato di tanto lavoro culminava nella festa della notte santa quando i bambini si recavano in chiesa con le loro famiglie ad ammirare la Sacra Famiglia, i pastorelli e gli animaletti (fino ai primi del XX secolo ancora realizzati con pasta di pane, foglie di mais e pigne).

    Solo negli anni a venire, oltre che nelle chiese, la rappresentazione della Natività cominciò ad apparire anche nel peillo, la stanza principale della casa, su un piccolo tavolo e, in tempi più recenti, anche nei terrazzi e nelle strade.

    La tradizione valdostana è popolata anche dai presepi viventi inscenati da giovani fedeli travestiti da pastori e dai bimbi vestiti di bianco, nel ruolo di cherubini. Si trattava di vere e proprie rappresentazioni teatrali nelle quali della sacralità dell’evento emergeva poco o nulla ma sono patrimonio storico e, pertanto, meritano di essere ricordate. Ad Arnad, ad esempio, i giovani attori in chiesa facevano belare a comando un agnello in risposta al belato provocato alla mamma tenuta all’esterno del tempio. A Perloz l’offertorio consisteva in un gallo canterino.

    Per la gioia dei bambini recalcitranti al sonno veniva raccontata la storia di Gelindo, un contadino analfabeta ma saggio che condusse il gruppo di pastori diretti a Betlemme e, una volta arrivato, riuscì a parlare con tutti parlando in dialetto.

    La Pastorala di Cerlogne: Pastorale de Noël o Le berdzé

    Il tempo di Natale viene vissuto attraverso le note di questa canzone dialettale² scritta dall’abbé Jean Baptiste Cerlogne nel 1861 su musica tratta dall’aria La nuit d’un voile sombre. La pastorala si esegue alla Vigilia di Natale durante la messa di mezzanotte o all’interno del presepe vivente.

    Di solito non sono cantate tutte le sette strofe (nel comune di Sarre, ad esempio, alla fine del XX secolo si usava cantare solo la prima, la seconda e la sesta strofa).

    Il testo riportato è tratto dal volume Poésies en dialecte valdôtain dell’abbé Jean-Baptiste Cerlogne. È stato scritto in dialetto valdostano con traduzione a fronte, dell’autore, in lingua francese. La traduzione italiana è di Gian Mario Navillod.

    LA PASTORALA

    1

    De nët euna leumiére

    I berdzè l’at paru;

    Un andze vin leur dëre:

    Lo Sauveur l’est neissu.

    Un pouro baou l’est son palatse,

    Et sat pei de fen in traver

    Compouson lo deur matelatse

    De ci gran Rei de l’univer;

    Et din la rigueur de l’iver

    De dò trei lindzo l’est queuver.

    2

    Berdzé, dei que le s-andze

    Di cheil son descendu,

    Pe tsanté le lovandze

    D’un meinà vouë neissu;

    Parten! parten! L’est dzà doz’aoure;

    Galopen a Betheleen.

    No verren ci meinà que plaoure

    Din euna rètse su lo fen.

    Que ci petsou deit ëtre dzen!

    Më que l’est pouro in mëmo ten!

    3

    Quetten noutra cabanna,

    Agnë, feye et maouton;

    Beissen bà din la plana

    Tsertsé ci dzen popon.

    A ci meinà din la misére,

    No fat lei porté de presen,

    Afin que le jeu de sa mére

    Le veyen pa todzor souffren.

    No fat lei porté de creissen,

    Et de lassë lo tsanon plein.

    4

    O berdzé, vo lo veide:

    Ah! Lo pouro meinà!

    Din cetta nët se freide

    Su de fen l’est coutsà.

    Binque le rei, din l’abondance,

    Passon leur dzor din le pleisi,

    L’Infan Jesu, din la souffrance

    L’at case ren pe se creuvi.

    Et l’est per nò que vout souffri,

    Et que vout nëtre din l’oubli.

    5

    Mon Dzeu, v’ei voulu nëtre

    Din un fran pouro andret!

    Sensa vitre i fenëtre

    Vo poude avei bien fret.

    V’ei pe tot tsaat dove bëtsette

    Que soufflon contre voutre pià,

    Et de dò bocon de feissette

    Pouramen v’ëte immaillotà,

    Afin de reparé lo mà

    Que no s-an fé noutre petsà.

    6

    Le rei, din leur palatse,

    Retsertson le s-onneur;

    Et l’Infan Jesu catse

    Din un baou sa grandeur.

    Son esemplo no fet comprendre

    Qu’in ci mondo n’en a souffri,

    Et no s-ingadze tseut a prendre

    Lo tsemin dret di paradi.

    Ci que meprise le pleisi,

    L’or et l’ardzen, l’est son ami.

    7

    Perden un son eretadzo,

    Lo premië pére Adan

    L’at fet, din l’esclavadzo,

    Plaouré tseut se s-infan.

    Më pe bonneur vouë vint de nëtre

    Lo Sauveur promi dei gran ten.

    I vin de se fére cognëtre

    A de berdzé pouro, ignoren.

    De sa veneuva achuremen,

    Lo dzablo l’est pa trop conten.

    LA PASTORALE

    1

    Durant la nuit une lumière

    Aux bergers apparut;

    Un ange vient leur dire:

    Le Sauveur est né.

    Une pauvre étable est son palais;

    Et sept brins de foin en travers

    Composent le dur matelas

    De ce grand Roi de l’univers;

    Et dans la rigueur de l’hiver,

    De deux ou trois linges il est couvert.

    2

    Bergers, puisque les anges

    Du ciel sont descendus,

    Pour chanter les louanges

    D’un enfant né aujourd’hui.

    Partons! Partons! C’est déjà minuit;

    Galopons à Bethléem.

    Nous verrons cet enfant qui pleure

    Dans une crêche sur le foin.

    Que ce petit doit être beau!

    Mais qu’il est pauvre en même temps!

    3

    Quittons notre cabane,

    Agneaux, brebis et moutons;

    Descendons dans la plaine

    Chercher ce petit poupon.

    A cet enfant dans la misère,

    Il nous faut lui porter des présents,

    Afin que les yeux de sa mère

    Ne le voient pas toujours souffrant.

    Il nous faut lui porter des gâteaux,

    Et de lait le seau plein.

    4

    O bergers, vous le voyez:

    Ah! Le pauvre enfant!

    Par cette nuit si froide

    Sur du foin il est couché.

    Pendant que les rois, dans l’abondance,

    Passent leurs jours dans les plaisirs;

    L’Enfant jésus, dans la souffrance,

    N’a presque rien pour se couvrir.

    Et c’est pour nous qu’il veut souffrir,

    Et qu’il veut naître dans l’oubli.

    5

    Mon Dieu, vous avez voulu naître

    Dans un endroit vraiment pauvre!

    Sans vitres aux fenêtres

    Vous pouvez avoir bien froid.

    Vous n’avez pour vous chauffer que deux bestioles

    Qui soufflent contre vos pieds,

    Et de deux morceaux de langes

    Vous êtes pauvrement emmailloté

    Afin de réparer le mal

    Que nous ont fait nos péchés.

    6

    Les rois, dans leur palais

    Recherchent les honneurs;

    Et l’Enfant Jésus cache

    Dans une étable sa grandeur.

    Son exemple nous fait comprendre

    Qu’en ce monde nous avons à souffrir,

    Et nous engage tous à prendre

    Le chemin rude du paradis.

    Celui qui méprise les plaisirs,

    L’or et l’argent, est son ami.

    7

    Perdant son héritage

    Le premier père Adam

    A fait, dans l’esclavage,

    Pleurer tous ses enfants.

    Mais, par bonheur, aujourd’hui vient de naître

    Le Sauveur promis dès longtemps.

    Il vient de se faire connaître

    À des bergers pauvres, ignorants.

    De sa venue, assurément,

    Le diable n’est pas trop content.

    LA PASTORALA

    1

    Di notte una luce,

    È apparsa ai pastori:

    Un angelo viene a dir loro:

    Il Salvatore è nato.

    Una povera stalla è il suo palazzo,

    E sette pagliuzze di fieno di traverso

    Compongono il duro materasso

    Di questo grande Re dell’universo;

    E nel rigore dell’inverno

    Di due, tre lenzuola è coperto.

    2

    Pastori poiché gli angeli

    Dal cielo sono discesi,

    Per cantare le lodi

    D’un bimbo nato oggi;

    Partiamo! Partiamo! Sono già le dodici;

    Galoppiamo a Betlemme.

    Vedremo questo bimbo che piange

    Dentro una mangiatoia sul fieno.

    Quanto questo piccolo deve essere bello!

    Ma quanto è povero nello stesso tempo!

    3

    Lasciamo la nostra capanna,

    Agnelli, pecore e montoni,

    Scendiamo giù nella pianura

    A cercare questo bel neonato.

    A questo bambino nella miseria,

    Dobbiamo portare dei regali,

    Affinché gli occhi di sua mamma

    Non lo vedano sempre sofferente.

    Dobbiamo portagli/le dei dolci,

    E di latte il tsanon (secchio di legno) pieno.

    4

    O pastori, lo vedete:

    Ah! Povero bambino!

    In questa notte così fredda

    Su del fieno è coricato.

    Anche se i re, nell’abbondanza,

    Passano i loro giorni nei piaceri

    Il Bambin Gesù, nella sofferenza

    Ha quasi nulla per coprirsi.

    Ed è per noi che vuol soffrire

    E che vuol nascere nell’oblio

    5

    Mio Dio, avete voluto nascere

    In un posto proprio povero

    Senza vetri alle finestre

    Potete avere molto freddo

    Avete per riscaldarvi due bestiole

    Che soffiano contro i vostri piedi

    E di due pezzi di fascette

    Poveramente siete avvolto

    Per riparare il male

    Che ci hanno fatto i nostri peccati

    6

    I re nei loro palazzi

    Ricercano gli onori;

    E il Bambin Gesù nasconde

    Nella stalla la sua grandezza.

    Il suo esempio ci fa capire

    Che in questo mondo dobbiamo soffrire,

    E ci impegna tutti a prendere

    Il cammino diritto del paradiso.

    Chi disprezza i piaceri,

    L’oro e l’argento, è suo amico.

    7

    Perdendo la sua eredità,

    Il primo padre Adamo

    Ha fatto, nella schiavitù,

    Piangere tutti i suoi figli.

    Ma per fortuna oggi è nato

    Il salvatore promesso da lungo tempo.

    Viene a farsi riconoscere

    Da dei pastori poveri, ignoranti.

    Della sua venuta sicuramente,

    Il diavolo non è troppo contento.

    Natale in famiglia

    In Valle d’Aosta la simbologia prevalente della notte di Natale è il camino con il ceppo, intorno al quale ci si riunisce arrostendo castagne e mangiando pane nero. Durante il periodo natalizio il pane riveste un’importanza straordinaria: è ricco di noci, uvette, burro, in alcuni casi uova. Il burro è il Beuro De Brossa tipico dell’alpeggio. La brossa, estratta dalla caldaia e messa in una tinozza, lasciata decantare e maturare per circa ventiquattro ore, viene quindi introdotta in una zangola con l’aggiunta di un po’ d’acqua e sbattuta. La zangolatura dura all’incirca dai trenta ai quaranta minuti, fino a quando i granelli di burro hanno raggiunto la dimensione di un chicco di grano. Il burro viene lavato con acqua fredda, impastato e confezionato in panetti, decorati con motivi tradizionali.

    Caratteristici sono i flandze (o flantze), piccoli pani dolci, piatti e sottili, riproducenti forme stilizzate di animali e bambole: una leccornia offerta ai bambini in prossimità del Natale.

    La tavola valdostana a Natale ospita la tipica mocetta su crostini al miele (salume di muscolo di vacca, pecora o capra essiccato e aromatizzato con erbe di montagna, ginepro e aglio), lardo con castagne cotte e caramellate al miele, la zuppa alla Valpellinentze fatta con cavolo, verza, fette di pane raffermo, fontina, brodo, cannella e noce moscata.

    Il piatto principale del pranzo di Natale è il brodo, cui fa seguito il porchon (grosse patate ripiene di cavoli, carote, pere bagnate con vino secco e cucinate nel lardo) oppure la carbonade (carbonara). Il pranzo di Natale riserva una curiosità: la carbonara valdostana, che della carbonara romana porta solamente il nome e le calorie, dal momento che nella ricetta la fanno da padrone strisce di carne macerate nel vino e aromi, servite con polenta calda.

    Dulcis in fundo la tipica grolla dell’amicizia, o bombardino, un’esplosione di bontà all’insegna della condivisione a base di caffè, grappa, Cointreau o Genepy, scorze di limone e arancia e zucchero servita bollente in una grande coppa di legno chiusa, con dei beccucci laterali per permettere ai commensali di bere.

    Molto diffuse a partire dagli anni trenta sono le tegole d’Aosta, dolcetti dalla forma ondulata come le tegole di terracotta dei tetti delle baite. La ricetta di questo dolce, un tempo tipicamente natalizio, fu probabilmente appresa dai pasticceri della famiglia Boch durante un soggiorno in Francia.

    ¹ Alexis

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