Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il destino dell’acqua
Il destino dell’acqua
Il destino dell’acqua
E-book164 pagine2 ore

Il destino dell’acqua

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

L’abbazia benedettina di Tyniec è il centro della spiritualità dell’omonima comunità polacca, nei pressi di Cracovia. Al suo interno molti fratelli operosi condividono la sacralità dell’Ordine benedettino.
Padre Piotr, uomo dallo spirito indomito e attento osservatore del mondo circostante, avverte il richiamo incessante della natura, la quale, trionfante, ingloba l’intero paesaggio montano celebrando la meraviglia delle cime innevate degli alberi, dei boschi montani, dei colori e del calore del sole, del gorgoglio incessante della Vistola che instancabile scorre tra rocce e luoghi impervi… e dei profumi che invadono l’intero scenario, in ogni stagione, in ogni occasione!
Dopo un lungo peregrinare alla ricerca di sé stesso e del suo Dio, Piotr giunge davanti a una casa completamente distrutta dalle recenti incursioni dei Mongoli. Entrando nella misera abitazione, e dopo aver preso atto che per i suoi abitanti non c’è più nulla da fare, Piotr si rende conto di non essere solo: cercando tra le coperte gettate in un angolo, trova una splendida bimba, affamata ma viva.
Ha così inizio un’incredibile storia sul percorso esistenziale dei personaggi di questo splendido testo dallo spirito fortemente animista, in cui l’acqua si fa simbolo che riconduce ai primordi, all’origine del cosmo, quando nulla era ben definito. Con il suo lento e a volte impetuoso fluire, essa rappresenta la metafora della vita.

Nato a Roma il 14 maggio 1951. Dirigente presso una ASL di Roma. Ha vissuto e studiato per alcuni anni a Firenze. Successivamente è tornato a Roma con la propria famiglia di origine, dove ha concluso i suoi studi laureandosi in Sociologia e Psicologia. Paolo Mario Capello ha da sempre scritto poesie e racconti, senza però crederci troppo. Attualmente, in età avanzata, con più tempo a disposizione, ha iniziato un percorso più intenso, penna o PC sono diventati i suoi compagni quotidiani trovando in essi il vero mezzo di trasmissione. Più ascoltatore che altro, anche per il suo percorso di studi, nel raccontare sentimenti e sensazioni, ha trovato un sottile filo che lo congiunge a quanti hanno, o avranno, il desiderio di leggere i suoi scritti. Ha pubblicato per questo motivo alcuni libri di poesie e di racconti. Ora è dedito alla scrittura di romanzi, lasciando ancora più spazio alla fantasia.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2023
ISBN9788830683228
Il destino dell’acqua

Correlato a Il destino dell’acqua

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il destino dell’acqua

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il destino dell’acqua - Mario Paolo Capello

    cover01.png

    Paolo Mario Capello

    Il destino dell’acqua

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7569-8

    I edizione maggio 2023

    Finito di stampare nel mese di maggio 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Il destino dell’acqua

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi:

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Nota dell’Autore

    In un contesto storico reale, si sono narrate storie di personaggi di fantasia, che si intrecciano percorrendo un viaggio interiore, tra le vicende delle due invasioni mongole realmente accadute in Polonia durante il

    xiii

    secolo.

    Capitolo i

    Erano giorni che camminava nella foresta, si sentiva stanco, aveva bisogno di bere, forse anche di mangiare, ma non erano state le necessità fisiche che lo avevano portato verso la lontana finestrella da cui proveniva una luce, un’attrazione mista a curiosità lo aveva invitato a guardare all’interno di quella umile dimora. Vide, attraverso la fessura della porta e alla poca luce di una candela posta su di un tavolo, una stanza disadorna. Sembrava che non ci fosse nessuno, entrò, ma mentre gli occhi piano piano si stavano abituando al chiarore della candela, uno scenario terrificante gli si spalancò davanti. Due giovani, un uomo e una donna, giacevano a terra, sporchi, insanguinati. Troppo tardi, non poteva fare più niente per loro. Piegò le gambe e con un tonfo sordo cadde con le ginocchia sul pavimento di legno polveroso; chinò il capo e dette, alle spoglie di quei poveri corpi, l’estrema unzione. Ancora in ginocchio, in preghiera, il monaco fu distratto da uno strano sospiro. Forse un cane, magari più un cucciolo. Si avvicinò cauto al mucchio di coperte lasciato in un angolo della stanza, da cui proveniva il mugolio, e ne sollevò un lembo. Avrà avuto non più di tre mesi, quella bimba che si mordicchiava i piccoli pugni: aveva sicuramente fame. I genitori erano morti da qualche ora, doveva fare qualcosa. Prese un pentolino, scaldò un po’ di acqua e iniziò meticolosamente a sciogliere una quantità sufficiente di formaggio di pecora che teneva nella bisaccia. Con un dito ne sentì la temperatura, tolse il pentolino dal fuoco e con lo stesso dito, iniziò a porgere il nutrimento alla piccola. Terminata l’operazione, era necessario uscire da quella casa il più presto possibile, se i Mongoli fossero tornati non ci sarebbe stato scampo per nessuno. In fretta, avvolse l’infante in una delle coperte abbandonate nel cantuccio in cui l’aveva trovata; gli altri stracci li gettò nella bisaccia, sarebbero potuti servire. Imboccò la porta e sparì nella foresta che, anche di notte, per lui non aveva segreti.

    Lentamente la pioggia martellante degli ultimi giorni si stava attenuando, rivoli di acqua scendevano a valle, gonfi, talmente veloci che la terra non riusciva più a trattenere per sé neanche una delle tante gocce che precipitavano dalle nere nubi ancora minacciose. La notte stava sopraggiungendo e un timido quarto di luna illuminava, per quanto poteva, il passo del monaco. Possessore di niente, una bisaccia, un po’ di formaggio e un tozzo di pane bagnato, ma anche custode di una ricchezza infinita: una neonata.

    Era l’anno 1242. La guerra ancora imperversava. I Mongoli nel corso dell’anno precedente, con un esercito ben organizzato, con alla testa i due nipoti di Gengis Kan: Batu Khan e Kadan, avevano attraversato gli Urali, antica fortificazione naturale. Ormai padroni del campo minacciavano con scorribande a sorpresa e, soprattutto, con assedi ben pianificati, le più importanti città dell’Europa centro orientale. Caduta Tiblisi, anche Kiev e Vladimir non resistettero all’assedio e come Buda e Pest, anche Wroclaw, città polacca, dovette cedere agli assalti dei Cavalieri del diavolo. Questi erano instancabili cavalcatori, restavano in sella interi giorni e intere notti, sempre in movimento; sotto la loro sella portavano della carne secca, salata, che mangiavano durante gli spostamenti.

    In cerca della fede il monaco aveva lasciato il monastero da circa cinque anni, non si era tolto l’abito, ma la ritualità conventuale non era ciò che cercava. Le lodi, la preghiera, le regole imprescindibili, non era e non poteva essere solamente questo il messaggio spirituale che lo avevano spinto fin da giovane a indossare il saio. Anni di strade percorse, anni di foreste esplorate, anni alla ricerca di luoghi sempre più appartati, ma il cammino era ancora lungo, lo sentiva. A volte la pioggia lo bagnava e non cercava riparo, perché dall’alto arrivava la purificazione e il sole benedicente lo asciugava, per godere, passo dopo passo, di una nuova giornata. Talvolta nascondeva gli occhi di fronte al sole accecante, perché non si sentiva degno della luce che il Signore donava alla terra.

    Il monaco, nel suo vagare sui monti Carpazi, si manteneva distante dalle città in quanto preferiva la compagnia degli animali, delle piante, amava il contatto dell’acqua e far scorrere una mano sulla corteccia degli alberi; ormai ne riconosceva al solo contatto la specie, ma era anche capace di riconoscere se fosse l’albero che aveva già incontrato in un suo precedente passaggio. L’incontro con qualche pastore, agricoltore, o allevatore di vacche era sempre casuale, mai cercato. Ma non disdegnava la loro compagnia, in quanto si percepiva, nei loro racconti, la freschezza naturale di queste persone, un sapore semplice che gli dava quella serenità che tante ore di preghiera, o di dialogo con il fratello confessore, non erano riusciti a fargli sentire in tanti anni di monastero.

    Lo spirito di ricerca di questo uomo colto, nobile, figlio di nobile genia, lo avevano portato lì, materialmente e spiritualmente. Spesso carico di dubbi, critico con se stesso e con gli altri, mai banale. Prima combattente, poi monaco, ora vagante tra foreste dense di umori, di vita pulsante. Era lì che sentiva la presenza di Dio e quasi gli sembrava che quelle piante, quegli animali, quell’acqua, fossero in un incessante dialogo con il Padre Celeste.

    Il tempo trascorso presso il monastero di Tyniec lo aveva temprato, le lunghe ore passate tra le austere mura avevano formato il suo corpo e la sua anima irrequieta. Alto, robusto, acuto nello sguardo e nei pensieri. Propenso più all’ascolto che al dialogo, spesso usciva da una porticina secondaria della cucina del monastero e si rifugiava sul promontorio, seduto su di un grande masso al di sopra di un’ansa del fiume Vistola. Amava osservare l’incedere delle acque, lente, quasi dormienti, che accarezzavano i suoi dialoghi interiori, a volte acque ruggenti, con vortici che si rincorrevano, formando cerchi che si sovrapponevano. L’acqua scorreva, scorreva sempre, con i riflessi dei colori del cielo, della terra, degli alberi, come un costante messaggio. Non era necessario essere eruditi, intuitivi o intelligenti, bastava essere lì, in ascolto, affinché l’acqua parlasse. Come quel giorno in cui il fiume, dopo le abbondanti piogge, aveva rovesciato sugli argini tutta la sua forza e la sua rabbia; impetuoso, vorticoso, sfuggente allo sguardo, verso un domani indefinito. Padre Piotr, allora trentacinquenne, avrebbe voluto prendere una zattera, una barca, qualsiasi mezzo e raggiungere quel domani.

    La sera, dopo la cena e le contestuali letture delle Sacre Scritture, il monaco, uscito dal cenacolo, si era recato dall’Abate, fratello Grzegorz, il quale aveva ascoltato i fermenti e le frustrazioni che stava vivendo fratello Piotr, poi, quando questi ebbe finito, l’anziano Abate disse: «Se tutto questo ti porta alla tua conoscenza interiore, prenditi un periodo di riflessione, bada però, il mondo sarà ancora più pieno di insidie ora, di quando lo hai lasciato nella tua giovinezza. Non staccarti dalla preghiera, chiedi il sostegno della Santa Croce, che ti sia di aiuto in ogni circostanza. E ricorda! Questa sarà sempre la tua casa».

    Detto ciò, alzò le braccia verso il cielo, Piotr si inginocchiò, le mani dell’anziano Padre si posarono sul capo chino del giovane uomo e lo benedisse: «Il Signore ti benedica, figliolo. Aspetterò il tuo ritorno».

    I due si congedarono con un abbraccio fraterno.

    Ora, padre Piotr, trascorsi cinque anni dal quel commiato, sentiva quell’abbraccio dell’Abate ancora più paterno. Salito su di una collina per controllare se ci fossero pericoli imminenti, si sedette su di un masso, il suo masso della meditazione. Questi aveva una grossolana forma di sedile in pietra, accogliente, con due braccioli speculari, paralleli, somigliava al masso vicino al monastero, posto al di sopra del promontorio che dominava il grande fiume. Ci si sedette abbandonando la posizione eretta con un sospiro di liberazione. Aveva camminato tutta la notte per sentieri impervi per evitare incontri pericolosi. Con movimenti lenti, depose il prezioso fagotto sulle ginocchia, prese una delle coperte raccolte dal cantuccio della casa, e iniziò ad annodarne i capi, tanto da creare un

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1