Nata ad Auschwitz
Di Elita Romano
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Anteprima del libro
Nata ad Auschwitz - Elita Romano
8
Prefazione
Nata ad Auschwitz è una storia non vera, ma verosimile, che si inserisce nel filone della letteratura che ha per tema il dramma delle deportazioni e dello sterminio della razza ebraica e le sue conseguenze nella memoria dei superstiti e degli ebrei della seconda e della terza generazione che non hanno vissuto in prima persona la tragedia dell’olocausto.
Il romanzo, un tassello del gigantesco puzzle della shoah, testimonia quanto ancora sia vivo il ricordo di quei fatti dolorosi, puntualmente rinnovato non solo dagli Ebrei ma anche, ogni anno, dalla giornata della memoria.
Il campo di concentramento di Auschwitz, il più noto per efferatezze, è l’occulto punto di partenza ed insieme il punto di arrivo della vicenda; ma ad Auschwitz si giunge dopo una serie di indagini, una vera e propria quête che sulle prime sembra mai concludersi.
Al centro della storia è una famiglia borghese, benestante, apparentemente senza problemi, che cela un grosso segreto di cui si ha sentore fin dalle prime righe, anche se appena accennato.
Due verità si contrappongono e convivono: quella della figlia, Raffaella, sicura di sé, incoraggiata nella sua affermazione dai propri genitori, e quella di questi ultimi che vivono il tormento di una rivelazione che potrebbe distruggere quel mondo fittizio di serenità che avevano saputo così bene creare.
E in effetti Raffaella al momento fatidico crolla, divisa tra sentimenti di ostilità e di amore. La sua reazione determina nella narrazione un andamento dinamico, sia per gli spostamenti della famiglia alla ricerca di testimoni dei fatti che stanno all’origine della storia, sia per i racconti fatti da loro.
Questi racconti in cui la tensione drammatica raggiunge il suo acme attraverso la tecnica dello scorcio e dell’ellisse, determinano un pluralismo prospettico convergente su un’unica realtà: quella di Raffaella.
La verità non rivelata, man mano che la vicenda si snoda, acquista connotati più definiti, e crea un’intrigante atmosfera di suspence che avvince e coinvolge il lettore, inducendolo a velocizzare la lettura.
Adalgisa Monreale
Capitolo 1
«Non pensi che sia arrivato il momento...?»
Paul stava leggendo il giornale e a quella domanda alzò gli occhi al di sopra del foglio che si frapponeva fra lui e la moglie, incrociò silenziosamente il suo sguardo, quindi ritornò alla sua lettura. Olga rimase ritta di fronte a lui per alcuni secondi, poi si avviò verso la cucina scuotendo la testa.
Dopo che la moglie uscì dalla stanza, Paul ripiegò il giornale con cura, lo appoggiò sul tavolinetto che gli era vicino e socchiuse gli occhi per concedersi un breve riposo come soleva fare ogni giorno dopo pranzo. Questa volta, però, non gli riuscì di staccare la spina dalla sua mente.
Da un po’ di tempo Olga ritornava sempre più spesso su quell’argomento che lui rifiutava ancora di affrontare non per vigliaccheria ma per timore di sconvolgere gli equilibri familiari. Tutte le volte che le aveva esternato le sue perplessità al riguardo, ne erano nate accese discussioni che avevano solo inasprito il rapporto senza sortire un bel niente, perché Olga era fermamente convinta che il chiarimento andata fatto, e già da parecchio tempo! Paul, perciò, per evitare queste sterili contrapposizioni, quando la moglie ritornava sull’argomento si chiudeva nel più assoluto silenzio e si allontanava da casa qualche ora, il tempo di smaltire il malumore che ne era derivato. Anche questa volta Paul ritenne necessaria una boccata d’aria, si alzò, quindi, di scatto e si avviò verso l’uscita.
«Faccio due passi», gridò dal fondo del corridoio. Olga, che si aspettava quella reazione, gli rispose
«Okey» e alzò le spalle in segno di disapprovazione.
«Avrei dovuto impormi come mi era stato suggerito» mormorò a bassa voce quasi fra sè e sè. «Più passa il tempo e più diventa difficile per lui. Sono stata debole e questo è il risultato.Voglio sperare che si decida al più presto perché i tempi sono maturi e si corre il rischio che qualcuno ci preceda». Paul era appena andato via quando squillò il telefono e Olga si precipitò a rispondere.
«Com’è andata?» chiese con ansia, prima ancora di accertarsi dell’identità dell’interlocutore.
«Trenta» le rispose la voce eccitata di una giovane ragazza.
«Il mese prossimo saremo, quindi, di laurea e di centodieci!
«E perché no? di centodieci e lode!», la corresse l’interessata.
«Brava Raffaella! Io e tuo padre siamo orgogliosi di te. A che ora sarai a casa?»
«Prendo il treno delle 18 e 45. Sarò da voi alle 20.»
«Troverai tuo padre alla stazione. Non posso passartelo adesso perché è appena uscito; l’attesa del risultato dell’esame lo ha messo un po’ in agitazione». Era una quasi verità perché sul nervosismo di Paul aveva sicuramente agito anche quella componente. Olga mise giù la cornetta e si precipitò a spegnere il forno; il suono del campanello aveva annunciato la fine della cottura del ciambellone con cui avrebbero festeggiato a cena il 30 di Raffaella. La crema per la farcitura era già pronta in frigo. Era il dolce preferito da Raffaella e per Olga ogni occasione era buona per prepararglielo. Tutto in casa ruotava attorno a quella ragazza per cui Olga e Paul stravedevano, essendo la loro unica figlia.
Piccola di statura e rotondetta, non si poteva certo definire una bella ragazza, ma il suo viso era illuminato da uno sguardo solare che si accompagnava ad un carattere allegro ed estroverso. Di amici ne aveva tanti,